Il-Trafiletto
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14/07/14

Paranoia da radiazioni

Perchè le centrali nucleari sono l'ultima delle nostre preoccupazioni? Se pronunciate il nome radiazione, verrà probabilmente da pensare all'esplosione dei reattori, al fall-out delle bombe, a scorie nucleari e a bombe atomiche. 

Eppure, la vera minaccia da radiazioni l'abbiamo quasi sotto casa. Se intendete davvero minimizzare l'esposizione a questa famigerata causa tumore, dovreste concentrarvi un attimo sull'aria che respirate dentro casa. La dose di radiazione dì gran lunga maggiore è quella che riceviamo da un gas radioattivo invisibile e inodore, intrappolato fra le pareti domestiche.
Paranoia da radiazioni

Questo gas inodore e incolore è presente ovunque e può facilmente esalare dal suolo e dalle rocce e diffondersi attraverso l'aria del terreno o in soluzione nell'acqua (altre fonti possono essere in misura minore i materiali da costruzione specialmente se di origine vulcanica come il tufo o i graniti) accumulandosi in locali chiusi dove diventa pericoloso. In Italia, secondo un'indagine fatta tra il 1989 e il 1996 dall'Apat e dall' Istituto Superiore di Sanità e realizzata con gli assessorati alla sanità e le Agenzie per la protezione dell'ambiente regionali e provinciali (Arpa e Appa) il valore della concentrazione media è 70 Bq/metro cubo (Bq » becquerel, unità di misura di un radionuclide). La situazione varia da una Regione all'altra, con un picco di 100 Bq/ metro cubo in Lombardia e nel Lazio L'ISS (Istituto Superiore di Sanità) ha stimato che, dei 31mila casi di tumore ai polmoni che si registrano in Italia ogni anno, il 10 per cento circa è attribuibile al radon (questo dato comprende per la maggior parte fumatori, a causa della sinergia tra radon e fumo che ne moltiplica gli effetti).

Di questo killer silenzioso però non si percepisce la gravità. Viceversa basta invece accennare alle score nucleari e molte persone vanno nel pallone, sebbene la dose radioattiva, sia centinaia di volte inferiore a quella del radon.(science)


10/07/14

Steve Jones | Genetista e autore scientifico

Intervistato da Andy Ridgway, il professore di genetica spiega, con il suo consueto stile schietto, come siamo usciti dal brodo primordiale e perché la selezione naturale non ci riguarda più.  

Perché ha dedicato una parte importante della sua carriera allo studio delle chiocciole?
In realtà, sono state le chiocciole a scegliere me. Da vecchietto quale sono, ricordo benissimo la metà degli anni Sessanta: quando iniziai a occuparmi di ricerca, c'erano pochissime piante o animali da poter studiare sperimentalmente nel campo della biologia evolutiva. Non era infatti possibile identificare le variazioni genetiche di molte specie, mentre l'evoluzione è proprio questo: genetica, sommata al tempo. Alcuni animali, però, rappresentavano un'eccezione: tra questi c'erano le chioccioline Cepaea, caratterizzate da pattern morfologici delle conchiglie estremamente vari, fenomeno per il quale disponevamo già di dati genetici. La tecnica che applicavamo era semplicissima, si andava in luoghi diversi, si contavano i geni e si valutava se la frequenza delle varianti fosse diversa da una localizzazione all'altra: la risposta che ci siamo dati è stata un enfatico sì.
Steve Jones
Genetista e autore scientifico

Quali lezioni abbiamo imparato dalle chiocciole?
Inizialmente, ebbi l'idea assai poco originale di individuare la causa delle differenze morfologiche delle conchiglie su base geografica. Andammo nel punto più a nord dove era localizzabile la specie Ej Cepaea nemoralis, ovvero a Montrose, in Scozia, e raccogliemmo una gran quantità di campioni dalle dune sabbiose locali. Poi, guidammo fino in Yugoslavia, il confine meridionale dell'area di 5 distribuzione, recuperando via via altri campioni lungo il percorso. Risultò assolutamente evidente che c'erano forti diversità tra i gruppi prelevati a nord, di colore scuro, e quelli di provenienza meridionale, più chiari.

Questo vale anche per gli umani? 
Se prendiamo in considerazione il colore della pelle, il quadro antecedente alle grandi migrazioni del 1492 (anno in cui Cristoforo Colombo attraversò per la prima volta l'Atlantico) prevedeva pelle scura in Africa e pelle chiara in Europa e Estremo Oriente. Questo sembrerebbe in contraddizione con il principio scientifico secondo il quale i colori scuri si surriscaldano alla luce del Sole: perché i neri si trovano in Africa? La spiegazione è che le persone con la pelle scura, effettivamente, tendono a scaldarsi più rapidamente al Sole, ma le radiazioni ultraviolette sono pericolose: chi si espone alla forte luce diurna e ha la pelle chiara, si scotta, o può addirittura contrarre tumori cutanei. La pelle scura, dunque, aiuta.

Perché, allora, l'abbiamo persa?
È successo perché la luce ultravioletta, attraversandoci, produce vitamina D, la cui carenza provoca ogni sorta di problemi. Quando, dunque, ci si trasferisce in zone meno esposte alla luce solare, come i Paesi del Nord, se si ha la pelle scura non si sintetizza una quantità sufficiente di vitamina D per questo, la selezione naturale ci ha fatto diventare pallidi. È uno degli esempi più lampanti delle motivazioni alla base della diversità umana.

Perché la diversità è importante? 
Molti studiosi si occupano di diversi pattern di diversità (per esempio, proteica o cromosomica), e si pongono domande estremamente complesse sul perché un gruppo di geni si trovi in una certa posizione e un altro in un'altra. Nessuno, però, si fa la domanda fondamentale: perché esiste la diversità? Senza diversità genetica saremmo ancora tutti immersi nel brodo primordiale, perché non ci sarebbe stata evoluzione. La diversità è la materia prima dell'evoluzione: senza di essa, la vita non sarebbe progredita.

Ritiene che gli umani si stiano ancora evolvendo? 
Ho ricevuto critiche per aver scritto nel mio primo libro, Linguaggio dei Geni, che l'evoluzione dell'uomo è arrivata al capolinea. Invece, avevo ragione. La gente pensa che sia un idiota perché non prend in considerazione fattori quali il colore del pelle o la resistenza alla malaria indotta d; un tratto genetico, la presenza di cellule falciformi. Sono elementi inconfutabili, ma io sto parlando del presente. Nessuno dovrebbe morire più di carcinoma cutaneo questo tumore miete ancora vittime, ma non dovrebbe. E se fossimo disposti a spendere il denaro necessario a debellare la malaria, sarebbe facile riuscirci. Tante altre malattie, peraltro, stanno già scomparendo. L'evoluzione dipende da differenze ereditarie nella riproduttività: è questa, in poche parole, la selezione naturale. In tutto il mondo sviluppato, e in maniera sempre più massiccia anche nei Paesi emergenti a eccezione dell'Africa, queste differenze stanno scomparendo. Quindi, l'evoluzione umana per selezione naturale, anche se non si è completamente arrestata, ha però subito un rallentamento.

Quali conseguenze avrà la fine della selezione naturale umana?
A lungo termine, l'accumulo di mutazio dannose. Ne stiamo già subendo gli effetti. Oggi, moltissime persone sopra i 65 anni inevitabilmente si ammalano di gravi forme di cancro, cardiopatie e diabete, che sono almeno in parte malattie genetiche. Certo, non aiuta esporsi al Sole se si ha la pelle chiara, o nutrirsi di cheeseburger, ma esiste anche una forte componente ereditaria per la maggioranza di queste patologie. Cattivo materiale genetico, che mostra i suoi effetti nelle fasi tardive della vita: la nostra società dovrà abituarsi all'idea.(science)


05/06/14

Vita lunga e prospera con il "peperoncino"!

Che si tratti di cucina messicana oppure di una semplice nostrana spaghettata condita con aglio, olio e peperoncino, il segreto di vita lunga e prospera è, secondo i ricercatori, nelle spezie piccanti! Peperoncini di tutti ogni tipo e di tutte le razze. 

Più esattamente il riferimento è verso tutti prodotti che hanno in se della capsaicina, sostanza che è in grado d'interrompere l'informazione al cervello del dolore. Infatti, esattamente da questo meccanismo, i ricercatori dell'Università della California sono andati a ritroso per comprendere se fermando le vie di segnalazione biochimica del dolore nell'organismo si possa, in sostanza anche rendere più longeva la vita dell'essere umano.
Peperoncini di ogni tipo
(immagine dal web)

Lo studio, pubblicato su Cell, ha dato prova che bloccando un recettore del dolore chiamato Trpv1 in un gruppo di topi, questi riuscivano a vivere più a lungo, esattamente il 14% in più rispetto al campione di controllo. Oltretutto i roditori mostravano di essere ancor più in salute di altri: più esenti da tumore e con un metabolismo più performante. La teoria dei ricercatori è che il dolore non sia quindi solo un “sintomo” delle malattie o dell'invecchiamento, ma possa contribuire esso stesso a danneggiare cellule e tessuti. “Bloccando il recettore del dolore – spiega l'autore della ricerca Andrew Dillin – non riusciamo solo a stoppare il dolore, ma possiamo anche allungare la vita”. Un primo passo diretto alla comprensione del dolore, quindi, e della sua funzione biologica. La capsaicina, oltre in cucina, è usato come rimedio medico per le nevriti, sotto forma di creme. 

Metodi fai-da-te per allungare la vita? Per i ricercatori statunitensi un poco di peperoncino macinato è una buona idea: la capsaicina a porzioni costanti e continue, funge da prevenzione riguardo le malattie del metabolismo che si presentano con l'età. Ed poi diciamocelo pure, un minimo di piccante è un buon rimedio per vivere più a lungo.(ilsole24ore)

24/04/14

Contro il tumore della prostata bere molto caffè.

E’ noto che il caffè ha effetti benefici per la salute: aumenta la vigilanza, diminuisce il senso di fatica, aumento della motilità intestinale ed altro ancora. Ora arriva una ricerca condotta dall’Università di Harvard (Usa) che ha pochi precedenti tra quelle condotte sull´argomento: una durata di 20 anni e circa 50 mila soggetti coinvolti. E anche le conclusioni sono eccezionali. Sì, perché secondo gli esperti statunitensi bere molto caffè, addirittura 6 tazze al giorno, diminuisce notevolmente i rischi di sviluppare il tumore della prostata e di morirne. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica “Journal of the National Cancer Institute”, ha dimostrato che bere 6 caffè al giorno riduce del 20% i rischi di ammalarsi di cancro alla prostata e addirittura del 60% di morire per colpa di questa forma di tumore. Ma la sorpresa maggiore è che l’effetto benefico sarebbe identico sia per il caffè tradizionale che per quello decaffeinato: come a dire che non è la caffeina l’artefice del “miracolo” bensì gli antiossidanti dei quali il caffè è ricco.. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno confrontato le abitudini di bere caffè, negli uomini, ogni quattro anni nel periodo compreso tra il 1986 e il 2006. Due terzi dei partecipanti ha dichiarato di berne almeno una tazzina al giorno e il 5% di gustarne 6. Su 47.911 uomini, 5.035 hanno sviluppato un cancro alla prostata, con 642 dei tumori classificati come letali.

08/04/14

Attenzione al Colluttorio. Un uso frequente può portare al tumore della bocca.

Una ricerca della University of Glasgow Dental School e pubblicata sulla rivista Oral Oncology ha messo in allarme gli assidui igienisti del cavo orale. Tale ricerca infatti ha determinato che l'uso troppo frequente dei colluttori, soprattutto quelli che contengono alcol, può portare a un maggiore rischio di sviluppare un tumore della bocca. Se impiegati per più di tre volte al giorno per fare i risciacqui dopo essersi lavati i denti con lo spazzolino si può favorire l’infiltrazione di sostanze cancerogene nel cavo orale. Tra i colluttori incriminati, i più pericolosi sarebbero quelli a base di alcol. I ricercatori hanno esaminato 1962 pazienti affetti da tumore alla bocca e 1993 persone sane appartenenti a nove paesi diversi, e sono giunti alla conclusione che è sconsigliabile un uso frequente del collutorio per la disinfezione della bocca, fatta eccezione per alcuni casi. "Ci sono situazioni e condizioni nelle quali il dentista può prescriverlo, ad esempio perché il paziente ha un basso flusso salivare anche a causa delle medicine che prende - spiega David Conway, che ha portato avanti la ricerca - ma in generale ciò che è raccomandabile è lavare i denti dopo i pasti principali con un dentifricio al fluoro e risciacquarli bene, oltre a fare periodici check up dal dentista". E’ stato visto che i soggetti più propensi ad un frequente uso di collutorio sono i fumatori e i consumatori di alcol. Il collegamento tra abuso di collutorio e tumore del cavo orale, tuttavia, può anche essere legato a cattive abitudine igieniche. Una non corretta pulizia della bocca, infatti, può favorire la nascita di un tumore, soprattutto tra coloro che portano la dentiera o masticano spesso il chewing gum

19/03/14

Malasanità a Caserta | Non era un tumore ma una fibromatosi uterina. Muore dopo tre interventi chirurgici.

Arriva da Caserta l'ennesimo caso di malasanità. Elena Trepiccione, una donna di 69 anni, è morta dopo aver subito in dodici giorni ben tre interventi chirurgici per un tumore all'utero diagnosticato ma rivelatosi inesistente. La malattia della donna si era rivelata una fibromatosi uterina. Tutto questo è successo alla clinica Minerva della Salute di Santa Maria Capua Vetere, dove la donna era stata ricoverata. Durante il primo intervento, i medici si accorsero che il tumore non c’era. Nei giorni successivi la donna fu nuovamente operata per complicanze seguite all’intervento, forti dolori addominali e un’occlusione intestinale, provocata da un’ansa dell’intestino bloccata dalla ferita che da poco era stata suturata. Ma non finisce qui il calvario della malcapitata. Dopo qualche giorno la donna però comincia ad accusare forti dolore all'addome e i familiari decidono di trasferirla in un'altra clinica dove verrà operata per la terza volta per un'emorragia dovuta all'apertura dei punti di sutura praticati a 50 centimetri dell'intestino, ma nonostante le cure, la donna non si è ripresa ed ha cessato di vivere il 13 giugno del 2012. Ed è di oggi la notizia che 6 medici chirurghi, autori dei primi due interventi sulla donna, sono accusati di omicidio colposo e dovranno presentarsi davanti al giudice il prossimo 7 ottobre per le udienze preliminari.

26/02/14

40enne madre di due bambini viene curata al seno destro quando il tumore è presente in quello sinistro. Malasanità a Rimini.

Il caso di malasanità è datato 2011, ma in questi giorni è ritornato sulle colonne della carta stampata dal momento che lo scorso 16 dicembre si è tenuta l’udienza preliminare davanti al gip del tribunale di Rimini. Una donna di 41 anni, mamma di due bimbi e malata di tumore al seno sinistro è stata prima operata al seno giusto ma è stata poi sottoposta ad un trattamento di chemioterapia e a diverse sedute di radioterapia al seno sbagliato, ben ventidue. Nonostante la visibile cicatrice dell’operazione sul seno sinistro, la cura di radioterapia è stata effettuata sul seno destro, ovvero quello sano. Senza contare che ora il tumore rischia di tornare. E’ così scattata la presentazione della denuncia per lesioni e la battaglia legale”. La Procura, dopo aver sequestrato le cartelle cliniche della donna e in forza di una perizia medico legale affidata a due esperti di Milano, ha chiesto l’archiviazione. Secondo la perizia della Procura infatti non vi sarebbero lesioni penalmente rilevanti. Il legale della donna, l’avvocato Roberto Urbinati, però si è opposto, presentando una serie di perizie oncologiche e psicologiche di parte in cui emerge il danno per colpa medica e per negligenza. Un danno che i periti quantificano in “una riduzione delle possibilità di sopravvivenza della paziente non inferiore al 20%”. Il gip non ha ancora sciolto la riserva. E' tuttora in fase di stallo anche la causa civile che la signora riminese ha intentato contro l’Ausl romagnola. Assistita dagli avvocati Roberto Urbinati e Alessandro Pagliarani, ha prima tentato la via della conciliazione dove però l’azienda sanitaria non si è presentata. Poi l’udienza civile per danni (si chiede un risarcimento di 800 mila euro) fissata per lo scorso 18 febbraio, è slittata a causa di un errore nell’assegnazione al giudice non competente. “E’ il primo caso in Italia di un tale errore – dice l’avvocato Urbinati -. Nel mondo, solo negli Stati Uniti, in Pennsylvania, uno analogo a quello commesso all’ospedale di Rimini”

13/02/14

Tumori | Vediamoci meglio con gli occhiali speciali del dott. Achilefu!

Tumori. Vediamoci meglio con gli occhiali speciali del dott. Achilefu! Si tratta di una tecnologia innovativa che permette di intercettare masse tumorali di solo un millimetro!

La chirurgia riguardo i tumori potrebbe essere arrivata ad una svolta, grazie ad un'invenzione realizzata alla School of Medicine della Washington University. Gli scienziati dell'ateneo americano hanno infatti realizzato e messo a punto una tecnologia del tutto rivoluzionaria che metterà in condizione i medici di visualizzare masse neoplastiche di dimensioni inferiori al millimetro, basandosi sull'utilizzo di una molecola che colora in maniera specifica le cellule tumorali di un blu fluorescente, visibile con uno speciale tipo di occhiali.

L'utilizzo di questa tecnologia innovativa darebbe la possibilità di ridurre lo stress cui è sottoposto il paziente e al tempo stesso i costi della cura del cancro. Molto spesso, infatti succede che per averla vinta definitivamente con un tumore non è sufficiente nemmeno la sua asportazione chirurgica. Alcune cellule neoplastiche possono invadere anche i tessuti circostanti la massa tumorale, ma per i chirurghi distinguere la loro presenza ad occhio nudo è in pratica impossibile.

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Occhiali del dott. Achilefu
Gli occhiali realizzati alla Washington University, sperimentati per la prima volta al Barnes-Jewish Hospital di St. Louis, permettono di superare questi limiti. “Il nostro obiettivo – ha aggiunto Samuel Achilefu, esperto di radiologia e ingegneria biomedica che ha guidato il team di ricercatori che ha messo a punto questa nuova tecnologia – è assicurarci che non venga lasciato nessun residuo di tumore”.

“Con gli occhiali sviluppati dal dottor Achilefu – ha spiegato Ryan Field, chirurgo che intende utilizzare la tecnologia per asportare un melanoma in un intervento in programma nelle prossime settimane – possiamo identificare meglio il tessuto che deve essere rimosso”. “La nostra speranza – ha aggiunto Julie Margentaler, il chirurgo che ha partecipato al primo intervento sperimentale – è che questa nuova tecnologia possa ridurre o, idealmente, eliminare la necessità di un secondo intervento chirurgico”.
Come ha precisato Margenthaler per il momento questa nuova tecnologia è ancora nelle sue fasi iniziali e saranno necessari sia perfezionamenti, sia ulteriori test, “ma è fuori di dubbio che i potenziali benefici per i pazienti siano incoraggianti”.

10/02/14

Vitamina C per endovena: un aiuto contro il cancro


Credo che ognuno di noi preferirebbe di gran lunga usufruire della medicina alternativa per combattere il cancro piuttosto che sottoporsi alle sfiancanti sedute di chemioterapia. E la ricerca continua a fare progressi in merito, infatti uno studio dell'Università del Kansas, effettuato su un piccolo numero di pazienti e pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine ha dimostrato che, se somministrata per endovena e ad alte dosi, la vitamina C potrebbe proteggere da diversi tipi di tumore.
Arance e vitamina C
I ricercatori hanno studiato l'effetto della vitamina, che gia' negli anni '70 era 'sospettata' di avere un effetto antitumorale mai dimostrato pero' da studi, sia su cellule tumorali umane che su cavie con tumore, per finire con 22 pazienti con cancro alle ovaie in stadio avanzato e sottoposte a chemioterapia. La vitamina sembra "aiutare" il lavoro della chemio, migliorandone i risultati e alleviando gli effetti collaterali. I risultati, affermano gli autori alla Bbc, sono promettenti, ma servono test piu' ampi. "Il problema - spiega Qi Chen, l'autore principale - e' che la vitamina C non e' protetta da brevetto, quindi le aziende non hanno interesse a condurre dei test. Servira' l'interessamento delle istituzioni pubbliche".

06/02/14

Cancro | Previsioni da paura ma la speranza cresce.

Cancro: previsioni da far paura per il futuro, ma la speranza cresce! Purtroppo i numeri sono spietati riguardo le vittime di cancro. Sontanto nell'anno 2012 sono state 8,2 milioni le morti a causa del cancro, ma il la bestia fa paura anche per ciò che concerne il futuro: le stime prevedono la bellezza di 22 milioni di casi per i prossimi 20 anni e un'ulteriore impennata nelle morti che si attesterà intorno ai 13 milioni l'anno.

A divulgare questi tragici numeri riguardanti la piaga dei tumori è l'International Agency for Research on Cancer (IARC), dell'Organizzazione mondiale della sanità che in occasione della Giornata mondiale contro il cancro, che ricorre il 4 febbraio, ha presentato il World Cancer Report 2014.

Se i più diagnosticati restano i tumori ai polmoni, al seno e all'intestino, non di meno desta preoccupazione anche il glioblastoma, il più aggressivo dei tumori cerebrali e per il quale oggi uno studio dei ricercatori della McGill University di Montreal di cui è primo autore Alessandro Perin, neurochirurgo dell’Istituto Neurologico Besta di Milano, lancia nuove speranze terapeutiche.

Nuove terapie contro il cancro
La scoperta, cui hanno collaborato anche l'Ospedale di Treviso, l’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” di Napoli e l’Hotchkiss Brain Institute dell’Università di Calgary (Canada), è stata pubblicata dalla rivista Nature Communications.
Gli scienziati hanno individuato due particolari proteine che avviano la crescita del glioblastoma.

Si tratta di due fattori di trascrizione, chiamati rispettivamente FOXG1 e Groucho/TLE, che potrebbero divenire in futuro anche bersagli di nuove terapie antitumorali che mirino a “disattivarle”, fermando così lo sviluppo di questo tumore cerebrale. La novità più rilevante introdotta da questo studio è proprio legata a questa loro negativa caratteristica: bloccando i meccanismi di proliferazione della BTICs, i ricercatori intendono contrastare la formazione delle recidive del tumore, una forma di questa patologia ancora più aggressiva.

“FOXG1 e Groucho/TLE, come dei veri e propri interruttori", spiega Alessandro Perin, "'accendono e spengono' l’espressione e quindi l’azione di numerosi geni: per questo aver scoperto il ruolo di questi due fattori di trascrizione apre diverse possibilità terapeutiche. Tuttavia è importante sottolineare che, sebbene sia un passo importante, non è ancora una cura e che quindi andranno ancora sviluppati ulteriori studi prima di un eventuale applicazione in pratica clinica”.

02/02/14

Terapia genica contro il cancro | Partita la sperimentazione al San Raffaele di Milano!

Terapia genica contro il cancro: parte la sperimentazione al San Raffaele di Milano!
Si tratta di una terapia genica che si sta sperimentando al San Raffaele di Milano, e consiste in una serie di attacchi attraverso delle "bombe ad orologeria", celate in un "Cavallo di Troia": un “vettorevirale che le condurrà a destinazione per poi farle "esplodere" nel cuore del tumore. Quel'è il target da annientare? Alcune cellule del sangue, i macrofagi, che sono necessarie proprio ai tumori per garantirsi la crescita.

Uno studio dell’Irccs Ospedale San Raffaele coordinato da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica, ha dimostrato che introducendo un gene terapeutico in queste cellule si può riuscire a dare vita ad una sorta di infezione creando un ambiente ostile alla crescita del tumore.
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Terapia genica contro il cancro
Il metodo è simile a quello utilizzato per due studi di terapia genica in bambini affetti da gravi malattie genetiche (la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich) condotti sempre da Naldini e pubblicati su Science: “In questo nuovo lavoro abbiamo adattato – spiega Naldini - la tecnica di trasferimento genico e ingegnerizzazione delle cellule del sangue al trattamento dei tumori".

Nel caso delle malattie genetiche, gli scienziati del San Raffaele hanno "riparato" le staminali del sangue con "pezzi di ricambio" di Dna funzionante, in modo ripristinare una funzione originariamente difettosa. "Nel nuovo lavoro - continua Naldini - abbiamo inserito nelle cellule staminali, con lo stesso metodo, un gene che svolge attività anti-tumorale nella loro progenie”.
Il nuovo studio, pubblicato su Science Translational Medicine, ha selezionato come arma anti-tumorale l’interferone alpha, una molecola prodotta normalmente dall'organismo in risposta alle infezioni.

Somministrato come in altri casi sotto forma di iniezioni, flebo, pastiglie causa problemi di tollerabilità ed effetti collaterali. Quale era l'alternativa? Un vettore virale, un vero “Cavallo di Troia”, sicuro e già sperimentato, modificato in laboratorio. Viene “caricato” con il gene pronto alla produzione della molecola terapeutica e “spedito” verso cellule differenziate del sangue, i monociti/macrofagi, che sono normalmente richiamati dal circolo sanguigno ai tumori dove svolgono un’azione che ne favorisce la crescita. Si tratta di una popolazione di cellule normalmente poco frequenti nel sangue, ma e qui sta l’originalità della strategia - fortemente arricchita nei tumori. In questo modo l’interferone
si accumula solo nel tumore dove può esercitare la sua funzione anti-tumorale, evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica sull’organismo.

Allo studio, condotto in questa fase sui topi, hanno preso parte Roberta Mazzieri, ricercatrice del San Raffaele recentemente trasferitasi all’Università del Queensland in Australia, è stato pubblicato il 1 Gennaio sulla prestigiosa rivista internazionale, ha come primo autore Giulia Escobar, dottoranda presso l’Università Vita-Salute San Raffaele, ed è stato realizzato nell’Unità di Angiogenesi e Targeting Tumorale e nell’Istituto San Raffaele Telethon di Terapia Genica (Tiget), anche grazie ai finanziamenti dell’European Research Council (ERC), dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro.

15/01/14

Il rischio di recidiva del melanoma svelato dalla risposta immunitaria.

Il rischio di recidiva del melanoma svelato dalla risposta immunitaria. Il sistema immunitario può venire in aiuto nella ricerca contro la recidiva del melanoma, il tumore della pelle tra i più aggressivi e complessi da curare.
Melanoma

Uno studio del gruppo di ricerca coordinato da Monica Rodolfo, biologa dell’Unità di Immunoterapia dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, pubblicato sulla rivista scientifica Cancer Research, mette in luce lo stretto legame tra cellule immunitarie e il rischio che il tumore torni a far paura nei 5 anni successivi alla rimozione con intervento chirurgico.

Gli studiosi hanno analizzato campioni di tessuto prelevati dai linfonodi sentinella, i linfonodi più vicini all’area del tumore e più a rischio di metastasi, di 42 pazienti affetti da melanoma con differente aggressività della malattia. In aggiunta i ricercatori hanno raccolto campioni di sangue da 25 pazienti con melanoma di stadio 3 e 4 e li hanno comparati con quelli di donatori sani combinati per età e sesso. L'attenzione è caduta sulla molecola CD30, che risulta più espressa nelle cellule immunitarie linfonodali e in quelle circolanti dei pazienti con malattia aggressiva.

Le stesse cellule evidenziano una funzione alterata e sono segno di immunosoppressione o di esaurimento dell’immunità antitumore. I ricercatori hanno trovato inoltre che le cellule con immunitarie positive per il marcatore CD30 erano più espresse nei linfonodi sentinella dei pazienti con recidiva del tumore e in quelli con stadio della malattia avanzato. “Questo studio – commenta Marco Pierotti direttore scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano - si colloca nella tradizione di ricerca immunologica e di immunoterapia dei tumori, caratteristica di questo Istituto, ma integrata da innovativi approcci molecolari volti a comprendere i complessi rapporti che si instaurano tra il tumore e l’organismo che lo ospita. Riconoscere in ciascun paziente se il suo sistema immunitario reagisce al melanoma o lo subisce, consentirà di modulare gli interventi per ottimizzare l'efficacia terapeutica e una corretta allocazione di risorse economiche”.

Lo sviluppo clinico di queste informazioni potrebbe consentire di identificare quali pazienti, dopo l’intervento chirurgico, abbiano un elevato rischio di recidiva e necessitino quindi di ulteriori terapie, evitando invece un trattamento inutile e tossico ai pazienti guariti dalla chirurgia. “La molecola CD30 - spiega Monica Rodolfo - potrebbe diventare un nuovo bersaglio terapeutico per i pazienti con melanoma. Essendo già disponibili farmaci che agiscono su questo marcatore CD30, è possibile immaginare che questa nuova strategia terapeutica possa essere studiata nei pazienti in tempi relativamente brevi”.

04/01/14

Una nuova terapia genica per curare i tumori!

Da uno studio dell’IRCCS Ospedale San Raffaele pare che si stia mettendo a punto una tecnica di terapia genica che finora è stata utilizzata per il trattamento di alcune malattie genetiche rare, ma che potrebbe essere efficace anche nella cura dei tumori.

In questo lavoro viene evidenziato come i macrofagi, cellule del sangue normalmente richiamate nel tumore, possano essere tramutati in veicoli di geni anti-tumorali per combattere la neoplasia. Lo studio, condotto e coordinato da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica e docente presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e da Roberta Mazzieri, ricercatrice del San Raffaele recentemente trasferitasi all’Università del Queensland in Australia, è stato recentemente pubblicato su Science Translational Medicine.

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Terapia genica anti-tumorale
Luigi Naldini, che ha anche coordinato due studi di terapia genica in bambini affetti da gravi malattie genetiche come la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich, pubblicati lo scorso luglio su Science, spiega: “In questo nuovo lavoro abbiamo adattato la tecnica di trasferimento genico e ingegnerizzazione delle cellule del sangue al trattamento dei tumori.

Nel caso delle malattie genetiche, le cellule staminali ematopoietiche del paziente (cellule madri di tutti gli elementi del sangue) vengono corrette mediante l’introduzione del gene funzionante con l’uso di vettori virali (lentivirali) in modo da ripristinare una funzione originariamente difettosa. Nel nuovo lavoro abbiamo inserito nelle cellule staminali, con lo stesso metodo, un gene che svolge attività anti-tumorale nella loro progenie”.

Il gene terapeutico scelto per bloccare la crescita del tumore è l’interferone alpha, una molecola prodotta normalmente dal nostro organismo in risposta a infezioni ma per la quale è stata dimostrata anche potente attività anti-tumorale. L’uso clinico dell’interferone è però stato finora limitato da una elevata tossicità, se somministrato per via sistemica.
Per rendere la terapia selettiva contro le cellule tumorali, il vettore lenti virale già utilizzato nelle recenti sperimentazioni cliniche è stato modificato in modo da assicurare che il gene anti-tumorale si attivi solamente in una specifica frazione di cellule differenziate del sangue, i monociti/macrofagi (figli delle staminali), che sono normalmente richiamati dal circolo sanguigno ai tumori dove svolgono un’azione che ne favorisce la crescita.

L’originalità della strategia consiste proprio nell’aver scelto come veicolo cellulare dell’interferone una popolazione normalmente presente nel sangue a bassa frequenza ma fortemente arricchita nei tumori. In questo modo l’interferone, veicolato in maniera specifica, si accumula solo nel tumore dove può esercitare la sua funzione anti-tumorale, evitando gli effetti tossici della somministrazione sistemica sull’organismo.“Una volta nel tumore l’interferone agisce ri-programmando il micro-ambiente tumorale da una condizione favorente la crescita ad una condizione ostile”, spiega Roberta Mazzieri. “Questo può avvenire grazie a molteplici meccanismi mediati dall’interferone: dall’induzione della morte delle cellule tumorali e dei vasi sanguigni del tumore, essenziali per fornire nutrimento, alla stimolazione della risposta immunitaria contro il tumore”.


Lo studio dei ricercatori del San Raffaele ha mostrato che la nuova strategia consente di bloccare la crescita del tumore mammario e delle sue metastasi in modelli murini. Per verificare la sicurezza ed efficacia della terapia genica applicata alle cellule staminali umane è stato creato un topo “umanizzato” mediante il trapianto di cellule staminali ematopoietiche umane modificate per esprimere interferone e ricreando in questo modo un sistema ematopoietico umano nel topolino. Utilizzando questo modello è stato possibile dimostrare che la terapia è sicura ed efficace nell’inibire la crescita anche di un tumore umano.

Gli studi hanno indicato che il rilascio mirato di interferone nel tumore può esercitare una duplice azione contro il cancro: consente infatti l’azione selettiva di una molecola anti-cancro nel tumore e allo stesso tempo ri-programma i veicoli della terapia, i macrofagi, da cellule con attività pro-tumorale a cellule con attività anti-tumorale. Spiegano i ricercatori: “I nostri risultati forniscono una prova incoraggiante dell’efficacia e sicurezza della strategia nei modelli sperimentali. E’ ora necessario effettuare ulteriori studi preclinici volti a valutare quali tipi di tumori possano meglio beneficiare di questa terapia genica e a preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno”.



23/12/13

2013: un anno ricco di scoperte scientifiche.

Ricorderemo il 2013 nel campo della scienza per avere portato cosa? La rivista Science e il suo editore, l’American Association for the Advancement of Science, non nutrono dubbi: il vero passo in avanti nel panorama scientifico è stato effettuato quest’anno dall’immunoterapia del cancro, cioè da quei trattamenti che fanno uso delle cellule e le armi del sistema immunitario per contrastare i tumori. Altro non è che, scrive la rivista, un paradigma del tutto innovativo e unico nella lotta ai tumori, che non ha come obbiettivo le cellule cancerogene ma chi dovrebbe invece fare da sentinella all’omeostasi del corpo e proteggerlo dai pericoli: ovvero il sistema immunitario.

L’ipotesi ha origini agli inizi degli anni ‘80, quando James Allison, ora alla University of Texas MD Anderson Cancer Center di Houston, rintracciò nel recettore CTLA-4 dei linfociti T (Cytotoxic T-Lymphocyte Antigen 4) un ostacolo all’attività di queste cellule, prevenendone il pieno attacco verso gli invasori o le cellule maligne. Negli anni ‘90 i ricercatori dimostrarono che bloccando questo recettore (con anticorpi contro il CTLA-4) le cellule T scatenavano la loro risposta contro i tumori nei topi, contrastandoli. Storia simile per un’altra molecola espressa dalle cellule T: il PD-1.
 

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Rivista "Science"
Entrambi gli anticorpi diretti contro queste molecole negli anni 2000 sono stati testati in trial clinici, dando i primi incoraggianti risultati, tanto che nel 2011 la Food and Drug Administration ha approvato l’anticorpo monoclonale ipilimumab (diretto contro il CTLA-4) per il trattamento del melanoma metastatico e risultati incoraggianti si sono avuti anche negli ultimi tempi per anticorpi contro PD-1 nel caso di tumori al rene, al polmone e al melanoma. E ancora positivi sono stati i risultati ottenuti quest’anno dalla combinazione dei due anticorpi monoclonali per i pazienti con melanoma.  

L’immunoterapia contro il cancro è stata scelta da Science come breakthrough dell’anno anche per un altro promettente approccio: l’ingegnerizzazione delle cellule T, al fine di renderle più aggressive nei confronti dei tumori (la cosiddetta chimeric antigen therapy, o CAR). Una terapia sperimentale che sta dando risultati incoraggianti nel campo dei tumori del sangue. Ma il 2013 verrà ricordato anche per altri importanti traguardi scientifici. Ecco la lista completa della top ten stilata da Science allora.

La chirurgia molecolare con CRISPR
Si dice CRISPR (clustered regularly inter- spaced short palindromic repeats) ma si legge microchirurgia genetica. Si tratta infatti di una tecnica di gene-editing che sfrutta un meccanismo scoperto nei batteri ma che permette di manipolare, in modo mirato, i genomi di piante, animali e colture cellulari.

Il cervello trasparente con ClarityNel panorama scientifico del 2013 abbiamo conosciuto anche una nuova tecnica di imaging, che ha permesso di rendere trasparente un organo come cervello, facilitandone lo studio. Per il momento limitata a piccole quantità di tessuto (come quello corrispondente al cervello di un topo).

Staminali da embrioni clonatiUtilizzando la tecnica analoga a quella usata per la clonazione della pecora Dolly i ricercatori guidati da guidati da Shoukhrat Mitalipov (tra gli scienziati dell’anno secondo Nature) sono riusciti a clonare degli embrioni umani e a utilizzarli come fonte di cellule staminali, dopo anni di tentativi.

I mini-organiCome capire lo sviluppo, l’evoluzione di un organo, e soprattutto le malattie che lo colpiscono? Un approccio è riprodurre lo stesso organo in laboratorio, in scala, come hanno fatto i ricercatori dell’Istituto di biotecnologie di Vienna (Imba) ricreando un cervello in miniatura grazie alle cellule staminali.

L’origine dei raggi cosmiciDa dove vengono i raggi cosmici? Quest’anno, dopo un secolo dalla loro scoperta, uno studio ha mostrato che queste particelle energetiche originano dall’onda d’urto generata dall’esplosione di una supernova.

La fisiologia del sonnoPerché dormiamo? La ragione principale secondo i neuroscienziati che hanno risposto alla domanda è che con il sonno il cervello si ripulisce. Come? Espandendo dei canali tra i neuroni attraverso il cervello e aumentando il flusso del liquido cerebro-spinale, come hanno mostrato alcuni studi condotti sui topi. Così anche i metaboliti di scarto vengono allontanati.

Tutti i nostri microbiQuest’anno la ricerca ha anche fatto passi avanti nel comprendere in che modo i nostri numerosi inquilini – i microbi che convivono con noi – contribuiscono al nostro stato di salute. Per esempio, degli scienziati hanno mostrato che alcune terapie per essere efficaci hanno bisogno dei batteri dell’intestino, visto che questi aiutano il sistema immunitario a rispondere al trattamento. O ancora, i ricercatori hanno scoperto come alcuni microrganismi rispetto ad altri migliorino il profilo metabolico nei topi obesi.

Il design dei vacciniQuest’anno i ricercatori hanno anche dimostrato in che modo l’analisi strutturale delle configurazioni proteiche, dei meccanismi di legame tra anticorpi ai virus, e in generale delle molecole, può aiutare lo sviluppo di vaccini molto selettivi. Un caso è quello attualmente allo studio per il Virus respiratorio sinciziale umano.

La perovskite per le celle solariIl 2013 per Science va ricordato infine anche per le innovazioni in campo tecnologico. In particolare per l’utilizzo dell’economica, facile da produrre, perovskite, in grado di convertire più del 15% dell’energia della luce solare in energia elettrica. Sebbene non ancora efficiente come le celle solari tradizionali al silicio le sue performance continuano a migliorare.










20/10/13

Curcuma: medicina alternativa per contrastare tumore e Alzheimer

La curcuma: fai il pieno di salute e proteggiti dall'invecchiamento e dai tumori
Infatti la curcuma viene coltivata in diverse parti del mondo, in modo particolare in India, Cina, Taiwan, Sri Lanka, Indonesia, Perù, Australia e nelle Indie Occidentali.
E’ conosciuta per il suo sapore caldo, amaro e piccante, dal profumo delicato che ricorda un pò l’arancia e lo zenzero.
Tradizionalmente è chiamata zafferano indiano per il suo colore gialloarancio inteso ed è stata usata nel corso dei secoli come rimedio curativo, come condimento e come colorante tessile.
Il suo colore giallo intenso è dovuto alla curcumina, un potente antiossidante dalle spiccate virtù antinvecchiamento.
In etno-medicina è considerata una delle piante più importanti per la salute (soprattutto la radice fresca): è l'antinfiammatorio per eccellenza, purifica il sangue, ostacola lo sviluppo dei tumori, protegge il fegato.
Recentemente si è scoperto che rallenta il progresso dell'Hiv.
Questa radice di pianta tropicale, in Europa viene generalmente commercializzata secca già in polvere. Se avete la fortuna di possederne una radice intera, grattugiatela sulle vostre pietanze, farete il pieno di gusto e principi attivi benefici. 
Curcuma naturale
E' ottima nei risotti, sulle verdure cotte, nelle zuppe di legumi e per aromatizzare i formaggi freschi. 
Si scioglie più facilmente negli oli.
Recentemente, è stata oggetto di studi in relazione alle sue virtù antinvecchiamento: gli esami di laboratorio condotti da ricercatori italiani del Cnr di Catania, Università di Catania e Università di Pavia e ricercatori statunitensi del New York Chemical College hanno confermato la capacità dei suoi antiossidanti nel contrastare lo sviluppo di disordini neurodegenerativi legati all'invecchiamento del cervello, quali il cancro e l'Alzheimer!
Quindi vi do 10 BUONI MOTIVI PER AGGIUNGERE nella tua cucina e nella tua vita la Curcuma
1. Accellera la guarigione delle ferite e il rimodellamento della pelle danneggiata
2. Può aiutare nel trattamento della psoriasi e di altre condizioni infiammatorie della pelle
3. E’ un agente natuarle antisettico e antibatterico
4. Disintossicante naturale del fegato
5. Può impedire le metastasi che si verificano in molte diverse forme del cancro (colon, seno, polmoni, prostata)
6. E’ un potente antinfiammatorio naturale senza effetti collaterali
7. Combinato con il cavolfiore ha dimostrato di prevenire il cancro alla prostata e fermare la crescita di quello già esistente
8. Previene l’ossidazione del colesterolo proteggendo il cuore da placche che possono causare ictus o attacchi di cuore
9. Può prevenire e rallentare la progressione della malattia di Alzheimer
10. Cura naturale per i dolori articolari

19/10/13

Scoperta sensazionale negli Stati Uniti: trovati i geni "killer" del cancro!

Scoperta sensazionale negli Stati Uniti: trovati i geni "killer" del cancro! Un decisivo passo avanti nella infinita sfida contro il cancro, grazie alla scoperta dei geni necessari per leberare e alimentare la malattia. Questo è un risultato, che apre in maneira evidente nuovi orizzonti alle cure anticancro personalizzate, in particolar modo al più comune e devastante tumore del cervello, ovvero il glioblastoma multiforme, ed è stato peraltro pubblicato sulla rivista Nature Genetics. La ricerca è stata condotta dal gruppo della Columbia University di New York con a capo della stessa l'Italiano Antonio Iavarone, che ha lasciato la nostra Nazione molti anni fa denunciando un gravissimo caso di nepotismo.
Ormai da tempo si era in possesso della mappa genetica di varie forme di tumore, come quelli che colpiscono il polmone, intestino, seno e prostata, ma soltanto adesso per la prima volta nella storia della medicina diventerà possibile individuare, all'interno di queste mappe, i geni davvero pericolosi, quelli necessari al cancro per potere sopravvivere: averli scoprirti vuol dire essere in possesso dei bersagli sensibili contro i quali utilizzare i farmaci e fare un passo decisivo verso cure personalizzate. «Nel nostro studio abbiamo scoperto che, grazie alla comprensione delle alterazioni genetiche presenti in un singolo tumore, per circa il 15% dei pazienti potrebbero essere disponibili farmaci già esistenti», ha detto all'Ansa Iavarone, che ha condotto la ricerca con un'altra italiana, Anna Lasorella. «Ricerche come queste - ha aggiunto - sono tanto più importanti in quanto si concentrano su tumori per i quali non ci sono terapie efficaci, come i tumori maligni del cervello».
Geni "killer" del Cancro

La scoperta conferma l'appello recentemente lanciato negli Stati Uniti dagli oncologi per cancellare la parola "tumore". «È una richiesta - ha proseguito Iavarone - che parte dal fatto che ogni caso di tumore è diverso dall'altro e può avere una possibilità terapeutica in alcuni casi immediatamente possibile». Non esiste più quindi "il tumore", ma una miriade di malattie causate da altrettante alterazioni genetiche dalle quali dipendono completamente. «Non basta avere la lista dei geni legati a un tumore: bisogna individuare quelli dai quali la malattia dipende come da una droga» ha osservato il ricercatore. «Colpirli - ha aggiunto - significa far collassare il tumore» e per ognuno di essi è possibile sperimentare un farmaco diverso, fra quelli già disponibili sul mercato. Ciò significa anche poter abbreviare i tempi della sperimentazione, poiché i farmaci sul mercato hanno già superato le prove relative alla sicurezza.
Gli strumenti per andare a caccia dei geni killer arrivano dalla bioinformatica, grazie all'algoritmo progettato da Raul Rabadan, sempre della Columbia University. Una volta individuati, la loro funzione viene studiata nelle cellule staminali tumorali prelevate dal paziente. Questo permette di sperimentare farmaci antitumorali oggi disponibili contro i bersagli giusti, una volta trasferite nei topi le staminali tumorali prelevate dai pazienti.
In questo modo è possibile verificare se la terapia individuata è davvero efficace. Tutto è ancora ad un livello sperimentale e la strada appena all'inizio, ma di sicuro è stata aperta una via nuova, una «roadmap» nella lotta ai tumori, come la definiscono gli stessi ricercatori.
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