Sapete il perché le
particelle prediligono essere espresse da
equazioni belle anziché brutte? Come mai la
matematica va d’amore e d’accordo con tutto ciò che è “
bello”? Ci pensa il premio
Nobel per la
fisica Paul Dirac a provare a dare una risposta, anzi…ha provato a darla molto tempo fa, visto che è vissuto nel secolo scorso, con il suo
libro “
La bellezza come metodo”. Il manoscritto detiene i più importanti
scritti e
conferenze dell’illustre
scienziato, tra i maggiori
fondatori della
meccanica quantistica e della
fisica moderna.
Narrando una parte della propria vicenda
scientifica, l’autore prova a spiegare come l’idea di
bellezza sia il
fondamento della
matematica e della
fisica. In senso lato, la
matematica è lo strumento per indagare il
mondo fisico, dunque la “
Natura”: questa efficacia della
matematica nella
fisica è la conseguenza di una corrispondenza – o addirittura di una coincidenza – delle due
discipline, che tenderanno ad unificarsi. In tale prospettiva, la
bellezza diventa il
metodo con cui lo
scienziato deve procedere: da un lato essa è una sorta di guida nella
ricerca scientifica, dall’altro un criterio di valutazione delle teorie.
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"La Bellezza del Mondo" di Dirac |
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Un esempio del
legame tra la matematica, la fisica e la bellezza? In fisica non tutti i
fenomeni possono essere rappresentati mediante
equazioni semplici: la
teoria della relatività di Einstein sviluppa un’elaborazione complessa della
gravitazione. Sebbene manchi di semplicità, la
teoria viene resa accettabile per tutti. E questo è possibile grazie alla sua bellezza, che si manifesta, ad esempio, nella rivoluzione del
concetto di spazio-tempo: le tre
dimensioni spaziali e la
dimensione temporale sono unificate in un’unica
realtà quadridimensionale.
In generale,
Dirac preferisce cercare le
leggi della Natura partendo dalla
matematica astratta, piuttosto che dai fenomeni con cui essa si manifesta. Uno dei due limiti che individua nella meccanica quantistica, infatti, è la “sconfitta” del determinismo, sostituito dalla visione probabilistica. Così la natura è sottoposta alle
leggi della probabilità e in qualche modo non più a quelle della matematica: proprio per questo Dirac, raggiungendo le vette del suo ‘matematicismo’, sospetta che i fondamenti della meccanica quantistica non siano ancora definitivi.
Nel libro, lo
scienziato premio
Nobel racconta come è arrivato alla famosa “
equazione di Dirac” (iγ·∂ψ = mψ) - che da lui prende il nome -, la quale descrive il comportamento
dell’elettrone tenendo conto sia della
meccanica quantistica che della relatività einsteiniana. C’è un problema però: nella
meccanica quantistica, e dunque anche nel modo in cui essa descrive le particelle, sono presenti alcuni “infiniti”: si tratta di quantità infinitamente grandi, che di fatto violano i principi fisici. Questi infiniti sono espressione di un’imperfezione, che rende la teoria “brutta”: in questo caso, è un po’ come se dicessimo che anche l’elettrone ‘insegue la bellezza’ (dato che è come se ‘non accettasse’ questa violazione). I
fisici perciò pongono riparo al problema mediante altre teorie, come quella della rinormalizzazione, un metodo che cancella queste quantità enormi.
Un altro
problema riguarda il valore di “α”, una delle costanti più usate in fisica (che al suo interno contiene un parametro elettromagnetico fondamentale, la carica elettrica elementare); la domanda è: perché il rapporto 1/α vale proprio 137 e non un altro numero? Si tratta di un quesito sondato a lungo che non ha avuto una risoluzione significativa. Dunque, ecco un altro esempio di come la mancanza di bellezza corrisponda all’assenza di una spiegazione matematica (almeno per il momento): a conferma dell’ipotesi dell’autore, secondo cui la bellezza è il fondamento di questa disciplina.
L’autore racconta anche un episodio legato al
fisico Schrödinger, il quale non pubblicò
l’equazione relativistica sul comportamento dell’elettrone
nell’atomo di idrogeno: essa era esteticamente bella, ma non era confermata dagli
esperimenti.
L’equazione originale di Schrödinger fu riscoperta in seguito da Klein e Gordon, che la pubblicarono. “Credo che ci sia una morale in questa storia”, afferma Dirac nel suo libro. “È più importante che le equazioni siano belle piuttosto che in accordo con gli esperimenti”.