Il-Trafiletto
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06/01/14

L’eterna guerra contro i batteri: antibiotici sempre meno efficaci!

L’eterna guerra contro i batteri dura ormai da troppo tempo: dopo 85 anni gli antibiotici sono sempre meno efficaci, mostrando segni di resa inevitabile contro i batteri, nemici del nostro organismo, ma come pensate possa essere il nostro futuro se per un motivo qualunque dovessimo perdere questi farmaci? In un'epoca post-antibiotici, la pratica medica andrebbe senz’altro rivista e corretta.

Infatti senza la loro azione difensiva, chemioterapia e immunosoppressori assumerebbero un aspetto a dir poco inquietante, passando ad essere invece che cure a delle pratiche pericolose, così come la dialisi o gli interventi chirurgici: qui l'infezione sarebbe una ecatombe. Da uno studio britannico si è potuto appurare che una procedura comune come la protesi all'anca metterebbe in pericolo di vita 1 paziente su 6, per non parlare dei parti cesarei, biopsie, e finanche un tatuaggio o una liposuzione potrebbero risultare essere fatali.
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Antibiotici meno efficaci contro i batteri
Ma sui limiti degli antibiotici già in passato fu proprio lo scopritore della penicillina, il biologo Alexander Fleming, a metterci in guardia, mentre ritirava il suo Nobel: «non è difficile creare microbi resistenti in laboratorio, è sufficiente esporli a concentrazioni di antibiotico insufficienti a ucciderli… L'uomo può facilmente sottodosare il farmaco facilitando il fenomeno della resistenza». Fleming aveva visto bene.

Più gli antibiotici sono diventati accessibili e il loro uso è aumentato, più i batteri hanno sviluppato sempre più rapidamente le difese: in totale oggi sono 18 i batteri che rappresentano una seria minaccia.
Per le istituzioni sanitarie europee e americane questa è a tutti gli effetti una una crisi. «Se non stiamo attenti ci sarà presto un'era post-antibiotica», ha detto Thomas Frieden, direttore dei Cdc statunitensi. E per alcuni pazienti e alcuni batteri questa "era" è già arrivata: solo in Europa sono 25.000 i morti a causa di infezioni ospedaliere resistenti. L'Oms prevede che il costo totale del trattamento di tutte le infezioni resistenti agli antibiotici in ospedale è di circa 10 miliardi di dollari all'anno.

L’impotenza di fronte a uno scenario di tale portata è disarmante, dal momento che sono ben note tanto le cause quanto gli effetti. Ma poiché si tratta di un fenomeno che si evolve lentamente, le contromisure continuano a essere rimandate. E' lo stesso atteggiamento che la società e le istituzioni hanno nei confronti del cambiamento climatico. E' assodato, se ne discute da anni, ma di fatto resta un problema insoluto, da far risolvere alle prossime generazioni. E anche nel caso della resistenza agli antibiotici, siamo tutti responsabili: dalle aziende farmaceutiche che negli anni non hanno investito per scoprirne di nuovi, ai medici che ne prescrivono troppi e spesso quando non sono necessari, lo sono i pazienti che ne abusano o non ne rispettano la posologia, lo sono gli agricoltori: negli States l'80% degli antibiotici venduti vengono usati in agricoltura, per ingrassare animali e proteggerli dalle malattie. E lo stesso vale per la frutta. «L'impatto sulla società è notevole - ha detto Steve Solomon, direttore dell'ufficio del Cdc per la resistenza agli antibiotici - Si sviluppa nei pazienti e si diffonde nella comunità. Le minacce per la salute aumentano e diventano sempre più complesse».

Ma se l'evoluzione batterica è ineluttabile, il pericolo potrebbe dunque non avere mai fine? Probabile, a meno che non si introducano alcuni cambiamenti. Danimarca, Norvegia e Olanda hanno attuato un regolamento governativo sull'uso medico e agricolo di questi farmaci, ma gli Stati Uniti non sono disposti a tali controlli e hanno emanato un orientamento volontario e non obbligatorio. E l'Unione europea per voce della commissaria alla ricerca Máire Geoghegan-Quinn, ha annunciato il lancio di 15 nuovi progetti di ricerca sulla resistenza antimicrobica che beneficeranno di un contributo pari a 91 milioni di euro.

Servono quindi nuove idee, non solo nuovi antibiotici. Per esempio il controllo automatico delle prescrizioni attraverso le cartelle cliniche informatizzate, lo sviluppo di test diagnostici rapidi e un diverso approccio clinico alle infezioni.«Siamo in una fase in cui abbiamo bisogno di molti e nuovi agenti terapeutici. Non c'è dubbio su questo - chiarisce Pascale Cossart, direttrice dell'Unità per le interazioni batteri cellule all'Istituto Pasteur di Parigi -. E questi farmaci devono essere sviluppati sulla base di tutte le conoscenze acquisite negli ultimi anni, focalizzando meglio i particolari del processo infettivo e poi chiedersi se, anziché ricorrere agli antibiotici, non si possa seguire una strategia totalmente diversa, cercando, ad esempio, di impedire la penetrazione del batterio nelle cellule.

O se il batterio produce tossine, lavorare per contrastarne la proliferazione e di conseguenza prevenire l'infezione». Cossart conclude che serve investire anche sugli strumenti diagnostici, kit rapidi e facili da usare. «La diagnosi precisa è la chiave per prevenire le conseguenze catastrofiche di una qualsiasi malattia infettiva». È della stessa idea Klemens Wassermann dell'Austrian Institute of Technology, giovane ricercatore di talento che ha vinto il Falling Walls Conference di Berlino. «A causa della rapida diffusione di batteri resistenti, la procedura standard non è più praticabile -spiega - Noi abbiamo trovato un modo che in una manciata di secondi e in maniera completamente automatizzata svela il patogeno coinvolto . Applicando un campo elettrico specifico in un dispositivo microfluidico intelligente, separiamo, rompendole, le cellule ematiche umane dai batteri, che invece restano integri. Li concentriamo nel campione e con tecniche di biologia molecolare abbiamo subito la diagnosi». Ricerca e l'innovazione sono dunque la chiave per invertire la tendenza e contrastare la resistenza antimicrobica.


23/12/13

Il bello della…matematica!

Sapete il perché le particelle prediligono essere espresse da equazioni belle anziché brutte? Come mai la matematica va d’amore e d’accordo con tutto ciò che è “bello”? Ci pensa il premio Nobel per la fisica Paul Dirac a provare a dare una risposta, anzi…ha provato a darla molto tempo fa, visto che è vissuto nel secolo scorso, con il suo libroLa bellezza come metodo”. Il manoscritto detiene i più importanti scritti e conferenze dell’illustre scienziato, tra i maggiori fondatori della meccanica quantistica e della fisica moderna.
Narrando una parte della propria vicenda scientifica, l’autore prova a spiegare come l’idea di bellezza sia il fondamento della matematica e della fisica. In senso lato, la matematica è lo strumento per indagare il mondo fisico, dunque la “Natura”: questa efficacia della matematica nella fisica è la conseguenza di una corrispondenza – o addirittura di una coincidenza – delle due discipline, che tenderanno ad unificarsi. In tale prospettiva, la bellezza diventa il metodo con cui lo scienziato deve procedere: da un lato essa è una sorta di guida nella ricerca scientifica, dall’altro un criterio di valutazione delle teorie.

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"La Bellezza del Mondo" di Dirac
Un esempio del legame tra la matematica, la fisica e la bellezza? In fisica non tutti i fenomeni possono essere rappresentati mediante equazioni semplici: la teoria della relatività di Einstein sviluppa un’elaborazione complessa della gravitazione. Sebbene manchi di semplicità, la teoria viene resa accettabile per tutti. E questo è possibile grazie alla sua bellezza, che si manifesta, ad esempio, nella rivoluzione del concetto di spazio-tempo: le tre dimensioni spaziali e la dimensione temporale sono unificate in un’unica realtà quadridimensionale.

In generale, Dirac preferisce cercare le leggi della Natura partendo dalla matematica astratta, piuttosto che dai fenomeni con cui essa si manifesta. Uno dei due limiti che individua nella meccanica quantistica, infatti, è la “sconfitta” del determinismo, sostituito dalla visione probabilistica. Così la natura è sottoposta alle leggi della probabilità e in qualche modo non più a quelle della matematica: proprio per questo Dirac, raggiungendo le vette del suo ‘matematicismo’, sospetta che i fondamenti della meccanica quantistica non siano ancora definitivi.

Nel libro, lo scienziato premio Nobel racconta come è arrivato alla famosa “equazione di Dirac” (iγ·∂ψ = mψ) - che da lui prende il nome -, la quale descrive il comportamento dell’elettrone tenendo conto sia della meccanica quantistica che della relatività einsteiniana. C’è un problema però: nella meccanica quantistica, e dunque anche nel modo in cui essa descrive le particelle, sono presenti alcuni “infiniti”: si tratta di quantità infinitamente grandi, che di fatto violano i principi fisici. Questi infiniti sono espressione di un’imperfezione, che rende la teoria “brutta”: in questo caso, è un po’ come se dicessimo che anche l’elettrone ‘insegue la bellezza’ (dato che è come se ‘non accettasse’ questa violazione). I fisici perciò pongono riparo al problema mediante altre teorie, come quella della rinormalizzazione, un metodo che cancella queste quantità enormi.

Un altro problema riguarda il valore di “α”, una delle costanti più usate in fisica (che al suo interno contiene un parametro elettromagnetico fondamentale, la carica elettrica elementare); la domanda è: perché il rapporto 1/α vale proprio 137 e non un altro numero? Si tratta di un quesito sondato a lungo che non ha avuto una risoluzione significativa. Dunque, ecco un altro esempio di come la mancanza di bellezza corrisponda all’assenza di una spiegazione matematica (almeno per il momento): a conferma dell’ipotesi dell’autore, secondo cui la bellezza è il fondamento di questa disciplina.

L’autore racconta anche un episodio legato al fisico Schrödinger, il quale non pubblicò l’equazione relativistica sul comportamento dell’elettrone nell’atomo di idrogeno: essa era esteticamente bella, ma non era confermata dagli esperimenti. L’equazione originale di Schrödinger fu riscoperta in seguito da Klein e Gordon, che la pubblicarono. “Credo che ci sia una morale in questa storia”, afferma Dirac nel suo libro. “È più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti”.



09/12/13

“AdA” entra di diritto nella storia.

AdA, ovvero il primo acceleratore che ha fatto scontrare tra loro fasci di particelle, ha ottenuto un importante riconoscimento dalla European Physical Society (EPS): si tratta di un luogo storico. L’Anello di Accumulazione (AdA) fu realizzato a Frascati nel 1961 da un gruppo di giovani ricercatori supervisionati dal fisico austriaco Bruno Touschek ideatore un’iniziativa rivoluzionaria: cioè realizzare un anello in cui far circolare, accelerandoli in senso opposto, due fasci di particelle (elettroni e positroni), per poi successivamente farli scontrare e produrre, nelle collisioni, altre particelle. Lo stesso principio con cui funziona LHC, suo diretto gigantesco discendente, in cui però si fanno scontrare fasci di protoni.

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AdA primo accelleratore di fasci di particelle
L’anno dopo AdA si trasferì a Orsay in Francia al LAL (Laboratoire de l’Accélérateur Linéaire) dove fu possibile metterla alla prova a ben più alte intensità; tale trasferimento diede l’inizio della sperimentazione nella fisica delle collisioni tra gli elettroni e le loro antiparticelle, i positroni. In seguito presso i Laboratori Nazionali dell’INFN furono realizzati gli acceleratori Adone (1969) e Dafne (1999) che hanno dato contributi fondamentali allo sviluppo della fisica delle particelle elementari.

Pur avendo avuto una vita scientifica breve, AdA rimane una pietra miliare della storia della scienza perché è stata il capostipite di generazioni di acceleratori, oggi nel mondo se ne contano 30.000, che oltre ad aver aperto la frontiera della conoscenza dell’infinitamente piccolo rappresentano ormai un importante strumento nel mondo dell’industria e della medicina. Dopo oltre mezzo secolo, nell’anno del Nobel per la Fisica a Englert e Higgs, reso possibile grazie alle scoperte ottenute a LHC, AdA è stata inserita tra i luoghi segnalati per il loro interesse storico dalla European Physical Society (EPS). Un riconoscimento che quest’importante istituzione conferisce a luoghi e in questo caso macchine che abbiano avuto un ruolo particolarmente rilevante nella storia della fisica in Europa.

AdA è nata ai Laboratori di Frascati perché, allora, il terreno in Italia per la ricerca era fertile e la rinomata scuola italiana di Fisica ha fatto il resto .” Commenta Umberto Dosselli, Direttore dei Laboratori Nazionali INFN di Frascati: “Questa tradizione, che ci ha portato a dare contributi fondamentali alla fisica delle particelle, rischia di inaridirsi se non si danno ai giovani mezzi per essere in prima linea nella competizione scientifica internazionale.”“AdA fa parte del patrimonio scientifico dell'Italia e dell'Europa”, spiega Luisa Cifarelli, presidente (2011-2013) della European Physical Society e ora Vicepresidente, cui si deve l'iniziativa dei Siti Storici EPS. "Oltre al ben noto patrimonio artistico culturale e a quello ambientale, con questa iniziativa l’EPS mira a identificare un nuovo tipo di patrimonio dell'umanità: quello scientifico-culturale. Affinché le più importanti tappe nella storia e nel progresso della fisica vengano rese note al grande pubblico, in uno spirito europeo di identità e di collaborazione".

02/11/13

Un Nobel più che meritato per i tre pionieri della tecnologia ai processi chimici: Karplus-Levitt-Warshel

Un Nobel più che meritato per i tre pionieri della tecnologia ai processi chimici: Karplus-Levitt-Warshel. 
La reale accademia di Svezia ha preso la decisione di assegnare il premio per la chimica al trio di ricercatori teorici, Martin Karplus, Michael Levitt e Arieh Warshel. I tre pionieri teorici sono stati insigniti del Nobel per aver sviluppato modelli capaci di descrivere reazioni chimiche complesse, processo molto utile per l'industria e per lo sviluppo di nuovi farmaci.
Cosi si evince nella motivazione di tale encomio: «Le reazioni chimiche avvengono alla velocità della luce ma i Nobel per la Chimica 2013 hanno permesso di mappare le vie misteriose della materia utilizzando i computer. Grazie alla loro conoscenza dettagliata e avanzata dei processi chimici sono stati implementati nuovi farmaci».
Karplus-Levitt-Warshel

Martin Karplus, 83 anni, è un professore emerito dell'università americana di Harvard, è nato a Vienna nel 1930, per poi trasferirsi negli Stati Uniti quando aveva soli 23 anni, per lavorare al California Institute of Technology (Caltech). Ha insegnato anche all'università francese di Strasburgo.
Michael Levitt, 66 anni, lavora all'università californiana di Stanford. Cittadinanza britannica, è nato in Sudafrica, a Pretoria, nel 1947 e si è trasferito in Gran Bretagna nel 1971 per lavorare nell'università di Cambridge.
Arieh Warshel, 73 anni, lavora alla University of Southern California a Los Angeles. È nato nel 1940 in Israele, nel Kibbutz Sde-Nahum ed ha la cittadinanza Israeliana e americana. In Israele ha lavorato nell'istituto Weizmann, a Rehovot.

«Un Nobel meritato, per studi che hanno portato allo sviluppo di metodologie che oggi sono uno standard nei laboratori chimici di ricerca». Si è espresso cosi Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, commentando il premio Nobel per la Chimica assegnato a Martin Karplus, Michael Levitt e Arieh Warshel. Le ricerche dei tre premiati, ha spiegato lo scienziato, hanno permesso di sviluppare tecniche computazionali di simulazione, ad esempio, dell'interazione fra farmaci e proteine, in modo da non fare esperimenti a vuoto ma capire, già dal calcolatore, se un farmaco potrebbe avere o no un buon effetto sull'organismo. Non solo questa metodologia viene impiegata anche nel caso dei pesticidi, per esempio. Grazie agli studi di quei ricercatori, oggi questa tecnica é diventata uno standard usato praticamente ovunque. Il loro lavoro ha avuto un riflesso molto largo su tutto il problema dello screening dei farmaci e delle sostanze chimiche che devono interagire con costituenti dell'organismo. Una grande ricaduta, in termini applicativi, esattamente come vuole la filosofia del Nobel.
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