Il-Trafiletto
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21/10/14

L'umore si riconosce da come si cammina

Forse non ci avete mai fatto caso o non ci avete pensato ma il nostro umore influenza anche il nostro modo di camminare e viceversa, si intende. Vi sarà certo capitato  di vedere qualcuno che trascina i piedi, o chi cammina saltellando, o chi cammina incurvato.....Ma possiamo provare anche ad essere felici cambiando il nostro modo di camminare, basta farlo nella maniera giusta.

Quello che i ricercatori del Canadian Institute for Advanced Research (CIFAR) e del Queen’s University di Kingston hanno voluto fare, è stato di applicare l’esatto opposto: volevano infatti capire se camminare in un certo modo potesse influenzare l’umore. Anche in caso di presenza di depressione. Ebbene sì: a seconda del nostro passo possiamo influenzare il nostro umore.

Camminare
immagine presa dal web

Per dimostrare la loro ipotesi gli scienziati, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista di settore Journal of Behavior Therapy and Experimental Psychiatry, hanno preso in considerazione un campione di volontari chiamati a camminare in modo che tutti provassero dapprima a muoversi come se fossero stati tristi e poi come se fossero stati felici.

Commenta il dott. Nikolaus Troje, coordinatore della ricerca: "Non è sorprendente che il nostro umore, il nostro modo di sentire, influenzino il modo in cui camminiamo, ma volevamo vedere se il modo in cui ci muoviamo influenza anche come ci sentiamo. Sottoposti alla lettura di parole positive e negative e messi successivamente su un tapis roulant dove è stata misurata la loro andatura e postura, i partecipanti hanno confermato che coloro che tentavano di camminare a passo spedito mostravano di ricordare maggiormente le parole positive e che si sentivano meglio".

14/10/14

Mestieri assurdi: analizzare gli odori dei bagni pubblici

Direi che dopo questa notizia dovremmo tutti evitare di lamentarci del nostro lavoro e amarlo. Anche perchè insomma, sinceramente io personalmente non so se resisterei a fare questo mestiere. Che ne direste se vi porponessero di fare l'analizzatore di odori di bagni pubblici in Africa e in India? Pensate che sia facile? No perchè per esercitare questo mestiere serve un bel dottorato di ricerca.

Bagni pubblici
immagine presa dal web
E’ questo infatti l’insolito lavoro che si è trovato a fare un gruppo di ricercatori. L’idea di base è abbastanza semplice: i bagni pubblici, specie nelle nazioni in via di sviluppo di frequente puzzano molto, molto spesso perché chi li costruisce, dovendo contenere i costi, si preoccupa degli aspetti tecnici ma non della questione dell’odore.

Per combattere il cattivo odore in modo efficace, però, bisogna sapere da cosa è composto, ed ecco dunque come i ricercatori si sono trovati a compiere una “analisi qualitativa e quantitativa dei costituenti volatili delle latrine”, una ricerca prima nel suo campo. Le analisi, oltre la verifica qualitativa da parte di un ricercatore che doveva giudicare l’odore, hanno visto anche diversi test di laboratorio. Hanno scoperto che l’odore cambia a seconda che nella latrina siano favoriti i processi aerobici (che favoriscono un odore rancido o di concime) o anaerobici (che favoriscono odori di fogna). Lo zolfo avrebbe un ruolo fondamentale in molti dei cattivi odori presenti nei bagni pubblici.

Quindi gente, un altro settore lavorativo potrebbe essere aperto, l'unica cosa che ci resta da fare è frequentare un corso e diventare esperti!

23/09/14

Stiamo attenti ad oggetti di uso comune: contengono gli Ftalati

Alla base del meccanismo che scatena dell'asma potrebbero esserci due comuni ftalati utilizzati per la realizzazione di composti chimici impiegati per oggetti di uso comune in casa , specialmente nei bambini anche se l'esposizione avviene durante la gestazione.

Lo ha dimostrato, per la prima volta uno studio realizzato dai ricercatori del Columbia Center for Children's Environmental Health presso la Mailman School of Public Health che hanno pubblicato i risultati delle loro ricerche sulla rivista 'Environmental Health Perspectives'. Le loro ricerche hanno rivelato che i bambini nati da madri esposte durante la gravidanza a livelli piu' elevati di queste specifiche sostanze chimiche, butilbenzilftalato (BBzP) e di-n-butil ftalato (DNBP) hanno avuto un 72 per cento e il 78 per cento di aumento del rischio di sviluppare l'asma tra 5 e 11 anni rispetto ai nati da madri con bassi livelli di esposizione.

L'utilizzo degli fatalati è ampio, dai profumi sintetici a contenitori di plastica alimentare, pavimenti in vinile, repellente per insetti, tende da doccia, anche volanti e cruscotti ("odore di macchina nuova" contiene ftalati). Dal 2009, alcuni ftalati, tra cui BBzP e DnBP-sono stati banditi dai giocattoli per bambini e articoli per l'infanzia negli Stati Uniti. Ma non sono state prese misure precauzionali per proteggere il feto in via di sviluppo avvertendo donne in stato di gravidanza al pericolo delle esposizioni potenziali.

ftalati
Negli Stati Uniti gli ftalati raramente figurano tra gli ingredienti sui prodotti in cui vengono utilizzati. "Il feto e' estremamente vulnerabile durante la gravidanza. Le madri sono praticamente impotenti quando si tratta di ftalati come BBzP e DnBP che sono inevitabili. Se vogliamo proteggere i bambini, dobbiamo proteggere le donne in stato di gravidanza", dice l'autore senior dello studio Rachel Miller, MD, professore di medicina (in Pediatria) e Scienze della Salute Ambientale alla Columbia University Medical Center; e co-vice direttore del Centro di Columbia per bambini Salute Ambientale presso Mailman School of Public Health della Columbia.

I ricercatori hanno seguito 300 donne in gravidanza e dei loro bambini. I livelli di esposizione a ftalati sono stati misurati attraverso metaboliti chimici nelle urine. I campioni sono stati raccolti dalle madri durante il terzo trimestre e nei bambini di eta' 3, 5, e 7 anni. Quasi un terzo dei bambini (94) ha sviluppato l'asma. Altri 60 bambini avevano una storia di respiro sibilante e di altri sintomi simili all'asma senza una diagnosi di asma. In questo gruppo anche i ricercatori hanno trovato un legame tra l'esposizione prenatale ai DnBP e i sintomi.

10/06/14

Feedback virtuale | Finalmente è arrivata la realtà virtuale!

Feedback virtuale
La realtà virtuale è finalmente arrivata! Per quanto riguarda Oculus Rift illude i nostri occhi che gli oggetti virtuali siano reali, mentre i dispositivi per seguire i movimenti, come Kinect e Omni, trasformano i nostri gesti fisici in azioni virtuali.

Ma c'è ancora un elemento che manca da questi mondi virtuali: non abbiamo il senso del tatto.
E' qui che entrano in gioco le interfacce aptiche, ossia quelle che danno un feedback tattile alle interazioni virtuali. Nel caso più semplice la tecnologia aptica ci aiuta a digitare più velocemente emettendo una vibrazione ogni volta che premiamo un tasto su uno schermo tattile. Nei casi più avanzati si possono simulare interazioni fisiche, come colpire una palla da tennis, grazie a guanti "intelligenti". Ma la tecnologia sta per compiere un balzo in avanti, perchè i ricercatori sperano adesso di dare un feedback fisico senza bisogno di mouse, joystick o guanti.

Uno degli approcci più promettenti fa uso di sbuffi d'aria. Una squadra di ingegneri della Disney Research ha sviluppato un prototipo detto "Aireal", che simula la presenza di oggetti solidi usando vortici di aria che traggono in inganno le terminazioni nervose della pelle facendoci credere che stiamo toccando un oggetto. i vortici vengono generati usando un ugello con cinque motorini che spostano l'aria con grande precisione, montato su un giunto cardanico mobile per emettere il vortice verso un punto specifico. Chi l'ha provato afferma che l'esperienza è convincente.(science)


23/05/14

Preparativi per Marte! | Parte prima.

I ricercatori si trasferiscono negli angoli più remoti del mondo per provare le condizioni di vita su Marte. Vorrei in qualche modo il perchè la conquista del Pianeta rosso inizia dalla Terra.

Più di 200mila persone provenienti da oltre 140 nazioni hanno fatto domanda per un biglietto di sola andata verso il Pianeta rosso, offerto dal programma televisivo olandese Mars One. Gli organizzatori stanno avviando una selezione che proseguirà per due anni, alla ricerca di partecipanti adatti  sia come colonizzatori di Marte che come protagonisti di un reality show.

A dicembre Mars One ha annunciato che invierà sul Pianeta rosso un rover e un satellite per le telecomunicazioni, il cui è previsto per il 2018. Si spera di farli raggiungere da una serie di missioni ogni due anni a partire dal 2014, ognuna con un equipaggio di 4 persone. Ma chi ha fatto domanda per Mars One ha idea della situazione in cui in cui si sta infilando?
Mars One
(immagine dal web)

Trascorrerà il resto della vita su un mondo gelido, spazzato dalle radiazioni e coperto di polvere, a una distanza media da casa di 225 milioni di chilometri. Esporsi all'esterno senza protezioni farebbe andare il sangue in ebollizione , mentre il minimo contatto con la polvere acida in superficie provocherebbe ustioni chimiche.

Per fortuna, da qui al lancio sapremo meglio che cosa ci sarà ad aspettare i nostri intrepidi pionieri.
Questo, per la Terra, sarà l'anno delle prove generali più complesse della storia, infatti durante questo periodo, una serie di equipaggi vivrà in un modulo abitativo nel deserto dello Utah, un ambiente desolato simile a quello marziano, e, a partire dall'agosto 2014, un gruppo di sei persone simulerà un missione di 12 mesi su Marte nel gelo artico del Canada settentrionale. Il Pianeta rosso è cosi affascinante dal punto di vista scientifico da spingere i ricercatori nei luoghi meno accoglienti del nostro mondo, per viverci come se fossero su Marte, affannandosi in moduli ristretti, con il cibo, l'acqua e l'energia razionati. (science)

22/05/14

Over50, attenti al consumo di proteine, sono nocive se è elevato

Assumere molte proteine durante i pasti non è molto indicato. Lo dicono i ricercatori dell’Istituto di Longevità alla University of Southern California, guidati dal direttore Walter Longo, i quali hanno effettuato uno studio, pubblicato sulla rivista “Cell Metabolism”, durante il quale hanno analizzato l’alimentazione di oltre 6 mila over50 e il loro apporto proteico. Dallo studio emerge che esiste una correlazione tra l’eccessivo consumo di proteine e un aumento della mortalità causata dal cancro. Non solo, lo studio ci dice anche che le persone che hanno superato la mezza età vanno incontro ad una morte prematura se la loro alimentazione è basata su cibi ad elevato contenuto di proteine animali, quali latte, formaggio e carne. Gli amanti di questi alimenti, emerge dallo studio, rispetto a soggetti avvezzi al mangiar sano, hanno un rischio di morte per varie patologie superiore di ben il 74 %. Stesso rischio si corre con le diete a contenuto proteico medio, mentre l’ideale sarebbe una dieta con una percentuale di proteine ( sia animali che vegetali, anche se quest’ultime meno nocive) al di sotto del 10%. I ricercatori con questo studio hanno messo in risalto la relazione esistente nei soggetti Over50 tra elevato consumo di proteine e l’insorgenza di tumori, di conseguenza ne consegue che l’alimentazione cambia con l’età. In età giovanile le proteine aiutano il nostro organismo a svilupparsi controllando il fattore di crescita IGF-I, il quale cala notevolmente oltre i 60-65 anni. Il dottor Longo inoltre dice che un consumo notevole di proteine è nocivo, ma non bisogna neanche esagerare al contrario, perché un apporto scarso o assente comporta una rapida denutrizione e di conseguenza una salute cagionevole. (immagine presa dal web)

15/05/14

Se fumi rischi un invecchiamento cerebrale precoce, smetti e ti torna il buonumore.

“Perché fumo? A cosa serve fumare?” Quante volte ci siamo posti queste domande, dandoci anche delle risposte abbastanza scontate, ma senza mai prendere una drastica decisione e dare un taglio netto alla sigaretta. “Lo so, non serve a niente, ma fumare mi rilassa, mi dà sicurezza con gli altri, non ne posso fare a meno, e poi posso smettere quando voglio”, ci giustifichiamo. Senza pensare a quanti e quali danni possiamo avere a breve o a lungo termine. Uno studio durato 25 anni, effettuato dai ricercatori dell’University College di Londra (apparso su Archives of General Psychiatry) condotto su 7.236 uomini e donne di mezza età (dipendenti del Servizio civile inglese), ha dato come risultato un’accelerazione del rischio di demenza ed invecchiamento precoce del cervello, a cominciare dai 45 anni di età. Ai volontari di questo studio è stato chiesto di svolgere alcuni prove cognitive a tre età diverse: tra i 44-69 anni, tra i 50 e i 74, e tra i 55 e gli 88, e si è arrivati alla conclusione che i fumatori mostravano un declino cognitivo più veloce, di circa 10 anni, rispetto ai non fumatori. E più numerose erano le sigarette fumate, maggiori erano i danni neurologici. Ma c’è un altro studio condotto dai ricercatori dell’Università di Nottingham e pubblicato sulla rivista medica British Medical Journal dove si è studiata la salute psicologica di circa 1500 partecipanti a dei corsi contro il fumo, misurandola sei settimane prima del corso e poi ricalcolandola dopo altre sei settimane senza aver fumato. I risultati hanno dimostrato che dopo un primo momento di variazione di umore, dovuto probabilmente allo stop drastico del fumo di sigaretta, nella totalità dei volontari è stato notato un evidente calo dei sintomi ansiosi e depressivi, lasciando spazio all’ottimismo e alla voglia di programmazione. Smettere di fumare quindi non può che fare bene alla salute dell’uomo (e della donna), dal momento che sono sufficienti poche settimane per riscontrare effetti positivi sull’apparato cardiocircolatorio per arrivare, a 10 anni dopo lo stop al fumo di sigaretta, a un rischio di malattie cardiovascolari e tumorali pari a quelle di un soggetto che non ha mai fumato. E non è poco.

11/05/14

Perchè si cancellano i nostri primi ricordi?

Riuscite a ricordare di essere stato un neonato? Ricercatori trovano la crescita di nuove cellule del cervello che cancellano i nostri primi ricordi  Le nuove cellule sovrascrivono in modo efficace quelle esistenti 

La maggior parte dell'umanità non ricorda ciò che è accaduto all'età di  2 o 3 anni. E 'noto da tempo che fatichiamo a ricordare la nostra infanzia - soprattutto prima dei tre anni. I ricercatori ritengono di aver trovato il perché. Essi sostengono che quando si diventa adulti, la crescita di nuove cellule cerebrali sovrascrivono efficacemente le cellule esistenti, cancellando i primi ricordi.

"Amnesia infantile si riferisce l'assenza di ricordi per gli eventi che si sono verificati nei nostri primi anni di vita. La maggior parte delle persone in genere non ricordono molto di quello che è successo quando avevano solo 2 o 3 anni di età", ha detto Katherine Akers, che ha condotto lo studio presso il Laboratorio di Neurobiologia presso l'Hospital for Sick Children di Toronto. "Ma questo non è imputabile all'assenza di capacità di ricordare dei bambini più piccoli dei tre anni"- "Per esmpio, quando nostra figlia aveva 3 anni avrebbe entusiasticamente raccontato i dettagli di gite allo zoo, di visite ai nonni e così via. "Ma lei ora a 5 anni, non ha alcun ricordo di questi eventi - questi ricordi sono rapidamente dimenticati".
immagine presa dal web

Poiché l'ippocampo è importante per la memoria, ci sono stati diversi studi che hanno esaminato come i nuovi neuroni potrebbero contribuire a formare nuovi ricordi. Il tipico risultato è che la riduzione dei livelli di neurogenesi ostacola la formazione di nuove memorie. Ma, come i ricercatori credevano, nuovi neuroni integrati nell'ippocampo possono avere un impatto sulle memorie esistenti. In particolare, i nuovi neuroni rimodellano i circuiti ippocampali, e questo rimodellamento può provocare una diminuzione delle informazioni (memorie) impresse in tali circuiti.

Elevando artificialmente il processo di neurogenesi in un esperimento eseguito dai ricercatori sui topi, si cancellano le momorie immagazinate fino a quel momento. Lo studio ha dimostrato che la riduzione della neurogenesi nei topi infantile ha portato alla relativa conservazione di memorie che altrimenti sarebbero stati dimenticati.

01/04/14

Contro l'Hiv per le donne un preparato gel prima di un rapporto.

La ricerca ha trovato un preparato gel che proteggerà le donne dall'infezione Hiv. Il gel, fino ad ora ha prevenuto dell'infezione da Hiv in 5 scimmie macaco su 6.

Un altro passo in avanti è stato compiuto nella realizzazione di un gel da applicare a seguito di rapporti intimi, capace di proteggere le donne dall'infezione dell'Hiv, il devastante virus dell'immunodeficienza umana.

I ricercatori americani dei Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (Georgia) che hanno eseguito lo studio, pubblicato su Science Translational Medicine, chiariscono che il gel, al momento, è stato in grado di proteggere dall'infezione cinque scimmie macaco femmine su sei: quindi, il risultato è segno di un importante passo in avanti per la realizzazione definitiva di un unguento protettivo contro l'Hiv, la cui formulazione ad oggi purtroppo è ancora lontana dal poterla definire tale e pertanto è ancora lontana pure l'applicazione sugli esseri umani.
Virus Hiv

I ricercatori spiegano che i gel vaginali contenenti farmaci anti-Hiv hanno dato risultati discontinui nei test clinici umani. In questo recente studio il team statunitense ha utilizzato un approccio diverso, fondato sul testare il gel in un gruppo di scimmie femmine esposte al virus: ciò che è emerso dallo studio è che cinque delle sei scimmie a cui era stato applicato il preparato entro tre ore dal contatto col virus sono risultate protette dall'infezione.

Ampi studi clinici saranno necessari in futuro, spiegano i ricercatori, per testare il nuovo trattamento con l'obiettivo di riuscire a mettere a punto una versione di gel anti-Hiv efficace sugli uomini: per adesso, e probabilmente per molto tempo ancora, i preservativi rimarranno il metodo migliore per prevenire l'infezione. Nuovi studi dovranno inoltre essere condotti per capire a quante ore ammonta la finestra temporale entro cui il gel può essere somministrato senza penalizzarne l'efficacia. (il sole 24 ore)

30/03/14

Il chewing gum responsabile dei tuoi mal di testa.

Le cause del mal di testa sono molteplici, ma quella più diffusa sicuramente è la gomma da masticare. Lo dimostra una ricerca pubblicata su Pediatric Neurology e condotta da un gruppo di ricercatori del Meir Medical Center dell'università di Tel-Aviv in Israele, secondo cui molti casi di mal di testa nei giovanissimi ( ma anche nei meno giovani) sarebbero da attribuire alla cattiva abitudine di masticare chewing gum per ore e ore. Secondo gli autori il mal di testa è molto diffuso tra bambini e adolescenti, ancora di più tra le ragazzine. Tra le cause scatenanti questa fastidiosissima patologia ci sono lo stress, stanchezza, mancanza di sonno, rumori, l'uso prolungato di videogiochi, il fumo, i pasti saltati e il ciclo mestruale. Il neurologo Nathan Watemberg ha notato che molti dei suoi giovani pazienti, in particolare le femmine, erano soliti masticare il chewing-gum per ore e ore. Si è chiesto perciò se non potesse esservi un legame fra il masticare continuo e la comparsa del dolore, anche perché nella sua esperienza si era accorto che spesso, smettendo di masticare, il mal di testa come per incanto svaniva di lì a poco. Il medico ha condotto perciò una ricerca su 30 suoi pazienti dai 6 ai 19 anni con cefalea cronica e l’abitudine a masticare “cicche” ogni giorno, da una fino addirittura a sei ore quotidiane: a tutti ha chiesto di bandirle per un mese. Dopo trenta giorni senza gomme 19 ragazzini su 30 hanno visto sparire completamente il mal di testa, che in altri 7 casi era diminuito per frequenza e intensità. Facendo una controprova, 26 partecipanti hanno accettato di riprendere a masticare chewing-gum per due settimane: tutti hanno manifestato di nuovo la consueta cefalea nel giro di pochi giorni. Due le teorie chiamate in causa per questo mal di testa. La prima riguarda l’aspartame, il dolcificante contenuto in molti di questi prodotti: ma se fosse colpa del dolcificante dovrebbero soffrire di mal di testa anche i consumatori assidui di tutti i cibi e le bevande zuccherate. La seconda ipotesi è quella più probabile, secondo cui la masticazione della gomma provoca uno stress dell’articolazione temporo-mandibolare: in genere le gomme si tengono in bocca a lungo, masticandole ben oltre la scomparsa del loro sapore, e ciò costringe al “superlavoro” questa articolazione che peraltro è fra le più usate. Inoltre esistono prove scientifiche che una disfunzione dell’articolazione temporo-mandibolare possa davvero provocare mal di testa. Una scoperta che può avere immediate ripercussioni, secondo il neurologo: in un paziente con mal di testa (vale per i giovani, ma forse anche per i “ruminanti” più attempati) il consiglio di lasciar perdere le gomme è a costo zero e può risolvere una certa quota di casi senza necessità di ulteriori terapie.

06/03/14

Dall’America un nuovo vaccino antinfluenzale, non più la classica iniezione ma un cerotto.

Probabilmente non ci sarà più bisogno della classica iniezione per il vaccino antinfluenzale. Un nuovo metodo innovativo è in arrivo dal Georgia Institute of Technology, che esclude il bisogno della tradizionale iniezione. Si tratta di un cerotto da applicare sulla pelle, indolore e di facile applicazione. L'obiettivo dei ricercatori è quello di diminuire i costi della sanità e l'affollamento di pazienti negli studi medici, vista la possibilità di poter essere ricevuto per posta o acquistato in farmacia. Il gruppo di ricercatori guidato da Mark Prausnitz ha messo a punto un'applicazione cutanea, provvista di una serie microaghetti che trasmettono il vaccino al contatto con la pelle. I primi test sono stati effettuati per stabilire il dolore provocato da questi piccoli aghi e i risultati sono stati lusinghieri. I primi volontari sottoposti alla sperimentazione hanno rilevato un livello di gran lunga inferiore a quello indotto da un'iniezione. Sulla scala di valutazione del dolore su un massimo di 100, il cerotto si ferma a 1,5, mentre la puntura può arrivare anche a 15. Al di là di questo aspetto, il prossimo passo sarà quello di capire realmente l'efficacia contro i virus influenzali stagionali. Se la nuova metodologia garantirà risultati soddisfacenti anche da questo punto di vista, il cerotto dovrebbe poi essere venduto in farmacia. Non solo, esiste anche la possibilità che il cerotto venga spedito per posta. In questo modo, si raggiungerebbe uno dei due obiettivi della ricerca, quello di diminuire le file e i tempi di attesa negli studi medici, spesso presi dall'assalto nella stagione invernale. Inoltre, i costi per la sanità pubblica diminuirebbero, trattandosi di una soluzione meno costosa e più facilmente reperibile.

04/03/14

L’Alzheimer si combatte anche a tavola. Con i Broccoli.

Dalla natuta un aiuto per la prevenzione di stress e Alzheimer. I broccoli. Lo sostiene uno studio presentato dal professor Paolo Costantino, docente di biologia molecolare presso l’Università La Sapienza di Roma, durante le giornate inaugurali del SapiExpo, manifestazione legata al prossimo Expo2015. Sostanza chiave delle proprietà benefiche dei broccoli sono gli antiossidanti, presenti in grande quantità soprattutto nei germogli. Essi garantirebbero un’azione preventiva contro la degenerazione cognitiva legata all’Alzheimer e lo stress ossidativo: “I comuni broccoli e in particolare i suoi germogli, sono ricchi di antiossidanti e abbiamo osservato effetti sorprendenti sulla salute umana. I risultati sono stati spesso straordinari, abbiamo verificato infatti un importante effetto protettivo sullo stress ossidativo e proprietà contro l’Alzheimer.” Afferma il Prof. Costantino. La scoperta è stata realizzata somministrando estratti di germogli di broccoli, in varie fasi della loro crescita, in campioni cellulari e in modelli animali capaci di simulare malattie umane. "I risultati. - ha spiegato il ricercatore - sono stati spesso straordinari, abbiamo verificato infatti un importante effetto protettivo sullo stress ossidativo e proprietà contro l'Alzheimer". Il principio attivo responsabile degli effetti benefici del broccolo, come ha spiegato Costantino, non è ancora stato individuato con certezza. Lo studio, ancora in corso e coordinato da ricercatori della Sapienza, e stato finanziato dalla Regione Lazio e coinvolge gruppi di ricerca molto diversi tra loro. Non è tuttavia il primo studio a indicare nei broccoli un potente alleato per la salute umana. Questo esemplare di verdura crucifera è stato associato anche a un’azione protettiva nei confronti dell’artrite, come dimostrano i risultati ottenuti dai ricercatori dell’Università dell’East Anglia, nel Regno Unito. Sono inoltre ricchi di vitamine C e K, oltre a vantare importanti proprietà protettive contro le patologie tumorali che colpiscono l’intestino.

01/03/14

Attenzione agli scontrini fiscali, sono dannosi per la salute.

La carta degli scontrini fiscali sembra sia dannosa per la salute umana. Secondo uno studio effettuato nel Centro Medico dell’Ospedale Pediatrico di Cincinnati, negli Stati Uniti, su 24 volontari, sembra che il composto della carta sia pericoloso per la salute dell’uomo. I volontari che hanno partecipato allo studio hanno tenuto in mano le ricevute stampate su carta termica ininterrottamente per 2 ore senza protezione. Ebbene dopo due ore nelle urine si è registrato un aumento di bisfenolo A (BPA) sostanza contenuta nella carta degli scontrini, rispetto a quando avevano indossato i guanti protettivi. E sembra accertato che l’esposizione umana a tale sostanza sia associata a vari problemi di salute, tra i quali alcuni problemi riproduttivi negli adulti e ritardi nello sviluppo neurologico nei bambini. Il bisfenolo A, è presente nel 94% degli scontrini che riceviamo. Gli unici che non contenevano BPA erano quelli giapponesi perché ne è stato sospeso l'utilizzo nel 2001. Secondo gli scienziati, riciclare questi scontrini è una fonte di contaminazione. Il resoconto, che potrebbe avere risvolti molto importanti per tutti coloro che quotidianamente hanno a che fare con ricevute in carta termica, è pubblicato su ACS’ journal Environmental Science & Technology. Nel modo vengono prodotti più di 3,6 miliardi di Kg. di BPA all'anno, ed i ricercatori lo ritengono una sostanza molto pericolosa per la salute. Il BPA è usato nelle bottiglie di plastica per l'acqua, nei rivestimenti di confezioni di cibo ed in molti altri prodotti. Inoltre è presente nella maggior parte degli altri prodotti di carta con le più alte concentrazioni in biglietti, giornali e volantini pubblicitari. Ma questi livelli erano minimi se comparati con quelli di scontrini e ricevute termiche che vengono ritenuti responsabili di più del 98% dell'esposizione del consumatore al BPA, da carta. Attenzione quindi a maneggiare questa carta.

24/02/14

Salvare i Lemuri del Madagascar

L'uomo non ha ancora imparato che per rispettare se stesso deve in primis rispettare il mondo che lo circonda e che in un certo senso gli ha dato la vita. Invece, è proprio della natura umana prevaricare ogni altro essere vivente, compreso l'uomo stesso fino all'estinzione. Mai pensa che la distruzione di ciò che lo circonda lo porterà inevitabilmente alla fine. Questa premessa per introdurre un altro caso relativo alla minaccia di estinzione dei Lemuri.
Lemure
I lemuri, che rappresentano oltre il venti per cento delle specie di primati del mondo, sono il gruppo di mammiferi piu' minacciato della Terra. La loro unica casa, il Madagascar, e' messa sotto assedio dal bracconaggio illegale e dallo sfruttamento minerario e forestale che rendono la conservazione delle diverse famiglie di specie estremamente difficile. Tuttavia un nuovo articolo pubblicato sulla rivista Science da Christoph Schwitzer della Bristol Zoological Society sostiene che, nonostante le gravi battute d'arresto, i ricercatori possono ancora lavorare insieme alle comunita' locali per aiutare a prevenire la diffusa estinzione dei lemuri grazie a un piano d'azione di emergenza triennale. Il documento spiega che gli anni di agitazioni politiche hanno lasciato il Madagascar senza benefattori internazionali e che, di conseguenza, molte regioni protette del deserto sono state abbandonate e private di una adeguata gestione per diverso tempo. Il piano prevedrebbe di conservare un grande pezzo di terra attraverso una quantita' relativamente piccola di aiuti internazionali (7,6 milioni di dollari) con il contributo di ricerca ed ecoturismo e il coinvolgimento nel monitoraggio delle comunita' locali

20/02/14

Video istruttivi e attività celebrale

Un team di ricercatori italiani dell'Ospedale San Raffaele di Milano, guidati da Massimo Filippi, professore associato di neurologia, ha individuato come l'osservazione di video istruttivi ovvero i "come fare a..." associati ad un'attività manuale, possa stimolare il cervello e favorire un miglioramento delle capacità motorie.
Lo studio è stato condotto su 36 volontari (senza problemi di salute) divisi un due gruppi, a cui è stato richiesto di svolgere ogni giorno per quaranta minuti, tre diversi tipi di attività. Ad un gruppo (gruppo A), sono stati "somministrati" dei filmati istruttivi, relativi allo svolgimento di semplici attività; all'altro (gruppo B), invece, filmati rappresentativi, mostranti cioè paesaggi, città, etc. Dopo questa prima fase, si sono eseguiti dei test per valutare le funzioni sia motorie sia manuali dei soggetti e e le variazioni di volume del cervello. Dai risultati è emerso che i soggetti del primo gruppo (gruppo A) mostravano un miglioramento delle prestazioni motorie undici volte maggiore rispetto i soggetti del secondo gruppo ( gruppo B). Questi risultati possono essere attribuiti ai neuroni specchio, quei neuroni che si attivano quando osserviamo un'azione compiuta da altri e la ripetiamo.  Inoltre lo studio dimostra che "Anche da adulti il nostro cervello è in grado di apprendere meglio le abilità solo guardando l'attività che si deve svolgere" come sostiene il professore Paolo Preziosa, autore dello studio.
La ricerca pone le basi per studi futuri, specialmente sui soggetti affetti da sclerosi multipla, dal momento che i ricercatori ritengono che i risultati ottenuti avvalorino l'ipotesi che la ricerca possa contribuire a migliorare le prestazioni motorie dei soggetti in riabilitazione e ridurre la disabilità, laddove l'attività motoria è compromessa.

15/02/14

Bere il vino, meglio se rosso, allunga la vita. L’importante è non esagerare.

Una mela al giorno leva il medico di torno: quante volte ce lo siamo sentiti dire, da bambini, dai nostri genitori. La mela e tanti altri alimenti, sarebbe bene si consumassero quotidianamente, un po' per il loro ottimo sapore, un po' perché fanno bene al nostro organismo ed alle difese immunitarie: certi cibi sono infatti un segreto per migliorare la qualità della nostra esistenza, al tempo stesso allungando l'aspettativa di vita in maniera concreta. Tra gli alimenti salutari più diffusi e graditi vi è sicuramente il vino: specie se ricavato da uva rossa, che contiene resveratrolo, polifenolo che conferisce alla bevanda le famose proprietà antiossidanti. È stato documentato infatti come tale principio attivo possieda una forte azione antitumorale, prevenendo una delle principali ragioni che portano all'insorgere di vari tipi di cancro: si tratta dello stress ossidativo, ovvero sia un accumulo di radicali liberi che l'organismo non è in grado di debellare. Ma le caratteristiche positive del resveratrolo non si fermano a questo: perfetto per i trattamenti anti-età, il principio attivo del vino rosso è caratterizzato anche da proprietà antinfiammatorie e vasoprotettive. Se i benefici di un bicchiere di vino rosso al giorno erano ben noti anche ai nostri nonni, fino ad oggi però tali benefici non erano ancora stati calcolati in maniera precisa: vale a dire che si conoscevano le proprietà del vino, ma non si era ancora al corrente di definire la differenza che faceva in termini di aspettativa di vita. A spiegare tale dubbio ci hanno pensato due ricercatori italiani, Nicola Orsini e Andrea Bellavia, scienziati che lavorano presso l'Istituto Karolinska di Stoccolma. In uno studio pubblicato sugli Annals of Epidemiology, i due esperti hanno reso noti i risultati di un'analisi condotta su di un campione di circa 67 mila volontari con un follow-up di ben quindici anni. I due connazionali hanno monitorato la quantità di alcol ingerita dalle persone studiate, giungendo alla conclusione che gli uomini che bevono un bicchiere di vino al giorno vedono la loro prospettiva di vita aumentare di circa un anno e tre mesi; nel caso delle donne, tale beneficio era ancor più spiccato, giungendo a toccare l'anno e cinque mesi per mezzo bicchiere. Secondo i ricercatori, la quantità d'alcol ideale da assumere quotidianamente per ottenere dei benefici concreti equivale a circa 12 grammi: dunque il corrispettivo non solo di un bicchiere di vino, ma anche di una birra o, in alternativa di un bicchierino di superalcolico. Ma i bevitori più accaniti non devono certo cantar vittoria: se essere astemi impedisce alle persone di godere dei vantaggi di una certa quantità di alcolici, esagerare implica problemi alla salute ancor più gravi. Nello stesso studio è stato infatti dimostrato che già due calici di vino al giorno provocano effetti negativi sull'organismo: dunque, aumentando le dosi non aumenta anche l'aspettativa di vita, tutt'altro.

13/02/14

Ictus nei bambini: più frequenti di quanto si suppone

Ictus nei bambini
Un recente studio porato avanti dal Kokilaben Dhirubhai Ambani Hospital di Andheri, India, dimostra che gli ictus nei bambini potrebbero essere piu' frequenti di quanto si suppone.
Molti casi di ictus infantile potrebbero essere non diagnosticati oppure trattati in modo sbagliato. Lo studio ha esaminato pazienti sotto i 18 anni che sono stati ricoverati per iniziare un trattamento contro l'ictus. I ricercatori hanno scoperto che solo nove di questi pazienti avevano ricevuto un trattamento corretto, o una corretta diagnosi, entro le prime quattro ore, un lasso di tempo considerato ideale per avere un buon esito della terapia. La maggior parte dei bambini aveva ricevuto un appropriato trattamento fra 12 e 72 ore dopo l'ictus e alcuni non avevano avuto nemmeno una corretta diagnosi. Anche in una citta' come Mumbai, la consapevolezza circa l'ictus nei bambini rimane scandalosamente bassa.

21/01/14

Molto più a rischio d'infarto il cuore delle donne| A parità di pressione sanguigna con l'uomo la donna rischia di più!

Molto più a rischio d'infarto il cuore delle donne: A parità di pressione sanguigna con l'uomo, le coronarie della donna rischiano di più!
Il fattore che incide riguardo le malattie cardiovascolari è maggiore nelle donne anzichè negli uomini.
La crescita nell'ambito della medicina di genere prosegue, svelando nuove differenziazioni fra uomini e donne.

La più recente di queste differenze riguarda il sistema cardiovascolare: secondo uno studio pubblicato da un gruppo di ricercatori del Wake Forest Baptist Medical Center di Wiston-Salem (Usa) su Therapeutic Advances in Cardiovascular Disease l’ipertensione è più pericolosa per queste ultime, in cui causa dal 30 al 40% di malattie cardiovascolari in più. I ricercatori hanno deciso di approfondire questa tematica dopo aver osservato che nonostante i progressi nelle terapie abbiano portato ad una riduzione della mortalità per cause cardiovascolari nella popolazione maschile, nelle donne, sottoposte allo stesso tipo di cure, i decessi associati a disturbi dell’apparato cardiocircolatorio sono aumentati.

Il cuore femminile rischia di più
“La comunità medica pensava che il problema della pressione sanguigna elevata fosse lo stesso per entrambi i sessi e il trattamento era basato su questa premessa”, spiega Carlos Ferrario, primo autore dello studio. I risultati ottenuti indicano però che questo approccio non è corretto. Confrontando i fattori che regolano la circolazione del sangue e i livelli ormonali di 100 fra uomini e donne di età pari o superiore ai 53 anni Ferrario e colleghi hanno infatti scoperto non solo che a parità di gravità dell’ipertensione l’incidenza di disturbi cardiovascolari è più elevata nelle donne che negli uomini, ma anche che gli ormoni coinvolti nella regolazione della pressione e i loro livelli sono diversi nei due sessi.

Queste differenze ormonali, spiegano i ricercatori, contribuiscono alla diversa incidenza delle malattie cardiovascolari, aumentandone la gravità nel caso delle donne. “I risultati del nostro studio suggeriscono che c’è bisogno di conoscere meglio le basi femminili, sesso-specifiche, del processo che porta all’ipertensione per mettere a punto trattamenti ottimali”, spiega Ferrario, aggiungendo: “Dobbiamo valutare nuovi protocolli - quali farmaci, in quale combinazione e a quali dosaggi - per trattare le donne con pressione sanguigna elevata”.

09/01/14

Una protezione speciale per il nemico invisibile delle mummie!

Una protezione speciale per il nemico invisibile delle mummie! Sarà colpa di Indiana Jones, sarà anche colpa di Tom Raider ma pare che tra mille arcani segreti, dopo secoli trascorsi al sicuro nelle loro tombe, un nemico invisibile stia mettendo a rischio la sicurezza delle mummie nel momento in cui vengono esposte nei musei: funghi e batteri, in grado di decomporle in maniera rapida fuori dall'ambiente in cui si sono conservate per anni.

Oggi però i ricercatori dell’Istituto per le Mummie e l’Iceman dell’Eurac di Bolzano sono riusciti a trovare, e brevettare, un rimedio a tutto ciò. Si tratta di una teca particolare, una sorta di vetrina stagna, sigillata da una cera a base organica che tiene alla larga i microrganismi e difende le mummie da umidità e ossidazione.

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Teca speciale per le mummie
L'idea di utilizzare questo isolante speciale è stata di Marco Samadelli, fisico dell'Eurac che per anni si è dedicato alla ricerca di un sistema adatto a esporre le mummie, e allo stesso tempo a conservarle in maniera corretta. “Sembra strano, ma questi due intenti talvolta vanno in direzioni diverse”, spiega Samadelli, che sull'argomento ha condotto recentemente uno studio con i colleghi dell'Eurac.

Analizzando sette mummie egizie custodite nei Musei vaticani a Roma, i ricercatori hanno dimostrato che quelle esposte nelle sale, e quindi inserite all'interno di apposite vetrine, sono molto più deteriorate di quelle ospitate nei sotterranei dei musei.

Oltre all’azione dei microrganismi, spiega il ricercatore, per conservare correttamente i reperti vanno infatti presi in considerazione anche la luce, l'ossidazione, gli sbalzi di temperatura e l’umidità, che contribuiscono al deterioramento.
Per questo il sistema ideato da Samadelli non comporta solamente l'utilizzo della nuova tecnologia isolante, ma anche dettagliate analisi che permettono di comprendere le condizioni della mummia, da effettuare prima che venga chiusa nella speciale teca a tenuta stagna.

Allo stesso modo, va studiato il luogo dove sarà esposta, per registrare oscillazioni di temperatura e valori di umidità, pressione e intensità della luce. Con questi dati i ricercatori sono in grado di individuare i parametri fisici e chimici adatti alla sua conservazione e ricrearli all’interno della teca speciale. La prima prima teca realizzata in questo modo è stata quella di Rosalia Lombardo, la mummia bambina custodita nel convento dei Cappuccini a Palermo, affidata alle cure di Samadelli nel 2009.

Nell’ultimo anno, il ricercatore si è dedicato invece alla mummia della principessa Anna di Baviera, la figlia dell’imperatore Ludovico IV morta nel 1319. Il comune tedesco di Kastl, proprietario della mummia, ha chiesto infatti al centro di ricerca bolzanino Eurac di realizzare la teca con la nuova tecnologia, ed ora la mummia è tornata al suo posto nella chiesa di Sankt Petrus, dove potrà essere ammirata al termine dei lavori di ristrutturazione della struttura, previsto per quest'anno.

06/01/14

Dove finiscono i dati delle vecchie ricerche scientifiche?

Dove vanno a finire i dati delle vecchie ricerche scientifiche? Riuscire ad accedere ai dati è da sempre uno dei punti cardini su cui si basa la cultura scientifica moderna! Essere sempre e comunque in grado di avere la possibilità per gli scienziati di consultare ed effettuare verifiche sui risultati dei colleghi, per poi utilizzarli integrandoli nelle proprie ricerche.

Un sistema ottimo in teoria, che però in pratica rischia di essere solamente una mera illusione, per il semplice fatto che non solo sempre più ricercatori sono reticenti a condividere i propri risultati, ma ormai spesso capita che non si sa più nemmeno che fine abbiano fatto i dati originali di determinate ricerche. A suonare l’allarme è lo studio realizzato da un gruppo di ricercatori canadesi, pubblicato sulla rivista Current Biology.

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Pen drive e Cd
I ricercatori hanno provato di recuperare i dati originali di 516 articoli scientifici che sono stati pubblicati tra il 1991 e il 2011. Gli studi scelti riguardavano tutti quanti il campo dell’ecologia, e in particolare la misurazione di  caratteristiche anatomiche di piante e animali, perché si tratta di analisi che vengono eseguite esattamente nello stesso identico modo ormai da decenni.

I ricercatori canadesi hanno contattato gli autori degli studi, e hanno chiesto loro di fornirgli i dati relativi all’articolo in questione. Se per i lavori risalenti a due anni fa non sono emersi particolari problemi, la percentuale di articoli di cui erano ancora disponibili i dati originali calava invece drasticamente nel caso di lavori più vecchi, e con una casistica a dir poco disarmante: il 17% in meno per ogni anno, tanto che solo per il 20%  degli articoli pubblicati negli anni ’90 risultavano ancora disponibili i dati originali.

Complotto? Truffa? Forse no, magari si tratta più che altro di distrazione e superficialità da parte degli scienziati. “Nella maggior parte dei casi i ricercatori hanno risposto “dovrebbero trovarsi in questo o quel luogo”, riferendosi magari alla soffitta della casa dei genitori, o a un dischetto per Pc, oppure pendrive di cui non vedono un lettore da 15 anni”, racconta su Nature Timothy Vines, ricercatore della University of British Columbia di Vancouver che ha coordinato lo studio. “In teoria i dati originali esistono ancora, ma in pratica il tempo e la fatica che dovrebbero fare i ricercatori per recuperarli rende la cosa proibitiva”. Persino contattare i ricercatori è risultata spesso un’impresa impossibile. Le chance di trovare un email funzionante diminuivano infatti del 7% per ogni anno trascorso dalla pubblicazione dell’articolo, tanto che Vines e colleghi sono riusciti infatti ad entrare in contatto solamente con il 37% degli scienziati cercati. Anche tra quelli con un indirizzo email aggiornato, solo poco più della metà si è degnata di rispondere alla loro richiesta.


Si tratta di una questione seria, perché (almeno per chi crede nell’Open Access) il progresso scientifico si fonda da sempre sulla condivisione delle conoscenze e dei dati tra ricercatori. La tendenza, invece, sembra tristemente andare nella direzione opposta. Specialmente in campo bio-medico, dove è in atto una vera e propria guerra tra le industrie del farmaco, che hanno tutto l’interesse a tenere segreti i dati delle ricerche da loro finanziate, e la comunità scientifica, che richiede il libero accesso ai risultati. Un’indagine presentata a settembre durante l’International Congress on Peer Review and Biomedical Publication di Chicago ha dimostrato ad esempio che in soli 4 anni, gli autori di articoli pubblicati sui prestigiosi Annals of Internal Medicine disposti a rendere pubblici i propri dati sono diminuiti drasticamente, passando dal 62% nel 2008 al 47% nel 2012.



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