Il-Trafiletto
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08/09/14

Quel fastidioso fenomeno chiamato Torcicollo.

Il torcicollo è un irrigidimento involontario dei muscoli cervicali che comporta una condizione estremamente fastidiosa e dolorosa ogniqualvolta il soggetto colpito tenti di girare la testa da una parte o dall’altra ed è associato ad un certo intorpidimento del collo e delle spalle e talvolta anche da mal di testa e limita fortemente i normali movimenti del capo.
 Il torcicollo spesso compare al mattino quando ci si alza dal letto ma può fare la sua presenza anche durante l’arco della giornata come conseguenza di uno sforzo muscolare. Le cause che generano questo fastidiosissimo problema sono molteplici:1 – Il classico colpo d’aria, con conseguente repentino raffreddamento dei tessuti muscolari; 2 – un’innaturale posizione mantenuta per lungo tempo durante il sonno, da qui il torcicollo al mattino; 3 – La presenza di un’infiammazione; 4 – Una diagnosi di ernia cervicale; 5 – situazioni di nervosismo e ansia, che notoriamente si riflettono sulla tensione muscolare. Quali sono le terapie da adottare quando siamo in presenza di torcicollo? Se la causa è di tipo infiammatorio è sufficiente una borsa di ghiaccio, mentre se ci troviamo in presenza di un irrigidimento muscolare si troverà sollievo tenendo il collo al caldo e a riposo, magari aiutandosi con dei massaggi da effettuare sulla parte dolente. Possono rivelarsi utili anche applicazioni locale di creme, pomate o gel ad azione antinfiammatoria. È consigliabile anche effettuare dei lenti movimenti della testa a 360 gradi ad intervalli di circa 60 minuti. Farmacologicamente il torcicollo può essere trattato con farmaci miorilassanti o analgesici. Come si può prevenire il torcicollo? Innanzitutto è sconsigliabile stare immobili per lungo tempo nella stessa posizione, ciò per evitare una situazione predisponente periodici attacchi di torcicollo. Per chi fa lavoro d’ufficio prendere le dovute accortezze, come ad esempio abituarsi a poggiare la schiena alla sedia, posizionare il monitor del computer in modo da guardarlo verso il basso, poggiare le mani sulla scrivania per gravare il meno possibile sui tessuti muscolari del collo. (immagine presa dal web)

01/09/14

Conoscere gli antinfiammatori.

Gli Antinfiammatori ( o antiflogistici) sono dei farmaci che hanno la proprietà di bloccare il processo infiammatorio influendo su uno o più fattori che intervengono nel meccanismo dell’infiammazione. Il processo infiammatorio è un processo fisiopatologico che si stabilisce nei tessuti nel momento in cui questi ultimi vengono a contatto con agenti lesivi di diversa natura (ad esempio infezioni, anticorpi, danni fisici). Gli antinfiammatori, oltre all’azione antiflogistica, possono avere sia un’azione antalgica (analgesica) che antipiretica (antifebbrile). Essi si dividono in due grandi categorie: farmaci antinfiammatori steroidei e non steroidei. I primi sono più conosciuti con il nome di Cortisonici, una classe di farmaci da maneggiare con cura dal momento che oltre alla sua notevole efficacia sono dotati di una serie di effetti collaterali non indifferenti. I farmaci antinfiammatori non steroidei, comunemente noti come FANS, sono i farmaci più utilizzati in assoluto; il più noto di essi è sicuramente l’acido acetilsalicilico. Generalmente gli antinfiammatori vengono assunti per attenuare vari tipi dolore, dalle semplici cefalee ai dolori mestruali, dai dolori odontoiatrici alla classica lombalgia o mal di schiena. Anche questa classe di farmaci, come i cortisonici, sono dotati di una serie di effetti collaterali, come ad esempio nausea, anoressia, bruciore di stomaco, gastrolesività, fare quindi attenzione alle terapie abbastanza prolungate. Inoltre sono controindicati in diverse patologie, come la gravidanza, i problemi gastrici, le insufficienze renali o epatiche ed altre. E’ assolutamente sconsigliato abusare di questi farmaci, magari cercando di sfruttare, per alcuni, anche il loro effetto antidolorifico, in quanto rimuovendo il dolore si possono mascherare problemi più complicati, che per uno sportivo ad esempio, può aggravare patologie in atto ritardando la guarigione completa. Esistono diverse forme di somministrazione degli antinfiammatori, la via orale, quella iniettiva, le pomate e i cerotti. Da preferire senza dubbio le prime due rispetto ai risultati marginali delle pomate e cerotti. (immagine presa dal web)

23/04/14

Ce lo dirà un’analisi del sangue se avremo l’Alzheimer.

Dai risultati di uno studio dell'Università Cattolica di Roma e dell'ospedale Fatebenefratelli di Roma e Brescia e pubblicato sulla rivista scientifica "Annals of Neurology" si è scoperto che da un esame del sangue possiamo sapere se corriamo il rischio di ammalarci di Alzheimer, misurando la concentrazione di rame libero nel plasma, concentrazione che, se elevata, triplica il rischio di malattia. "La prospettiva è di prevenire la malattia abbassando i valori di rame nel sangue di soggetti a rischio", spiega Rosanna Squitti, del Fatebenefratelli di Roma."Negli ultimi anni diversi studi hanno confermato che il rame gioca un ruolo importante nei processi patologici della malattia nel 60% circa dei pazienti", spiega il coordinatore del lavoro Paolo Maria Rossini del Policlinico Gemelli. "Il rame libero, circolante nel sangue - che è in grado di raggiungere il cervello esercitando un'azione tossica - potrebbe divenire, dunque, un bersaglio preferenziale di terapie preventive almeno per i casi correlati appunto al rame". Nello studio gli esperti hanno seguito per 4 anni pazienti con lieve declino cognitivo e quindi ad alto rischio di Alzheimer. Su questi pazienti è stato eseguito il test del rame all'inizio dello studio. È emerso che con concentrazioni plasmatiche elevate di rame libero si ha un rischio triplicato di ammalarsi di Alzheimer. E’ di un mese fa l'annuncio di esperti della Georgetown University (negli Stati Uniti) circa un test del sangue con un'accuratezza del 90% per diagnosticare l'arrivo della patologia nell'arco di tre anni, misurando i livelli di 10 molecole. Il test italiano riguarda quei casi di Alzheimer che si possono considerare "rame-correlati" e potrebbe portare in pochi anni a terapie preventive volte ad abbassare i livelli di rame nei soggetti a rischio ed evitare così una caduta precoce nella patologia dell’Alzheimer.

30/03/14

Il chewing gum responsabile dei tuoi mal di testa.

Le cause del mal di testa sono molteplici, ma quella più diffusa sicuramente è la gomma da masticare. Lo dimostra una ricerca pubblicata su Pediatric Neurology e condotta da un gruppo di ricercatori del Meir Medical Center dell'università di Tel-Aviv in Israele, secondo cui molti casi di mal di testa nei giovanissimi ( ma anche nei meno giovani) sarebbero da attribuire alla cattiva abitudine di masticare chewing gum per ore e ore. Secondo gli autori il mal di testa è molto diffuso tra bambini e adolescenti, ancora di più tra le ragazzine. Tra le cause scatenanti questa fastidiosissima patologia ci sono lo stress, stanchezza, mancanza di sonno, rumori, l'uso prolungato di videogiochi, il fumo, i pasti saltati e il ciclo mestruale. Il neurologo Nathan Watemberg ha notato che molti dei suoi giovani pazienti, in particolare le femmine, erano soliti masticare il chewing-gum per ore e ore. Si è chiesto perciò se non potesse esservi un legame fra il masticare continuo e la comparsa del dolore, anche perché nella sua esperienza si era accorto che spesso, smettendo di masticare, il mal di testa come per incanto svaniva di lì a poco. Il medico ha condotto perciò una ricerca su 30 suoi pazienti dai 6 ai 19 anni con cefalea cronica e l’abitudine a masticare “cicche” ogni giorno, da una fino addirittura a sei ore quotidiane: a tutti ha chiesto di bandirle per un mese. Dopo trenta giorni senza gomme 19 ragazzini su 30 hanno visto sparire completamente il mal di testa, che in altri 7 casi era diminuito per frequenza e intensità. Facendo una controprova, 26 partecipanti hanno accettato di riprendere a masticare chewing-gum per due settimane: tutti hanno manifestato di nuovo la consueta cefalea nel giro di pochi giorni. Due le teorie chiamate in causa per questo mal di testa. La prima riguarda l’aspartame, il dolcificante contenuto in molti di questi prodotti: ma se fosse colpa del dolcificante dovrebbero soffrire di mal di testa anche i consumatori assidui di tutti i cibi e le bevande zuccherate. La seconda ipotesi è quella più probabile, secondo cui la masticazione della gomma provoca uno stress dell’articolazione temporo-mandibolare: in genere le gomme si tengono in bocca a lungo, masticandole ben oltre la scomparsa del loro sapore, e ciò costringe al “superlavoro” questa articolazione che peraltro è fra le più usate. Inoltre esistono prove scientifiche che una disfunzione dell’articolazione temporo-mandibolare possa davvero provocare mal di testa. Una scoperta che può avere immediate ripercussioni, secondo il neurologo: in un paziente con mal di testa (vale per i giovani, ma forse anche per i “ruminanti” più attempati) il consiglio di lasciar perdere le gomme è a costo zero e può risolvere una certa quota di casi senza necessità di ulteriori terapie.

18/02/14

Artrosi | E’ un metallo il responsabile di questa patologia invalidante: lo zinco

L’artrosi è una malattia degenerativa che interessa le articolazioni più sottoposte ad usura, soprattutto al carico del peso corporeo, come le vertebre lombari o le ginocchia. Ora da una ricerca coreana si affaccia una notizia molto interessante che riguarda questa antipatica patologia: sembra che una delle sue cause possa essere l’accumulo di Zinco. Gli scienziati del Gwangju Institute of Science and Technology per ora hanno constatato questa circostanza solo tramite dei test su animali da laboratorio. Lo zinco è un metallo che entra nell’organismo grazie agli alimenti, quindi ricercatori si sono dati da fare proprio per verificare se il suo accumulo possa essere la causa di questa patologia invalidante. Infatti l’artrosi è una degradazione graduale , fino alla distruzione, della cartilagine che si trova tra le articolazioni. A quest’ultime viene a mancare il necessario cuscinetto cartilagineo che protegge la fluidità d’azione necessaria al corretto funzionamento, per cui le ossa sono direttamente a contatto tra loro compromettendo la funzionalità e causando dolori invalidanti, rigidità, gonfiori delle parti interessate fino alla loro deformazione. Solo ipotesi fino adesso per quanto riguarda i meccanismi che attivano il decadimento cartilagineo,di conseguenza il paziente affetto da artrosi viene trattato solo con terapie analgesiche e antinfiammatorie, agendo quindi sul sintomo e non sulle cause. Il Dottor Jang-Soo Chun, che ha coordinato la ricerca, ha spiegato che il deterioramento della cartilagine è determinato da specifiche proteine, “i cosiddetti enzimi che degradano la matrice” che le cellule della cartilagine stessa producono. “Per essere più precisi – ha spiegato lo scienziato – la cartilagine è formata dalla cosiddetta matrice extracellulare, una specie di sostanza amorfa in cui vivono le cellule cartilaginee vere e proprie”. E sono queste cellule, ha chiarito Jang-Soo Chun, che distruggono la matrice, grazie agli enzimi che producono. Questo processo, aggiunge l’esperto, si consuma “secondo noi, con la complicità dello zinco”. Per sostenere ciò i ricercatori hanno quindi studiato questo metallo scoprendo, sui topi da laboratorio malati e su pazienti umani, la presenza molto alta di una proteina denominata Zip8, presente nella membrana delle cellule cartilaginee che conduce le molecole di zinco all’interno delle cellule stesse. Lo zinco, a sua volta, attiva la Mft1 (metal-regulatory transcription factor), un’altra proteina che causa l’aumento patologico degli enzimi responsabili della distruzione della cartilagine. La scoperta, secondo Jang-Soo Chun, apre una prospettiva di cura che va alla causa dell’artrite. I risultati dello studio, dice lo scienziato, ”suggeriscono che l’eliminazione locale dello zinco con farmaci che inibiscono la proteina Zip8 o la proteina Mft1 potrebbe rappresentare una soluzione terapeutica per questa malattia così debilitante”.

06/02/14

Cancro | Previsioni da paura ma la speranza cresce.

Cancro: previsioni da far paura per il futuro, ma la speranza cresce! Purtroppo i numeri sono spietati riguardo le vittime di cancro. Sontanto nell'anno 2012 sono state 8,2 milioni le morti a causa del cancro, ma il la bestia fa paura anche per ciò che concerne il futuro: le stime prevedono la bellezza di 22 milioni di casi per i prossimi 20 anni e un'ulteriore impennata nelle morti che si attesterà intorno ai 13 milioni l'anno.

A divulgare questi tragici numeri riguardanti la piaga dei tumori è l'International Agency for Research on Cancer (IARC), dell'Organizzazione mondiale della sanità che in occasione della Giornata mondiale contro il cancro, che ricorre il 4 febbraio, ha presentato il World Cancer Report 2014.

Se i più diagnosticati restano i tumori ai polmoni, al seno e all'intestino, non di meno desta preoccupazione anche il glioblastoma, il più aggressivo dei tumori cerebrali e per il quale oggi uno studio dei ricercatori della McGill University di Montreal di cui è primo autore Alessandro Perin, neurochirurgo dell’Istituto Neurologico Besta di Milano, lancia nuove speranze terapeutiche.

Nuove terapie contro il cancro
La scoperta, cui hanno collaborato anche l'Ospedale di Treviso, l’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” di Napoli e l’Hotchkiss Brain Institute dell’Università di Calgary (Canada), è stata pubblicata dalla rivista Nature Communications.
Gli scienziati hanno individuato due particolari proteine che avviano la crescita del glioblastoma.

Si tratta di due fattori di trascrizione, chiamati rispettivamente FOXG1 e Groucho/TLE, che potrebbero divenire in futuro anche bersagli di nuove terapie antitumorali che mirino a “disattivarle”, fermando così lo sviluppo di questo tumore cerebrale. La novità più rilevante introdotta da questo studio è proprio legata a questa loro negativa caratteristica: bloccando i meccanismi di proliferazione della BTICs, i ricercatori intendono contrastare la formazione delle recidive del tumore, una forma di questa patologia ancora più aggressiva.

“FOXG1 e Groucho/TLE, come dei veri e propri interruttori", spiega Alessandro Perin, "'accendono e spengono' l’espressione e quindi l’azione di numerosi geni: per questo aver scoperto il ruolo di questi due fattori di trascrizione apre diverse possibilità terapeutiche. Tuttavia è importante sottolineare che, sebbene sia un passo importante, non è ancora una cura e che quindi andranno ancora sviluppati ulteriori studi prima di un eventuale applicazione in pratica clinica”.
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