Il-Trafiletto
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26/02/14

40enne madre di due bambini viene curata al seno destro quando il tumore è presente in quello sinistro. Malasanità a Rimini.

Il caso di malasanità è datato 2011, ma in questi giorni è ritornato sulle colonne della carta stampata dal momento che lo scorso 16 dicembre si è tenuta l’udienza preliminare davanti al gip del tribunale di Rimini. Una donna di 41 anni, mamma di due bimbi e malata di tumore al seno sinistro è stata prima operata al seno giusto ma è stata poi sottoposta ad un trattamento di chemioterapia e a diverse sedute di radioterapia al seno sbagliato, ben ventidue. Nonostante la visibile cicatrice dell’operazione sul seno sinistro, la cura di radioterapia è stata effettuata sul seno destro, ovvero quello sano. Senza contare che ora il tumore rischia di tornare. E’ così scattata la presentazione della denuncia per lesioni e la battaglia legale”. La Procura, dopo aver sequestrato le cartelle cliniche della donna e in forza di una perizia medico legale affidata a due esperti di Milano, ha chiesto l’archiviazione. Secondo la perizia della Procura infatti non vi sarebbero lesioni penalmente rilevanti. Il legale della donna, l’avvocato Roberto Urbinati, però si è opposto, presentando una serie di perizie oncologiche e psicologiche di parte in cui emerge il danno per colpa medica e per negligenza. Un danno che i periti quantificano in “una riduzione delle possibilità di sopravvivenza della paziente non inferiore al 20%”. Il gip non ha ancora sciolto la riserva. E' tuttora in fase di stallo anche la causa civile che la signora riminese ha intentato contro l’Ausl romagnola. Assistita dagli avvocati Roberto Urbinati e Alessandro Pagliarani, ha prima tentato la via della conciliazione dove però l’azienda sanitaria non si è presentata. Poi l’udienza civile per danni (si chiede un risarcimento di 800 mila euro) fissata per lo scorso 18 febbraio, è slittata a causa di un errore nell’assegnazione al giudice non competente. “E’ il primo caso in Italia di un tale errore – dice l’avvocato Urbinati -. Nel mondo, solo negli Stati Uniti, in Pennsylvania, uno analogo a quello commesso all’ospedale di Rimini”

23/02/14

Tumori: efficacia dell'Aloe Arborescens in associazione alla chemioterapia

L'Aloe è una pianta dalle proprietà molto particolari, comprovate da molteplici studi. Negli ultimi anni (a partire dal 2009) un recente studio ha dimostrato a tutti gli effetti le proprietà antitumorali dell'aloe arborescens che abbinata in chemioterapia in molti pazienti con carcinoma metastatico in fase iniziale permette di ridurre la tossicitià della chemio introducendo sostanze endogene immunomodulanti o esogene.
Aloe Arborescens

Tale efficacia è stata evidenziata in oltre 240 casi di pazienti con patologie differenti (cancro del colon-retto, cancro al polmone etc) trattati con chemioterapia con l'aloe o senza per verificare l'efficacia del trattamento,  dimostrando non solo gli enormi benefici verso il paziente ma anche la capacità di ridurre la mortalità in coloro che l'assumono nel periodo successivo al trattamento, portando anche alla regressione del tumore.  Ecco come è avvenuto il trattamento: l'Aloe viene somministrata per via orale seguendo la ricetta di padre romano Zago (un frate brasiliano dell'Ordine dei Frati Minori,che ha trascritto un'antica ricetta arrivata a lui oralmente, ma utilizzata fin dall'antichità in Oriente e Sud America, in un libro) durante la chemioterapia e anche dopo: il tutto a 10 millilitri tre volte al giorno senza sospensioni fino al termine della malattia, a partire da 5 giorni prima dell'inizio della chemioterapia in una miscela composta da 300 grammi di foglie fresche di aloe, 500 grammi di miele e 40 milligrammi di alcol. Sia le risposte complete che quelle parziali hanno evideziato nei pazienti a cui era stata somministrata l'aloe, un netto miglioramento rispetto a coloro che avevano seguito solo la chemioterapia: ben il 34% contro il 19%. Il controllo finale della malattia ottenuta dai pazienti ha evidenziato  in coloro che sono stati trattati con l'aloe, un miglioramento ampiamente maggiore rispetto a quella dei pazienti  trattati solo con la chemioterapia (67% contro 50%). Da non sottovalutare la percentuale di sopravvivenza dei pazienti a 3 anni, che ha evidenziato una maggiore percentuale rispetto a quella dei pazienti non trattati con l'aloe. L'aloe è una pianta molto importante grazie alle sue ampie funzioni antitumorali, antioddisanti, antiproliferative, immunostimolanti.  L'aloe è stata impiegata con successo in diverse terapie per il trattamento della psoriasi, iperlipidemia e diabete mellito e può esercitare effetti anticolesterolo ed effetti antidiabetici. Inoltre permette la stimolazione facilitando la riparazione delle ferite. Questo studio suggerisce quindi che l'aoe può essere integrata con successo alla chemioterapia per aumentare le chance di guarigione e sopravvivenza a lungo termine per combattere il cancro e facilitare la regressione del tumore.

10/02/14

Vitamina C per endovena: un aiuto contro il cancro


Credo che ognuno di noi preferirebbe di gran lunga usufruire della medicina alternativa per combattere il cancro piuttosto che sottoporsi alle sfiancanti sedute di chemioterapia. E la ricerca continua a fare progressi in merito, infatti uno studio dell'Università del Kansas, effettuato su un piccolo numero di pazienti e pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine ha dimostrato che, se somministrata per endovena e ad alte dosi, la vitamina C potrebbe proteggere da diversi tipi di tumore.
Arance e vitamina C
I ricercatori hanno studiato l'effetto della vitamina, che gia' negli anni '70 era 'sospettata' di avere un effetto antitumorale mai dimostrato pero' da studi, sia su cellule tumorali umane che su cavie con tumore, per finire con 22 pazienti con cancro alle ovaie in stadio avanzato e sottoposte a chemioterapia. La vitamina sembra "aiutare" il lavoro della chemio, migliorandone i risultati e alleviando gli effetti collaterali. I risultati, affermano gli autori alla Bbc, sono promettenti, ma servono test piu' ampi. "Il problema - spiega Qi Chen, l'autore principale - e' che la vitamina C non e' protetta da brevetto, quindi le aziende non hanno interesse a condurre dei test. Servira' l'interessamento delle istituzioni pubbliche".

06/01/14

L’eterna guerra contro i batteri: antibiotici sempre meno efficaci!

L’eterna guerra contro i batteri dura ormai da troppo tempo: dopo 85 anni gli antibiotici sono sempre meno efficaci, mostrando segni di resa inevitabile contro i batteri, nemici del nostro organismo, ma come pensate possa essere il nostro futuro se per un motivo qualunque dovessimo perdere questi farmaci? In un'epoca post-antibiotici, la pratica medica andrebbe senz’altro rivista e corretta.

Infatti senza la loro azione difensiva, chemioterapia e immunosoppressori assumerebbero un aspetto a dir poco inquietante, passando ad essere invece che cure a delle pratiche pericolose, così come la dialisi o gli interventi chirurgici: qui l'infezione sarebbe una ecatombe. Da uno studio britannico si è potuto appurare che una procedura comune come la protesi all'anca metterebbe in pericolo di vita 1 paziente su 6, per non parlare dei parti cesarei, biopsie, e finanche un tatuaggio o una liposuzione potrebbero risultare essere fatali.
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Antibiotici meno efficaci contro i batteri
Ma sui limiti degli antibiotici già in passato fu proprio lo scopritore della penicillina, il biologo Alexander Fleming, a metterci in guardia, mentre ritirava il suo Nobel: «non è difficile creare microbi resistenti in laboratorio, è sufficiente esporli a concentrazioni di antibiotico insufficienti a ucciderli… L'uomo può facilmente sottodosare il farmaco facilitando il fenomeno della resistenza». Fleming aveva visto bene.

Più gli antibiotici sono diventati accessibili e il loro uso è aumentato, più i batteri hanno sviluppato sempre più rapidamente le difese: in totale oggi sono 18 i batteri che rappresentano una seria minaccia.
Per le istituzioni sanitarie europee e americane questa è a tutti gli effetti una una crisi. «Se non stiamo attenti ci sarà presto un'era post-antibiotica», ha detto Thomas Frieden, direttore dei Cdc statunitensi. E per alcuni pazienti e alcuni batteri questa "era" è già arrivata: solo in Europa sono 25.000 i morti a causa di infezioni ospedaliere resistenti. L'Oms prevede che il costo totale del trattamento di tutte le infezioni resistenti agli antibiotici in ospedale è di circa 10 miliardi di dollari all'anno.

L’impotenza di fronte a uno scenario di tale portata è disarmante, dal momento che sono ben note tanto le cause quanto gli effetti. Ma poiché si tratta di un fenomeno che si evolve lentamente, le contromisure continuano a essere rimandate. E' lo stesso atteggiamento che la società e le istituzioni hanno nei confronti del cambiamento climatico. E' assodato, se ne discute da anni, ma di fatto resta un problema insoluto, da far risolvere alle prossime generazioni. E anche nel caso della resistenza agli antibiotici, siamo tutti responsabili: dalle aziende farmaceutiche che negli anni non hanno investito per scoprirne di nuovi, ai medici che ne prescrivono troppi e spesso quando non sono necessari, lo sono i pazienti che ne abusano o non ne rispettano la posologia, lo sono gli agricoltori: negli States l'80% degli antibiotici venduti vengono usati in agricoltura, per ingrassare animali e proteggerli dalle malattie. E lo stesso vale per la frutta. «L'impatto sulla società è notevole - ha detto Steve Solomon, direttore dell'ufficio del Cdc per la resistenza agli antibiotici - Si sviluppa nei pazienti e si diffonde nella comunità. Le minacce per la salute aumentano e diventano sempre più complesse».

Ma se l'evoluzione batterica è ineluttabile, il pericolo potrebbe dunque non avere mai fine? Probabile, a meno che non si introducano alcuni cambiamenti. Danimarca, Norvegia e Olanda hanno attuato un regolamento governativo sull'uso medico e agricolo di questi farmaci, ma gli Stati Uniti non sono disposti a tali controlli e hanno emanato un orientamento volontario e non obbligatorio. E l'Unione europea per voce della commissaria alla ricerca Máire Geoghegan-Quinn, ha annunciato il lancio di 15 nuovi progetti di ricerca sulla resistenza antimicrobica che beneficeranno di un contributo pari a 91 milioni di euro.

Servono quindi nuove idee, non solo nuovi antibiotici. Per esempio il controllo automatico delle prescrizioni attraverso le cartelle cliniche informatizzate, lo sviluppo di test diagnostici rapidi e un diverso approccio clinico alle infezioni.«Siamo in una fase in cui abbiamo bisogno di molti e nuovi agenti terapeutici. Non c'è dubbio su questo - chiarisce Pascale Cossart, direttrice dell'Unità per le interazioni batteri cellule all'Istituto Pasteur di Parigi -. E questi farmaci devono essere sviluppati sulla base di tutte le conoscenze acquisite negli ultimi anni, focalizzando meglio i particolari del processo infettivo e poi chiedersi se, anziché ricorrere agli antibiotici, non si possa seguire una strategia totalmente diversa, cercando, ad esempio, di impedire la penetrazione del batterio nelle cellule.

O se il batterio produce tossine, lavorare per contrastarne la proliferazione e di conseguenza prevenire l'infezione». Cossart conclude che serve investire anche sugli strumenti diagnostici, kit rapidi e facili da usare. «La diagnosi precisa è la chiave per prevenire le conseguenze catastrofiche di una qualsiasi malattia infettiva». È della stessa idea Klemens Wassermann dell'Austrian Institute of Technology, giovane ricercatore di talento che ha vinto il Falling Walls Conference di Berlino. «A causa della rapida diffusione di batteri resistenti, la procedura standard non è più praticabile -spiega - Noi abbiamo trovato un modo che in una manciata di secondi e in maniera completamente automatizzata svela il patogeno coinvolto . Applicando un campo elettrico specifico in un dispositivo microfluidico intelligente, separiamo, rompendole, le cellule ematiche umane dai batteri, che invece restano integri. Li concentriamo nel campione e con tecniche di biologia molecolare abbiamo subito la diagnosi». Ricerca e l'innovazione sono dunque la chiave per invertire la tendenza e contrastare la resistenza antimicrobica.


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