Il-Trafiletto
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08/10/14

Lecito definire "testa di ca..o" un omofobo anche se sindaco

Il tribunale di Busto Arsizio (Varese) archivia il procedimento a carico dello studente bocconiano che aveva apostrofato l'ex sindaco di Sulmona perchè definiva l'omosessualità "un'aberrazione genetica"


In sintesi insultare un omofobo che ha offeso è lecito e non può essere considerato diffamazione. 
La decisione di Francesca Parola, sostituto procuratore del tribunale di Busto Arsizio (in provincia di Varese), il quale ha richiesto l’archiviazione del procedimento a carico di uno studente dell’università Bocconi che nel 2011 aveva commentato un video pubblicato in Rete dando della “testa di cazzo” all’allora sindaco pidiellino di Sulmona, Fabio Federico.

La vicenda parte nel 2006  quando Federico, medico e all’epoca consigliere comunale nella cittadina dell’Aquilano per Alleanza nazionale, ad una sua partecipazione in una tv locale, rilascia una dichiarazione in cui prende nettamente posizione contro la possibilità di adottare un figlio per le coppie gay e definisce l’omosessualità “un’aberrazione genetica”, pur riconoscendo che “ogni omosessuale può vivere la sua vita sessuale come meglio crede”. Aggiunge poi che “se hai i cromosomi x e y fai il maschietto, se hai gli xx fai la femminuccia. Il contrario è un po’ fuori natura”.

Il video viene postato su YouTube cinque anni dopo, quando il politico era primo cittadino nelle fila del Pdl, indignata la comunità omosessuale, nonché quella di moltissimi utenti del web, criticano Federico con commenti alquanto diretti. Parta una denuncia a 30 persone per diffamazione aggravata, da parte del sindaco, alla Procura di Sulmona, dato che per questo tipo di reato il tribunale competente è quello della città di residenza del querelato, l'indagini si allargano a tutta Italia.

Federico si è sentito diffamato particolarmente da un commento fatto da un studente bocconiano: “Fai la femminuccia… fai il maschietto… come se fosse una scelta! Ma brutta testa di cazzo… il problema della società è la tua ignoranza e il fatto che tu sia sindaco!”. Il pm Francesca Parola ha chiesto l’archiviazione, scrivendo che “di fronte a dichiarazioni rese in pubblico da un soggetto politico di spicco, quei commenti rappresentano l’immediata reazione, anche fin troppo contenuta rispetto alla gravità delle affermazioni di chiaro stampo omofobo”.

Nessuna diffamazione, quindi, ma solo “una risposta commisurata a una grave provocazione, esattamente come sostenuto nella mia memoria difensiva, a cui il pm si è rifatto”, spiega l’avvocato Barbara Indovina, che difende in questo procedimento il giovane querelato e anche un altro studente, rinviato invece a giudizio dal tribunale di Milano

26/02/14

40enne madre di due bambini viene curata al seno destro quando il tumore è presente in quello sinistro. Malasanità a Rimini.

Il caso di malasanità è datato 2011, ma in questi giorni è ritornato sulle colonne della carta stampata dal momento che lo scorso 16 dicembre si è tenuta l’udienza preliminare davanti al gip del tribunale di Rimini. Una donna di 41 anni, mamma di due bimbi e malata di tumore al seno sinistro è stata prima operata al seno giusto ma è stata poi sottoposta ad un trattamento di chemioterapia e a diverse sedute di radioterapia al seno sbagliato, ben ventidue. Nonostante la visibile cicatrice dell’operazione sul seno sinistro, la cura di radioterapia è stata effettuata sul seno destro, ovvero quello sano. Senza contare che ora il tumore rischia di tornare. E’ così scattata la presentazione della denuncia per lesioni e la battaglia legale”. La Procura, dopo aver sequestrato le cartelle cliniche della donna e in forza di una perizia medico legale affidata a due esperti di Milano, ha chiesto l’archiviazione. Secondo la perizia della Procura infatti non vi sarebbero lesioni penalmente rilevanti. Il legale della donna, l’avvocato Roberto Urbinati, però si è opposto, presentando una serie di perizie oncologiche e psicologiche di parte in cui emerge il danno per colpa medica e per negligenza. Un danno che i periti quantificano in “una riduzione delle possibilità di sopravvivenza della paziente non inferiore al 20%”. Il gip non ha ancora sciolto la riserva. E' tuttora in fase di stallo anche la causa civile che la signora riminese ha intentato contro l’Ausl romagnola. Assistita dagli avvocati Roberto Urbinati e Alessandro Pagliarani, ha prima tentato la via della conciliazione dove però l’azienda sanitaria non si è presentata. Poi l’udienza civile per danni (si chiede un risarcimento di 800 mila euro) fissata per lo scorso 18 febbraio, è slittata a causa di un errore nell’assegnazione al giudice non competente. “E’ il primo caso in Italia di un tale errore – dice l’avvocato Urbinati -. Nel mondo, solo negli Stati Uniti, in Pennsylvania, uno analogo a quello commesso all’ospedale di Rimini”

27/01/14

Avvelena la moglie con l’acido muriatico. Chiesta l’archiviazione perché….. il veleno era poco!

Incredibile vicenda in provincia di Bergamo. Il Pubblico Ministero ha chiesto di archiviare il caso di un avvelenamento perché ….il veleno era poco! Una donna si è improvvisata detective e ha piazzato una microcamera all'interno di una sveglia dopo che aveva trovato nel cesto della spazzatura delle fiale vuote di acido muriatico. E le immagini della telecamera hanno ripreso suo marito che, con un contagocce, le versava il veleno in una bottiglietta, la stessa bottiglietta dalla quale, alcuni giorni prima, la donna aveva bevuto un sorso d'acqua che le aveva bruciato la bocca. Il tutto accadeva a marzo dell'anno scorso e la donna aveva sporto denuncia alla polizia, che aveva proceduto all’arresto del marito Eliseo Bongiorno, 67 anni, falegname di Dalmine in pensione e sposato con la donna da ben 39 anni, con l'accusa di tentato omicidio aggravato dal legame di parentela. Adesso il PM ha chiesto per lui l'archiviazione del caso perché il quantitativo di acido muriatico che l'uomo aveva messo nella bottiglietta della moglie era, secondo una perizia, insufficiente a causarle la morte. Il marito ha aveva sempre ammesso la propria responsabilità, giurando però di non aver mai voluto uccidere la donna. <padre Pio e di ascoltare Radio Maria tutto il giorno. Si dedica completamente a quello...>>, aveva spiegato al giudice. La moglie si era fatta aiutare in questa storia da un figlio che vive ancora con la coppia. I primi sospetti della donna erano arrivati a febbraio: dopo aver bevuto dalla famosa bottiglietta, la moglie si era sentita poco bene. Da lì l'idea di collocare la microcamera e riprendere il marito, scoprendolo un avvelenatore. La stessa donna aveva anche fatto analizzare il contenuto della bottiglietta dalla ditta dove lavora, che produce detersivi, e aveva scoperto la sostanza nociva. La donna si è opposta alla richiesta di archiviazione.
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