Il-Trafiletto
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25/07/14

Ecco il primo "clone" umano

Cellule clonate per fornire tessuti "di ricambio" a rischio "rigetto zero".

Per la prima volta nella storia, sono stati creati cloni umani: non si tratta naturalmente di feti pienamente formati, ma di masse di appena 150 cellule.

La tecnica utilizzata per ottenere questi agglomerati cellulari è stata descritta come utile a fornire tessuti sostitutivi per pazienti con danni tissutali come le lesioni del midollo spinale. Questa branca della ricerca, tuttavia, resta un campo altamente controverso. Sfruttando un processo simile a quello già utilizzato 17 anni fa per far nascere la celebre pecora Dolly, Shoukhrat Mitalipov dell'Oregon Health and Science University, negli USA, ha generato cellule umane clonate. Fino a oggi, era sempre risultato problematico applicare questa tecnica per produrre materiale cellulare umano vitale, ma Mitalipov e la sua équipe hanno scoperto che l'aggiunta di un po' di caffeina e una scarica elettrica migliorano le chance di successo.

Le blastocisti sono conglomerati di cellule
staminali in grado di evolvere in qualsiasi
altro tipo di cellula
Lo scienziato ha innanzitutto fuso una cellula adulta contenente DNA con una cellula uovo umana dalla quale era stato rimosso il nucleo, una tecnica nota come "trasferimento nucleare di cellule somatiche" (SCNT). Aggiungendo caffeina, si è impedita l'attivazione troppo precoce dell'uovo, mentre un impulso elettrico è servito a innescare lo sviluppo embrionale, dando luogo alla piccola massa di cellule nota come blastocisti. Le staminali embrionali risultanti possono essere indotte a trasformarsi in qualsiasi cellula specializzata dell'organismo. "Poiché queste cellule riprogrammate possono essere prodotte a partire da materiale genetico nucleare prelevato dal paziente stesso, si azzera il rischio di rigetto del trapianto", spiega Mitalipov.

La tecnica della clonazione richiede la donazione di ovuli umani e suscita timori perché potrebbe aprire la strada alla creazione di un primo clone pienamente sviluppato. Proprio queste preoccupazioni hanno recentemente allontanato dalla ricerca in tema di SCNT molti esperti di staminali, che hanno dirottato i propri sforzi sulla riprogrammazione di cellule adulte, ricondotte allo stadio embrionale. Da questa regressione nascono le "cellule staminali pluripotenti indotte" (iPSC). Mitalipov, però, sostiene che il materiale cellulare ottenuto tramite SCNT sia di qualità superiore rispetto alle iPSC e che, a differenza di queste ultime, sia in grado di diversificarsi in tutti i tipi di cellule specializzate presenti nel corpo umano. Secondo Mitalipov, lo scopo principale di questo tipo di ricerca è l'eliminazione di malattie trasmesse per via mitocondriale, cioè attraverso le piccole "centrali energetiche" intracellulari che, come il nucleo, contengono DNA. Il DNA del nucleo di una cellula uovo verrebbe trasferito a un altro uovo con DNA mitocondriale sano, mentre il nucleo verrebbe asportato. L'uovo sarebbe poi fecondato da spermatozoi.

"Ciò che più ci preme è aiutare le famiglie afflitte da diverse sindromi ereditarie causate da difetti mitocondriali, tra le quali la sindrome di Leigh", sostiene Mitalipov. "In questo momento, stiamo lavorando a sperimentazioni cliniche pensate apposta per questi pazienti".(science)



07/04/14

Addio robot bidoni | I robot attuali sempre più androidi uman...oidi !

Addio robot bidoni! I robot attuali si evolvono in androidi dalle somiglianze più umanoidi.

Ancorchè somigliare a bidoni ambulanti, con rotelle per piedi, come avveniva per la maggior parte delle creazioni robotiche di un tempo, i robot che gareggiano alla DARPA, hanno un somigliaza umanoide più marcata.

Stanno in piedi su due zampe, hanno delle braccia con articolazioni all'altezza delle spalle e perfino mani che si muovono con estrema agilità, proprio come avviene con quelle umane. Tale rivoluzione non è affatto frutto del caso, infatti i creatori di tali robot si sono resi conto, guardandosi attorno, che il nostro mondo e tutto ciò che ci circonda è ideatoe pensato in funzione della sola forma umana, quindi non ha senso dovere adeguare tutto ciò che ci circonda ai robot, è molto più semplice adeguare i robot all'ambiente.
Asimo by Honda

Invece dunque di ristrutturare il mondo intero in maniera tale da adattarsi al robot a rotelle, bassi e tozzi, il cui utilizzo richiedeva una laurea in informatica, ecco apparire innovazioni radicali, atte a rendere più antropomorfi i robot in maniera tale da farli muovere, agire con noi ed addirittura pensare come noi stessi facciamo.

Nel prossimo post vederemo di analizzare la loro evoluzione riguardo al camminare su due zampe.

04/12/13

Un singolo fotone per fare luce al buio!

Basta un singolo fotone per fare luce al buio! Che fare dei visori termici o delle lenti all'infrarosso, quando per fare luce al buio, da oggi in poi, sarà sufficente avere solo un pò di fotoni a portata di mano. Tutto ciò grazie all'ingegno con cui un'équipe del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge, ha messo in atto un algoritmo di imaging con il quale si potrà essere in grado di ottenere immagini ultra-risolute di oggetti poco illuminati: vi starete chiedendo come sarà mai possibile, di certo il trucco c'è ma non si vede!
Ebbene si, come raccontano i ricercatori su Science, il vero trucco è quello di “cucire” matematicamente insieme le informazioni estratte da singole particelle di luce emesse da un laser, per poi essere riflesse e registrate da un rivelatore a stato solido.
Immagini ultra-risolute di oggetti poco illuminati

Grazie a questo lavoro, sostengono gli scienziati, sarà possibile conoscere meglio come funzionano materiali biologici “fragili”, come l'occhio umano – che può essere danneggiato o addirittura distrutto da illuminazioni troppo potenti – o sviluppare nuovi sistemi di sorveglianza da usare in ambito militare e civile. Per ricostruire immagini dettagliate di oggetti bui, l'ingegnere elettrico Ahmed Kirmani e la sua équipe hanno sviluppato un algoritmo che tiene conto delle correlazioni tra punti vicini di un oggetto colpito da fotoni. Nel set-up sperimentale, degli impulsi a bassa intensità emessi da un laser scansionano l'oggetto da riprendere.

Il raggio viene indirizzato verso un punto preciso e tenuto acceso finché un singolo fotone, riflesso dall'oggetto, non colpisce il rivelatore. Ogni punto illuminato corrisponde a un pixel nell'immagine finale, e i tempi di arrivo delle particelle forniscono informazioni dettagliate sulla struttura tridimensionale dell'oggetto. Con estrema precisione, a quanto pare: “La quantità di dati che si possono estrarre con quest'approccio è quasi incredibile”, commenta il fisico sperimentale John Howell, della University of Rochester di New York, non coinvolto nello studio.

Dal momento che il laser utilizzato nel set-up emette luce di una singola lunghezza d'onda, la tecnica per ora permette di produrre soltanto immagini monocromatiche, ma è comunque possibile distinguere tra materiali diversi in base al tasso di riflessione dei fotoni da parte dell'oggetto. In media, infatti, regioni più scure riflettono meno fotoni rispetto ad aree più chiare. In ogni caso, gli scienziati hanno dichiarato di riuscire a produrre immagini tridimensionali ad alta risoluzione usando un totale di circa un milione di particelle. Tanto per fare un confronto, una foto di qualità analoga scattata con un telefono cellulare ne richiederebbe almeno qualche centinaia di migliaia di miliardi.
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