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24/07/14

Apre il MUSE | Il nuovo museo delle scienze di Trento

Il MUSE è un sogno che si realizza. È il sogno di avere un nuovo grande punto di riferimento per la divulgazione scientifica in Italia, ancor più importante oggi che il nostro Paese è diventato orfano della Città della Scienza di Napoli. 

Le porte dell'avveniristica ed ecologica struttura architettonica firmata da Renzo Piano si apriranno il 27 luglio a Trento. E qui, i visitatori potranno scoprire exhibit multimediali, giochi interattivi, laboratori, collezioni storiche. "Il MUSE è un'orma di dinosauro, il racconto dell'evoluzione, delle origini dell'uomo e del suo interagire con l'ambiente circostante. È anche un ghiacciaio delle Alpi, è una serra tropicale, è un bosco interattivo, dove i bambini si mettono in gioco e vanno alla scoperta della natura e del mondo, è la stampante 3D di un FabLab, dove l'ingegno e voglia di superare vecchie barriere portano l'uomo a pensare a un futuro diverso", racconta la suggestiva presentazione del Museo delle Scienze.
MUSE
Il museo delle scienze di Trento

Ma non chiamatelo solo museo. Perché dentro si conducono attività di ricerca multidisciplinare, di base e applicata nel settore delle scienze naturali, con lo scopo di indagare, interpretare, educare, dialogare e ispirare sui temi della natura, della scienza, dell'innovazione e del futuro sostenibile. Per questo, con le sue dieci sezioni di studio e gli oltre 40 ricercatori coinvolti, è il fiore all'occhiello del Sistema Trentino della Ricerca e dell'Alta Formazione. Nel MUSE, i contenuti degli studi condotti sul campo sono il fil rouge del percorso espositivo, che dedica ampio spazio alla natura alpina, alla biodiversità, alla storia del primo popolamento umano, alle intersezioni e influenze reciproche tra scienza, tecnologia e società. In ogni piano, infatti, si trovano approfondimenti legati alle tematiche studiate dai ricercatori e si possono ascoltare dalla viva voce degli stessi alcune spiegazioni, aneddoti e curiosità sugli exhibit e sui contenuti in mostra.

Un'occasione unica e preziosa per vivere in prima persona l'emozione della scoperta e il desiderio dell'approfondimento. Finalmente una buona notizia per il nostro Paese.(science)


06/01/14

Dove finiscono i dati delle vecchie ricerche scientifiche?

Dove vanno a finire i dati delle vecchie ricerche scientifiche? Riuscire ad accedere ai dati è da sempre uno dei punti cardini su cui si basa la cultura scientifica moderna! Essere sempre e comunque in grado di avere la possibilità per gli scienziati di consultare ed effettuare verifiche sui risultati dei colleghi, per poi utilizzarli integrandoli nelle proprie ricerche.

Un sistema ottimo in teoria, che però in pratica rischia di essere solamente una mera illusione, per il semplice fatto che non solo sempre più ricercatori sono reticenti a condividere i propri risultati, ma ormai spesso capita che non si sa più nemmeno che fine abbiano fatto i dati originali di determinate ricerche. A suonare l’allarme è lo studio realizzato da un gruppo di ricercatori canadesi, pubblicato sulla rivista Current Biology.

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Pen drive e Cd
I ricercatori hanno provato di recuperare i dati originali di 516 articoli scientifici che sono stati pubblicati tra il 1991 e il 2011. Gli studi scelti riguardavano tutti quanti il campo dell’ecologia, e in particolare la misurazione di  caratteristiche anatomiche di piante e animali, perché si tratta di analisi che vengono eseguite esattamente nello stesso identico modo ormai da decenni.

I ricercatori canadesi hanno contattato gli autori degli studi, e hanno chiesto loro di fornirgli i dati relativi all’articolo in questione. Se per i lavori risalenti a due anni fa non sono emersi particolari problemi, la percentuale di articoli di cui erano ancora disponibili i dati originali calava invece drasticamente nel caso di lavori più vecchi, e con una casistica a dir poco disarmante: il 17% in meno per ogni anno, tanto che solo per il 20%  degli articoli pubblicati negli anni ’90 risultavano ancora disponibili i dati originali.

Complotto? Truffa? Forse no, magari si tratta più che altro di distrazione e superficialità da parte degli scienziati. “Nella maggior parte dei casi i ricercatori hanno risposto “dovrebbero trovarsi in questo o quel luogo”, riferendosi magari alla soffitta della casa dei genitori, o a un dischetto per Pc, oppure pendrive di cui non vedono un lettore da 15 anni”, racconta su Nature Timothy Vines, ricercatore della University of British Columbia di Vancouver che ha coordinato lo studio. “In teoria i dati originali esistono ancora, ma in pratica il tempo e la fatica che dovrebbero fare i ricercatori per recuperarli rende la cosa proibitiva”. Persino contattare i ricercatori è risultata spesso un’impresa impossibile. Le chance di trovare un email funzionante diminuivano infatti del 7% per ogni anno trascorso dalla pubblicazione dell’articolo, tanto che Vines e colleghi sono riusciti infatti ad entrare in contatto solamente con il 37% degli scienziati cercati. Anche tra quelli con un indirizzo email aggiornato, solo poco più della metà si è degnata di rispondere alla loro richiesta.


Si tratta di una questione seria, perché (almeno per chi crede nell’Open Access) il progresso scientifico si fonda da sempre sulla condivisione delle conoscenze e dei dati tra ricercatori. La tendenza, invece, sembra tristemente andare nella direzione opposta. Specialmente in campo bio-medico, dove è in atto una vera e propria guerra tra le industrie del farmaco, che hanno tutto l’interesse a tenere segreti i dati delle ricerche da loro finanziate, e la comunità scientifica, che richiede il libero accesso ai risultati. Un’indagine presentata a settembre durante l’International Congress on Peer Review and Biomedical Publication di Chicago ha dimostrato ad esempio che in soli 4 anni, gli autori di articoli pubblicati sui prestigiosi Annals of Internal Medicine disposti a rendere pubblici i propri dati sono diminuiti drasticamente, passando dal 62% nel 2008 al 47% nel 2012.



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