L’eterna guerra contro i
batteri dura ormai da troppo
tempo: dopo 85 anni gli
antibiotici sono sempre
meno efficaci, mostrando segni di resa inevitabile contro i
batteri, nemici del nostro
organismo, ma come pensate possa essere il nostro
futuro se per un motivo qualunque dovessimo perdere questi
farmaci? In un'epoca
post-antibiotici, la pratica medica andrebbe senz’altro rivista e corretta.
Infatti senza la loro
azione difensiva,
chemioterapia e
immunosoppressori assumerebbero un aspetto a dir poco inquietante, passando ad essere invece che
cure a delle pratiche pericolose, così come la
dialisi o gli
interventi chirurgici: qui
l'infezione sarebbe una ecatombe. Da uno
studio britannico si è potuto appurare che una
procedura comune come la
protesi all'anca metterebbe in
pericolo di vita 1
paziente su 6, per non parlare dei
parti cesarei,
biopsie, e finanche un
tatuaggio o una
liposuzione potrebbero risultare essere fatali.
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Antibiotici meno efficaci contro i batteri |
Ma sui
limiti degli antibiotici già in passato fu proprio lo
scopritore della penicillina, il
biologo Alexander Fleming, a metterci in guardia, mentre ritirava il suo
Nobel: «non è difficile creare
microbi resistenti in
laboratorio, è sufficiente esporli a
concentrazioni di antibiotico insufficienti a ucciderli… L'uomo può facilmente sottodosare il
farmaco facilitando il
fenomeno della resistenza».
Fleming aveva visto bene.
Più gli
antibiotici sono diventati accessibili e il loro uso è aumentato, più i
batteri hanno
sviluppato sempre più rapidamente le difese: in totale oggi sono
18 i batteri che rappresentano una seria minaccia.
Per le
istituzioni sanitarie europee e
americane questa è a tutti gli effetti una una
crisi. «Se non stiamo attenti ci sarà presto
un'era post-antibiotica», ha detto
Thomas Frieden, direttore dei
Cdc statunitensi. E per alcuni
pazienti e alcuni
batteri questa "era" è già arrivata: solo in
Europa sono 25.000 i
morti a causa di
infezioni ospedaliere resistenti.
L'Oms prevede che il costo totale del
trattamento di tutte le
infezioni resistenti agli
antibiotici in ospedale è di circa 10 miliardi di dollari all'anno.
L’impotenza di fronte a uno scenario di tale portata è disarmante, dal momento che sono ben note tanto le
cause quanto gli
effetti. Ma poiché si tratta di un
fenomeno che si evolve lentamente, le
contromisure continuano a essere rimandate. E' lo stesso atteggiamento che la
società e le
istituzioni hanno nei confronti del
cambiamento climatico. E' assodato, se ne discute da anni, ma di fatto resta un problema insoluto, da far risolvere alle prossime
generazioni. E anche nel caso della
resistenza agli
antibiotici, siamo tutti responsabili: dalle
aziende farmaceutiche che negli anni non hanno investito per scoprirne di nuovi, ai
medici che ne prescrivono troppi e spesso quando non sono necessari, lo sono i
pazienti che ne
abusano o non ne rispettano la
posologia, lo sono gli
agricoltori: negli States l'80% degli
antibiotici venduti vengono usati in
agricoltura, per
ingrassare animali e
proteggerli dalle malattie. E lo stesso vale per la frutta. «L'impatto sulla
società è notevole - ha detto
Steve Solomon, direttore dell'ufficio del
Cdc per la
resistenza agli
antibiotici - Si sviluppa nei pazienti e si diffonde nella comunità. Le minacce per la salute aumentano e diventano sempre più complesse».
Ma se
l'evoluzione batterica è ineluttabile, il pericolo potrebbe dunque non avere mai fine? Probabile, a meno che non si introducano alcuni cambiamenti.
Danimarca, Norvegia e Olanda hanno attuato un regolamento governativo
sull'uso medico e agricolo di questi
farmaci, ma gli
Stati Uniti non sono disposti a tali
controlli e hanno emanato un orientamento volontario e non obbligatorio. E
l'Unione europea per voce della
commissaria alla ricerca Máire Geoghegan-Quinn, ha annunciato il lancio di 15 nuovi
progetti di ricerca sulla
resistenza antimicrobica che beneficeranno di un contributo pari a 91 milioni di euro.
Servono quindi nuove idee, non solo
nuovi antibiotici. Per esempio il
controllo automatico delle prescrizioni attraverso le
cartelle cliniche informatizzate, lo sviluppo di
test diagnostici rapidi e un diverso
approccio clinico alle infezioni.«Siamo in una fase in cui abbiamo bisogno di molti e nuovi
agenti terapeutici. Non c'è dubbio su questo - chiarisce Pascale Cossart, direttrice dell'Unità per le interazioni batteri cellule all'Istituto Pasteur di Parigi -. E questi farmaci devono essere sviluppati sulla base di tutte le conoscenze acquisite negli ultimi anni, focalizzando meglio i particolari del processo infettivo e poi chiedersi se, anziché ricorrere agli antibiotici, non si possa seguire una strategia totalmente diversa, cercando, ad esempio, di impedire la
penetrazione del
batterio nelle
cellule.
O se il batterio produce tossine, lavorare per contrastarne la
proliferazione e di conseguenza prevenire l'infezione».
Cossart conclude che serve investire anche sugli strumenti diagnostici, kit rapidi e facili da usare. «La diagnosi precisa è la chiave per prevenire le conseguenze catastrofiche di una qualsiasi malattia infettiva». È della stessa idea
Klemens Wassermann dell'Austrian Institute of Technology, giovane
ricercatore di talento che ha vinto il
Falling Walls Conference di Berlino. «A causa della rapida diffusione di
batteri resistenti, la procedura standard non è più praticabile -spiega - Noi abbiamo trovato un modo che in una manciata di secondi e in maniera completamente automatizzata svela il patogeno coinvolto . Applicando un campo elettrico specifico in un
dispositivo microfluidico intelligente, separiamo, rompendole, le
cellule ematiche umane dai
batteri, che invece restano integri. Li concentriamo nel campione e con tecniche di
biologia molecolare abbiamo subito la diagnosi».
Ricerca e l'innovazione sono dunque la chiave per invertire la tendenza e contrastare la
resistenza antimicrobica.