Alzheimer. |
Alcuni di questi nuovi geni sono infatti coinvolti nel funzionamento dell’ippocampo, la prima area cerebrale che si altera a causa dell’Alzheimer, e nelle attività di comunicazione tra i neuroni. «Si tratta, in tutti i casi, di meccanismi - ha spiegato Nacmias - che hanno un ruolo importante nei processi che possono portare a neurodegenerazione. Ulteriori studi sono necessari per caratterizzare queste varianti dal punto di vista funzionale, per chiarire la loro associazione con il rischio di malattia e per definire meglio il loro ruolo nella fisiopatologia dell’Alzheimer».
«Questi nuovi dati forniscono nuovo impulso alla ricerca - ha commentato Sorbi - suggerendo indicazioni anche per lo sviluppo di strategie terapeutiche».
La malattia di Alzheimer è un processo neurodegenerativo che provoca un declino globale delle funzioni della memoria e di quelle intellettive, associato a un deterioramento della personalità e della vita di relazione. La malattia è causata da fattori genetici e ambientali, che favoriscono la progressiva deposizione all’interno del cervello di una particolare proteina, denominata beta-amiloide, con conseguenze tossiche sui neuroni, favorendo la progressiva degenerazione cerebrale. La malattia colpisce in modo conclamato circa il 5 per cento delle persone oltre i 60 anni. In Italia si stimano circa 600.000 ammalati. Il costante aumento della popolazione in età senile sta rendendo questa patologia una vera e propria «epidemia silente», con elevati costi sociali ed economici.