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24/10/14

Disturbi dell umore "depressi" dal movimento fisico

In base ad uno studio eseguito allo University College della capitale londinese e successivamente reso pubblico sulla rivista Jama Psychiatry, gli esseri umani aventi un età che varia fra i 23 e i 50 anni, manifestano una quantità di distrubi dell'umore, se praticano con costanza attività fisica.


Contrariamente agli individui che preferiscono una sedentarietà maggiore che appaiono più vulnerabili e esposte a provare la sintomatologia relativa alla depressione.
I fautori dello studio hanno dato luogo ad analisi riguardo i dati di quasi 11000 individui nate nel 1958 di conseguenza sono stati a disposizione, informazioni riguardo il loro grado di attività motoria e dei sintomi depressivi all'età di 23, 33, 42 o 50 anni.

Passando ad esaminare gli individui che "praticavano" la pigrizia, che si sono decise a svolgere un'attività fisica costante, aldilà dell'età, hanno constato il fatto che si è notevolmente ridotto il loro pericolo di cadere in depressione durante l'arco di 5 anni del 19%. Coloro che rappresentano le vittime della depressione, sono apparse le meno propense all'attività in senso lato per tal motivo gli studiosi hanno concluso che l'attività fisica può alleviare i sintomi depressivi nella popolazione generale, ma la depressione in età adulta è un forte deterrente per l'attività sportiva.


16/10/14

"Europa ed Italia rischiano" | Is e Siria l'oggetto della conferenza video del Presidente degli Stati Uniti con gli alleati

"Europa e Italia sono a forte rischio"! L'azione opprimente dell'Is in Siria e in Iraq comporta notevoli rischi, sia per l'Europa che per l'Italia in particolare.


La forza d'urto che il movimento terroristico, pare poter coinvolgere anche altre squadre jihadiste e dell'estremismo islamico in aree non confinanti ai territori sotto controllo.

Urge dunque che l'Italia, di pari accordo con le Nazioni Unite e Unione Europea, conferisca la massima attenzione agli eventi che si susseguono e metta in atto ogni possibile rimedio per deterrere, in particolare, un'ulteriore conflitto intestino in Libia".

Toni preoccupati quelli che aleggiavano attorno alla nota diffusa dal Quirinale, a seguito il Capo dello Stato Italiano, ha guidato il Consiglio Supremo di Difesa a cui oltretutto hanno fatto parte, tutto lo stato maggiore italiano: il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, il ministro degli Esteri Federica Mogherini, il ministro degli Interni Angelino Alfano, il Ministro della Difesa Roberta Pinotti e il capo di Stato Maggiore della Difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli.
La minaccia foreign fighters

"La minaccia causata dai famigerati foreign fighters - fa seguito il documento - fa apparire chiaro ed inequivocabile la necessità di un'ulteriore sforzo congiunto all'interno e senza alcuna soluzione di continuità, che vada sia sul fronte informativo, che su quello esecutivo, dai facenti parte dei dispositivi di sicurezza esterna e interna nazionali e internazionali. Dalla situazione attuale, appare chiara l'impellenza e l'imprescindibilità, anche se entro i limiti della insufficente disponibilità di risorse, di una rapida trasformazione delle nostre Forze Armate e dell'organizzazione europea della sicurezza".

Il Presidente del Consiglio, ieri ha discusso in videoconferenza l'azione della Coalizione riguardo l'opposizione all'espansione dello Stato Islamico in Siria è Iraq con il presidente deli Stati Uniti Barack Obama, quello francese Francois Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel. Ancor prima di discutere lo stato attuale della situazione con i leader e alleati europei, Obama ha tenuto una riunione privata lontano da occhi indiscreti e dal pubblico con i capi degli eserciti delle 20 Nazioni impegnate a fronteggiare l'Is, ove fra queste figurano ancora Italia, Turchia e Arabia Saudita. Mancava soltanto la frangia anti- Bashar al-Assad, in quanto che al breafing, hanno reso noto fonti ufficiali citate da Cnn, era "per soli Stati sovrani".


27/09/14

Prostata | Uomini, mangiate molti pomodori per evitare il tumore alla prostata.

Il licopene è un composto chimico antiossidante formato solo da idrogeno e carbonio, appartenente al gruppo dei carotenoidi. È un additivo alimentare usato come colorante e identificato dalla sigla E160d. La maggiore fonte di licopene è rappresentata dal pomodoro e dai suoi derivati, dove rappresenta il 60% del contenuto totale in carotenoidi. Il contenuto in licopene è influenzato dal livello di maturazione del pomodoro, è stato calcolato infatti che in pomodori rossi e maturi sono presenti 50 mg/kg di licopene. E proprio grazie a questo composto che il cancro alla prostata si riduce di un buon 20% nei soggetti che amano fare uso a pranzo di elevate quantità di pomodoro. Lo rivela uno studio pubblicato su Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention e svolto da scienziati dell'Università di Bristol, in collaborazione con le Università di Cambridge e Oxford. Tale studio ha monitorato lo stile di vita di circa 20.000 uomini inglesi di età compresa tra i 50 e i 69 anni. Dai risultati ottenuti è emerso che nelle persone che avevano consumato più di 10 porzioni di pomodori alla settimana – in forme varie come pomodori freschi, succo di pomodoro, sugo – si è vista una diminuzione del 18% del rischio di cancro alla prostata, dato da non sottovalutare visto che tale tumore è il secondo in ordine di mortalità tra la popolazione mondiale di sesso maschile. Secondo gli studiosi dovranno essere condotti ulteriori studi a conferma di tali risultati, soprattutto per quanto riguarda la sperimentazione sugli esseri umani, inoltre consigliano di non limitarsi all’uso dei soli pomodori per questo tipo di prevenzione, ma di mangiare una grande scelta di frutta e verdura, mantenendo un peso adatto, magari conciliandolo con della sana attività fisica.

03/09/14

Bere tanti caffè porta al diabete

Bere più di tre tazze di caffè al giorno può raddoppiare il rischio per ogni persona di sviluppare il diabete, e diversi ricercatori nel mondo hanno messo in guardia su questo pericolo. 


Regolarmente si beve il caffè e non si sa che questo può aumentare il rischio del prediabete che è la fase iniziale del diabete conosciuto come tipo due, infatti in queste persone che metabolizzano la caffeina lentamente si nota spesso che soffrono di ipertensione, gli scienziati hanno scoperto che: su 1.180 pazienti di età compresa tra i 18 ei 45 anni, che ha subito una fase di ipertensione ossia la pressione alta, ma non il diabete e l’87 per cento di loro beveva da 1 a 3 tazze al giorno, mentre il 13 per cento ne beveva di più.

Lo studio ha trovato che il 42 per cento dei partecipanti erano metabolizzatori veloci di caffeina e il 58 per cento erano lenti.

Nel corso di sei anni, gli scienziati hanno diagnosticato il prediabete nel 24 per cento dei pazienti.
I bevitori di caffè di tipo moderato sono stati trovati ad avere un 34 per cento di aumento del rischio di prediabete mentre i tossicodipendenti della caffeina erano il 50 per cento con maggiore rischio.

Quindi attenzione nell’uso e nell'abuso del caffè.
Caffè e diabete

27/07/14

I vostri geni | Vi sottoporreste a un test per scoprire che cosa aspettarvi ?

Angelina Jolie ha annunciato di essersi sottoposta a mastectomia bilaterale per ridurre al minimo il rischio di contrarre un carcinoma al seno. 

Presto, molti di noi potrebbero dover prendere una decisione analoga. Sottoporsi o no a un test genetico? E che fare, in caso di brutte notizie? Jolie, come circa una persona su mille, ha una copia difettosa del gene BRCA1.

Le donne con quest'anomalia hanno dal 60 al 90 per cento di possibilità di ammalarsi di carcinoma mammario, e dal 40 al 60 per cento di chance di contrarre carcinoma ovarico. BRCA1 contribuisce alla riparazione di danni al DNA: se questo gene non funziona a dovere, le mutazioni genetiche non vengono resettate e le cellule possono moltiplicarsi in maniera incontrollata, dando origine a tumori. "Stiamo individuando molti altri geni che potrebbero influenzare l'insorgenza di tumori al seno, anche se molti di essi giocano un ruolo meno significativo di BRCA1 e BRCA2", dice Doug Easton dell'Università di Cambridge, genetista la cui attività è sovvenzionata da Cancer Research UK.
Angelina Jolie e Brad Pitt

"In futuro, probabilmente i test verranno ampliati per comprendere una gamma più vasta di modificazioni genetiche", aggiunge. "Idealmente, i pazienti ad alto rischio potrebbero così essere trattati con farmaci ad azione preventiva".

Sono già in arrivo test genetici a più ampio raggio. Dal 2014, alle donne in cura per carcinoma mammario e ovarico presso l'ospedale Royal Marsden di Londra sarà offerto uno screening di 97 geni che aumentano il rischio tumorale. I test saranno utilizzati per selezionare le terapie farmacologiche e decidere quanto tessuto asportare insieme al tumore: in presenza di geni correlabili a un particolare tipo di carcinoma, potrebbe essere asportata in vi; precauzionale una maggior quantità di tess Tuttavia, non è facile decidere se sottoporsi o meno a test genetici, soprattutto se volti determinare il rischio di patologie come la malattia di Huntington, che non è curabile né rallentarle: le percentuali di suicidi tra soggetti che si erano sottoposti al test con positivi ha suggerito l'obbligatorietà di un; valutazione psicologica preliminare.(science)


26/07/14

Meteorologia | Studiati i "fulmini bui" sulla Terra

 Studiati i "fulmini bui" sulla Terra
Quando infuriano i temporali, a volte i normali fulmini sono accompagnati da emissioni invisibili di radiazioni altamente energetiche. 

Questi lampi, battezzati "fulmini bui", non sono altro che raggi gamma che trasportano una quantità di energia molto superiore alle scariche tradizionali: l'energia, però, non va lontano, in quanto tende a disperdersi in tutte le direzioni.

La domanda cruciale è: che cosa accadrebbe ai passeggeri di un aereo che si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato? Sarebbero esposti a livelli di radiazioni potenzialmente letali? A questa domanda hanno voluto rispondere Joseph Dowyer e la sua équipe del Florida Institute of Technology: il loro nuovo modello consente di prevedere come si generano i "fulmini bui" durante un temporale e conferma le precedenti osservazioni fatte dai satelliti. Il verdetto? Attraversare una tale esplosione energetica all'interno di un aeromobile espone a radiazioni pari a quelle somministrate durante una TAC "total-body", dice Dowyer. Livelli, dunque, non mortali e anzi a basso rischio. I piloti tentano comunque sempre di evitare l'attraversamento di temporali, e i fulmini bui in ogni caso si verificano soltanto una volta ogni mille lampi comuni.(science)


19/05/14

Vogliamo evitare l'Ictus? Mangiamo più fruttae verdura.

Questa volta lo studio arriva dalla Cina, e precisamente dalla Qingdao University, ed è stato pubblicato sulla rivista specializzata "Stroke". Gli alleati preziosi per la nostra salute sono questa volta frutta e verdura. Mangiare abbondantemente questi due alimenti, secondo lo studio, contribuisce a ridurre il rischio di avere un ictus in media del 20%. I ricercatori hanno combinato i risultati di venti studi diversi effettuati negli ultimi 19 anni e sono giunti al risultato che mangiando 200 grammi di frutta al giorno si ha una diminuzione del rischio di ictus pari al 32%. Un pò meno per la verdura, mangiandone sempre 200 grammi/die il rischio diminuisce dell'11%. Sembra che il merito di ciò sia imputato ai carotenoidi, un genere di antiossidanti presenti in molti tipi di frutta e verdura. In un altro studio è stato notato che pazienti con bassi valori di tre carotenoidi, e precisamente l'alfa-carotene, il beta-carotene e il licopene erano soggetti ad un rischio più elevato di ictus. Mangiando quindi più frutta e verdura abbiamo la capacità, oltre che fornire il nostro organismo di carotenoidi, di controllare la pressione sanguigna, e di migliorare il microcircolo; non solo, ma controlliamo anche il colesterolo, la massa corporea e le infiammazioni, tutti fattori, questi, che aumentano il rischio di ictus.

15/05/14

Se fumi rischi un invecchiamento cerebrale precoce, smetti e ti torna il buonumore.

“Perché fumo? A cosa serve fumare?” Quante volte ci siamo posti queste domande, dandoci anche delle risposte abbastanza scontate, ma senza mai prendere una drastica decisione e dare un taglio netto alla sigaretta. “Lo so, non serve a niente, ma fumare mi rilassa, mi dà sicurezza con gli altri, non ne posso fare a meno, e poi posso smettere quando voglio”, ci giustifichiamo. Senza pensare a quanti e quali danni possiamo avere a breve o a lungo termine. Uno studio durato 25 anni, effettuato dai ricercatori dell’University College di Londra (apparso su Archives of General Psychiatry) condotto su 7.236 uomini e donne di mezza età (dipendenti del Servizio civile inglese), ha dato come risultato un’accelerazione del rischio di demenza ed invecchiamento precoce del cervello, a cominciare dai 45 anni di età. Ai volontari di questo studio è stato chiesto di svolgere alcuni prove cognitive a tre età diverse: tra i 44-69 anni, tra i 50 e i 74, e tra i 55 e gli 88, e si è arrivati alla conclusione che i fumatori mostravano un declino cognitivo più veloce, di circa 10 anni, rispetto ai non fumatori. E più numerose erano le sigarette fumate, maggiori erano i danni neurologici. Ma c’è un altro studio condotto dai ricercatori dell’Università di Nottingham e pubblicato sulla rivista medica British Medical Journal dove si è studiata la salute psicologica di circa 1500 partecipanti a dei corsi contro il fumo, misurandola sei settimane prima del corso e poi ricalcolandola dopo altre sei settimane senza aver fumato. I risultati hanno dimostrato che dopo un primo momento di variazione di umore, dovuto probabilmente allo stop drastico del fumo di sigaretta, nella totalità dei volontari è stato notato un evidente calo dei sintomi ansiosi e depressivi, lasciando spazio all’ottimismo e alla voglia di programmazione. Smettere di fumare quindi non può che fare bene alla salute dell’uomo (e della donna), dal momento che sono sufficienti poche settimane per riscontrare effetti positivi sull’apparato cardiocircolatorio per arrivare, a 10 anni dopo lo stop al fumo di sigaretta, a un rischio di malattie cardiovascolari e tumorali pari a quelle di un soggetto che non ha mai fumato. E non è poco.

23/04/14

Ce lo dirà un’analisi del sangue se avremo l’Alzheimer.

Dai risultati di uno studio dell'Università Cattolica di Roma e dell'ospedale Fatebenefratelli di Roma e Brescia e pubblicato sulla rivista scientifica "Annals of Neurology" si è scoperto che da un esame del sangue possiamo sapere se corriamo il rischio di ammalarci di Alzheimer, misurando la concentrazione di rame libero nel plasma, concentrazione che, se elevata, triplica il rischio di malattia. "La prospettiva è di prevenire la malattia abbassando i valori di rame nel sangue di soggetti a rischio", spiega Rosanna Squitti, del Fatebenefratelli di Roma."Negli ultimi anni diversi studi hanno confermato che il rame gioca un ruolo importante nei processi patologici della malattia nel 60% circa dei pazienti", spiega il coordinatore del lavoro Paolo Maria Rossini del Policlinico Gemelli. "Il rame libero, circolante nel sangue - che è in grado di raggiungere il cervello esercitando un'azione tossica - potrebbe divenire, dunque, un bersaglio preferenziale di terapie preventive almeno per i casi correlati appunto al rame". Nello studio gli esperti hanno seguito per 4 anni pazienti con lieve declino cognitivo e quindi ad alto rischio di Alzheimer. Su questi pazienti è stato eseguito il test del rame all'inizio dello studio. È emerso che con concentrazioni plasmatiche elevate di rame libero si ha un rischio triplicato di ammalarsi di Alzheimer. E’ di un mese fa l'annuncio di esperti della Georgetown University (negli Stati Uniti) circa un test del sangue con un'accuratezza del 90% per diagnosticare l'arrivo della patologia nell'arco di tre anni, misurando i livelli di 10 molecole. Il test italiano riguarda quei casi di Alzheimer che si possono considerare "rame-correlati" e potrebbe portare in pochi anni a terapie preventive volte ad abbassare i livelli di rame nei soggetti a rischio ed evitare così una caduta precoce nella patologia dell’Alzheimer.

26/03/14

poca quantità di omega 3 e omega 6 nella nostra alimentazione.

Gli "omega-6 e omega-3" sono due classi di acidi grassi polinsaturi che hanno un ruolo protettivo per la salute dell'uomo. In uno studio AGE-IM, condotto da Nutrition Foundation of Italy con il supporto di 5 UTIC (Unità di terapia intensiva coronarica) distribuite sul territorio nazionale (Bologna, Cremona, Ancona, Napoli e Palermo) è stata misurata in una popolazione italiana, la correlazione tra livelli ematici di questi acidi (omega-6 e omega-3) e il rischio di un evento acuto coronarico (infarto miocardico). Pubblicato su Atherosclerosis, lo studio (abstract), confrontando soggetti infartuati e sani (gruppo di controllo) mette in luce una riduzione del rischio di infarto miocardico fino all’85% associata ai livelli ematici più elevati di omega-6, e del 65% per i livelli più elevati di omega-3. “Nonostante gli studi caso-controllo come questo non possano dimostrare una relazione di causalità tra i parametri considerati” - precisa Salvatore Novo, direttore di Cardiologia al Policlinico Giaccone di Palermo, a nome dei cardiologi che hanno partecipato alla ricerca - i risultati suggeriscono l’esigenza di aumentare l’apporto alimentare di fonti di omega-6 (oli di semi, frutta con guscio e vegetali in generale) e omega-3 (soprattutto pesce) nella popolazione ad alto rischio” cardiovascolare. "L’integrazione farmaco-dieta rappresenta uno strumento fondamentale nella riduzione del rischio infarto”, aggiunge lo specialista. Il nuovo studio conferma invece come, nella dieta tipo degli italiani, non siano presenti concentrazioni sufficienti di acidi grassi omega-3 e omega-6. Infatti dalla ricerca è emerso che i consumi totali di acidi grassi polinsaturi erano pari a circa il 5% delle calorie, mentre le raccomandazioni internazionali suggeriscono, per gli omega-6, un apporto pari al 5-10% delle calorie totali. “In realtà – chiarisce Andrea Poli, direttore scientifico di Nfi – queste due famiglie di acidi grassi” cosiddetti ‘essenziali’, ossia non producibili dall’organismo, ma da introdurre con la dieta, “svolgono ruoli diversi e complementari. E ambedue sono consumati mediamente in quantità insufficienti nella dieta italiana moderna. Le evidenze disponibili – conclude – suggeriscono che dobbiamo aumentare sia l’apporto alimentare di omega-6 sia quello di omega-3″. ALIMENTI RICCHI DI OMEGA 3: Tonno fresco, salmone, sgombro, acciughe sott'olio, noci. ALIMENTI RICCHI DI OMEGA 6:Arachidi, olio di oliva, olio di girasole, noci.

22/03/14

La febbre: perchè ci colpisce?

La febbre,questa fastidiosissima "malattia" così chiamata erroneamente che, almeno una volta nella vita, ci ha colpiti tutti. Temperatura alta, debolezza, mal d'ossa, poco appetito, questi i suoi sintomi. E' comunemente ritenuta una malattia, ma in realtà la febbre è un meccanismo molto speciale attivato dall’organismo per un motivo ben preciso: difenderci dalle infezioni. Attaccato continuamente da virus e batteri, i maggiori responsabili delle infezioni, il nostro organismo risponde proprio innalzando la temperatura corporea: la febbre, infatti, mette a rischio la vita degli agenti patogeni che viaggiano per il nostro corpo, e permette alle nostre difese immunitarie di affrontarli alla meglio. E’ grazie alla febbre che riusciamo a produrre una quantità maggiore di anticorpi, le cellule amiche che si attaccano agli invasori, e proteine per combattere le infezioni e supportare i tessuti nell’eliminazione delle sostanze nocive. La febbre è generalmente un segnale positivo, che sta a significare che il corpo sta lottando contro l’infezione, ma attenzione: se troppo alta è bene farla scendere e chiedere al medico i farmaci più adatti a ciò. Una piccola curiosità da sfatare: spesso sentiamo dire che la febbre fa diventare più alti. Anche questa, come quella che la febbre sia una malattia e non un sintomo di qualcos’altro, è una falsa credenza: trascorrere molto tempo a letto fa sì rilassare i dischi di cartilagine tra le vertebre della colonna vertebrale, ma si tratta solo di un fenomeno momentaneo, alzandoci di nuovo dal letto si torna alla normalità.

07/03/14

Roma | I giovani che usano alcol e droghe hanno i testicoli più piccoli. Lo dicono gli andrologi.

Si è svolta a Roma nei giorni 4 e 5 marzo una conferenza che ha riunito gli esperti delle tre più importanti società del mondo scientifico che si occupano di Andrologia e che aveva come obiettivo, fra gli altri, quello di mettere in comune le  “Best Practice”. Dalla conferenza, patrocinata da Società Italiana di Andrologia (Sia), Società Italiana di Sessuologia Medica (Siams) e Società Italiana di Urologia (Siu), sono emerse interessanti informazioni su di un mondo, quello dell’Andrologia, che ancora risente della diffidenza e vergogna con le quali spesso l'uomo guarda a questo specialista. ''Ci sono voluti anni”, ha spiegato Vincenzo Mirone, presidente della Sia, “ma ormai le persone sono coscienti della rilevanza di questa figura”, e questo è un successo legato anche alla campagna “Amico andrologo”, condotta nelle scuole di tutta Italia su diecimila studenti maschi, dei quali oltre 4 mila si sono presentati per una visita specialistica. Un altro fattore importante che è emerso riguarda il fatto che, secondo Mirone, “grazie all'intervento di tutti gli specialisti delle diverse aree, come l'endocrinologia, siamo riusciti a creare un modello esportabile all'estero” il che è un ulteriore successo per la nostra specialistica, soprattutto perché è una delle rare volte che un modello organizzativo italiano ha questo successo. Un fatto importante che è emerso in conferenza è che nelle oltre 4.000 visite effettuate è stata riscontrata, nel 14% dei ragazzi, una diminuzione del volume dei testicoli che, dai primi dati sembra essere dovuta all’uso delle droghe ed al consumo di alcool tra i giovani. L’attenzione si è fermata sul fenomeno del “binge drinking”, la nuova moda che porta i ragazzi ad assumere grandi quantità di alcool in poco tempo. Il binge drinking, secondo una definizione, è l'assunzione rapida di un numero di bicchieri di bevande alcoliche, in genere oltre 5. Lo scopo è semplicemente quello di cadere in preda all’ebbrezza alcolica in un intervallo di tempo più o meno breve, nonché nella perdita di controllo. In uno studio pubblicato nel mese di marzo sulla rivista Clinical & Experimental Research, e condotto da ricercatori del Boston Medical Center della Boston University, sono stati analizzati i dati relativi a 446 adulti, fra uomini e donne che avevano episodi di binge drinking, e che a causa di ciò avevano un rischio mortalità significativamente più elevato rispetto ai bevitori moderati regolari. Il fenomeno oramai coinvolge molti ragazzi ed è seguito, ovviamente con molta attenzione, dai vari specialisti. Un ulteriore dato che è emerso nella campagna “amico andrologo” è il desiderio di informazioni sul sesso, a dispetto dei luoghi comuni sulla sovrabbondanza di notizie che i ragazzi avrebbero sul tema. Gli specialisti che hanno partecipato a questa campagna sono stati, a loro dire, letteralmente bombardati da richieste su argomenti che variavano dalla pura e semplice informazione sessuale fino alla contraccezione, per giungere a domande sui sentimenti che si provano per le ragazze. Insomma ancora una volta si è appurata la totale inadeguatezza del nostro sistema scolastico che non è in grado o non vuole dare, per le enormi pressioni contrarie, una seria informazione sessuale ai ragazzi ed alle ragazze, come accade invece secondo Isidori della Società italiana di andrologia medica, nelle scuole degli altri paesi.

02/02/14

La scienza che ruolo ha avuto nel delitto di Meredith Kercher?

La scienza che ruolo ha avuto durante le indagini nel delitto di Meredith Kercher? Sono in tutto 53 gli anni di carcere inflitti ai 2 dei 3 indagati, esattamente: 28 per Amanda Knox e 25 per Raffaele Sollecito.

Questo è quanto ha sentenziato la Corte d’assise d’appello di Firenze, incaricata a giudicare i due imputati per l’omicidio di Meredith Kercher, la studentessa inglese uccisa a Perugia nel 2007.
Nel 2011 in una altra sentenza di secondo grado i giudici si erano espressi a favore di Knox e Sollecito, assolvendoli dal reato, ma nel mese di marzo del 2013 la Corte di Cassazione aveva reso nullo il verdetto, affermando che era necessario la ripetizione del processo. In precedenza l’assoluzione era stata emessa perché le prove di colpevolezza a carico di Amanda e Raffaele non erano stateritenute affidabili. Il tribunale di Firenze invece non è dello stesso avviso, confermando la colpevolezza per entrambi gl'imputati.
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Indagini sul luogo del delitto Kercher

Il ruolo della scienza.
Nella vicenda Kercher c’è tanta scienza. Genetica forense, soprattutto. Perché a inchiodare i due è stata la prova del dna effettuata su un coltello ritrovato nella cucina di Sollecito e sul gancetto del reggiseno di Meredith. In particolare, i periti avevano rinvenuto tracce di dna compatibile con quello della ragazza uccisa sulla lama e con quello di Amanda Knox sul manico. Sul gancio del reggiseno, invece, era stato ritrovato materiale genetico di Sollecito.

Per analizzare il dna, la polizia scientifica ha seguito la procedura standard di amplificazione (cioè replica in più copie) ed elettroforesi (applicazione di un campo elettrico per separare le particelle). I periti hanno ottenuto un grafico composto da una serie di picchi, che poi sono stati confrontati con l’impronta genetica degli imputati. Dalle analisi è emerso che i campioni combaciavano. Il che secondo l’accusa, dimostra inequivocabilmente che Sollecito e Knox sono colpevoli.

Ripetibilità, soglie e contaminazioni.
In genetica forense, comunque, una sola prova non basta. È necessario che il test sia riproducibile e dia sempre lo stesso risultato. Inoltre, per scongiurare il rischio di contaminazioni con dna estraneo (quello di tutte le altre persone che nel corso del tempo sono venute a contatto con l’oggetto da esaminare, poliziotti compresi), gli investigatori hanno imposto una soglia di contaminazione: se il materiale genetico è al di sotto di una certa quantità (50 unità di fluorescenza [Rfu] per i laboratori americani, 30 per i Ris italiani), non può esser preso in considerazione e usato come prova.

La difesa.
È proprio a ripetibilità e contaminazioni, in effetti, che si è appellata la difesa di Sollecito e Knox. Sostenendo che il materiale genetico ritrovato sul coltello fosse sotto soglia e che le impronte sul reggiseno fossero in realtà un mix di diverse persone. Lo stesso Sollecito ne ha parlato diffusamente sul suo blog: “È importante conoscere la quantità del dna per sapere se è possibile ripetere l’analisi e ottenere un risultato affidabile. È necessario fare almeno una seconda amplificazione, soprattutto quando ci si trova alle prese con una scarsa quantità di dna.

[La scientifica] ha ottenuto un profilo in cui su 32 alleli ben 28 erano al di sotto dell’altezza minima di 50 Rfu”. E ancora: “La seconda analisi ha ottenuto un risultato peggiore del primo”, affermazione cui è allegata una tabella con i risultati dell’analisi. Sollecito, inoltre, sostiene che la scientifica abbia deliberatamente ignorato profili genetici di altre persone rinvenuti sul gancetto di reggiseno (in realtà il perito Stefanoni, in merito a questo punto, afferma semplicemente che “è una cosa sulla quale non mi sento di esprimere” perché il materiale genetico non appartenente a Sollecito è insufficiente).

L’accusa.
Gli scienziati, già nel 2011, avevano risposto a queste obiezioni. Giuseppe Novelli, genetista, rettore dell’Università di Tor Vergata e consulente per la procura, ci aveva raccontato che “il dna c’è ed è inequivocaibile. C’è da capire perché è lì, chi ce l’ha messo, ma non si può dire che non sia sufficiente”. Spiega Novelli che la polizia aveva dimostrato l’assenza di qualsiasi contaminazione nei campioni – affermazione accettata dalla Corte – e che la soglia indicata dagli statunitensi, 50 Rfu, è uno standard che “non ha senso”. È bene comunque precisare che, mentre il materiale genetico rinvenuto sul coltello è sotto la soglia, quello sul gancetto del reggiseno è ampiamente superiore a 50 Rfu. Per ora, dunque, il capitolo è chiuso. Resta da vedere cosa succederà in terzo grado.
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