Il-Trafiletto
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14/03/14

Tornano i Rolling Stones in Italia. Il 22 giugno al Circo Massimo di Roma l'unica serata italiana.

Dopo sette anni i Rolling Stones torneranno a Roma. Il sito web di Rolling Stone Italia ha rivelato le date del prossimo tour europeo del famosissimo e intramontabile gruppo musicale inglese. Il 7 giugno si esibiranno in Olanda al Pinkpop Festival, il 22 a giugno sarà la data dell'unica serata italiana e precisamente a Roma al Circo Massimo, mentre il 28 dello stesso mese saranno di scena all Tw Classic Festival in Belgio. Secondo informazioni raccolte dalla rivista, gli organizzatori del Postepay Rock in Roma sarebbero al lavoro per superare gli ultimi problemi, il più importante dei quali è quello di escogitare un modo di organizzare l’accesso al Circo Massimo per far pagare il biglietto ai fan dei Rolling Stones. L’ultima volta che i Rolling Stones vennero a Roma fu nel 2007, allo stadio Olimpico, per il loro «A Bigger Bang tour». In quell'occasione non ci fu il tutto esaurito; la colpa venne data alla presenza nello stesso giorno, sul palco dell'Auditorium, della rock star Lou Reed con la sua opera "Berlin". Lo stadio romano fu preso d'assalto da un pubblico di circa trentacinquemila unità, e purtroppo fecero la comparsa anche alcuni incidenti, tra i quali la rottura delle porte dei cancelli e una invasione di campo di massa degna dei più infuocati derby di calcio. Fu senza dubbio un concerto memorabile. Memorabile in tutto, anche nel il costo dei biglietti che arrivarono a costare 177 euro. A Roma i Rolling Stones non si esibivano da tempo. «È fantastico essere qui dopo diciassette anni. Siete bellissimi, come allora», urlò Jagger prima di «Rocks Off». Sono stati superati i cinquant’anni di carriera ma ai Rolling Stones non sfiora nemmeno la più pallida idea di fermarsi. Del resto hanno detto: «Funzioniamo perché suoniamo insieme. Puoi prendere Segovia e metterlo nei Rolling Stones, non andrebbe bene».

04/02/14

Perché si dice “Fare il portoghese”?

L'espressione “fare il portoghese”, che indica il comportamento di usufruire di un servizio senza pagarlo, è nata da un fatto storico ben preciso accaduto a Roma. All’epoca del re Giovanni V di Bragança, il Portogallo era una nazione vigorosa, ricca e potentissima. Aveva ambasciatori in ogni paese europeo e il più importante si trovava a Roma sotto il governo dei Papi presso la Santa Sede. Nel XVIII secolo, l'ambasciata del Portogallo fu promotrice di numerosi spettacoli e ricevimenti presso il Teatro Argentina, a Roma. Gli appartenenti alla Comunità Portoghese, residenti nella capitale, avevano accesso gratuito agli spettacoli; per loro era sufficiente dichiarare, all'ingresso, la propria nazionalità. Quando si sparse la voce, molti romani (di nazionalità italiana) approfittarono dell'opportunità ed assistettero allo spettacolo dichiarandosi portoghesi. La vicenda è raccontata anche in un libro portoghese, O Barco Pescarejo di José Coutinhas.

06/01/14

Dove finiscono i dati delle vecchie ricerche scientifiche?

Dove vanno a finire i dati delle vecchie ricerche scientifiche? Riuscire ad accedere ai dati è da sempre uno dei punti cardini su cui si basa la cultura scientifica moderna! Essere sempre e comunque in grado di avere la possibilità per gli scienziati di consultare ed effettuare verifiche sui risultati dei colleghi, per poi utilizzarli integrandoli nelle proprie ricerche.

Un sistema ottimo in teoria, che però in pratica rischia di essere solamente una mera illusione, per il semplice fatto che non solo sempre più ricercatori sono reticenti a condividere i propri risultati, ma ormai spesso capita che non si sa più nemmeno che fine abbiano fatto i dati originali di determinate ricerche. A suonare l’allarme è lo studio realizzato da un gruppo di ricercatori canadesi, pubblicato sulla rivista Current Biology.

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Pen drive e Cd
I ricercatori hanno provato di recuperare i dati originali di 516 articoli scientifici che sono stati pubblicati tra il 1991 e il 2011. Gli studi scelti riguardavano tutti quanti il campo dell’ecologia, e in particolare la misurazione di  caratteristiche anatomiche di piante e animali, perché si tratta di analisi che vengono eseguite esattamente nello stesso identico modo ormai da decenni.

I ricercatori canadesi hanno contattato gli autori degli studi, e hanno chiesto loro di fornirgli i dati relativi all’articolo in questione. Se per i lavori risalenti a due anni fa non sono emersi particolari problemi, la percentuale di articoli di cui erano ancora disponibili i dati originali calava invece drasticamente nel caso di lavori più vecchi, e con una casistica a dir poco disarmante: il 17% in meno per ogni anno, tanto che solo per il 20%  degli articoli pubblicati negli anni ’90 risultavano ancora disponibili i dati originali.

Complotto? Truffa? Forse no, magari si tratta più che altro di distrazione e superficialità da parte degli scienziati. “Nella maggior parte dei casi i ricercatori hanno risposto “dovrebbero trovarsi in questo o quel luogo”, riferendosi magari alla soffitta della casa dei genitori, o a un dischetto per Pc, oppure pendrive di cui non vedono un lettore da 15 anni”, racconta su Nature Timothy Vines, ricercatore della University of British Columbia di Vancouver che ha coordinato lo studio. “In teoria i dati originali esistono ancora, ma in pratica il tempo e la fatica che dovrebbero fare i ricercatori per recuperarli rende la cosa proibitiva”. Persino contattare i ricercatori è risultata spesso un’impresa impossibile. Le chance di trovare un email funzionante diminuivano infatti del 7% per ogni anno trascorso dalla pubblicazione dell’articolo, tanto che Vines e colleghi sono riusciti infatti ad entrare in contatto solamente con il 37% degli scienziati cercati. Anche tra quelli con un indirizzo email aggiornato, solo poco più della metà si è degnata di rispondere alla loro richiesta.


Si tratta di una questione seria, perché (almeno per chi crede nell’Open Access) il progresso scientifico si fonda da sempre sulla condivisione delle conoscenze e dei dati tra ricercatori. La tendenza, invece, sembra tristemente andare nella direzione opposta. Specialmente in campo bio-medico, dove è in atto una vera e propria guerra tra le industrie del farmaco, che hanno tutto l’interesse a tenere segreti i dati delle ricerche da loro finanziate, e la comunità scientifica, che richiede il libero accesso ai risultati. Un’indagine presentata a settembre durante l’International Congress on Peer Review and Biomedical Publication di Chicago ha dimostrato ad esempio che in soli 4 anni, gli autori di articoli pubblicati sui prestigiosi Annals of Internal Medicine disposti a rendere pubblici i propri dati sono diminuiti drasticamente, passando dal 62% nel 2008 al 47% nel 2012.



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