Il-Trafiletto
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14/07/14

Uova marce: il loro "profumo" può aiutare molte patologie

Quante volte vi è capitato di sentire quell’odore sgradevole, per il vostro olfatto, di uova marce, e magari maledire il momento in cui siete passati in quel posto? Ebbene, senza saperlo avete imprecato contro una sostanza che potrebbe essere moto utile nel trattamento o la prevenzione di patologie quali l’ictus, l’infarto, il diabete e addirittura la demenza, stiamo parlando del solfuro di idrogeno, o acido solfidrico (formula chimica H2S). Nel nostro organismo quando le cellule sono colpite dalla malattia chiedono aiuto a degli enzimi per produrre piccole quantità di solfuro di idrogeno, il quale ha la caratteristica di aumentare l’attività dei mitocondri e permette alle cellule di vivere, in caso contrario esse muoiono non avendo la capacità di regolare l’infiammazione”. I ricercatori dell’Università britannica di Exeter, in un lavoro pubblicato sul Medicinal Chemistry Communications, hanno prodotto una sostanza a base di solfuro di idrogeno, denominata con la sigla AP39, deputata a prevenire il danno mitocondriale in varie patologie come la demenza e l’ictus. Come dice Mark Wood, docente di Bioscienze all’Università di Exeter, il solfuro di idrogeno può considerarsi quindi un salvavita, basti pensare che in alcuni test effettuati sulle malattie cardiovascolari, la molecola AP39 ha permesso la sopravvivenza dell’80 per cento delle cellule mitocondriali, come riscontrato in studi precedenti dove oltre alle patologie vascolari, erano stati notati risultati anche nelle patologie del sistema nervoso.

15/05/14

Se fumi rischi un invecchiamento cerebrale precoce, smetti e ti torna il buonumore.

“Perché fumo? A cosa serve fumare?” Quante volte ci siamo posti queste domande, dandoci anche delle risposte abbastanza scontate, ma senza mai prendere una drastica decisione e dare un taglio netto alla sigaretta. “Lo so, non serve a niente, ma fumare mi rilassa, mi dà sicurezza con gli altri, non ne posso fare a meno, e poi posso smettere quando voglio”, ci giustifichiamo. Senza pensare a quanti e quali danni possiamo avere a breve o a lungo termine. Uno studio durato 25 anni, effettuato dai ricercatori dell’University College di Londra (apparso su Archives of General Psychiatry) condotto su 7.236 uomini e donne di mezza età (dipendenti del Servizio civile inglese), ha dato come risultato un’accelerazione del rischio di demenza ed invecchiamento precoce del cervello, a cominciare dai 45 anni di età. Ai volontari di questo studio è stato chiesto di svolgere alcuni prove cognitive a tre età diverse: tra i 44-69 anni, tra i 50 e i 74, e tra i 55 e gli 88, e si è arrivati alla conclusione che i fumatori mostravano un declino cognitivo più veloce, di circa 10 anni, rispetto ai non fumatori. E più numerose erano le sigarette fumate, maggiori erano i danni neurologici. Ma c’è un altro studio condotto dai ricercatori dell’Università di Nottingham e pubblicato sulla rivista medica British Medical Journal dove si è studiata la salute psicologica di circa 1500 partecipanti a dei corsi contro il fumo, misurandola sei settimane prima del corso e poi ricalcolandola dopo altre sei settimane senza aver fumato. I risultati hanno dimostrato che dopo un primo momento di variazione di umore, dovuto probabilmente allo stop drastico del fumo di sigaretta, nella totalità dei volontari è stato notato un evidente calo dei sintomi ansiosi e depressivi, lasciando spazio all’ottimismo e alla voglia di programmazione. Smettere di fumare quindi non può che fare bene alla salute dell’uomo (e della donna), dal momento che sono sufficienti poche settimane per riscontrare effetti positivi sull’apparato cardiocircolatorio per arrivare, a 10 anni dopo lo stop al fumo di sigaretta, a un rischio di malattie cardiovascolari e tumorali pari a quelle di un soggetto che non ha mai fumato. E non è poco.

31/01/14

"L’isola del giorno prima"...secondo Henry Gustav Molaison!

"L'isola del giorno prima"...secondo Henry Gustav Molaison! No, non abbiate timore, non preoccupatevi amanti della letteratura, non si tratta di una blasfema rivisitazione del capolavoro del maestro Umberto Eco, ma bensi di una storia che sarebbe stata benissimo al celebre racconto di fama mondiale: "L'isola del giorno prima", o forse a "L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello". Insomma una storia in perfetto stile Memento, quella che riguarda Henry Gustav Molaison, uno dei più famosi pazienti che gli annali storici delle neuroscienze abbiamo mai serbato.

Nel 1953, un intervento chirurgico sperimentale – praticatogli per curarlo da una grave forma di epilessia – lo privò del meccanismo di fissazione delle memorie: Molaison ricordava tutto quello che era successo prima dell’intervento, ma era diventato completamente incapace di memorizzare nuove informazioni. Tanto che, per decenni, continuò a salutare i medici che lavoravano con lui come se li vedesse sempre per la prima volta. Naturalmente, il suo caso ha suscitato profondo interesse nella comunità scientifica, intenzionata a studiarlo per capire come esattamente il cervello creasse le registrazioni di volti, fatti ed esperienze di vita.

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Henry Gustav Molaison
Alla morte di Molaison, nel 2008, Jacopo Annese, neuroanatomista italiano della University of California, San Diego, e direttore del Brain Observatory, ha congelato il suo cervello in un blocco di gelatina e lo ha tagliato in 2.401 lamelle sottili come fogli di carta. L’operazione, che è durata 53 ore, è stata trasmessa in diretta streaming sul sito di Annese, registrando oltre 400.000 accessi. L’obiettivo di Annese, racconta Wired.com, è di creare un atlante open-access “per la preservazione storica e per lo studio scientifico” del cervello di Molaison. E oggi, a 6 anni di distanza, è stata pubblicata un’analisi preliminare dell’organo, che spiega il deficit di memoria del paziente.

Gli autori dello studio, tra cui Suzanne Corkin, neuroscienziata del Mit che ha lavorato con Molaison per quasi cinquant’anni, hanno scoperto che William Beecher Scoville, il chirurgo che operò Molaison, non rimosse l’intero ippocampo – come aveva intenzione di fare. Ne tagliò solo una porzione, insieme a parte della corteccia entorinale e dell’amigdala. È questo danno, piuttosto che la rimozione dell’ippocampo, che causò il deficit di memoria: “La corteccia entorinale”, spiega Corkin, “contiene tutti i cammini [pathways] che portano informazioni dal mondo esterno, percepite attraverso i cinque sensi, all’ippocampo.

Molaison è stato privato di queste connessioni, e dunque il meccanismo di fissazione delle memorie nell’ippocampo era praticamente inservibile”. Tagliato fuori dal resto del mondo, un po’ come un computer offline. L’esame post-mortem, tra l’altro, ha anche scoperto una piccola lesione nel lobo frontale. Secondo gli scienziati, è possibile che sia successivo all’operazione chirurgica, e potrebbe essere la causa della demenza che colpì Molaison prima della sua morte. “Sono necessari ulteriori studi”, precisa Corkin. “Il nostro studio non è l’ultimo sul cervello di Molaison. Al contrario, è l’inizio di un nuovo capitolo in uno dei casi di studio più lunghi nella storia della scienza”.
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