Un
2013 all'insegna della
povertà culturale: sono più di 5
italiani su 10 che non hanno nemmeno
letto un
libro!
Il gelo dell'
inverno culturale in
Italia pare essere sempre più fitto. Di certo il
2013 non sarà annoverato nei ricordi come
un'annata positiva in senso lato del termine: troppi i
momenti e le
situazioni che hanno
caratterizzato l'
anno scorso che ci hanno
impoverito, compreso l'
aspetto culturale della
popolazione italina.
Il
bilancio si chiude infatti decisamente in
rosso: 39
italiani su 100 (il 3,7% in più rispetto al 2012) non hanno partecipato ad alcuna
attività culturale nel corso dell'anno. Aumenta la
quota di quelli che non
leggono nemmeno un
libro all'anno: il 57% degli
italiani, il 3% in più rispetto al 2012. I
dati, presentati oggi da
Federculture alla Camera dei deputati, confermano il malessere già evidenziato nelle ultime
analisi, a cominciare dal
Rapporto Federculture 2013. Insomma, siamo in coda alle
classifiche europee: secondo
Eurobarometro, il nostro
indice di
partecipazione culturale nazionale è all'8%, contro una
media Ue che raggiunge il 18% (in cima alla
classifica la
Svezia, dove il 43% dei
cittadini prende parte in maniera assidua ad
attività culturali).
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Gli italiani non leggono |
Il calo della
domanda di pari passo con quello dell'offerta
Se il quadro sotto il profilo della domanda è drammatico, la situazione dal punto di vista dell'offerta non è certamente migliore. Anzi: il calo della domanda va di pari passo con quello dell'
offerta. Se si guarda agli ultimi dieci anni, la riduzione dell'
impegno pubblico nella
cultura è una costante. Le
risorse a disposizione del
ministero dei Beni culturali in dieci anni hanno perso quasi un miliardo.
Oggi il
budget è di un miliardo e mezzo, lo 0,20% del
bilancio dello
Stato, e per il triennio 2014-2016 si prevede un'ulteriore sforbiciata fino a raggiungere quota 1,4 miliardi (al
Mibact, peraltro, è stata trasferita la competenza sul
turismo). Sempre sul
piano pubblico, in un solo anno - tra il 2010 e il 2011 (ultimi bilanci disponibili) - i Comuni - in difficoltà per la crisi e soggetti ai vincoli del patto di stabilità interno - hanno tagliato dell'11% gli
investimenti annuali nelle
politiche culturali; dal
2003 sono stati cancellati oltre 500 milioni.
«In
tempi di crisi spendere per
cultura non è uno spreco», ha sottolineato la
presidente della Camera Laura Boldrini, intervenuta alla presentazione del rapporto. Per dare un'idea dell'inadeguatezza degli
investimenti pubblici, basta ricordare che il
British Museum riceve 85,5 milioni di sterline l'anno, la
Tate Gallery 38,7, il
Louvre 100 milioni di euro, mentre
La Triennale ottiene 2,4 milioni (76% autofinanziati) e il
Palaexpo 9 milioni (58% autofinanziati).
Meno risorse da
sponsorizzazioni private e
fondazioni.
E i privati? Anche qui il
bilancio è
negativo:
investimenti in contrazione. Dal 2008 dalle
sponsorizzazioni private e dalle
erogazioni delle fondazioni bancarie sono arrivate alla
cultura, rispettivamente, il 38% e il 40,5% di risorse in meno. Nel 2013 le
sponsorizzazioni da parte delle
aziende private alla
cultura sono state pari a 159 milioni.
Sempre meno
italiani vanno a
teatro o visitano un
museo.
Il
budget diminuisce, a fronte di un
'industria culturale e
creativa che in
Italia produce il 5,4% del
Pil, pari a 75,5 miliardi, e dà lavoro a 1,4 milioni di occupati.
Gli
italiani spendono poco in
cultura: in media il 7,1% per
nucleo familiare, contro il 10,6% della Gran Bretagna. Dopo vent'anni di crescita del settore, la spesa pro capite per
teatro,
cinema,
visite a
musei e
mostre,
siti archeologici e
monumenti si riduce. Sale dal 36,2% del 2012 al 38,9% del 2013 la percentuale della
popolazione con più di sei anni che non ha partecipato a nemmeno un
intrattenimento culturale fuori casa. Positivo il commento di
Federculture sull'introduzione della
detrazione fiscale della spesa per l'acquisto di
libri prevista nel decreto "Destinazione Italia".
Il nodo (strategico) della
formazione.
Le difficoltà sono evidenti anche sul
piano formativo. L'
Italia, sottolinea ancora
Federculture, è al 26esimo posto tra i
Paesi della Ue per
spesa pubblica nell'
istruzione. Introdotto dalla
Riforma Gentile del 1923, l'insegnamento della
Storia dell'arte è stato per anni una
peculiarità italiana. Oggi lo si riduce: viene considerata materia obsoleta, quando in Francia dal 2008 questi insegnamento è stato reso obbligatorio in tutti gli indirizzi educativi, a partire dalla scuola primaria.
Il
gap sul
digitale.
L'
Italia insegue anche sul
digitale. In
Europa il Paese è ultimo nell'accesso e nell'uso delle
risorse digitali. Solo il 3% dei
musei italiani ha
applicazioni per
smartphone e
tablet. Solo il 6% ha
audioguide o
dispositivi digitali per le visite. Il 13% dei
musei ha un
catalogo accessibile online.