Il-Trafiletto
Visualizzazione post con etichetta Scienza della terra_. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Scienza della terra_. Mostra tutti i post

18/10/14

Yacouba colui che ha sconfitto il deserto

A volte , dopo anni di studio e di ricerca con tutti i mezzi tecnologici e scientifici a disposizione, non si riesce a risolvere un problema come quello della desertificazione del Burkina Faso. Lo studio e l'azione di un semplice contadino del posto, senza mezzi tecnologici ma solo con la logica, risolve il problema.


Yacouba Sawadogo è decisamente un uomo eccezionale, per essere riuscito a risolvere un problema
di forte erosione del suolo da parte del deserto, che molti hanno provato a trovare una soluzione a questo problema che rischiava di mettere in ginocchio il paese, senza riuscirci. Yacouba ha iniziato a studiare il problema nel 1980.

Il contadino è ricorso a una ricetta antica o forse preistorica poiché lo “zaï ”, che in lingua mossi vuol dire “fossa”, è una pratica agricola usata a quelle latitudini dalla notte dei tempi. Lo “zaï” deve avere inizio a primavera, che nel Burkina Faso coincide con la stagione secca, e consiste nello scavare buche profonde 30 centimetri e larghe circa 20. Una volta che l’area in questione è stata lavorata con una quantità adeguata di fosse, queste saranno prima riempite di sterco di capra misto a cenere e foglie secche, poi seminate. Tutto qui basta spettare la pioggia. Anzi, la poca pioggia che cadrà durante i brevi monsoni subdesertici, ma che le fosse raccoglieranno senza sprecarne una sola goccia. Sembra una stranezza la sua soluzione ma infine è la soluzione più logica e più semplice.

Nel giro di venti anni ha sottratto al deserto oltre 30 acri di terreno che ora è un terreno coltivabile e rigoglioso di vegetazione. Ma soprattutto, Yacouba ha cercato di diffondere la sua tecnica il più possibile, insegnandola a chiunque fosse interessato, e si calcola che oggi grazie a lui e al suo metodo, decine di migliaia di ettari siano tornati rigogliose foreste e campi coltivabili, tanto che nel 2010 il regista Mark Dodd ha realizzato un documentario sulle vita d Yacouba. Video e Trailer

Yacouba Sawadogo

02/09/14

Quel problema attuale chiamato effetto serra.

L'effetto serra è un fenomeno per così dire atmosferico-climatico che indica la proprietà che ha un qualsiasi pianeta nel nostro caso la Terra, di trattenere nella propria atmosfera parte dell'energia solare proveniente dal Sole. In questo modo si instaura un processo, del tutto naturale, deputato alla regolazione dell'equilibrio termico del nostro pianeta, agendo sulla la presenza nell’ atmosfera di alcuni gas, detti appunto gas serra, che hanno come risultato complessivo quello di moderare la temperatura dell'atmosfera terrestre, evitando fortunatamente le grandi escursioni termiche a cui sarebbe soggetto il pianeta in loro assenza.
In pratica viene a crearsi una variazione del contenuto atmosferico di vapore acqueo, anidride carbonica e metano, di conseguenza un aumento delle concentrazioni di questi gas nell’atmosfera ci dà come risultato un aumento di calore con conseguente innalzamento della temperatura terrestre. La scoperta dell'effetto serra, è dovuta al fisico-matematico francese Joseph Fourier nell'Ottocento in seguito ai suoi studi teorici sulla trasmissione del calore nei corpi. Nel 1824 fu lui a capire che l'atmosfera produce un effetto serra sul nostro pianeta: l'energia irradiata dalla Terra verso lo spazio è minore di quella ricevuta dalla radiazione solare. Purtroppo la presenza dell’uomo, con le sue molteplici attività contribuisce, anche se molto lentamente, a modificare la temperatura ambientale, aprendo scenari preoccupanti per un futuro più o meno prossimo per il nostro pianeta. Tra i fattori che influiscono sull’effetto serra possiamo annoverare il consumo di CO2 da parte delle piante, le piogge, gli spostamenti di masse d’aria umide, il metano che passa dalla terra nell’atmosfera ad opera dei batteri, le eruzioni vulcaniche, l’emissione nell’atmosfera di CloroFluoroCarburi (CFC) i quali, impedendo la formazione dell’ozono, contribuiscono ad aumentare la temperatura terrestre grazie all’aumento del famoso “buco”. Anche l’uomo contribuisce non poco con le sue attività all’alterazione dell’effetto serra, come ad esempio la cementificazione, la costruzione di milioni e milioni di chilometri di autostrade, ma soprattutto con la distruzione di intere foreste, come nel caso della foresta amazzonica, dove in 25 anni è andato perso circa il 15% a causa dei disboscamenti. Ultimamente l’argomento “effetto serra” si sta concentrando su un altro grande problema: lo scioglimento dei ghiacciai, con il rischio di estinzioni di alcune specie animali come l’orso polare o di atolli che rischiano di scomparire per l’innalzamento del livello del mare. L’effetto serra è un fenomeno terribilmente complesso ed è ancora fonte di studi; è necessario però mettere in atto delle strategie di riduzione di questo fenomeno in modo da poterlo arginare o quantomeno rallentare, come ad esempio: fare in modo di ridurre la formazione di anidride carbonica, magari limitando l’uso di combustibili fossili come il petrolio, il carbone, gas, ecc., sia nella produzione di energia, sia nell’autotrazione; orientarsi verso le fonti di energia rinnovabile, cioè quelle alimentate dal Sole; aumentare le zone “forestali” per dar modo alla sintesi clorofilliana di eliminare l’anidride carbonica. (immagine presa dal web)

25/08/14

Tesori nascosti | La storia del nostro Pianeta riassunta in una pallina

Vita di una pallina di plastica, dalla notte dei tempi a oggi. Mi arriva la voce alterata di un genitore: "Non toccarla! Non sai dov'è stata".

Il bambino posa sconsolatamente l'oggetto sulla sabbia, dove l'aveva trovato, e trotterella via, alla ricerca di uno svago più tollerato. Mi avvicino per dare un'occhiata alla causa del rimprovero. È una pallina di plastica, sporca dopo essere stata a lungo esposta alle intemperie. È vero, non si sa dove sia stata: mi fermo a pensarci. Sicuramente, ne avrà passate tante. La sua esistenza deve essersi svolta più o meno così...

Immaginiamo un mare tropicale, a circa 25° di latitudine Nord. Il clima è caldo e umido, e la quiete è interrotta soltanto da un plesiosauro che nuota veloce a caccia di seppie. La terraferma, piuttosto lontana, è ricoperta da felci, conifere ed equiseti ed è dominata dagli stegosauri, mentre il cielo è popolato da pterodattili: siamo nel Giurassico. La luce del sole riscalda l'acqua marina fornendo nutrimento ad alghe e batteri. Il primo anello di una lunghissima catena alimentare. Per la maggior parte, questi organismi vengono consumati da minuscole creature marine, che a loro volta finiscono in pasto ai pesci. Gli avanzi, però, abbondano: le alghe e i batteri che non sono stati mangiati muoiono di morte naturale e, piano piano, affondano, scendendo nelle profondità oceaniche, depositandosi sul fondale e dando origine a un cimitero fangoso.

Le correnti marine ristagnano, l'ossigeno manca: le condizioni ambientali non favoriscono il naturale degrado. Alghe e batteri non si decompongono, ma rimangono intatti, sepolti via via sotto nuovi strati di altri organismi che hanno terminato il proprio ciclo vitale. La deriva spinge terra e acque verso nord. Questo mare diventa teatro di un epico scontro tra continenti, che sottopone i fondali a forze tali da elevare e distruggere intere catene montuose. Impressionanti terremoti smuovono i sedimenti, ormai depositati in strati molto spessi: le nostre alghe si trovano a una profondità di 4 chilometri, dove la temperatura è di circa 120 C. Le molecole che le costituiscono finalmente si arrendono al calore e alla pressione. Cambiano struttura, formando lunghe catene: sono gli idrocarburi. La guerra dei continenti si sposta in un'altra fossa tettonica, che si spalanca a formare l'Oceano Atlantico. Il Pianeta viene colpito da un asteroide, che fa estinguere i dinosauri. Ma negli strati più profondi, sotto il fondale del Mare del Nord, non arriva neppure l'eco di questi sconvolgimenti: le alghe e i batteri decadono lentamente, fino a trasformarsi in petrolio.

È finita l'età dei rettili, inizia quella dei mammiferi. Per il petrolio, è ora di intraprendere un nuovo viaggio. Negli strati rocciosi inferiori, la pressione è così intensa da innescare la migrazione verso l'alto del liquido, che penetra lentamente nelle minuscole porosità delle rocce. Talvolta riesce a percorrere diverse centinaia di metri, dirigendosi verso la superficie. Ma prima o poi, incontra uno strato lapideo troppo compatto, e deve arrestarsi. Intanto è iniziata l'evoluzione dell'uomo. Il Mare del Nord ha raggiunto i 50° N, la sua attuale latitudine. Si susseguono alcune ere glaciali, l'Impero Romano, i Vichinghi, la Rivoluzione Industriale. Poi, qualcuno decide di perforare le rocce che imprigionano il petrolio, portandolo alla luce: il liquido preistorico schizza in superficie, per la prima volta dopo 150 milioni di anni.

Viene trasformato nelle materie prime che servono per produrre la plastica, e con l'aiuto della chimica, le catene corte di atomi di carbonio si saldano insieme: le alghe giurassiche sono diventate polietilene. Il polimero viene utilizzato per creare una pallina: è proprio quella abbandonata oggi, sulla spiaggia, da un ragazzino. Non ci accade spesso di raccontare una storia che ha per protagonista la plastica: eppure, riuscite a pensare a qualcosa di più poetico?

La prossima volta che vedrete una pallina, raccoglietela: pensate a quanta strada ha fatto e alla vita incredibile che ha avuto.(science)

18/08/14

La montagna dell'arcobaleno

Montagna di
Ausangate in Perù

I colori che si vedono ai piedi della montagna Ausangate in Perù ci raccontano qualcosa sulla storia del nostro Pianeta. 

Ogni striscia rappresenta un periodo di tempo: migliaia o forse decine di migliaia di anni all'epoca del Paleocene, oltre 50 milioni di anni fa. Tutte le rocce sono sedimentarie, costituite dal fango e dalla sabbia che si crearono fuori dai fiumi e dai laghi, e il loro colore ci rivela le condizioni al momento dell'indurimento. Le strisce rosse prendono il colore dall'ematite, un minerale privo di acqua costituito solo di ferro e ossigeno.

"È lo stesso minerale che fornisce al pianeta Marte il suo colore distintivo e si forma in ambienti aridi, con poca acqua", dice Matt Genge, docente di Scienza terrestre e planetaria all'Imperial College di Londra. In questo luogo, quindi, il lago che depositò il sedimento con ogni probabilità si asciugò prima che la roccia si indurisse. Gli strati gialli e marroni sono dominati, rispettivamente, dalla limonite e dalla goethite. Entrambi contengono acqua e dimostrano che nella storia della regione vi sono state epoche più umide.

Gli strati verdi si sono formati in un tempo in cui vi era tanta materia vegetale, vale a dire appunto in un periodo umido.(science)


28/07/14

Dentro la scienza | Quale logica nella climatologia?

C'è qualche logica nella climatologia? Se c'è, non si vede. Cominciamo dai fondamenti della scienza del clima: d'estate fa più caldo che in inverno (perlomeno in teoria).

La spiegazione pare ovvia: la Terra, in quel periodo dell'anno, è più vicina al Sole. Invece no: il momento in cui il nostro Pianeta si trova alla massima distanza dalla sua stella madre è proprio l'inizio di luglio. Certo, la distanza dal Sole ha un impatto sul calore percepito, ma inferiore rispetto all'effetto dell'inclinazione dell'asse terrestre. In estate, dunque, quando il nostro emisfero è angolato in direzione del Sole, i raggi, colpiscono più verticalmente il suolo, facendo aumentare l'intensità termica per metro quadro. Non lo sapevate?

Non siete i soli: alcuni anni fa, ricercatori dell'Università di Harvard hanno scoperto che appena un neolaureato su 10 sapeva spiegare perché in estate fa più caldo. I climatologi lo sanno di certo, ma poi cadono in altre trappole, tipiche della loro materia di specializzazione. Pensiamo all'attuale controversia relativa alla banchisa dell'Antartide: se il nostro Pianeta si sta surriscaldando, sarebbe logico aspettarsi una riduzione dello strato di ghiaccio marino. Invece, fin dal 1985, il ghiaccio galleggiante che circonda il "Grande Continente Bianco" è andato aumentando, del 2 per cento circa al decennio! Non moltissimo, ma abbastanza da fare dei climatologi lo zimbello di chi vede con scetticismo il riscaldamento globale.
Quale logica nella climatologia?

Gli scienziati non si sono fatti intimorire e hanno studiato a lungo il fenomeno: grazie a una simulazione al computer (arma di elezione nel campo della climatologia), un'equipe del Royal Netherlands Meteorological Institute ritiene di aver spiegato il paradosso del mare più caldo che produce più ghiaccio. Funzionerebbe così: l'acqua marina, tiepida, scioglie lo strato ghiacciato sovrastante, creando al di sotto di esso un cuscinetto d'acqua fredda.

Questo strato, meno salato, e dunque meno denso, galleggia sull'oceano, più caldo, espandendosi e congelandosi nei mesi invernali, e andando così a integrare la banchisa. Troppo complicato? Niente paura: esistono altre spiegazioni. Eccone una della British Antarctic Survey: il riscaldamento globale ha modificato la ventilazione naturale in Antartide e il ghiaccio viene soffiato dalla costa verso il mare aperto. Aumenta così la quantità d'acqua esposta ai venti ghiacciati e, di conseguenza, la banchisa si estende. Tutte e due le teorie potrebbero essere giuste, almeno in parte. Ma potrebbero anche essere entrambe sbagliate.

Quel che è certo è che questa combinazione di osservazioni paradossali e spiegazioni contorte comunica un'impressione di scarsa credibilità. Non dobbiamo prendere troppo con i climatologi: devono misurarsi con problemi terribilmente complessi, sotto gli occhi di un'attentissima opinione pubblica. Non mettiamoli ulteriormente sotto pressione, per evitare che arrivino a conclusioni affrettate che si rivelerebbero sicuramente sbagliate. Il momento è particolarmente delicato, visto l'attuale dibattito sul gas da argille, o shalegas. Perfino alcuni ambientalisti hanno ipotizzato che, benché si tratti comunque di un combustibile fossile, fonte di C02 e dun responsabile del riscaldamento globale, passare dal carbone allo shale potrebbe essere una mossa intelligente, visto che il gas da argille libera quantità di anidride carbonica per unità di energia notevolmente inferiori. In tema di "combustibili puliti", però, ecco spuntare un altro paradosso.

È vero che lo shale gas rilascia meno C02 del carbone, ma non produce neppure zolfo né altre emissioni nebulizzate che, ormai è noto, riflettore la luce solare respingendola in direzione dello Spazio, compensando co parte dell'effetto riscaldante della combustione del carbone. Se si tiene conto di questo, la superiorità del gas da argille non è più così ovvia. Urge però trovare una risposta certa, e in tempi brevi. Proprio in questa fase, i governi mondiali stanno decidendo le politich seguire in materia di shale gas, e se arrivassero a conclusioni affrettate basandosi su "evidenti" ragionamenti scientifici, tutti noi potremmo farne le spese.(science)

26/07/14

Meteorologia | Studiati i "fulmini bui" sulla Terra

 Studiati i "fulmini bui" sulla Terra
Quando infuriano i temporali, a volte i normali fulmini sono accompagnati da emissioni invisibili di radiazioni altamente energetiche. 

Questi lampi, battezzati "fulmini bui", non sono altro che raggi gamma che trasportano una quantità di energia molto superiore alle scariche tradizionali: l'energia, però, non va lontano, in quanto tende a disperdersi in tutte le direzioni.

La domanda cruciale è: che cosa accadrebbe ai passeggeri di un aereo che si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato? Sarebbero esposti a livelli di radiazioni potenzialmente letali? A questa domanda hanno voluto rispondere Joseph Dowyer e la sua équipe del Florida Institute of Technology: il loro nuovo modello consente di prevedere come si generano i "fulmini bui" durante un temporale e conferma le precedenti osservazioni fatte dai satelliti. Il verdetto? Attraversare una tale esplosione energetica all'interno di un aeromobile espone a radiazioni pari a quelle somministrate durante una TAC "total-body", dice Dowyer. Livelli, dunque, non mortali e anzi a basso rischio. I piloti tentano comunque sempre di evitare l'attraversamento di temporali, e i fulmini bui in ogni caso si verificano soltanto una volta ogni mille lampi comuni.(science)


22/07/14

La Terra si muove

Alfred Wegener era un meteorologo tedesco che, nel 1910, lavorava all'Università di Marburgo. Quell'anno, a Natale, regalarono l'ultima edizione di un atlante a colori al suo compagno di stanza. 

Mentre i due studiavano le belle carte geografiche, a Wegener sovvenne un pensiero: "La costa est del Sud America non combacia con la costa ovest dell'Africa come se in passato fossero state in contatto?". Wegener fu così illuminato da questa rivelazione che decise di cominciare a cercare prove che la confermassero.
La Terra si muove
"ipotesi di Wegener"

Nel 1912 si sentiva abbastanza fiducioso da tenere la prima conferenza sull'argomento, pubblicando poi, nel 1915, "L'origine dei continenti e degli oceani". Il libro descriveva in dettaglio le ampie prove che aveva raccolto a sostegno della sua teoria, secondo cui durante l'ultima parte dell'era paleozoica (circa 350 milioni di anni fa) tutti i continenti erano raggruppati insieme in un enorme supercontinente che chiamò Pangea. Quando la Pangea cominciò a disgregarsi, i continenti andarono lentamente alla deriva, arrivando infine alle posizioni attuali. Alcune delle prove più convincenti venivano dai dati paleontologici. Non solo la flora tropicale degli strati di carbone osservata da Pepper contrassegnava l'equatore della Pangea, ma si appurò che le felci glossopteridi del Permiano, che crescevano in un clima polare, si concentravano attorno al polo sud della Pangea.

Morene, depositi glaciali e altri resti lasciati dai ghiacciai permiani mentre si ritiravano, che erano altrimenti inesplicabilmente dispersi per vari continenti, si spiegavano immaginando che tutti i continenti fossero coperti da una calotta glaciale perché si trovavano al polo sud. Altre prove erano date dai rettili, dai lombrichi e da altri organismi. La distribuzione dei lombrichi sembrava particolarmente significativa perché non nuotano e non volano. Come avrebbero potuto disperdersi per il mondo se un tempo i continenti non fossero stati uniti? Sia in Gran Bretagna sia in America le idee di Wegener furono accolte con incredulità e scetticismo.(science)

18/07/14

Top Ten | Le eruzioni vulcaniche più letali

Di seguito vi propongo le dieci maggiori eruzioni vulcaniche più letali che si sono verificate sulla Terra.

1. Tambora, Indonesia 
Anno: 1815
Bilancio delle vittime: 92mila
2. Krakatoa, Indonesia 
Anno: 1883
Bilancio delle vittime: 36mila

3. Monte Pelée, Martinica 
Anno: 1902
Bilancio delle vittime: 29mila
4. Nevado del Ruiz, Colombia 
Anno: 1985
Bilancio delle vittime: 23mila
5. Monte Unzen, Giappone
Anno: 1792 '
Bilancio delle vittime: 15mila

6. Kelut, Indonesia 
Anno: 1586
Bilancio delle vittime: l0mila
7. Vesuvio, Italia
Anno: 79 d.C.
Bilancio delle vittime: quasi l0mila

8. Laki, Islanda
Anno: 1783
Bilancio delle vittime: 9350

9. Vesuvio, Italia 
Anno: 1631
Bilancio delle vittime: 6mila
10. Santa Maria, Guatemala 
Anno: 1902
Bilancio delle vittime: 5mila
(science)

Da dove viene l'acqua della Terra?

L'acqua potrebbe essere precipitata
sulle Terra insieme alle comete
L'origine dei 1450 milioni di miliardi di tonnellate di acqua presenti negli oceani del mondo è un mistero. 

Le spiegazioni si dividono in due gruppi: le cosiddette teorie "endogene", che sostengono che l'acqua avrebbe avuto origine dalla Terra stessa, e quelle "esogene", secondo le quali, invece, sarebbe stata trasportata qui da altrove.

Una possibile spiegazione endogena, per esempio, è che le molecole di acqua si siano formate a partire da molecole di idrogeno e di ossigeno combinatesi all'interno della Terra primordiale, e che siano poi emerse come vapore durante le eruzioni vulcaniche. In alternativa, molecole d'acqua già pronte potrebbero essere state trasportate sul nostro Pianeta dalle comete che si sa, contengono acqua ghiacciata e hanno bombardato la Terra primordiale. Fino a poco tempo fa, gli astronomi erano scettici nei confronti della teoria delle comete, la quale non potrebbe spiegare che circa uno 0,3 per cento dell'acqua oceanica contiene una forma insolita di idrogeno chiamata deuterio.

Nel 2011, però, gli studiosi hanno trovato acqua a base di deuterio sulla cometa Hartley 2: benché non sia una prova vera e propria che beviamo detriti di cometa, tale scoperta mantiene viva questa intrigante possibilità.(science)


16/07/14

Glossario | Termini sulla geologia e la tettonica delle placche

Glossario di termini
sulla geologia e la tettonica
Un glossario di termini sulla geologia e la tettonica delle placche.

1 Basalto 
Un tipo di roccia eruttata dai vulcani e lungo le dorsali medio-oceaniche
2 Crosta 
La crosta oceanica è spessa circa 4,8 km e mai più antica di 200 milioni di anni, mentre quella continentale può raggiungere uno spessore di 64 km e un'età di quattro miliardi di anni
3 Litosfera
La crosta più la (parte solida del mantello superiore, profonda circa 80 km
4 Inversioni magnetiche
Su scala geologica, il campo magnetico terrestre si è capovolto di frequente; ciò rimane registrato in alcune rocce contenenti minerali che si allineano con il campo magnetico dominante
5 Mantello
Il mantello è tutto ciò che si trova al di sotto della crosta terrestre e al di sopra della parte liquida del nucleo
6 Dorsali medio-oceaniche
Catene montuose sottomarine formate dall'espansione dei fondali oceanici che circondano la Terra come le cuciture di una palla da baseball.(science)


La Tettonica oggi

La litosfera attuale è divisa in otto grandi placche e in molte più piccole. La loro velocità media è di circa 4 centimetri all'anno, più o meno la stessa a cui crescono le unghie. 

La cosa ancora non del tutto chiara, però, è perché alcune placche vadano più veloci di altre. In genere il fenomeno inizia con un riscaldamento alla base della crosta continentale, che la fa diventare più deformabile e meno densa. Dato che gli oggetti più densi salgono rispetto a quelli meno densi, l'area riscaldata diventa un'ampia cupola.

Via via che la crosta si gonfia, si formano delle fratture che gradualmente diventano fosse tettoniche che cominciano a dividere il continente. A un certo punto tra i frammenti continentali emerge materiale basaltico che li allontana ulteriormente fino a formare un oceano come l'Atlantico.

Con il tempo, un oceano antico come il Pacifico comincia a chiudersi. Le placche oceaniche scendono sotto i continenti formando un'enorme fossa, o zona di subduzione, profonda fino a 10 chilometri. Quando le immani lastre si addentrano nel mantello, alla superficie si hanno spesso terremoti profondi. I sedimenti in precedenza sul fondo dell'oceano cominciano a riscaldarsi, fondendosi e ascendendo all'interno della crosta fino a formare catene di vulcani lungo il bordo del continente.

La "cintura di fuoco" attorno al Pacifico, per esempio, è provocata dalla spinta della crosta oceanica sotto i continenti. Quando i continenti collidono tra loro, come quando circa 50 milioni di anni fa l'India finì contro l'Asia, si innalzano possenti catene montuose come l'Himalaya. In altri luoghi, come la faglia di Sant'Andrea, dove i continenti sfregano l'uno contro l'altro, terremoti meno profondi possono provocare danni immani in superficie. Per la fine degli anni Sessanta si era compiuta una rivoluzione in campo geologico, comparabile con quella avviata da Darwin cento anni prima in ambito biologico, quando propose la sua teoria dell'evoluzione. Oggi la grande teoria unificante della tettonica delle placche, come è chiamata oggi la deriva dei continenti, spiega praticamente ogni fenomeno geologico noto.(science)



Le strisce magnetiche | La loro importanza si chiari' negli anni '60

Nel 1962 Harry Hess, all'epoca direttore del dipartimento di geologia dell'Università di Princeton, negli Stati Uniti, avanzò un'ipotesi stupefacente.

L'espansione dei fondali oceanici, come fu chiamata la teoria di Hess, prevedeva che, via via che "sezioni in sollevamento delle celle di convezione del mantello" sgorgavano dalle profondità al di sotto delle dorsali medio-oceaniche, il nuovo materiale spingesse via il precedente in modo tale che metà si allontanasse da una parte della dorsale e metà dall'altra, ampliando così lievemente l'oceano. Prima o poi il flusso iniziale si sarebbe ritrovato a migliaia di chilometri dalla dorsale. I due continenti, un tempo uniti, sarebbero finiti a grande distanza. Inoltre, anziché avere continenti che arrancavano sulla crosta oceanica come proposto da Wegener, Hess li descriveva trasportati su un nastro trasportatore dato dai moti convettivi del mantello. Menzionò solo di sfuggita il lavoro di Holmes, precedente di 35 anni.

CODICE A BARRE DELLA TERRA 
L'importanza delle strisce magnetiche del fondo dell'oceano si chiarì grazie a due geofisici britannici, Fred Vine e il suo relatore di dottorato a Cambridge, Drummond Matthews. Nel 1963 ipotizzarono che se l'espansione dei fondali oceanici si svolgeva come immaginava Hess, le strisce dovevano rappresentare il ribaltamento periodico del campo magnetico terrestre, fossilizzato nei basalti via via che fluivano lentamente dalla dorsale medio-oceanica. Nel corso di milioni di anni l'orientamento del campo magnetico terrestre era rimasto registrato come un codice a barre. Nel gennaio dello stesso anno il canadese Lawrence Morley propose una spiegazione simile, ma il suo lavoro fu respinto dai giornali scientifici perché considerato troppo discutibile.

Nel 1965 venne svolto un nuovo studio magnetico della dorsale Juan de Fuca nel Pacifico nordorientale. Vine correlò i dati con i tempi delle inversioni magnetiche nella lava sulla terraferma e calcolò le epoche delle inversioni sul fondo marino. Fu immediatamente evidente che le rocce più giovani erano più vicine alla dorsale, mentre le più antiche erano le più distanti, adiacenti al continente. L'anno successivo i campioni da profondi carotaggi dal Pacifico mostrarono che la cronologia e la disposizione delle inversioni magnetiche nei campioni coincidevano con quelle determinate dalla lava sulla terraferma. Ciò confermava il lavoro di Vine e la teoria della deriva dei continenti diventava finalmente incontestabile.(science)


Protagonisti | Gli scienziati il cui operato ha forgiato un futuro brillante per la geologia

Antonio Snider-Pellegrini
Antonio Snider-Pellegrini '(1802-1885) era un geografo italo-americano che per primo visualizzò i continenti come un'unica terra emersa, sostenendo le sue idee con i fossili e le formazioni rocciose coincidenti sulle sponde opposte dell'Atlantico.

Alfred Wegener
Alfred Wegener (1880-1930) fu il meteorologo tedesco che per primo propose la teoria della deriva dei continenti. Raccolse ordinatamente i dati che sostenevano la sua teoria secondo cui i continenti si spostavano lentamente sulla Terra e un tempo formavano un'unica terra emersa. Mòri durante una spedizione polare e non visse fino a vedere come la sua teoria rivoluzionò le scienze della Terra.
Arthur Holmes 

Arthur Holmes (1890-1965) propose le correnti convettive del mantello come meccanismo che muove i continenti per il globo. Ma, come per Wegener, anche le idee del fisico britannico furono ignorate per decenni.

Harry Hess
Harry Hess (1906-1969) fu un geologo presso l'Università di Princeton che suggerì che la crosta terrestre si spostava lateralmente allontanandosi dalle dorsali medio-oceaniche attive vulcanicamente. La sua teoria dell'espansione dei fondali oceanici ne fa uno dei padri fondatori della moderna tettonica delle placche.

Fred Vine
Fred Vine (n. 1939) ipotizzò, insieme a Drummond Matthews (qui a destra di Vine), che le strisce magnetiche ai lati delle dorsali medio-oceaniche registrassero l'orientamento del campo magnetico terrestre: trovò prove che confermarono ia deriva dei continenti.

15/07/14

Mondo sottomarino | Origine dei continenti | Strisce magnetiche sul fondo dell'oceano

Strisce magnetiche
sul 
fondo dell'oceano
Per Holmes alla base del movimento dei continenti c'erano le correnti convettive del mantello. 

Negli anni Cinquanta le rilevazioni dei fondali oceanici da parte dei geologi statunitensi mostrarono che l'Atlantico aveva ampie pianure interrotte da un'estesa catena montuosa ricca di valli e creste: nella dorsale medio-atlantica risiedono gli epicentri di molti terremoti.

In seguito si scoprì che era parte di un sistema lungo 80mila chilometri di dorsali medio-oceaniche che circondano il mondo. Nello stesso periodo altri gruppi di ricerca, raccogliendo dati magnetici dai fondali oceanici, scoprirono una sorpresa sotto il Pacifico: una struttura di tracciati magnetici rettilinei sul fondo dell'oceano, che si rispecchiavano dalle due parti della dorsale medio-oceanica con simmetria quasi perfetta. Dall'inizio del XX secolo si è capito che quando rocce come il basalto (che hanno origine lavica) si raffreddano dopo essere state fuse, le particelle magnetiche al loro interno si "fossilizzano" seguendo la direzione del campo magnetico terrestre. Anche se si era osservato che alcune rocce si mostravano magnetizzate nel verso opposto, solo negli anni Cinquanta ci si rese conto che questo era dovuto al fatto che la polarità del campo magnetico terrestre si ribalta periodicamente, scambiando i poli nord e sud magnetici. Datando ricchi giacimenti sulla terraferma si riuscì a ricostruire una cronologia di queste inversioni magnetiche. Ci volle però qualche anno prima di cogliere la portata delle strisce magnetiche sul fondo dell'oceano.(science)


L'origine dei continenti | La scoperta chiave | La teoria della tettonica delle placche

La teoria della tettonica delle placche
Un metodo di datazione in cui si usavano campioni dalle profondità marine dimostrò che la teoria della deriva dei continenti era corretta. 

Un metodo per datare alcune rocce, noto come "datazione al potassio-argo", fu sperimentato inizialmente negli anni Cinquanta, quando i geologi volevano capire la frequenza delle inversioni dei poli magnetici.

Per l'inizio degli anni Sessanta era stata messa a punto una cronologia delle inversioni geomagnetiche che permise a Fred Vine di correlare le inversioni sulla terraferma con quelle sul fondo del mare e di mostrare che i fondali oceanici erano più giovani vicino alla dorsale e più antichi accanto ai continenti. Sembrava confermare la teoria di Harry Hess dell'espansione dei fondali oceanici e della deriva dei continenti. La verifica del lavoro di Vine venne dallo studio geomagnetico di 650 campioni di sedimenti da sette carotaggi dalle profondità marine prelevati in Antartide. Il confronto dell'età e della stratigrafia geomagnetica dei sedimenti marini con quelle della lava sulla terraferma diede una correlazione eccellente, collegando così continenti e oceani.

Lo studio confermò anche che negli ultimi 3,5 milioni di anni si erano verificate almeno 11 inversioni geomagnetiche.Vine usò questa cronologia migliorata per prevedere il profilo magnetico che ci si poteva attendere nelle regioni centrali delle dorsali medio-oceaniche. Variando la velocità stimata di espansione, fu possibile ottenere una simulazione molto fedele di tutte le anomalie osservate e di conseguenza determinare l'effettiva velocità di espansione nelle varie dorsali. Era nata la teoria della tettonica delle placche.(science)

Terza parte | L'origine dei continenti | La Terra si muove

Il geologo britannico Arthur Holmes fu uno dei pochi ad apprezzare la deriva dei continenti. 

Essendo stato tra i pionieri dell'applicazione del decadimento radioattivo alla datazione delle rocce, Holmes lavorò per tutti gli anni Venti cercando di comprendere l'interno della Terra, fino a rendersi conto che era il calore generato dal decadimento degli elementi radioattivi all'interno della Terra ciò che manteneva incandescente l'interno.

Nel dicembre 1927 scrisse un articolo fondamentale in cui postulava che il riscaldamento non uniforme dell'interno della Terra, generato dal decadimento, provocava moti di convezione nel substrato al di sotto della crosta. Anche se questo substrato appariva solido, Holmes riteneva che considerato su lunghi periodi di tempo si comportasse come un liquido caldo molto viscoso; quando il materiale incandescente raggiungeva la sommità di una cella di convezione sotto un continente, si spostava orizzontalmente, producendo una forza sufficiente a trascinare lentamente i continenti, allontanandoli, permettendo al substrato di sollevarsi nello spazio che si apriva e formando nuovo fondo oceanico. Questa convezione, secondo Holmes, era il meccanismo che sospingeva i continenti in giro per il globo. Ma come Wegener, anche Holmes era avanti rispetto ai suoi tempi. Molto avversate, le loro teorie languirono per altri 35 anni.(science)


Seconda parte | L'origine dei continenti | La Terra si muove

I più ritenevano che i continenti fossero sempre stati immobili e lo sarebbero sempre rimasti. 

Era impossibile immaginarli in movimento, e quindi le sue idee rivoluzionarie attrassero solo critiche ostili, in particolare dai geologi, le cui teorie preferite venivano mandate gambe all'aria.

L'ipotesi tradizionale che spiegava l'uguaglianza di rocce e fossili sulle due sponde dell'Atlantico erano i "ponti di terra". I sostenitori ritenevano che gli animali avessero potuto camminare da una parte all'altra dell'oceano, portando con sé i semi delle piante e degli alberi i cui fossili si trovavano su entrambe le sponde. Ma dove si trovavano adesso questi ponti di terra? Dato che la flora e la fauna cominciavano a divergere dopo il Giurassico, si dedusse che i ponti di terra fossero sprofondati durante il Cretaceo.
Meccanismo di Wegener

Ma era possibile che un ponte di terra si stendesse per 8mila chilometri da una parte all'altra dell'Atlantico? La maggior parte dei geologi pensava di sì perché, anche se comprendevano il senso delle argomentazioni di Wegener, c'era una domanda che rimaneva priva di risposta. Come facevano i continenti a muoversi? I geofisici, in particolare, ritenevano che il meccanismo di Wegener per spiegarlo fosse fisicamente impossibile. Wegener aveva teorizzato che, visto che i continenti erano fatti di un materiale meno denso di quello del fondo dell'oceano, avrebbero galleggiato nel substrato, come gli iceberg sul mare. Ma come avrebbero fatto a farsi strada nella dura roccia dei fondali oceanici? L'idea era assurda e le discussioni andarono avanti per più di dieci anni prima che qualcuno trovasse una soluzione plausibile.(science)


14/07/14

Continenti | Come si sono formati

Continenti: come si sono formati
Una volta intuito che in passato le terre emerse erano unite insieme, il problema fu di spiegare come si fossero separate.

Da quando si disegnano le carte geografiche si è notato che la costa orientale delle Americhe dà l'idea di aver combaciato un tempo con quella occidentale dell'Africa e dell'Europa: non sono identiche, ma tanto simili da far sì che molti si chiedessero se un tempo fossero unite.

Fin dal 1596 il cartografo olandese Abraham Ortelius ritenne che le Americhe fossero state "strappate dall'Europa e dall'Africa... da terremoti e alluvioni". Nel corso dei secoli successivi diversi studiosi notarono la considerevole corrispondenza tra le due linee costiere, ma fu Antonio Snider-Pellegrini che nel 1858 per primo ricostruì la forma che potrebbero aver avuto i continenti prima della separazione. Portando a sostegno delle sue idee le coincidenze sia tra i fossili sia tra le formazioni rocciose sulle sponde opposte dell'Atlantico, la sua ricostruzione mostrava un singolo continente come poteva essere il primo giorno della creazione. Secondo lo studioso, a seguito di una violenta espansione della crosta terrestre, provocata dall'eruzione di materiale vulcanico lungo una spaccatura nord-sud, i continenti avrebbero raggiunto le posizioni attuali il sesto giorno della creazione. Nel 1875 John Pepper usò l'idea di Snider-Pellegrini di un singolo continente a sostegno della sua teoria sulla formazione del carbone, che si trova in molte diverse parti del mondo:

"L'uniformità delle piante fossili degli strati di carbone dell'Europa e del Nord America è una dimostrazione convincente della precedente esistenza di un continente... là dove adesso si agitano le onde dell'Atlantico". Se i continenti non fossero stati uniti quando si stava depositando il carbone come si spiegherebbe questo fenomeno? Sarebbero passati altri 35 anni prima che qualcuno si ponesse di nuovo la stessa domanda.(science)



06/07/14

Tempo di traslochi: le api lasciano la campagna e si trasferiscono in città.

I cambiamenti, in genere, vengono effettuati per migliorare uno stato di cose, in ogni settore che sia. Spesso e volentieri però questi cambiamenti vanno a creare problemi in altri ambiti. E' il caso dell'agricoltura, da quando è stata abbandonata quella biologica, cioè quel metodo di coltivazione e di allevamento che permette solo e soltanto l'impiego di sostanze naturali, escludendo pertanto l'utilizzo di sostanze di sintesi chimica del tipo di concimi, diserbanti, insetticidi, per passare all'agricoltura intensiva, cioè il metodo che tende ad elevare il livello di produttività attraverso l'utilizzo,di macchinari, pesticidi, fertilizzanti chimici e, ultimamente,varietà colturali geneticamente modificate (OGM), è venuto a crearsi un serio problema all'apicoltura. Da tempo si sta osservando una fuga di questo insetto dalle campagne e sempre più spesso si notano sciami nelle città, nidi sui tetti dei palazzi o nei giardini domestici. La causa di questa "migrazione cittadina", come spiega all'Adnkronos Francesco Panella, presidente dell'Unaapi, l'Unione nazionale associazioni apicultori italiani:" ormai stanno meglio in città che in campagna",è da ricercarsi proprio nell'agricoltura intensiva, che con l'uso di prodotti chimici, è tra le cause principali della moria delle api nel loro habitat naturale. Negli Stati Uniti la situazione è allarmante, dal momento che da circa un decennio ogni anno muoiono il 30 per cento delle api, e si è arrivati al punto di trasportarle da uno stato all'altro per l'impollinazione di varie colture. In Italia la situazione è meno grave, "grazie alla sospensione di alcuni insetticidi sistemici nella concia delle sementi del mais"- spiega ancora Panella - " Per salvare le api, dunque, è necessario cambiare modo di fare agricoltura, trattiamo il processo produttivo agricolo come se si trattasse di fare automobili o frigoriferi, senza tenere presente che invece abbiamo a che fare con la natura e la sua complessità". Purtroppo quest'anno è una stagione pessima per la produttività a causa delle fioriture primaverili in ritardo. In Italia ci sono circa 50mila apicoltori e una produzione media di 200mila quintali di miele ogni anno. Un settore dove si registra una crescita dell’occupazione, soprattutto giovanile, dal momento che la domanda di prodotti apistici cresce più dell’offerta. (immagine presa dal web)

27/06/14

Kawazulite | Conduttore elettrico all'esterno | Isolante internamente

Kawazulite
Che cos'è la Kawazulite? Si tratta di un minerale presente in natura nella crosta terrestre. Fisici tedeschi hanno di recente dimostrato che un campione della sostanza, raccolto in Repubblica Ceca, si comporta come un conduttore elettrico all'esterno e come un'isolante all'interno.

Come si spiega questa curiosa proprietà?
All'interno, gli elettroni si muovono secondo traiettorie circolari, che ne impediscono il flusso attraverso il minerale. In superficie, invece, si spostano a scatti lungo il profilo del materiale, e cosi dacendo conducono elettricità.

Perchè se ne parla?
"Isolanti topologici" come questo erano già stati sintetizzati in laboratorio, ma è la prima volta che il fenomeno è stato osservato in un campione naturale. Questi isolanti potrebbero, in futuro, permettere di costruire computer più veloci.

In che modo ciò si potrebbe realizzare?
Una delle proprietà degli elettroni è il loro spin, che può avere soltanto due valori: alto spin o basso spin. Nello strato conduttivo del materiale, gli elettroni ad alto spin si muovono in un'unica direzione, mentre le particelle a basso spin avanzano in senso opposto. Il risultato è una "corrente di spin", un flusso di elettroni di spin e non di carica. Ciò potrebbe aprire la strada alla costruzione di "transistor di spin", molto più veloci dei semiconduttori utilizzati oggi dai nostri computer.(science)



Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.