Il-Trafiletto
Visualizzazione post con etichetta cellule. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cellule. Mostra tutti i post

27/05/17

Come combattere cellule tumorali: incredibile scoperta

Come combattere cellule tumorali: incredibile scoperta quella di un microscopico soldato per battere il cancro con l'aiuto della genetica. 


Ricercatori delle università di Ginevra e Basilea sono riusciti a modificare un virus per far sì che combatta i tumori attaccando le cellule cancerogene.

I primi test, realizzati su topi, hanno dato esiti positivi.
Il sistema immunitario umano è poco reattivo nei confronti della maggioranza delle cellule cancerogene, diverso è il caso se ha di fronte un virus, spiegano i due atenei in una nota.

Sulla base di questo assioma, gli scienziati hanno isolato il virus della coriomeningite linfocitaria - una malattia virale dei roditori - e, dopo averlo reso inoffensivo, hanno inserito delle proteine provenienti da cellule cancerogene.
I ricercatori hanno in seguito potuto osservare come il virus, iniettato nei topi, stimoli il sistema immunitario che a sua volta identifica come pericolose le proteine provenienti dalle cellule cancerogene.
Vengono allora prodotti linfociti T citotossici che eliminano le cellule infettate, per alcuni tumori, spiegano le due università, i risultati prodotti sono superiori rispetto a quelli ottenuti con l'immunoterapia.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista 'Nature Communications'.
 Leggi articolo originale

23/10/14

Nasce una nuova era della potenza

La Porsche 918 sarà il futuro delle sportive che verranno. Quindi, giù in cantina gli enormi motori dal consumo esagerato, e largo a quelli elettrici e a batterie a ricarica rapida, integrate con piccoli motori a gas.


La Porsche 918 va da 0 a 100 km/h in soli 3 secondi ed è dotata di un impianto propulsivo plug-in a bassissimo consumo: appena 3 litri/100km. Ma la nuova Porsche si distingue per la sua capacità di ricaricare completamente le cellule durante la guida. 

Gli attuali ibridi plug-in ricavano solo un filo di energia mentre l'auto è in movimento e hanno bisogno di essere ricaricati una volta che rimangono a "secco". Quando la batteria della Porsche 918 è esaurita, i freni dell'auto e il motore fanno da generatori, ricaricando le cellule in pochi minuti e preparando l'auto per un nuovo impulso elettrico. L'unico propulsore preannuncia un futuro un futuro in cui le prestazioni saranno legate all'efficienza di una batteria, non alla potenza di un motore.

A seguire la scheda tecnica della Porsche 918:
  • Modello: Porsche 918
  • Motore: V8 da 4,6 litri a due motori elettrici sincronizzati ad attivazione permanente
  • 887 CV: potenza massima
  • 210 KW: potenza elettrica complessiva
  • 70 g/Km: emissioni di CO2
  • Prezzo: a partire da 791.426 €
La Porsche 918





22/08/14

Da virus mortale a cura del futuro | HIV | Seconda parte

Grazie alla ricerca sei bambini sono guariti e altri potranno sperare in una vita normale. La tecnica utilizzata dai ricercatori del TIGET consiste nello sfruttare i vettori lentivirali come veicolo per introdurre una copia corretta del gene difettoso nelle cellule del paziente. 


I vettori caricati di materiale genetico vengono inseriti nelle cellule staminali del sangue (emopoietiche) prelevate dal midollo osseo in modo da "infettarle" con il gene terapeutico e le cellule così curate vengono poi reintrodotte nell'organismo. A questo punto le cellule si replicano, generandone altre sane in grado di produrre la proteina mancante e di "condividerla" anche con altre cellule difettose già presenti nell'organismo, correggendone quindi il difetto.

Gli studi clinici sono iniziati nel 2010 e finora a beneficiare di quella che sembra essere la nuova frontiera nella lotta alle malattie genetiche sono stati 16 piccoli pazienti provenienti da tutto il mondo. I dati dello studio pubblicato si riferiscono però solo a sei di essi, quelli per cui è passato abbastanza tempo per poter avere un buon grado di certezza e sicurezza dei risultati. "Nel caso della leucodistrofia metacromatica abbiamo trattato sostanzialmente pazienti pre-sintomatici. Purtroppo non è oggi pensabile . trattare pazienti in stadio molto avanzato e far regredire la malattia", spiega Naldini. A tutti i bambini inseriti nello studio era infatti stata diagnosticata la malattia e molti avevano fratelli più grandi colpiti dallo stesso male, ma nessuno aveva ancora manifestato i sintomi caratteristici.

I bambini oggi stanno tutti bene, conducono una vita normale e hanno raggiunto un'età in cui in genere la patologia è già in stadio avanzato. La domanda che adesso ci si pone è se l'effetto terapeutico durerà per tutta la vita. "Noi abbiamo agito su cellule staminali, che per definizione dovrebbero auto mantenersi per tutta la vita. Ci aspettiamo quindi che l'effetto terapeutico sia permanente, ma la certezza potremo averla solo con l'osservazione", conclude Naldini. Per avere i risultati definitivi bisognerà attendere ancora tre anni, quando saranno disponibili i dati relativi anche agli ultimi pazienti trattati. Ma la storia non finisce qui. "La riuscita ingegnerizzazione delle cellule staminali del sangue apre le porte alla possibilità concreta di estendere, in futuro, questo approccio terapeutico anche ad altri tipi di malattie più diffuse", conclude Naldini.

Questo risultato è un grande successo per la ricerca italiana, che ancora una volta ha dimostrato la sua eccellenza nonostante le innumerevoli difficoltà che si trova a fronteggiare. "Quando si parla dei mali della ricerca italiana il tema principale è sicuramente la scarsità dei finanziamenti, ma il vero problema è una non ideale allocazione dei fondi, perché ce dispersione e non sempre vengono premiati i migliori", afferma Pasinelli. "Grazie al modello di rigorosa selezione dei programmi di ricerca da noi adottato, che permette di dare a pochi tutto quello di cui hanno bisogno, anche in Italia è possibile arrivare ad avere ricerca competitiva a livello mondiale, nonostante risorse indubbiamente più limitate.

Se venisse applicato regolarmente sono sicura che i programmi di ricerca dell'accademia italiana ne beneficerebbero notevolmente".(science)

HIV | Da virus letale a cura del futuro | Prima parte

In due lavori indipendenti pubblicati su Science i ricercatori dell'Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (TIGET) di Milano guidati da Luigi Naldini descrivono il primo successo clinico della terapia genica con vettori lentivirali, derivati dal virus responsabile dell'Aids su due rare patologie genetiche dell'infanzia, la leucodistrofia metacromatica e la sindrome di Wiskott-Aldrich. 


Oggi Jacob può guardare al domani con gli occhi di un bambino di tre anni. Senza avere più paura di ammalarsi per una banale infezione. E può giocare e correre senza indossare quell'elmetto che prima lo proteggeva dal rischio di gravi emorragie in caso di caduta. La stessa cosa è possibile per Mohammed, Giovanni, Kamal, Samuel e Canalp. Sono i sei piccoli pazienti affetti da due gravi malattie genetiche dell'infanzia che sono guariti grazie alla nuova terapia genica messa a punto da un team di ricercatori dell'Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica di Milano (TIGET).

Gli studiosi hanno "addomesticato" il temibile virus HIV, spogliandolo della sua componente patologica e lo hanno usato come veicolo per entrare nelle cellule e sostituire i geni difettosi con quelli sani. "Questo progetto è stato reso possibile grazie alla solidarietà di centinaia di migliaia di italiani che negli anni ci hanno sostenuto", afferma Francesca Pasinelli, direttore generale della Fondazione Telethon, che ha investito 19 milioni di euro per le ricerche su queste due malattie. "Il traguardo raggiunto è particolarmente importante per noi perché dimostra che finanziando la ricerca scientifica con i criteri e i metodi con cui lo abbiamo fatto, e soltanto attraverso l'applicazione di moltissimo rigore, questa ricerca nel tempo progredisce dal laboratorio al letto del paziente". Le due malattie trattate con successo sono la leucodistrofia metacromatica (tristemente nota al grande pubblico per la vicenda mediatica della piccola Sofia) e la sindrome di Wiskott-Aldrich, entrambe dovute a un difetto genetico che causa l'assenza di una proteina fondamentale per il nostro organismo.

Queste due patologie insorgono sin dai primi mesi di vita e conducono a un'inesorabile morte nel giro di pochi anni dalla diagnosi. La tecnica che ha dato una nuova speranza a questi bambini si basa su una geniale intuizione di Luigi Naldini, il direttore del TIGET che ha coordinato lo studio, descritta in un articolo pubblicato nel 1996 su Science. "Lidea di usare il virus HIV è venuta 17 anni fa. I vettori virali per terapia genica si stavano già sperimentando, ma c'era un problema di fondo: la scarsa efficienza del trasferimento genico nelle cellule", afferma Naldini. "Era da poco stato descritto il virus HIV, capace di infettare le cellule con più efficienza di quelli conosciuti fino ad allora perché in grado di entrare nel nucleo, dove si trova il DNA della cellula in cui viene inserito il gene terapeutico, anche senza dover aspettare la divisione cellulare che ne apre la porta agli altri virus".

Da qui l'idea di addomesticare proprio HIV, disarmarlo e sfruttarlo per trasportare geni all'interno di cellule che normalmente non si dividono, come quelle del sistema nervoso. Il metodo si rivelò corretto dal punto di vista teorico, ma la difficoltà venne subito dopo. "Questo era un virus molto temuto perché si conosceva poco, si sapeva soltanto che era pericoloso, che infettava l'uomo e che inesorabilmente portava alla morte per AIDS. Quindi l'idea di ingegnerizzarlo e di renderlo poi un domani utilizzabile in terapia genica faceva paura. La nostra sfida è stata prima quella di rendere il vettore sicuro a sufficienza da essere usato anche nell'uomo e poi superare le paure della comunità medico-scientifica", dice Naldini.

Cosi il virus HIV è stato letteralmente smontato e sono stati eliminati alcuni pezzi per renderlo innocuo: i cosiddetti vettori "lentivirali" ottenuti, conservano soltanto il 10 per cento della sequenza originaria di HIV, per cui è impossibile che il virus possa riformarsi e infettare il paziente.(science)


19/08/14

Urina per fare ricrescere i denti

Un giorno, i dentisti potrebbero essere in grado di far ricrescere denti sostitutivi utilizzando un materiale di partenza piuttosto originale: l'urina del paziente. 

Ricercatori cinesi hanno trasformato cellule di scarto espulse dalla vescica in staminali in grado di trasformarsi in strutture dentali. Questa tecnica potrebbe consentire di creare neo-denti ricavandoli dal materiale cellulare dei pazienti stessi.

Gli scienziati, diretti da Duanqing Pei, esperto di medicina rigenerativa presso l'Accademia Cinese delle Scienze, a Pechino, ha prelevato cellule da urina umana riconvertendole in staminali pluripotenti (cellule con il potenziale per evolvere in qualsiasi altra forma cellulare). Le staminali sono poi state miscelate con tessuto molare dentario ottenuto da embrioni di topo e quindi trapiantate nel tessuto renale di un diverso gruppo di topi. Dopo tre settimane, è stata osservata la crescita di microstrutture somiglianti a denti all'interno del tessuto renale delle cavie.

Particolarmente interessante è il fatto che si tratta di strutture affini a denti umani, comprendenti una parte centrale (polpa), uno strato tra la polpa e lo smalto (dentina) e un rivestimento esterno duro (smalto). I ricercatori sostengono che se nel processo di sviluppo venisse utilizzato tessuto dentale umano invece che di topo, la tecnica consentirebbe in teoria di produrre un germe dentario interamente umano, da trapiantare nell'osso mascellare del paziente. E vero, però, che la percentuale di successo dell'esperimento sfiora appena il 30 per cento e che i denti artificiali non erano comparabili a quelli umani in termini di durezza. "A oggi, gli studiosi sono riusciti a far crescere soltanto minuscoli denti in topi sperimentali", dice Anthony Hollander, Direttore della Facoltà di Medicina Cellulare e Molecolare dell'Università di Bristol.

"Per essere funzionali, i denti umani devono essere correttamente dimensionati e maturi". Per il momento, dunque, meglio fare una corretta igiene orale e proteggere la dentatura che già abbiamo in dotazione.(science)

13/08/14

Capelli ed unghie | Al Sole crescono di più | La carne al barbecue fa male?

Capelli ed unghie
al sole crescono di più
Perché quando c'è molto Sole capelli e unghie crescono di più? 

Probabilmente accade perché la luce del Sole aumenta la quantità di vitamina D prodotta dalla nostra pelle e ciò incoraggia la crescita di unghie e capelli.

Gli studi sulla velocità a cui crescono le unghie delle mani e dei piedi nel corso degli ultimi 70 anni hanno mostrato che nel 1938 l'unghia del pollice cresceva a una media di circa 3 millimetri al mese, mentre ora è arrivata a 3,55 millimetri al mese, probabilmente come effetto di una dieta migliore. Quindi le vitamine - tra cui la vitamina D che otteniamo grazie alla luce del Sole - potrebbero fare davvero la differenza. D'altronde uno studio su cellule di capelli umani fatte crescere in laboratorio ha mostrato che l'esposizione alla luce ultravioletta le danneggia e le può anche uccidere. Quindi, come per molte cose, il meglio è la moderazione.

La carne al barbecue fa male? 

La carne contiene creatina, un acido . organico che aiuta a fornire energia alle cellule dei muscoli. Quando si cuoce la carne, una reazione chimica trasforma la creatina in un gruppo di composti detto ammine eterocicliche (HCA) e ci sono risultati che fanno pensare che in alte concentrazioni questi composti provochino il cancro.
La carne al barbecue fa male?

Le HCA si formano anche friggendo la carne o cuocendola alla griglia, ma i barbecue tendono a essere molto più caldi, e la preoccupazione per la carne cruda spinge a cuocere tutto finché è quasi carbonizzato: quindi i livelli di HCA sono molto più alti. Inoltre, in un barbecue il caldo viene dal basso e il grasso brucia quando gocciola sulla brace, il fumo sale e si deposita sulla carne. Questo fumo contiene molti idrocarburi policiclici aromatici (PAH) del grasso parzialmente bruciato. 1 PAH sono un altro gruppo di sostanze chimiche di cui è noto che provocano il cancro. Ma finora la maggior parte degli studi che collegano gli HCA e i PAH al cancro sono stati condotti in laboratorio, usando ratti e dosaggi molto elevati. In genere non mangiamo carne al barbecue abbastanza spesso perché i rischi per la salute siano apprezzabili. Persino se passate tutti i sabati pomeriggio al sole bevendo birra e mangiando hamburger, l'alcol e il colesterolo probabilmente saranno molto più nocivi degli HCA e dei PAH.

Ma se la cosa vi preoccupa, uno studio pubblicato da Harvard Health Letter suggerisce di ridurre il livello di queste sostanze cancerogene del 90 per cento pre-cuocendo la carne nel forno per due minuti e poi scottandola rapidamente sul barbecue per darle sapore.(science) 


25/07/14

Ecco il primo "clone" umano

Cellule clonate per fornire tessuti "di ricambio" a rischio "rigetto zero".

Per la prima volta nella storia, sono stati creati cloni umani: non si tratta naturalmente di feti pienamente formati, ma di masse di appena 150 cellule.

La tecnica utilizzata per ottenere questi agglomerati cellulari è stata descritta come utile a fornire tessuti sostitutivi per pazienti con danni tissutali come le lesioni del midollo spinale. Questa branca della ricerca, tuttavia, resta un campo altamente controverso. Sfruttando un processo simile a quello già utilizzato 17 anni fa per far nascere la celebre pecora Dolly, Shoukhrat Mitalipov dell'Oregon Health and Science University, negli USA, ha generato cellule umane clonate. Fino a oggi, era sempre risultato problematico applicare questa tecnica per produrre materiale cellulare umano vitale, ma Mitalipov e la sua équipe hanno scoperto che l'aggiunta di un po' di caffeina e una scarica elettrica migliorano le chance di successo.

Le blastocisti sono conglomerati di cellule
staminali in grado di evolvere in qualsiasi
altro tipo di cellula
Lo scienziato ha innanzitutto fuso una cellula adulta contenente DNA con una cellula uovo umana dalla quale era stato rimosso il nucleo, una tecnica nota come "trasferimento nucleare di cellule somatiche" (SCNT). Aggiungendo caffeina, si è impedita l'attivazione troppo precoce dell'uovo, mentre un impulso elettrico è servito a innescare lo sviluppo embrionale, dando luogo alla piccola massa di cellule nota come blastocisti. Le staminali embrionali risultanti possono essere indotte a trasformarsi in qualsiasi cellula specializzata dell'organismo. "Poiché queste cellule riprogrammate possono essere prodotte a partire da materiale genetico nucleare prelevato dal paziente stesso, si azzera il rischio di rigetto del trapianto", spiega Mitalipov.

La tecnica della clonazione richiede la donazione di ovuli umani e suscita timori perché potrebbe aprire la strada alla creazione di un primo clone pienamente sviluppato. Proprio queste preoccupazioni hanno recentemente allontanato dalla ricerca in tema di SCNT molti esperti di staminali, che hanno dirottato i propri sforzi sulla riprogrammazione di cellule adulte, ricondotte allo stadio embrionale. Da questa regressione nascono le "cellule staminali pluripotenti indotte" (iPSC). Mitalipov, però, sostiene che il materiale cellulare ottenuto tramite SCNT sia di qualità superiore rispetto alle iPSC e che, a differenza di queste ultime, sia in grado di diversificarsi in tutti i tipi di cellule specializzate presenti nel corpo umano. Secondo Mitalipov, lo scopo principale di questo tipo di ricerca è l'eliminazione di malattie trasmesse per via mitocondriale, cioè attraverso le piccole "centrali energetiche" intracellulari che, come il nucleo, contengono DNA. Il DNA del nucleo di una cellula uovo verrebbe trasferito a un altro uovo con DNA mitocondriale sano, mentre il nucleo verrebbe asportato. L'uovo sarebbe poi fecondato da spermatozoi.

"Ciò che più ci preme è aiutare le famiglie afflitte da diverse sindromi ereditarie causate da difetti mitocondriali, tra le quali la sindrome di Leigh", sostiene Mitalipov. "In questo momento, stiamo lavorando a sperimentazioni cliniche pensate apposta per questi pazienti".(science)



14/07/14

Uova marce: il loro "profumo" può aiutare molte patologie

Quante volte vi è capitato di sentire quell’odore sgradevole, per il vostro olfatto, di uova marce, e magari maledire il momento in cui siete passati in quel posto? Ebbene, senza saperlo avete imprecato contro una sostanza che potrebbe essere moto utile nel trattamento o la prevenzione di patologie quali l’ictus, l’infarto, il diabete e addirittura la demenza, stiamo parlando del solfuro di idrogeno, o acido solfidrico (formula chimica H2S). Nel nostro organismo quando le cellule sono colpite dalla malattia chiedono aiuto a degli enzimi per produrre piccole quantità di solfuro di idrogeno, il quale ha la caratteristica di aumentare l’attività dei mitocondri e permette alle cellule di vivere, in caso contrario esse muoiono non avendo la capacità di regolare l’infiammazione”. I ricercatori dell’Università britannica di Exeter, in un lavoro pubblicato sul Medicinal Chemistry Communications, hanno prodotto una sostanza a base di solfuro di idrogeno, denominata con la sigla AP39, deputata a prevenire il danno mitocondriale in varie patologie come la demenza e l’ictus. Come dice Mark Wood, docente di Bioscienze all’Università di Exeter, il solfuro di idrogeno può considerarsi quindi un salvavita, basti pensare che in alcuni test effettuati sulle malattie cardiovascolari, la molecola AP39 ha permesso la sopravvivenza dell’80 per cento delle cellule mitocondriali, come riscontrato in studi precedenti dove oltre alle patologie vascolari, erano stati notati risultati anche nelle patologie del sistema nervoso.

08/07/14

Carne artificiale

Presto la carne che consumiamo potrebbe arrivare, invece che da un allevamento, da una provetta. Hamburger in vitro, bistecche di laboratorio, scaloppe ingegnerizzate? 

Il nome non è ancora stato definito, ma la sostanza non cambia: secondo gli scienziati, siamo a un passo dalla carne di sintesi. Mark Post dell'Università di Maastricht ha già presentato il primo hamburger artificiale. Il costo, per ora, è di 250mila euro: un po' caro per essere sfruttabile commercialmente, ma secondo Post, questo prodotto altamente tecnologico presto diventerà accessibile, soprattutto in un mondo che stenta a soddisfare la domanda di carne.

La famosa polpetta da 250mila euro di Post è stata ottenuta con un prelievo bioptico di cellule staminali di muscolatura bovina, coltivate in un terreno di coltura contenente siero fetale di vitello (essenzialmente, sangue privato degli eritrociti). Il siero conteneva i principi nutritivi richiesti per la differenziazione delle staminali in cellule muscolari mature.
Il primo hamburger
artificiale
I frammenti di muscolo sono poi stati messi in tensione tra due ancoraggi in velcro per sfruttarne la tendenza naturale a contrarsi fino ad aumentare di volume, producendo piccole fibre di carne. Inoltre, il tessuto è stato sottoposto a impulsi elettrici che ne hanno incrementato il contenuto proteico, Infine, tremila striscioline di muscolo sono state fuse insieme per creare un solo hamburger di dimensioni standard.

Post fa parte di una sempre più nutrita schiera di scienziati determinati a sfruttare processi bioingegneristici per creare carne artificiale. La start-up statunitense Modem Meadows, diretta da Gabor Forgacs e da suo figlio Andreas, utilizza la tecnologia di stampa tridimensionale per produrre tessuti vivi, con lo scopo ultimo di creare organi artificiali e anche carne per il consumo alimentare. Migliaia di staminali muscolari vive vengono caricate su una cartuccia (formando una sorta di inchiostro biologico) e, un volta stampate secondo la forma desiderata, si fondono naturalmente per dar luogo a tessuto vitale. I due descrivono come "non spiacevole" il gusto della loro più recente invenzione, anche se ammettono che la neo-carne richiederà qualche aggiustamento.

I consumatori si adatteranno a mangiare carne di sintesi? "Intanto, ci consente di liberarci dell'effetto-repulsione indotto da macelli e allevamenti intensivi", dice Andras. "Il processo di produzione della carne artificiale è molto più pulito, trasparente ed ecologico: fa bene sia all'ambiente che agli animali, al contrario dei sistemi tradizionali".(science)

VALORI NUTRITIVI 
Per 115 g di hamburger artificiale dal sapore naturale 

  • PROTEINE: 5,1 g 
  • GRASSI: 5,6 g 
  • CARBOIDRATI: 0,3 g 
  • ENERGIA: 73 kcal 





15/06/14

I radicali liberi | L'altra faccia della medaglia

Effettivamente mai fu più azzeccato l'antico detto "ciò che non uccide fortifica" riguardo anche i radicali liberi. 

Tali molecole, già da tempo definiti icona dell'invecchiamento, paiono poter influenzare anche un'intervento completamente opposto e aiutare, in determinate circostanze particolari, i meccanismi di difesa delle cellule, favorendone la longevità. Si tratta dell'ipotesi formulata dai ricercatori della McGill University in uno studio pubblicato sulla rivista Cell in base ai quali i radicali liberi possono intervenire sugli identici meccanismi conosciuti per il loro coinvolgimento nei fenomeni di mortalità cellulare programmata contrastando, però, l'invecchiamento cellulare.
Radicali liberi contro
invecchiamento?

Gli scienziati, coordinati dall'esperto del Dipartimento di Biologia Siegfried Hekimi, lo hanno scoperto effettuando studi particolari sui meccanismi di apoptosi, ovvero sia quel processo che porta le cellule tipicamente negative per l'organismo a un vero e proprio suicidio nel verme Caenorhabditis elegans, un organismo che viene solitamente usato da tanto tempo come modello per studiare i fenomeni di morte cellulare programmata. Come ha provveduto a spiegare Hekimi, “dimostrare i meccanismi reali attraverso cui i radicali liberi possono esercitare effetti a favore della longevità fornisce nuove, forti prove dei loro effetti benefici come molecole-segnale”. Dal punto di vista pratico ciò “significa anche che i meccanismi dell'apoptosi possono essere utilizzati per stimolare meccanismi che rallentano l'invecchiamento”.

Hekimi ha anche aggiunto che “dato che i meccanismi dell'apoptosi sono stati studiati approfonditamente nell'uomo per la loro importanza nell'immunità e nel cancro esistono già molti strumenti farmacologici per manipolare il segnale apoptotico”. Tuttavia, l'esperto riconosce che raggiungere questo obiettivo potrebbe non essere semplice. Qualora gli scienziati riuscissero nell'impresa si aprirebbero nuovi approcci nella gestione dimalattie tipiche dell'invecchiamento, come le patologie neurogenerative, basati sulla manipolazione dei meccanismi dell'apoptosi per ottenere un aumento della resistenza allo stress.(ilsole24ore)





04/06/14

Il pompelmo. Buono, utile ma pericoloso: interagisce con molti farmaci.

Il pompelmo è un frutto appartenente al gruppo degli agrumi. E' simile all'arancia, di dimensioni leggermente maggiori, di colore giallo o rosa, con sapore acidulo, amarognolo e meno dolce. E' un frutto ricco di acidi organici (citrico e malico), di Vitamine C e P nonché di sali minerali come potassio e ferro, e di flavonoidi, ed il suo valore calorico decisamente basso ( circa 35 cal/100g) fa si che venga inserito in molte diete ipocaloriche. La sua scorza ha diverse proprietà, è antisettica, antidiarroica e antispastica, oltre a regolare glicemia e colesterolo. Molti studi sono statio fatti su questo agrume, alcuni dei quali hanno stabilito che consumando regolarmente una certa quantità di pompelmo (in genere 1 o 2 frutti), viene a diminuire appunto il livello di colesterolo e di circa il 20% il rischio di malattie cardiache. C'è un nuovo studio pubblicato sulla rivista Canadian Medical Association Journal (CMAJ) , dal titolo “Grapefruit-medication interactions:forbidden fruit or avoidable consequences?” che mette in guardia i consumatori di pompelmo, soprattutto gli over 45, dal momento che questi sono i più soggetti al consumo dei farmaci, molti dei quali si è visto che possono avere delle interazioni con la contemporanea assunzione di questo frutto o delle sue spremute, inteazioni dovute alla presenza di certe sostanze contenute all'interno di esso. Una di queste è la naringenina, un flavonoide, che sebbene abbia proprietà ipocolesterolemiche, sembra anche interagire con le cellule del fegato, nelle quali inibisce alcuni enzimi (CYP3A) deputati alla metabolizzazione di farmaci e nutrienti, con conseguente rischio di tossicità. L'inibizione di questo enzima (CYP3A) in presenza di succo di pompelmo si riflette anche a livello cardiovascolare, dal momento che comporta un aumento dell'assorbimento di alcuni farmaci per l'ipertensione come la felodipina, con conseguente riduzione della pressione e aumento della frequenza cardiaca. Altre interazioni sono state osservate in presenza di statine e soprattutto con l'assunzione di ansiolitici, con un evidente aumento della sedazione. Quindi è necessario, se non obbligatorio, fare molta attenzione all'assunzione di un'invitante spremuta di pompelmo se prendete farmaci di questo tipo. (immagine presa dal web).

03/06/14

La teoria dei biofotoni di Popp

Che cosa sono i biofotoni? Questo è un termine che fa riferimento alla emissione di energia luminosa da parte dei tessuti viventi, ed ogni nostra cellula emette segnali specifici, propri e caratteristici. Quella dei biofotoni è una interessante teoria, elaborata dal fisico Popp, sulla base di una geniale intuizione del russo Gurwitsch (1922), in base alla quale (testata da molteplici esperimenti) gli eventi biologici primari alla base della vita ed anche le alterazioni che portano alla malattia, sono eventi fisici di natura informazionale e quindi elettromagnetica (frequenze modulate).

Il fisico Popp, spiega che l’elettromagnetismo ha un ruolo determinante nella sfera biologica degli esseri viventi, come Heinsenberg sostiene che la forza elettromagnetica è la forza da cui dipende la vita, poichè essa è capace di modificare l’energia cinetica a livello atomico e molecolare. L'emissione di biofotoni da parte di tutti gli esseri/organismi viventi (ormai comprovata e dimostrata) è la chiave di volta che ci fa capire come avviene il passaggio di informazioni sia all'interno della cellula sia tra cellula e cellula. Queste sono informazioni necessarie per dare inizio ai processi del metabolismo che regolano la crescita delle cellule stesse, la loro rigenerazione e differenziazione, i processi biochimici, enzimatici e l'informazione genetica.

Biofotoni
immagine presa dal web
Come ben sappiamo, il corpo umano è costituito da miliardi di cellule che comunicano fra loro affinchè tutto funzioni regolarmente. Vi è dunque un coordinamento e una trasmissione attraverso un preciso linguaggio in codice, tramite il quale  i biofotoni, costituiscono gli organi, gli apparati e tutte le funzioni che rendono possibile la vita fisica e mentale. In base alla teoria sviluppata da Popp, i biofotoni hanno la loro origine dal nucleo cellulare che, quando la cellula è sana, emette un campo elettromagnetico e funziona come una “stazione ricetrasmittente” che guida ogni processo cellulare (interno ed esterno) attraverso una comunicazione che viaggia alla velocità della luce, consentendo il coordinamento praticamente istantaneo fra le varie parti dell'organismo.

Dunque, sulla base di questa teoria, la malattia sarebbe  un’interruzione delle linee di comunicazione biofotoniche all'interno dell'organismo, dovuta a parassiti, virus, funghi, sostanze inquinanti etc. Proprio a causa di questa interruzione determinata dalle tossine si impedisce, del tutto o in parte, lo scambio di informazioni tra le cellule. Per cui prima si crea un'alterazione elettrica della cellula, in seguito un'alterazione chimica, infine compaiono i sintomi della malattia vera e propria.

09/05/14

Uomini e donne | Le donne vivono più a lungo degli uomini.

 Le donne vivono più degli uomini
(immagine dal web)
Uno dei motivi per cui le donne vivono più a lungo degli uomini sta nel fatto che gli uomini sono più predisposti alle malattie cardiache.

Probabilmente ciò a causato dal fatto che le donne possiedono livelli inferiori di ferro in quanto perdono sangue durante i loro cicli mestruali, oppure può essere un effetto nocivo delle variazioni del testosterone negli uomini giovani. Oltretutto, in base alle statistiche, gli uomini fumano più delle donne. Ma ci potrebbe essere anche una ragione evolutiva.

Infatti come tutti gli animali, non viviamo per sempre in quanto la riparazione delle cellule vecchie richiede sempre più energia, e una volta che ci siamo riprodotti il nostro corpo ha eseguito il suo dovere, per quel che concerne i geni. Quindi mantenere in vita un corpo anziano ha senso soltanto se può aiutare la generazione successiva.

Il ruolo fondamentale delle madri nell'allevare i figli può assumere un significato tale che il loro corpo investe di più in manutenzione rispetto a quello degli uomini e cosi vivono di più, perché anche con un'età che avanza da madri diventano nonne ma la sostanza non cambia: si prenderanno comunque sia cura nell'allevare i nipotini. Invece, in termini biologici gli uomini vecchi sono certamente meno utili in senso lato del termine. (science)

29/03/14

Un'evoluzione ferma 450 milioni d'anni | Sequenziato il genoma dello squalo elefante!

Per lo squalo elefante l'evoluzione si è fermata 450 milioni di anni fa: mantenersi al passo con i tempi non pare essere tra le sue ambizioni maggiori!

Il genoma di questo pesce australiano, dall'aspetto bizzarro, è mutato pochissimo quasi per niente negli ultimi 450 milioni di anni, secondo le ultime ricerche dell'Istituto A*STAR di Biologia Molecolare e Cellulare. Questo "record" gli conferisce il titolo di vertebrato dell'evoluzione più lenta in assoluto tra quelli a noi conosciuti, infatti, lo squalo elefante ha sbaragliato il celacanto, specie a rischio di estinzione e spesso definita "fossile vivente" proprio per le sue caratteristiche marcatamente primitive. I pesci cartilaginei come per l'appunto lo squalo elefante sono senza la tradizionale struttura scheletrica evidente ad esempio, negli esseri umani ed in altri vertebrati ossei.
Squalo elefante

Dopo un confronto tra il genoma di queste creature marine e quello di altre dotate di esoscheletro, gli scienziati sono riusciti a identificare una famiglia di geni che pare assumere un ruolo fondamentale nell'osteogenesi. La speranza e quindi che le nuove scoperte possano contribuire a far luce sull'insorgenza e le possibili terapie di degenerazioni ossee quali l'osteoporosi. Il codice genetico dello squalo elefante e quello umano, oltretutto, presentano similitudini in più parti, rendendo il proto-squalo un importante elemento di riferimento per studi comparativi volti ad approfondire la conoscenza della nostra specie.

"Il genoma a evoluzione lenta delo squalo elefante è probabilmente la migliore approssimazione oggi disponibile del profilo genetico degli antenati, estinti tantissimo tempo fa, di tutti i vertebrati gnatostomi, ossia dotati di osso mascellare", ha spiegato Byrappa Venkatesh, che ha diretto la ricerca.
"Questo risultato è una pietra miliare che ci consentirà di approfondire la nostra conoscenza dello sviluppo e della fisiologia degli umani e di altri vertebrati, in base all'analisi dell'apparato scheletrico".

Un altro esito dello studio, altrettanto inaspettato, è la scoperta che lo squalo elefante pare non disporre di alcuni tipi di cellule immunitarie precedentemente considerate irrinunciabili risorse antivirali, antibatteriche e di prevenzione di reazioni autoimmuni quali il diabete e l'artrite reumatoide. Nonostante dotati di un sistema immunitario tanto primitivo, questi pesci sembrano però opporre un'efficace resistenza alle infezioni e sono anche molto longevi, infatti i ricercatori sperano di comprenderne i segreti per capire meglio i meccanismi della risposta immunitaria degli esseri umani e di altre specie. (science)

27/03/14

Invecchiamento reversibile | Per gli animali di laboratorio ci siamo riusciti si potrà fare lo stesso per esseri umani?

Che cosa innesca il processo di invecchiamento, ed è possibile invertirne il corso? Queste domande hanno tormentato per secoli eminenti studiosi.

Oggi, gli scienziati hanno fatto un importante passo in avanti verso la risposta a l’eterno dilemma: hanno elaborato un farmaco capace di fare regredire l’invecchiamento riportando indietro nel tempo le lancette del nostro orologio biologico, anche se per il momento, soltanto nei topi. Alcuni ricercatori della facoltà di Medicina di Harvard in collaborazione con quelli dell’Università del Nuovo Galles del Sud hanno scoperto che un enzima, chiamato nicotinammide adenina dinucleotide (NAD) e presente in tutti gli esseri viventi, e i cui livelli si abbassano man mano che l’età degli organismi avanza, è in grado di fare regredire il processo di invecchiamento delle cellule più anziane.

Dopo avere somministrato NAD alle cavie per appena una settimana, gli scienziati hanno osservato che indicatori-chiave dell’invecchiamento, riscontrabili in cellule di topi di due anni di età, diventavano sovrapponibili a quelli di animali di soli sei mesi di vita. Facendo le dovute proporzioni, è come se un uomo di 60 anni presentasse le caratteristiche di un ragazzo di 20!
I ricercatori affermano che il risultato è spiegabile con l’effetto “ringiovanente” della sostanza chimica sui processi molecolari che favoriscono la comunicazione tra il nucleo cellulare e i mitocondri, le “centrali energetiche” della cellula, da tempo noti come elementi critici del processo d’invecchiamento.
Regredire il processo d'invecchiamento

Mano a mano che la funzionalità del mitocontriale si altera nel tempo, si instaurano diverse patologie legate all’età dell’organismo, come la malattia del diabete e dell’Alzheimer.
“E’ un po’ quel che accade talvolta a due persone che si sposano: da giovani, la comunicazione è soddisfacente, ma con il passare del tempo e con la convivenza prolungata , si arriva all’incomunicabilità”, spiega David Sinclair, professore di genetica della Facoltà di Medicina di Harvard, tra i maggiori autori dello studio.

“E’ proprio come come in una coppia, è bastato ristabilire la comunicazione per rimedire al problema”. In precedenza alcune ricerche svolte da Sinclair e dalla sua equipe hanno dato dimostrazione che un gene, chiamato SIRT1, fa da “cane da guardia”, impedendo a una molecola , HIF-1, di interferire con il processo comunicativo. Ma con il trascorrere del tempo i livelli di NAD diminuiscono , SIRT1 perde questa capacità e HIF-1 cresce fino a compromettere l’efficienza degli scambi.

“Certamente, c’è ancora tanto lavoro da fare, ma se questi risultati saranno confermati, allora alcuni aspetti dell’invecchiamento, se trattati in tempo, potranno essere reversibili”, ha concluso Sinclair. Il team confida di potere iniziare le sperimentazioni sugli esseri umani nel giro di un anno.(science)

19/03/14

Il nostro genoma influenzato dall'ambiente | Ecco come condiziona le nostre esperienze l'ambiente che ci circonda.

Il nostro genoma influenzato dall'ambiente | Ecco come condiziona le nostre esperienze l'ambiente che ci circonda.
Il rapporto tra natura e cultura o, se preferite, tra ereditarietà e ambiente è una delle più controverse questioni della filosofia e della ricerca scientifica. Ma un importante contributo a tale controversia, pare arrivare da un settore di ricerca parecchio interessante: l'epigenomica.

In base alla visione classica, il nostro genoma è una sorta di codice fisso, che può cambiare da una generazione all'altra, ma che per il resto ha un modus operandi costante, riproducendosi uguale a se stesso. Nella realtà le cose non si svolgono in maniera così lineare, infatti il nostro genoma è circondato da meccanismi aggiuntivi, l'epigenoma per l'appunto, che provvedono ad attivare , ovvero sia "esprimere"  questo o quell'altro gene in questa o quella cellula in base ad alcune fasi della vita, ma prevalentemente in base a degli stimoli esterni, ambientali e in senso lato, anche "culturali".
Genoma influenzato dall'ambiente

Insomma l'ambiente che ci plasma, il nostro Dna subisce mutazioni nei meccanismi di attivazione e spesso questi mutamenti sono potenzialmente trasmissibili alle generazioni successive. Le esperienze che possono indurre mutazioni epigenetiche sono molte, relative a quello che mangiamo, quello che respiriamo, alle attività fisiche e a situazioni psicologiche, dall'apprendimento allo stress. Siamo in presenza di una rivoluzione concettuale, per la quale un codice già noto, quello genetico, risulta essere influenzato da un codice di cui sapevamo poco, quello epigenetico.

Secondo Valerio Orlando biologo della Fondazione Santa Lucia di Roma, ora in forze al King Abdullah University of Science and Technology, a Thuwal, in Arabia Saudita, «nell'ambito della conoscenza del genoma l'epigenomica rappresenta una novità: si prende atto del fatto che accanto al genoma c'è anche l'epigenoma, un complesso di strutture accessorie che ne regolano la funzionalità, si tratta di componenti strutturali proteici e chimici dei cromosomi essenziali per la regolazione cellulare. L'importanza di questi componenti è che sono essi a consentire al genoma di comunicare con l'ambiente. L'epigenoma è quel complesso di fattori strutturali che registrano l'esperienza biologica in tutte le fasi della vita e attraverso di essi le cellule trasmettono la base della loro identità alle cellule figlie e in alcuni casi alle generazioni successive».

È il caso dell'ambiente prenatale e di quello post-natale. «È noto ad esempio che le abitudini alimentari e comportamentali della madre la sua esperienza biologica, gli ormoni secreti dal suo organismo, ciò che mangia, le situazioni stressanti che si trova a vivere, – possono influire sul feto e sull'espressione dei suoi geni, continua Orlando, tra i relatori del Brain Forum che si chiude oggi a Milano. Inoltre lo stress nelle primissime fasi della vita e la carenza di cure materne possono modificare determinate regioni regolative dei geni e relativi circuiti cerebrali per cui la progenie finirà con lo sviluppare un fenotipo depressivo/aggressivo.

In alcuni casi tali caratteristiche possono essere ereditate, e la predisposizione si combina poi con l'ambiente sociale e familiare. Volendo fare una metafora, potremmo dire che l'epigenoma rappresenta un'immagine chimica della realtà, un riflesso dell'ambiente esterno come viene incontrato dalle cellule e dall'organismo». Varie sono le connessioni tra epigenoma e comportamento: la ricerca ha riscontrato correlazioni tra determinate caratteristiche epigenetiche e la tendenza al suicidio, la schizofrenia, l'alcolismo, la suscettibilità individuale a stupefacenti come la cocaina, l'azione di alcuni tipi di psicofarmaci. Per quanto riguarda il rapporto tra epigenetica e cervello umano, possiamo dire che molte funzioni cerebrali sono accompagnate da cambiamenti nell'espressione genica a livello cellulare, e che alcuni di questi meccanismi sembrano essere coinvolti nella memoria a lungo termine.

C'è da dire che gli studi sugli esseri umani sono pochi, mentre non mancano quelli sugli animali, soprattutto ratti e topi. E a proposito di animali Orlando fa un interessante esempio relativo agli insetti sociali: «Nel caso delle api, l'esposizione delle larve alla pappa reale ne influenza pesantemente l'espressione genica, determinandone il destino, ossia il ruolo sociale che ricopriranno, facendone operai o api regine». Forse è un po' troppo presto per mettersi a cercare le basi epigenetiche dei gusti artistici e delle preferenze individuali – soprattutto di quelle più squisitamente psicologiche, come i "colori preferiti" e così via. È però senz'altro chiaro che alcune scelte marcatamente culturali per fare un esempio, quella di bere in età adulta il latte di altre specie animali può influenzare le nostre caratteristiche epigenetiche nella fattispecie la produzione dell'enzima lattasi e che tali caratteristiche possono essere trasmesse.

Per quanto riguarda la ricerca, l'Human Epigenome Project, un progetto internazionale sostenuto dal britannico Wellcome Trust Sanger Institute, l'azienda biotech Usa-tedesca Epigenomics Ag e il francese Centre National de Génotypage mira a identificare, catalogare e interpretare i meccanismi che compongono l'epigenoma, accumulando conoscenze utili nella lotta ai tumori. Epigen è invece un'iniziativa multidisciplinare, promossa dal Miur e dal Cnr, che riunisce 70 ricercatori con l'obiettivo di comprendere come i meccanismi epigenetici regolino i processi biologici, determinino la variazione fenotipica e contribuiscano allo sviluppo di numerose patologie.

12/03/14

La verdura tanto amata da Bracciodiferro contro l'obesità.

L’obesità è considerata sicuramente da molti un problema puramente e prettamente estetico, ma in termini di salute si parla di seri rischi. Ecco perché la ricerca sta cercando sempre più di trovare quanto prima una soluzione. E sembra proprio che questa volta i ricercatori abbiano imboccato la strada giusta, riconoscendo nella verdura tanto amata dal famoso Bracciodiferro proprietà adeguate alla risoluzione del problema: gli spinaci. Essi contengono, infatti, un composto naturale chiamato Tilacoidale che pare sia capace di ridurre il desiderio del cibo.
La scoperta è avvenuta durante una ricerca in cui la Prof.ssa Charlotte Erlanson-Albertsson, dell’Università di Lund in Svezia, è riuscita a isolare il composto mentre stava cercando di trovare un modo per diminuire i morsi della fame. La ricercatrice ha scoperto che questo composto rallenta la digestione degli alimenti donando un maggior senso di sazietà prolungato nel tempo. Secondo la studiosa, a livello intestinale viene rilasciato un meccanismo che ha il preciso scopo di non far sentire più la fame. Sarebbe però necessario superare un problema; non è sufficiente mangiare gli spinaci tali e quali come si presentano in natura, ma bisogna prima schiacciarli, filtrarli e centrifugarli in maniera tale da poter liberare i tilacoidi dalle cellule della pianta. Il nostro organismo, infatti, non è in grado di assimilarli direttamente dagli spinaci freschi. In base ai dati acquisiti dalla professoressa Erlanson-Albertsson, i Tilacoidi rallentano la digestione dei grassi. Quando il cibo entra nell’intestino crasso, gli ormoni della sazietà vengono rilasciati e inviati al cervello, il quale ritiene che il corpo sia sazio e non è necessario mangiare ancora. Al contrario degli alimenti elaborati che tendono a utilizzare solo l’intestino superiore, non permettendo all’altro di rilasciare tali ormoni. «Mi piace dire che i nostri intestini sono disoccupati», commenta in una nota Lund la Erlanson-Albertsson. L’unico modo per far lavorare di nuovo l’intestino, secondo la studiosa, era quello di rallentare la digestione dei grassi. La professoressa Erlanson-Albertssonle ha iniziato sue ricerche testando il composto su un gruppo di 15 volontari che assumevano l’estratto al mattino. I risultati furono subito eccellenti: durante il giorno avevano meno fame e un minor desiderio di cibo. Per loro era più facile attenersi ai normali tre pasti al giorno, rispetto al gruppo di controllo. Dai test risultava anche che il gruppo che aveva assunto il Tilacoidale aveva nel sangue livelli molto più alti di ormoni della sazietà, così come valori più stabili di glucosio ematico.

25/02/14

Cellule della pelle trasmormate in cellule del fegato

Ecco un altro successo della ricerca, pelle umana che si trasforma in fegato? Si ma sono cellule della pelle che vengono "costrette" a trasformarsi in cellule epatiche.

Sviluppata una tecnica che converte le cellule della pelle umana in cellule del fegato capaci di maturare e di ripopolare l'organo, almeno nei topi. Lo studio della University of California di San Francisco e' stato pubblicato sulla rivista 'Nature'.

Finora, la conversione di cellule somatiche di un paziente in cellule capaci di maturare e rigenerare il fegato e' stata una sfida aperta. Holger Willenbring e colleghi hanno descritto nel nuovo studio una strategia per la conversione delle cellule della pelle umana (fibroblasti) in epatociti del fegato, evitando di dover prima passare per uno stadio di pluripotenza indotta.

Gli autori hanno infatti generato e indotto cellule progenitori allo stato multipotente, da cui poter generare progenitori di cellule endodermiche, ossia quelle che formano il tessuto embrionale e fanno sorgere gli organi delle viscere. Queste cellule possono poi essere convertite in epatociti. Dopo il trapianto in un modelli murino immuno-deficiente di fegato umano danneggiato, questi epatociti proliferavano e acquisivano livelli di funzionalita' simili a quelli delle cellule epatiche adulte primarie.                                                                                                        fonte (AGI)

14/02/14

Sarà una pianta a sconfiggere il cancro?

Il cancro può definirsi senza dubbio la malattia del secolo, ed è quella che determina più morti sul nostro pianeta. Solamente nel 2008 sono stati diagnosticati circa 12,7 milioni di tumori maligni e 7,6 milioni di persone sono morte di cancro in tutto il mondo. moltissimi i soldi impiegati per la ricerca medica, cercando di trovare una cura definitiva. Una delle tante cure è quella nota come "erba magica", una terapia per lo più ignorata dalla comunità medica, ma che in realtà distrugge fino al 98% delle cellule cancerogene in sole 16 ore. Secondo quanto riporta Spirit Science and Metaphysic questa tecnica veniva impiegata nella medicina cinese e il solo impiego dell'erba, chiamata Artemisia Annua, diminuiva le cellule tumorali del polmone del 28% e, in combinazione con il ferro, distruggeva il cancro. In passato l'artemisinina, il principio attivo estratto dalla pianta, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, originaria della provincia di Hunan in Cina, è stata utilizzata come un potente rimedio antimalarico ma ora è documentato che questa cura è efficace anche nella lotta contro il cancro. Questo perché quando si aggiunge del ferro alle cellule tumorali infettate, attacca selettivamente le cellule "cattive", e lascia quelle "buone" intatte. Gli scienziati che seguono le ricerche, condotte presso l'Università della California, hanno dichiarato: "In generale i nostri risultati mostrano che l'artemisinina ferma il fattore di trascrizione 'E2F1' e interviene nella distruzione delle cellule tumorali del polmone, il che significa che controlla la crescita e la riproduzione delle cellule del cancro". Utilizzando una varietà resistente alle radiazioni delle cellule del cancro al seno (che aveva anche una elevata propensione per l'accumulo di ferro) l'artemisinina si è dimostrata avere un tasso di uccisione del cancro del 75% dopo appena 8 ore, e uno del quasi 100% dopo appena 24 ore.

12/02/14

Scoperto un nuovo metodo per isolare un raro tipo di cellule staminali

La ricerca sulle staminali sta facendo passi da gigante, e ogni giorno si raggiunge un traguardo, che fa parte di un viaggio iniziato nella seconda metà di questo secolo e si è sviluppato in modo significativo solo negli ultimi dieci anni.

Un nuovo metodo per isolare un raro tipo di cellule staminali umane pluripotenti con precise mutazioni indotte da modifiche genetiche, sviluppata dalla ricerca della University of California di San Francisco e' stata pubblicata su 'Nature Methods'. Lo studio di Bruce Conklin e colleghi potrebbe rendere possibile la semplice generazione di linee cellulari di staminali pluripotenti indotte con precise mutazioni che potrebbero aiutare a capire le basi genetiche delle patologie.

Le malattie umane sono state statisticamente associate a un vasto numero di mutazioni genomiche, ma provocare precisi cambiamenti nel genoma, lasciandolo generalmente perturbato in modo da poter studiare gli effetti biologici di queste mutazioni e' molto complicato. Con il nuovo studio, gli scienziati hanno adattato alle cellule staminali umane pluripotenti un metodo classico usato nella genetica del lievito. L'approccio tradizionale e' stato arricchito con tecniche di biochimica digitale: gli scienziati hanno isolato rare cellule staminali umane pluripotenti con precise mutazioni nei geni desiderati.                                                                     fonte (AGI) 
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.