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05/11/14

Due farmaci riportano i ricordi agli ammalati di Alzheimer

Due farmaci usati per trattare il diabete possono annullare gli effetti del morbo d'Alzheimer, sulla memoria riabilitando i ricordi. 


Questo il risultato di uno studio delle università britanniche di Lancaster e Ulste, pubblicato sulla rivista Neuropharmacology. I due farmaci aumentano la produzione di insulina, diminuendo la glicemia dal sangue e rallentando il transito del cibo nello stomaco.

Ora gli scienziati credono che questi due farmaci,  Liraglutide ( Victoza ) ed Exenatide ( Byetta ), potrebbero aiutare a risolvere i problemi di memoria causati dall'Alzheimer. In uno studio sui topi hanno infatti dimostrato che iniezioni giornaliere per 10 settimane hanno ridotto le placche amiloidi nel cervello e migliorato la memoria e la capacita' di riconoscere gli oggetti.

"Questi risultati sono molto interessanti", ha detto Christian Holscher, ricercatrice della Lancaster University che ha guidato lo studio. "Attualmente non ci sono farmaci sul mercato per il morbo d'Alzheimer, ma in realta' abbiamo due tipi di farmaci che mascherano i sintomi per un po'. Il lixisenatide e il liraglutide offrono un reale miglioramento trattando la base della malattia e, quindi, impedendo la degenerazione".

Dallo studio è emerso che questi analoghi dell’incretina attraversano la barriera ematoencefalica e mostrano attività fisiologica e neurogenesi nel cervello; questi farmaci potrebbero trovare impiego nel trattamento delle malattie neurodegenerative.


21/09/14

Giornata Mondiale dell'Alzheimer: dieci punti fermi

Oggi 21 settembre è la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, la più  temuta forma di demenza neurodegenerativa, che affligge circa 26 milioni di persone in tutto il mondo e quasi 500mila in Italia. Questa malattia è dovuta all’accumulo tra i neuroni di una proteina, la beta-amiloide, che forma delle placche e causa la distruzione delle cellule nervose, con conseguente perdita progressiva di memoria, disfunzioni sensoriali, difficoltà nel linguaggio, confusione, irritabilità e aggressività.


Ecco dieci punti da ricordare bene che riguardano questa grave malattia:

 1. Un membro della mia famiglia ha l’Alzheimer, quindi lo avrò di certo anche io. Sebbene la storia familiare,cioè la predisposizione genetica, abbia un ruolo nell’insorgenza della malattia, solo il 5% di casi ha cause genetiche. La verità, dunque, è che chi ha un parente con disturbo ha solo una probabilità leggermente superiore di svilupparlo.

 2. La sindrome di Alzheimer è una malattia degli anziani. Certo, l’età è il più grande fattore di rischio. Ma questo non vuol dire che tutti sviluppino la malattia in età avanzata. Alcune persone si sono ammalate tra quaranta e cinquant’anni: “Quello che è importante comprendere”, racconta l’Alzheimer SocietyCanada, “non è parte normale dell’invecchiamento”.

 3. Esiste una cura per l’Alzheimer? Purtroppo no: al momento non esiste alcuna cura. Tuttavia, alcuni pazienti possono gestire i sintomi e migliorare la qualità di vita con farmaci che stabilizzano temporaneamente la memoria e le abilità cognitive (la Food and Drug Administration statunitense ne ha approvati quattro). La buona notizia è che la ricerca sta facendo grandi passi in avanti – alcune molecole, attualmente in fase di test clinici, si sono mostrate in grado di agire direttamente contro il processo neurodegenerativo della malattia.

4. Diminuzione o perdita di memoria non vuol dire avere l’Alzheimer. Sebbene molte persone abbiano problemi di memoria, questo non vuol necessariamente dire che abbiano l’Alzheimer. Nel momento in cui i deficit di memoria inficiano la vita quotidiana e sono abbinati a problemi cognitivi o di comunicazione, la cosa migliore da fare è rivolgersi a un neurologo per scoprire le cause dei sintomi.

5. La malattia si può prevenire? No, dal momento che non se ne conoscono esattamente le cause. Si suppone, comunque, che uno stile di vita che mantiene corpo e mente in forma possa aiutare a diminuire il rischio di sviluppare la malattia. Si tratta dei soliti suggerimenti: condurre un’alimentazione ricca di pesce, frutta e verdura; mantenere in allenamento il cervello; ridurre lo stress; tenere sotto controllo la pressione sanguigna, la glicemia e il colesterolo; mantenersi socialmente attivi.

6. Vitamine e integratori possono ridurre il rischio di sviluppare l’Alzheimer? No. O meglio, non lo si sa con certezza. Sono stati effettuati diversi studi per capire se vitamine, integratori e farmaci per la memoria possano prevenire la malattia. I risultati ottenuti finora sono piuttosto nebulosi e non hanno risposto alla domanda.

 7. Il vaccino per l’influenza può provocare l’Alzheimer? Fortunatamente, si tratta di una bufala messa in circolazione da un medico statunitense poi radiato dall’ordine. In realtà, diversi studi  hanno collegato il vaccino per l’influenza e altre vaccinazioni a un rischio ridotto di contrarre la malattia e a un miglior stato di salute generale.

8. Bere da lattine con alluminio o cucinare in pentole che contengono alluminio può provocare l’Alzheimer? Il collegamento tra alluminio e Alzheimer è stato ipotizzato per la prima volta negli anni sessanta. Da allora, però, diversi studi hanno smentito ogni correlazione o, per lo meno, non hanno trovato alcuna prova definita che la dimostri.

9. I colpi alla testa provocano l’Alzheimer? Sebbene alcuni studi abbiano mostrato che la malattia sia leggermente più comune tra persone che hanno subito un forte trauma cerebrale (accompagnato da perdita di conoscenza), è necessaria una ricerca più approfondita per tracciare una correlazione diretta e capire cosa succeda esattamente al cervello dopo tali traumi.

10.  “L’Alzheimer”, spiega Alz.org, un’associazione statunitense, “non lascia sopravvissuti. Distrugge le cellule cerebrali e causa cambiamenti nella memoria, comportamenti confusi e perdita di funzioni corporee. Si porta via lentamente e dolorosamente l’identità di una persona, la capacità di connettersi con gli altri, di pensare, di mangiare, di parlare, di camminare”. È come se il corpo dimenticasse cosa bisogna fare per sopravvivere.

05/06/14

DSM-5 | Il fondamento biologico.

Alle edizioni recenti sono stati applicati standard più rigorosi: il DSM-5 è stato compilato da oltre 160 clinici di fama mondiale, che hanno valutato una cospicua massa di evidenze mediche. Tuttavia, mancano ancora test di laboratorio in grado di fornire diagnosi certe per la maggior parte delle malattie mentali, tra le quali il disturbo bipolare e la depressione. 

Solo pochissime, come la malattia di Alzheimer, hanno una base fisiopatologica ben identificabile. I detrattori come James Davies sostengono che ciò fa del DSM-5 uno strumento di scarsa validità scientifica, proprio come i suoi predecessori. "Gli scienziati non sono stati in grado di individuare marcatori biologici per quasi tutti i disturbi mentali, perché i disturbi per i quali si ricercano i marcatori, in realtà, non hanno alcuna fondatezza reale, al di fuori di quella attribuita loro dai manuali stessi.

Ciò non significa negare la sofferenza delle persone: significa sostenere che tale sofferenza è meno omogenea e meno categorizzabile di quanto i manuali di psichiatria vogliano farci credere", afferma Davies. Nick Craddock, professore di psichiatria all'Università di Cardiff, ammette i limiti di questo approccio: "Nella mia disciplina, ci affidiamo alla descrizione fatta dal paziente, e sulla base di essa dobbiamo arrivare alla diagnosi più appropriata.
DSM-5 il fondamento biologico
(immagine dal web)

Al momento, questo rimane l'approccio più adeguato", ha confessato. Craddock dice di rendersi conto delle falle del DSM, sostenendo però comunque la necessità di un sistema di classificazione. "In tanti hanno denunciato le pecche del DSM, allargando il discorso fino a dichiarare ridicola la diagnostica psichiatrica in generale. lo sono invece convinto della necessità di uno strumento diagnostico: è di importanza fondamentale per aiutarci a guidare i pazienti verso le terapie più indicate, sulla base delle conoscenze accumulate in anni di ricerca.

La mia opinione sul nuovo DSM-5 è che non fosse il momento giusto per sviluppare una nuova versione: l'opera non è stata migliorata, ma probabilmente non è neppure peggiorata in modo così catastrofico". Simon Wessely, invece, si spinge oltre, definendo il DSM-5 "un disastro in termini di immagine" per la psichiatria.(science)

23/04/14

Ce lo dirà un’analisi del sangue se avremo l’Alzheimer.

Dai risultati di uno studio dell'Università Cattolica di Roma e dell'ospedale Fatebenefratelli di Roma e Brescia e pubblicato sulla rivista scientifica "Annals of Neurology" si è scoperto che da un esame del sangue possiamo sapere se corriamo il rischio di ammalarci di Alzheimer, misurando la concentrazione di rame libero nel plasma, concentrazione che, se elevata, triplica il rischio di malattia. "La prospettiva è di prevenire la malattia abbassando i valori di rame nel sangue di soggetti a rischio", spiega Rosanna Squitti, del Fatebenefratelli di Roma."Negli ultimi anni diversi studi hanno confermato che il rame gioca un ruolo importante nei processi patologici della malattia nel 60% circa dei pazienti", spiega il coordinatore del lavoro Paolo Maria Rossini del Policlinico Gemelli. "Il rame libero, circolante nel sangue - che è in grado di raggiungere il cervello esercitando un'azione tossica - potrebbe divenire, dunque, un bersaglio preferenziale di terapie preventive almeno per i casi correlati appunto al rame". Nello studio gli esperti hanno seguito per 4 anni pazienti con lieve declino cognitivo e quindi ad alto rischio di Alzheimer. Su questi pazienti è stato eseguito il test del rame all'inizio dello studio. È emerso che con concentrazioni plasmatiche elevate di rame libero si ha un rischio triplicato di ammalarsi di Alzheimer. E’ di un mese fa l'annuncio di esperti della Georgetown University (negli Stati Uniti) circa un test del sangue con un'accuratezza del 90% per diagnosticare l'arrivo della patologia nell'arco di tre anni, misurando i livelli di 10 molecole. Il test italiano riguarda quei casi di Alzheimer che si possono considerare "rame-correlati" e potrebbe portare in pochi anni a terapie preventive volte ad abbassare i livelli di rame nei soggetti a rischio ed evitare così una caduta precoce nella patologia dell’Alzheimer.

11/03/14

Ricordiamoci di correre

In occasione della Settimana Mondiale del Cervello, in corso dal 10 al 16 marzo su tutto il territorio nazionale, è stata presentata a Roma un’interessante ricerca condotta dai medici neurologi dello Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr), relativa al rapporto tra attività fisica e produzione di cellule staminali da parte del cervello.
Lo studio, coordinato dal professor Stefano Farioli-Vecchioli in collaborazione con il dottor Vincenzo Cestari dell'università Sapienza di Roma, ha dimostrato che l’attività fisica e, in particolare la corsa, oltre a stimolare la produzione di neuroni, favorisce un’iper-proliferazione delle cellule staminali, ritardando il processo d’invecchiamento e favorendo un miglioramento dell’attività celebrale legata alla memoria. 

Grazie alla ricerca si è potuto dimostrare che la degenerazione neuronale in età adulta non è un processo necessariamente irreversibile dato che: “ Un esercizio fisico aerobico come la corsa blocca il processo di invecchiamento e stimola una massiccia produzione di nuove cellule staminali nervose nell’ippocampo, aumentando le prestazioni mnemoniche” come ha dichiarato Stefano Farioli-Vecchioli. Si aprono nuovi scenari per la medicina rigenerativa neuronale. I risultati della ricerca, infatti, avranno un’influenza molto importante sugli studi relativi alle patologie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer; il passo successivo sarà osservare e valutare se le cellule staminali iper-attivate possono avere effetti terapeutici validi nella prevenzione e cura di queste malattie. 
Questi e altri argomenti quali epilessia, sclerosi multipla, disturbi cognitivi e disordini della memoria, rapporto tra cervello e linguaggio, pensiero e ricordo, differenze di genere, prevenzione dei danni celebrali, saranno affrontati e discussi durante la Settima Mondiale del Cervello, promossa in Italia dalla Società Italiana di Neurologia, con tutta una serie di appuntamenti, incontri e seminari anche all’interno delle scuole, per una maggiore consapevolezza e conoscenza del nostro organo  più complesso.

04/03/14

L’Alzheimer si combatte anche a tavola. Con i Broccoli.

Dalla natuta un aiuto per la prevenzione di stress e Alzheimer. I broccoli. Lo sostiene uno studio presentato dal professor Paolo Costantino, docente di biologia molecolare presso l’Università La Sapienza di Roma, durante le giornate inaugurali del SapiExpo, manifestazione legata al prossimo Expo2015. Sostanza chiave delle proprietà benefiche dei broccoli sono gli antiossidanti, presenti in grande quantità soprattutto nei germogli. Essi garantirebbero un’azione preventiva contro la degenerazione cognitiva legata all’Alzheimer e lo stress ossidativo: “I comuni broccoli e in particolare i suoi germogli, sono ricchi di antiossidanti e abbiamo osservato effetti sorprendenti sulla salute umana. I risultati sono stati spesso straordinari, abbiamo verificato infatti un importante effetto protettivo sullo stress ossidativo e proprietà contro l’Alzheimer.” Afferma il Prof. Costantino. La scoperta è stata realizzata somministrando estratti di germogli di broccoli, in varie fasi della loro crescita, in campioni cellulari e in modelli animali capaci di simulare malattie umane. "I risultati. - ha spiegato il ricercatore - sono stati spesso straordinari, abbiamo verificato infatti un importante effetto protettivo sullo stress ossidativo e proprietà contro l'Alzheimer". Il principio attivo responsabile degli effetti benefici del broccolo, come ha spiegato Costantino, non è ancora stato individuato con certezza. Lo studio, ancora in corso e coordinato da ricercatori della Sapienza, e stato finanziato dalla Regione Lazio e coinvolge gruppi di ricerca molto diversi tra loro. Non è tuttavia il primo studio a indicare nei broccoli un potente alleato per la salute umana. Questo esemplare di verdura crucifera è stato associato anche a un’azione protettiva nei confronti dell’artrite, come dimostrano i risultati ottenuti dai ricercatori dell’Università dell’East Anglia, nel Regno Unito. Sono inoltre ricchi di vitamine C e K, oltre a vantare importanti proprietà protettive contro le patologie tumorali che colpiscono l’intestino.

07/01/14

Per i malati di Alzheimer la speranza viene dalla vitamina E.

I malati di Alzheimer possono sperare. Gli scienziati del Minneapolis VA Health Care System hanno scoperto che un dosaggio quotidiano di 2000 UI di vitamina E, rallenta molto più efficacemente il declino funzionale dei pazienti rispetto al placebo e a un noto farmaco per il trattamento dei sintomi dell’Alzheimer e riduce la loro necessità di essere assistiti. Il dottor Maurice W. Dysken e colleghi hanno condotto uno studio i cui risultati sono stati pubblicati sul Journal of American Medical Association (JAMA) e in cui si sono prese in considerazione l’efficacia e la sicurezza della vitamina E rispetto ad una classe di farmaci specifici per l’Alzheimer come la Memantina.
Lo studio ha coinvolto 613 pazienti con diagnosi di Alzheimer da lieve a moderata che, suddivisi a caso in quattro gruppi, avrebbero ricevuto: 1) 2.000 Unità Internazionali (UI) di vitamina E al giorno; 2) 20 mg di Memantina al giorno; 3) la combinazione delle due sostanze; 4) un placebo. Il follow-up è durato circa 2,3 anni, durante il quale le variazioni nel declino funzionale sono state valutate per mezzo dell’Alzheimer’s Disease Cooperative Study/Activities of Daily Living Score. RISULTATI: nei pazienti del gruppo 1) trattati con vitamina E hanno avuto una diminuzione del 19% nel tasso annuo di declino funzionale cerebrale, rispetto al gruppo 4) trattato con placebo. Inoltre i pazienti trattati con la vitamina E hanno avuto meno bisogno di assistenza personale e sanitaria rispetto sempre al gruppo placebo di circa 2 ore al giorno. Di contro i pazienti dei gruppi 2) e 3) trattati rispettivamente con Memantina e combinazione delle due sostanze non hanno mostrato benefici significativi rispetto al trattamento con la vitamina E. Un buon apporto di vitamina E può dunque essere benefico contro la malattia di Alzheimer, e la dieta è sempre il metodo migliore per assumere le vitamine. Tra i cibi che più contengono la vitamina E ricordiamo gli oli vegetali come l'olio di germe di grano e altri oli di semi come quelli di girasole, mais, nocciola, mandorle...

27/12/13

Commozioni cerebrali: che ruolo svolge l’Alzheimer?

Commozioni cerebrali, traumi cranici e rischio malattie degenerative, come l'Alzheimer. Già da qualche tempo nei “salotti” competenti si parla di questo probabile legame, infatti nel settembre scorso correva la notizia che i giocatori professionisti di football fossero esposti al rischio di sviluppare malattie neurodegenerative come Alzheimer e Sla fino a 3/4 volte in più rispetto a quello presente nella popolazione in generale.
Tra le tante ipotesi proposte dagli studiosi per dare una spiegazione a tutto ciò, ne spicca una in particolare non confermata, che all'origine di quanto detto sopra, potesse esserci una maggior frequenza nei giocatori di football di commozioni cerebrali. Oggi uno studio pubblicato su Neurology aggiunge nuovi dettagli sul possibile legame tra danni cerebrali e malattie neurodegenerative.

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Scansioni cerebrali
Per la loro ricerca gli scienziati guidati da Michelle Mielke del Mayo Clinic di Rochester hanno analizzato le scansioni cerebrali di quasi 600 persone, 141 dei quali con problemi di memoria e difficoltà cognitive (una condizione generalmente definita di deterioramento cognitivo lieve), registrando anche quanti di loro avevano avuto dei danni cerebrali con perdita di coscienza o memoria.

Analizzando i risultati, gli scienziati hanno trovato più placche amiloidi solo nel gruppo di persone con problemi cognitivi. In particolare quelli con problemi di memoria e che avevano riferito storie di trauma cranici passati avevano circa il 18% in più di placche amiloidi di quelli che non avevano avuto traumi. Dati che se da una parte "aggiungono valore all'idea che la commozione cerebrale e l'Alzheimer possano essere correlate", ha commentato Mielke, dall'altro non chiariscono che tipo di legame ci sia, come precisa la ricercatrice: "Il fatto che non abbiamo trovato un legame in quelli senza problemi cognitivi o di memoria suggerisce che qualsiasi associazione tra trauma cranico e placche amiloidi è complessa."

29/10/13

Alzheimer: trovati altri geni con un importante ruolo nella malattia

Una ricerca comparsa in una rivista scientifica 'Nature genetics', realizzata dai principali consorzi europei e americani del settore e col contributo dell'Università di Firenze, da come risultato la scoperta di undici geni associati alla malattia di Alzheimer.

Alzheimer.
 La strategia dello studio che ha coinvolto i soggetti in più repliche, ha portato a evidenziare risultati significativi a livello di geni, alcuni dei quali consentono di approfondire l’importanza di meccanismi della malattia già noti (associati alle proteine amiloide e tau), mentre altri sottolineano la rilevanza di nuove aree del cervello di potenziale interesse per la comprensione delle cause della malattia.
Alcuni di questi nuovi geni sono infatti coinvolti nel funzionamento dell’ippocampo, la prima area cerebrale che si altera a causa dell’Alzheimer, e nelle attività di comunicazione tra i neuroni. «Si tratta, in tutti i casi, di meccanismi - ha spiegato Nacmias - che hanno un ruolo importante nei processi che possono portare a neurodegenerazione. Ulteriori studi sono necessari per caratterizzare queste varianti dal punto di vista funzionale, per chiarire la loro associazione con il rischio di malattia e per definire meglio il loro ruolo nella fisiopatologia dell’Alzheimer».
«Questi nuovi dati forniscono nuovo impulso alla ricerca - ha commentato Sorbi - suggerendo indicazioni anche per lo sviluppo di strategie terapeutiche».
La malattia di Alzheimer è un processo neurodegenerativo che provoca un declino globale delle funzioni della memoria e di quelle intellettive, associato a un deterioramento della personalità e della vita di relazione. La malattia è causata da fattori genetici e ambientali, che favoriscono la progressiva deposizione all’interno del cervello di una particolare proteina, denominata beta-amiloide, con conseguenze tossiche sui neuroni, favorendo la progressiva degenerazione cerebrale. La malattia colpisce in modo conclamato circa il 5 per cento delle persone oltre i 60 anni. In Italia si stimano circa 600.000 ammalati. Il costante aumento della popolazione in età senile sta rendendo questa patologia una vera e propria «epidemia silente», con elevati costi sociali ed economici.

23/10/13

Alzheimer: nuove scoperte legate ai fattori genetici

Un nuovo studio poertato avanti dal Buck Institute for Age Research ha scoperto che l'ApoE4, fattore di rischio genetico correlato al pericolo di sviluppare l'Alzheimer,  è la causa di una drammatica riduzione della sirtuina 1 (SirT1), una nota proteina anti-invecchiamento.



Dagli esperimenti e' emerso anche che le anomalie associate all'ApoE4 e al morbo, come la creazione di beta-amiloide e fosfo-tau, possono essere evitate aumentando i livelli di sirtuina 1. "I nostri risultati - ha spiegato Rammohan V. Rao, leader della ricerca pubblicata sulla rivista PNAS - offrono nuove potenziali strategie per la prevenzione e il trattamento dell'Alzheimer. In particolare, forniscono la speranza di ideare terapie-schermo non tossiche che blocchino lo sviluppo del morbo tra gli individui portatori dell'ApoE4".
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20/10/13

Curcuma: medicina alternativa per contrastare tumore e Alzheimer

La curcuma: fai il pieno di salute e proteggiti dall'invecchiamento e dai tumori
Infatti la curcuma viene coltivata in diverse parti del mondo, in modo particolare in India, Cina, Taiwan, Sri Lanka, Indonesia, Perù, Australia e nelle Indie Occidentali.
E’ conosciuta per il suo sapore caldo, amaro e piccante, dal profumo delicato che ricorda un pò l’arancia e lo zenzero.
Tradizionalmente è chiamata zafferano indiano per il suo colore gialloarancio inteso ed è stata usata nel corso dei secoli come rimedio curativo, come condimento e come colorante tessile.
Il suo colore giallo intenso è dovuto alla curcumina, un potente antiossidante dalle spiccate virtù antinvecchiamento.
In etno-medicina è considerata una delle piante più importanti per la salute (soprattutto la radice fresca): è l'antinfiammatorio per eccellenza, purifica il sangue, ostacola lo sviluppo dei tumori, protegge il fegato.
Recentemente si è scoperto che rallenta il progresso dell'Hiv.
Questa radice di pianta tropicale, in Europa viene generalmente commercializzata secca già in polvere. Se avete la fortuna di possederne una radice intera, grattugiatela sulle vostre pietanze, farete il pieno di gusto e principi attivi benefici. 
Curcuma naturale
E' ottima nei risotti, sulle verdure cotte, nelle zuppe di legumi e per aromatizzare i formaggi freschi. 
Si scioglie più facilmente negli oli.
Recentemente, è stata oggetto di studi in relazione alle sue virtù antinvecchiamento: gli esami di laboratorio condotti da ricercatori italiani del Cnr di Catania, Università di Catania e Università di Pavia e ricercatori statunitensi del New York Chemical College hanno confermato la capacità dei suoi antiossidanti nel contrastare lo sviluppo di disordini neurodegenerativi legati all'invecchiamento del cervello, quali il cancro e l'Alzheimer!
Quindi vi do 10 BUONI MOTIVI PER AGGIUNGERE nella tua cucina e nella tua vita la Curcuma
1. Accellera la guarigione delle ferite e il rimodellamento della pelle danneggiata
2. Può aiutare nel trattamento della psoriasi e di altre condizioni infiammatorie della pelle
3. E’ un agente natuarle antisettico e antibatterico
4. Disintossicante naturale del fegato
5. Può impedire le metastasi che si verificano in molte diverse forme del cancro (colon, seno, polmoni, prostata)
6. E’ un potente antinfiammatorio naturale senza effetti collaterali
7. Combinato con il cavolfiore ha dimostrato di prevenire il cancro alla prostata e fermare la crescita di quello già esistente
8. Previene l’ossidazione del colesterolo proteggendo il cuore da placche che possono causare ictus o attacchi di cuore
9. Può prevenire e rallentare la progressione della malattia di Alzheimer
10. Cura naturale per i dolori articolari
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