Il-Trafiletto
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03/11/14

Scarpe maelodoranti? Arrivano i rimedi naturali

Le vostre scarpe puzzano e abbattono qualunque essere vivente nei paraggi? Inutile cercare di deodorarle potreste peggiorare le cose. Ma come fare dunque a togliere i cattivi odori e le muffe che si formano sulle scarpe? I cattivi odori si sa dipendono dai batteri che si formano e si riproducono allegramente favoriti da un ambiente caldo e umido che si forma all'interno delle scarpe con il piede che suda. 

Scarpe maelodoranti
immagine presa dal web
La prima e fondamentale operazione da fare è tenere un'igiene puntuale e costante sia dei piedi che delle calze che si indossano. Piedi e calze pulite sono fondamentali. Inoltre la manutenzione delle scarpe è determinante, quindi se possibile è bene lavarle e farle asciugare molto bene. Se le scarpe si bagnano con la pioggia, fatele asciugare mettendovi all'interno del giornale appallottolato, in modo che assorba l'umidità. E' conveniente farlo anche quando si hanno piedi che sudano molto, inserendo del gionale all'interno che assorbirà durante la notte tutto il bagnato che si è formato.

Altro utile rimedio è inserire nelle scarpe le bucce d'arancia da tenere tutta la notte nelle scarpe e anche per il periodo in cui non le indossiamo , eliminano il cattivo odore e donano un notevole profumo.  Più conosciuto è l’uso del bicarbonato. Si cosparge l’interno della scarpa con una buona quantità di bicarbonato e si lascia per tutta la notte, al mattino si elimina con una spazzola. Il bicarbonato assorbe il cattivo odore ed elimina anche i batteri le muffe che si formano dentro alla scarpa.

27/10/14

Per fortuna che siamo nella...cacca

A tu per tu con Emma Allen-Vercoe, l'inventrice delle feci artificiali che potrebbero salvarti la vita.


Avete finito di mangiare? Bene, possiamo cominciare.
Probabilmente avrai già sentito dire che impiantare feci di un soggetto sano in uno malato potrebbe guarire la letale infezione gastrointestinale causata dal batterio Clostridium difficile. Ma Emma Allen-Vercoe ed i suoi colleghi della University of Guelph, in Ontario, credono di poter migliorare questa strategia di trapianto "all'ingrosso".

Stanno lavorando sull'adattamento di misture di batteri intestinali per i singoli pazienti. Sfortunatamente, questi batteri sono schizzinosi e non crescono bene in una capsula di Petri, e così il suo team crea feci artificiali.

Qual’ è la speciale ricetta delle feci artificiali? 
Contengono cose come la cellulosa che, non venendo assorbita, rimane nel tratto intestinale fino alla sua porzione distale, il traguardo della digestione. È piuttosto brutta a vedersi. Si tratta di una poltiglia marrone, con grumi di amido ed è abbastanza appiccicosa. Non ha un aspetto o un odore gradevole.

Come si creano poi feci artificiali da questa poltiglia?
Attraverso il Robogut, composto da sei grossi beaker pieni di questa miscela che vengono riscaldati sino a raggiungere la normale temperatura corporea. Poi si aggiungono dei batteri da una piccola quantità di feci umane. Dato che l'ossigeno è veleno per i batteri intestinali anaerobi, ciascun contenitore è sigillato ermeticamente, mentre alcuni sensori ne controllano temperatura ed acidità.

Qual è la parte peggiore del lavorare con feci sintetiche?  
Gli scarti. Per via della regolamentazione, non possiamo semplicemente tirare lo sciacquone. Dobbiamo sterilizzarli cuocendoli a temperature molto elevate e poi buttarli via. Ciò significa che dobbiamo farlo di notte quando non c'è nessuno, perché l'intero edificio inizia ad odorare di feci.

Qual è la cosa più sorprendente che avete appreso dalle vostre ricerche? 
Il fatto che i microbi non sono il nemico. Entro i prossimi 20 anni abbandoneremo l'idea che i patogeni causino la maggior parte delle malattie. Guarderemo a queste come scatenate da un collasso nell'ecosistema microbico, uno squilibrio fra i microbi buoni che vivono già nell'organismo.
La dottoressa Emma Allen-Vercoe

Cosa vi tiene svegli di notte? 
Dato che i governi stanno rendendo molto difficile ottenere la supervisione medica per un trapianto di feci, esiste una sorta di cultura underground in cui le persone ottengono informazioni da Internet e poi procedono ai trapianti, senza alcuna supervisione. Senza una sorveglianza appropriata, potrebbero farsi molto più male che bene. Sono terrorizzata per loro.

12/10/14

Se smetto di fumare ingrasso. Perchè?

La dipendenza da fumo di tabacco e quindi da nicotina, è fortissima ed è sia psicologica che fisica. Ed è la causa principale per cui è molto difficile per una persona rinunciare alla sigaretta “rilassante”. Tanti sono i motivi per cui un individuo dovrebbe smettere di fumare, da quelli economici, che non sono poi da trascurare, a quelli soprattutto di salute. Eliminando il fumo di sigaretta ne traggono beneficio il cuore, i polmoni, la circolazione, la salute in genere. Purtroppo per moltissime persone un freno alla volontà di smettere di fumare è dato dal principale problema estetico: la paura di ingrassare. L’aumento di peso per un fumatore pentito purtroppo è un dato di fatto. Ma perché si ingrassa smettendo di fumare? Molti sostengono che, venendo a mancare le vasocostrizione del fumo di sigaretta, si tende ad avere più fame e quindi a mangiare di più. Questa ipotesi è venuta a cadere dopo uno studio condotto dall’Università di Otago e pubblicato su Nicotine & Tobacco Research. Un altro studio, effettuato dalla Swiss National Science Foundation (Snsf) e pubblicato su Plos One, imputa invece le responsabilità dell’aumento di peso alla modificazione nella composizione della flora intestinale. Lo studio consisteva nel tenere sotto controllo i batteri intestinali presenti nei campioni fecali di venti persone nell’arco di tempo di nove settimane. Tra gli individui esaminati c’erano cinque fumatori, cinque non fumatori, e dieci persone che avevano smesso circa una settimana prima dell’inizio dello studio. Al termine dello studio è risultato che i ceppi batterici predominanti nella flora intestinale di un ex fumatore sono gli stessi che prendono il sopravvento nelle persone obese, mentre tra fumatori e non fumatori il cambiamento è minimo. I batteri responsabili di questo cambiamento sono i Firmicutes e Actinobacteria, responsabili di una maggior assimilazione dei cibi. (immagine presa dal web)

25/08/14

Tesori nascosti | La storia del nostro Pianeta riassunta in una pallina

Vita di una pallina di plastica, dalla notte dei tempi a oggi. Mi arriva la voce alterata di un genitore: "Non toccarla! Non sai dov'è stata".

Il bambino posa sconsolatamente l'oggetto sulla sabbia, dove l'aveva trovato, e trotterella via, alla ricerca di uno svago più tollerato. Mi avvicino per dare un'occhiata alla causa del rimprovero. È una pallina di plastica, sporca dopo essere stata a lungo esposta alle intemperie. È vero, non si sa dove sia stata: mi fermo a pensarci. Sicuramente, ne avrà passate tante. La sua esistenza deve essersi svolta più o meno così...

Immaginiamo un mare tropicale, a circa 25° di latitudine Nord. Il clima è caldo e umido, e la quiete è interrotta soltanto da un plesiosauro che nuota veloce a caccia di seppie. La terraferma, piuttosto lontana, è ricoperta da felci, conifere ed equiseti ed è dominata dagli stegosauri, mentre il cielo è popolato da pterodattili: siamo nel Giurassico. La luce del sole riscalda l'acqua marina fornendo nutrimento ad alghe e batteri. Il primo anello di una lunghissima catena alimentare. Per la maggior parte, questi organismi vengono consumati da minuscole creature marine, che a loro volta finiscono in pasto ai pesci. Gli avanzi, però, abbondano: le alghe e i batteri che non sono stati mangiati muoiono di morte naturale e, piano piano, affondano, scendendo nelle profondità oceaniche, depositandosi sul fondale e dando origine a un cimitero fangoso.

Le correnti marine ristagnano, l'ossigeno manca: le condizioni ambientali non favoriscono il naturale degrado. Alghe e batteri non si decompongono, ma rimangono intatti, sepolti via via sotto nuovi strati di altri organismi che hanno terminato il proprio ciclo vitale. La deriva spinge terra e acque verso nord. Questo mare diventa teatro di un epico scontro tra continenti, che sottopone i fondali a forze tali da elevare e distruggere intere catene montuose. Impressionanti terremoti smuovono i sedimenti, ormai depositati in strati molto spessi: le nostre alghe si trovano a una profondità di 4 chilometri, dove la temperatura è di circa 120 C. Le molecole che le costituiscono finalmente si arrendono al calore e alla pressione. Cambiano struttura, formando lunghe catene: sono gli idrocarburi. La guerra dei continenti si sposta in un'altra fossa tettonica, che si spalanca a formare l'Oceano Atlantico. Il Pianeta viene colpito da un asteroide, che fa estinguere i dinosauri. Ma negli strati più profondi, sotto il fondale del Mare del Nord, non arriva neppure l'eco di questi sconvolgimenti: le alghe e i batteri decadono lentamente, fino a trasformarsi in petrolio.

È finita l'età dei rettili, inizia quella dei mammiferi. Per il petrolio, è ora di intraprendere un nuovo viaggio. Negli strati rocciosi inferiori, la pressione è così intensa da innescare la migrazione verso l'alto del liquido, che penetra lentamente nelle minuscole porosità delle rocce. Talvolta riesce a percorrere diverse centinaia di metri, dirigendosi verso la superficie. Ma prima o poi, incontra uno strato lapideo troppo compatto, e deve arrestarsi. Intanto è iniziata l'evoluzione dell'uomo. Il Mare del Nord ha raggiunto i 50° N, la sua attuale latitudine. Si susseguono alcune ere glaciali, l'Impero Romano, i Vichinghi, la Rivoluzione Industriale. Poi, qualcuno decide di perforare le rocce che imprigionano il petrolio, portandolo alla luce: il liquido preistorico schizza in superficie, per la prima volta dopo 150 milioni di anni.

Viene trasformato nelle materie prime che servono per produrre la plastica, e con l'aiuto della chimica, le catene corte di atomi di carbonio si saldano insieme: le alghe giurassiche sono diventate polietilene. Il polimero viene utilizzato per creare una pallina: è proprio quella abbandonata oggi, sulla spiaggia, da un ragazzino. Non ci accade spesso di raccontare una storia che ha per protagonista la plastica: eppure, riuscite a pensare a qualcosa di più poetico?

La prossima volta che vedrete una pallina, raccoglietela: pensate a quanta strada ha fatto e alla vita incredibile che ha avuto.(science)

07/08/14

La placca dentale | Larve di scarabeo dei tappeti | Chi vive in casa nostra

Placca dentale
La placca dentale. Tutti conosciamo questo biofilm batterico e colloso che aderisce ai nostri denti. 

La placca è una pellicola composta da ben mille specie di batteri contenuti in una matrice di glicoproteine (proteine alla quali sono legati polimeri di carboidrati).

Mentre si nutrono dello zucchero contenuto nei cibi che mangiamo, i batteri liberano prodotti di scarto acidi che corrodono lo smalto, causando carie dentaria. Un accumulo di placca dentale può anche condurre a patologie gengivali e alla caduta dei denti.

Larve di scarabeo dei tappeti
Larve di scarabeo dei tappeti
Le larve di scarabeo dei tappeti, in inglese soprannominate woolly bear, orsetti pelosi, maturano diventando insetti adulti.

Questi parassiti appartengono alla famiglia dei saprofagi Dermestidae, e anche le loro larve sono organismi opportunisti. Le uova vengono deposte in luoghi bui e indisturbati e dopo la schiusa, gli embrioni attaccano pellicceria, piume, mobili, abiti, coperte e tappeti. Soprattutto nei musei, dunque, un'infestazione da scarabeo Dermestidae allo stadio larvale può essere estremamente dannosa. Muovendosi, le larve perdono alcune delle setole che le ricoprono e che le rendono, appunto, "pelose". Questi peli possono causare irritazioni sia per contatto cutaneo che per inalazione.

Il contatto con la pelle può dar luogo a piccole piaghe pruriginose, talvolta confuse con morsi di cimici dei letti.(science)

06/08/14

Microorganismi in cucina | Tarma dei tessuti

Microorganismi in cucina
Le spugne che utilizziamo per lavare i piatti sono l'habitat ideale di batteri e funghi. 

La struttura spugnosa, infatti, moltiplica la superficie a disposizione e, inoltre, offre un ambiente umido, caldo e ricco di residui di cibo.

In questa fotomicrografia, le strutture a bastoncello verdi e blu sono batteri, mentre le sferette giallo-verdi sono saccaromiceti e i filamenti viola e arancio sono muffe. I loro prodotti di scarto conferiscono alle spugne sporche il caratteristico odore sgradevole. Anche le fessure e le spaccature nei taglieri offrono condizioni di vita eccellenti per i microorganismi, i quali possono formare biofilm, aggregati di cellule che aderiscono l'una all'altra su una superficie contenuta in una matrice di sostanze autoprodotte dai batteri. La secrezione di biofilm può rendere particolarmente difficile l'eliminazione dello strato batterico.

Infine, una scarsa igiene delle mani in cucina può risultare in cibi contaminati da Salmonella e Escherichia coli, con il conseguente rischio di intossicazione.

La tarma dei tessuti

LA TARMA DEI TESSUTI
Questi lepidotteri rappresentano un caso particolare perché le larve si nutrono, invece che di piante vive, di licheni, funghi o residui di materiale vegetale, e si sono adattate a consumare tessuti naturali, tra cui lana, cotone, lino e seta. Fanno parte della famiglia di farfalle Tineidae, che una volta adulte depongono minuscole uova sugli abiti; le larve poi possono impuparsi in tempi brevissimi, due mesi appena, o molto lunghi, due anni, a seconda delle condizioni ambientali.

Dopo un mese o due allo stadio pupale, la farfalla adulta emerge e prosegue il suo ciclo vitale nei nostri armadi.(science)


17/07/14

In ambito domestico, estetico e medico, le proprietà dell'aceto.

l'aceto è quel liquido che si ottiene per ossidazione dell'etanolo contenuto nel vino e in altre bevande fermentate ad opera di vari batteri, il quale si trasforma in acido acetico. L'aceto possiede molte proprietà,che possono essere sfruttate in diversi campi, dalla medicina all'estetica e nell'ambito della casa.In campo domestico è un ottimo sgrassante, antibatterico e anticalcare. Infatti si può usare mescolandolo a del sale grosso e acqua bollente per liberare le tubature da ostruzioni varie; sempre diluito in acqua le donne di casa possono utilizzarlo per lavare e sgrassare i pavimenti; come anticalcare trova impiego in bagno per lucidare le pareti in vetro o plastica della doccia o le maioliche, nonchè la rubinetteria, oppure in cucina lasciandolo per una notte, sempre diluito con acqua, nelle pentole per donarle la brillantezza perduta. L'aceto gode di un'ottima fama anche in campo estetico, in quanto ha un effetto esfoliante sulla pelle ed è quindi molto indicato per maschere e impacchi tonificanti. Sulla pelle infatti l’aceto ha un effetto astringente, esercita cioè un’azione levigante, dal momento che favorisce la chiusura dei pori.Viene anche in aiuto della bellezza delle donne in quanto risciacquando dopo lo sciampo i capelli, dona a questi delicatezza e soprattutto lucentezza. Addentrandoci in campo medico, un gruppo di ricercatori giapponesi del Central Research Institute di Nakamura, afferma che l'aceto aiuterebbe a perdere peso eliminando il cumulo di grasso nell'organismo. Per fare ciò mette in moto una classe di enzimi che ossiderebbero gli acidi grassi presenti nel sangue rigenerando così il metabolismo. Inoltre l'aceto ha rivelato proprietà disintossicanti per il nostro fegato in quanto elimina le tossine, mentre gli impacchi con questo liquido sono un'ottima terapia per i gonfiori. Due cucchiai di aceto di mele biologico in un litro d'acqua possono diventare una bevanda tonificante, da bere durante la giornata, mentre se aggiunto a due cucchiai di miele e bevuto mattina e sera prima dei pasti disintossica, purifica,sgonfia e sembra faccia anche dimagrire, naturalmente associato ad una dieta sana e al solito e immancabile movimento. (immagine presa dal web)

29/05/14

Il tè. Quali sono i vantaggi di assumere questa bevanda.

Da dove proviene il? Sembra che i cinesi lo conoscessero già 5 mila anni fa, ma alcuni testi riferiscono che in Cina fece la sua comparsa nel III secolo. Un’altra leggenda narra che la scoperta del tè venne attribuita all’imperatore Shen Nung, che nel 2.700 a. C. notò che alcune foglie cadute in acqua bollente emanavano un ottimo aroma profumato e volle assaggiarlo, scoprendone anche la bontà. Furono i monaci buddisti i primi a promuovere il consumo di tè, si espanse durante la dinastia Song e approdò in Giappone, mentre in Europa venne importato presumibilmente dai portoghesi, si espanse in Francia e Paesi Bassi mentre in Gran Bretagna crebbe moltissimo e si impose come costume nazionale. Molti studi e ricerche sono state fatte su questa foglia, derivante dalla pianta “Camellia sinensis”, scoprendone diverse proprietà, se non curative, sicuramente benefiche. Uno studio pubblicato sulla rivista Psychopharmacology il tè, specialmente quello verde, può migliorare alcune funzioni cerebrali compresa la memoria di lavoro. Infatti in questo studio 12 persone hanno ricevuto alcune una bevanda contenente 27,5 grammi di estratto di tè verde, altre la stessa bevanda senza il tè verde. Sottoposte queste persone a dei test di memoria, si è dimostrato come il tè verde ottimizzasse le prestazioni e i collegamenti tra la parte frontale del cervello e le regioni parietali. Un altro studio del 2006 pubblicato sul Journal of American Medical Association dimostra che il tè verde è riduce i casi di malattie cardiovascolari. In questo studio i volontari che hanno bevuto almeno cinque tazze di tè al giorno si sono visti ridurre significativamente il rischio di morire rispetto ai soggetti che bevevano una tazza di tè al giorno. Un altro beneficio di queste foglie è la proprietà di combattere la carie. Infatti alcuni suoi composti minimizzano la crescita di batteri che causano la carie, di conseguenza degli sciacqui con i tè riducono l’accumulo di placca sui denti. Anche il tono muscolare è sensibile ad una buona tazza di tè, riducendo questi lo stress ossidativo dovuto all'età e l'infiammazione che colpisce i muscoli e le ossa. Per dirla tutta, il tè è una bevanda che, se presa senza zucchero, ci dà un apporto calorico pari a zero, mentre se si sceglie il tè verde rispetto a quello nero si ha un’assunzione di caffeina molto minore.

24/05/14

Cerchi un rimedio contro la carie? Bevi vino rosso.

A chi non dispiace un buon bicchiere di vino rosso durante i pasti, assaporarne il gusto e trarne gli effetti benefici? Già nel 1995 una ricerca dell'università di Copenaghen aveva dimostrato che un consumo non eccessivo e regolare di vino durante i pasti, meglio se vino rosso, limita il rischio di malattie cardio-vascolari, (ma ultimamente sembra sia stato smentito), protegge contro il cancro e fortifica le difese immunitarie, inoltre essendo ricco di antiossidanti, combatte i radicali liberi presenti nel nostro organismo. Ora un altro studio, questa volta del Consiglio nazionale di ricerca spagnolo, pubblicata sulla rivista Journal of Agricultural and Food Chemistry, dimostra che il vino rosso ha dei risultati molto positivi sulla carie. E’ noto che i batteri della bocca si organizzano in un biofilm, cioè un’ aggregazione complessa di microrganismi appunto caratterizzata dalla secrezione di una matrice adesiva, di conseguenza formano della placca e degli acidi che iniziano a danneggiare la nostra dentatura e contro i quali non c’è acqua, spazzolini o dentifrici al fluoro che tengano. Non è così per i polifenoli presenti nel vino rosso e soprattutto nei semi dell’uva. entrano in gioco i polifenoli, contenuti nel vino e nei semi dell’uva, che hanno proprietà di rallentare la proliferazione dei batteri. La dottoressa Maria Victoria Moreno-Arribas e la sua equipe hanno creato dei biofilm costituiti da batteri dannosi per la salute dentale, li hanno poi immersi in soluzioni di vino rosso, vino rosso senza alcol, vino ed estratto di semi d’uva e acqua con 12 per cento di etanolo. Il risultato è stato che il vino, in tutte le sue declinazioni, si mostrava molto attivo nel disintegrare i batteri. (immagine presa dal web)

18/05/14

Batteri | Non solo nemici dell'organismo ci sono quelli amici!

Batteri, non soltanto nemici dell'organismo, ci sono quelli amici! I microbiologi stanno già lavorando per accumulare un arsenale terapeutico da utilizzare in quest'eventualità.

Alla University of Medicine del New Jersey, Daniel Kadouri ha scoperto che il peggiore nemico di un superbatterio potrebbe essere...un altro batterio. "Fino ad oggi, il mondo della ricerca medica non ha visto di buon occhio l'ipotesi di utilizzare certe specie batteriche per ucciderne altre", spiega Kadouri. Il suo laboratorio ha "addestrato" microorganismi predatori a divorare le specie portatrici di infezioni.

"Dove ci sono batteri, ci sono probabilmente altri organismi pronti a cibarsene: noi ci limitiamo a gestire la catena alimentare per riuscire a eliminare infezioni specifiche". I batteri predatori sono più simili a parassiti che cacciatori: individuano la specie più appetibili e si insinuano all'interno degli organismi, colonizzandoli.
Batteri predatori
(immagine dal web)

Divorati i loro ospiti dall'interno, li abbandonano in maniera cruenta, per poi passare alle cellule limitrofe.
Un volta sazi, muoiono senza neppure toccare cellule umane. Questa strategia terapeutica presenta un ulteriore vantaggio: "gli antibiotici favoriscono la creazione per selezione naturale, di ceppi resitenti e numerosi farmaci", prosegue Kadouri. "Con il tempo i batteri mutanti che sopravvivono  a un ciclo di antibiotici producono intere generazioni di individui sempre più coriacei. Questo rischio non esiste, invece, utilizzando i batteri predatori".

Non è ancora chiaro perchè non vengano sviluppate resistenze a questi microorganismi utili, ma Kadouri spera che le prossime fasi della ricerca faranno luce sui meccanismi, ancora misteriosi, di quest'arma di difesa naturale. La domanda fondamentale è: questa strategia riuscirà ad arrestare l'avanzata dei superbatteri come NDM-1? "Questo sistema funzionerà, integrato con altri: si potrebbero usare cellule predatrici per uccidere il 99% dei patogeni primitivi, e poi concludere il trattamento con un potente antibiotico. Bilanciando correttamente gli interventi terapeutici a disposizione, non si creeranno nuove resistenze". (science)

17/05/14

La guerra dei germi | Antibiotici sempre più inoffensivi!

I nuovi superbatteri sono in grado di rendere inoffensivi gli antibiotici tradizionali. Ma la lotta alle infezioni potrebbe presto essere combattuta da virus e altri microorganismi "amici".

Ci tengono costantemente sotto assedio, tentando di fiaccare le difese del nostro organismo: sono i batteri! Fino a poco tempo fa, le nostre armi più potenti contro questi invasori erano gli antibiotici, farmaci in grado di fare fronte in maniera miracolosa ai loro attacchi, negli ultimi 70 anni, hanno contrastato con successo, gran parte delle infezioni. Di recente, però, sono comparsi nuovi ceppi di superbatteri, resistenti a quasi tutte le terapie tradizionali. NDM-1, per esempio, chiamato come l'enzima, prodotto dal microorganismo stesso, che promuove la resistenza agli antibiotici, è immune a tutti gli antibiotici tranne due, uno dei quali ha gravi effetti collaterali, mentre l'altro è soltanto parzialmente efficace.
Batteri
(immagine dal web)

MRSA, lo stafilococco aureo meticillino-resistente, è immune a tutti gli antibiotici tranne cinque. La minaccia più grave, tuttavia, non è rappresentata dai microorganismi di per sè: il vero problema è la trasmissibilità della resistenza ad altri batteri che a loro volta diventano immuni integrando un frammento di DNA che contiene il gene resistente. Quando NDM-1 venne identificato per la prima volta, nel 2008, la flora batterica limitrofa che colonizzava l'intestino del paziente, tra cui E. coli, aveva già sviluppato resistenze a gran parte degli antibiotici. Test di controllo, eseguiti da un'equipe di epidemiologi diretta da Tim Walsh dell'Università di Cardiff, hanno dimostrato che perfino il colera diventa non responsivo dopo l'esposizione a batteri contenenti il gene NDM-1.

Dopo la recente diagnosi di alcuni casi in Inghilterra, la celebre rivista scientifica Lancet aveva pubblicato un articolo dal titolo Is this the end of antibiotics? (Siamo giunti alla fine dell'era degli antibiotici?). Secondo Walsh, la risposta è si. "Arriveremo al punto in cui i batteri saranno diventati resistenti a tutte le terapie disponibili. Al momento non abbiamo praticamente nessun farmaco da opporre al NDM-1, e non c'è nulla nemmeno all'orizzonte". Anche se si scoprissero nuovi medicinali, si tratterebbe di una soluzione temporanea.

"Se comparisse un super-farmaco, tutti inizieremmo a usarlo e, inevitabilmente, si produrrebbero nuove resistenze", avverte Walsh. "Per annullare la minaccia rappresentata dal gene NDM-1, dovremmo poter disporre di cinque o dieci nuovi farmaci. In caso contrario, la medicina moderna, caratterizzata da basso rischio in chirurgia, tra vent'anni potrebbe non esistere più". (science)

29/04/14

Vaccini antinfluenzali | Ecco come vengono prodotti.

Vaccino antifluenzale
Vaccini antinfluenzali. Ecco come vengono prodotti. Ad ogni mese di gennaio, tutte le organizzazioni governative assieme ai ricercatori, si incontrano per valutare quali ceppi di virus influenzali rappresenteranno la minaccia maggiore per l'inverno che verrà.

I tre o quattro ceppi peggiori sono quindi iniettati in delle uova di gallina fecondate che vengono poi incubate per fare moltiplicare i virus al loro interno. Dopo qualche giorno, la proteina dell'albume che contiene le particelle virali viene estratta e resa innocua chimicamente, alfine di non causare essa stessa l'influenza. Il vaccino è una soluzione diluita di questa miscela, alla quale vengono aggiunti alcuni conservanti.

Nel 2013 è stata resa disponibile una nuova tecnica che introduce sequenze di DNA nei batteri per poterli stimolare a produrre proteine virali. Ciò ha lo scopo di riprodurre sul sistema immunitario umano, lo stesso effetto della stimolazione, ma è molto più veloce da riprodurre.

23/03/14

Il farmaco che rivoluzionò il mondo della medicina: la Penicillina.

Negli anni 20 moltissime persone morivano a causa di infezioni batteriche, alcune volte causate da piccolissimi e semplicissimi graffi. Alexander Fleming, uno scienziato e dottore scozzese, stava lavorando in un ospedale di Londra. Lui stava cercando di scoprire i modi per combattere i batteri. Fleming in quel periodo era alle prese con un pericolosissimo batterio chiamato stafilococco. Un giorno,nel chiudere frettolosamente il suo laboratorio perché stava partendo per le vacanze, dimenticò di lavare tutte le apparecchiature prima di lasciarlo. C’era una capsula nella quale stavano crescendo gli stafilococchi. Quando alcune settimane più tardi, Fleming tornò dalle vacanze, si accorse che c’era qualcosa simile a muffa in quella capsula che aveva contaminato le colture, e si accorse anche che la crescita del pericoloso batterio stafilococco si era fermata,probabilmente, pensò, a causa di questa muffa. Fleming chiamò questo antibiotico penicillina. Sapeva che la penicillina poteva essere un’importante scoperta, quindi fece alcuni esperimenti con essa. Tuttavia, non essendo un farmacista, per lui era difficile produrre la penicillina pura. Chiese aiuto ad alcuni scienziati colleghi ma nessuno sembrava interessato nel produrre la penicillina. Fleming ha dovuto aspettare più di dieci anni prima che due brillanti scienziati, Howard Florey e Ernst Chain, finalmente trovarono un modo facile per produrre la medicina. Nel maggio del 1940, il gruppo di ricerca di Florey ebbe abbastanza penicillina per poterla sperimentare con gli animali per la prima volta. Con un semplice esperimento, iniettarono un pericolosissimo batterio in otto topi. Un ora dopo, diedero la penicillina solo a quattro topi. Dopo alcune ore, i quattro topi con la penicillina stavano bene, mentre gli altri quattro erano tutti morti! Durante la Seconda Guerra Mondiale, la penicillina ha salvato molte vite, e nel 1945 Fleming, Florey e Chain vinsero il Premio Nobel per la medicina. Ancora oggi questo antibiotico è utilizzato per combattere la maggior parte dei batteri gram positivi come gli stafilococchi e gli streptococchi, le spirochete (Treponema pallidum e Leptospira), gonococchi e meningococchi.

22/03/14

La febbre: perchè ci colpisce?

La febbre,questa fastidiosissima "malattia" così chiamata erroneamente che, almeno una volta nella vita, ci ha colpiti tutti. Temperatura alta, debolezza, mal d'ossa, poco appetito, questi i suoi sintomi. E' comunemente ritenuta una malattia, ma in realtà la febbre è un meccanismo molto speciale attivato dall’organismo per un motivo ben preciso: difenderci dalle infezioni. Attaccato continuamente da virus e batteri, i maggiori responsabili delle infezioni, il nostro organismo risponde proprio innalzando la temperatura corporea: la febbre, infatti, mette a rischio la vita degli agenti patogeni che viaggiano per il nostro corpo, e permette alle nostre difese immunitarie di affrontarli alla meglio. E’ grazie alla febbre che riusciamo a produrre una quantità maggiore di anticorpi, le cellule amiche che si attaccano agli invasori, e proteine per combattere le infezioni e supportare i tessuti nell’eliminazione delle sostanze nocive. La febbre è generalmente un segnale positivo, che sta a significare che il corpo sta lottando contro l’infezione, ma attenzione: se troppo alta è bene farla scendere e chiedere al medico i farmaci più adatti a ciò. Una piccola curiosità da sfatare: spesso sentiamo dire che la febbre fa diventare più alti. Anche questa, come quella che la febbre sia una malattia e non un sintomo di qualcos’altro, è una falsa credenza: trascorrere molto tempo a letto fa sì rilassare i dischi di cartilagine tra le vertebre della colonna vertebrale, ma si tratta solo di un fenomeno momentaneo, alzandoci di nuovo dal letto si torna alla normalità.

09/03/14

Cellulari, tablet e smartphone: la casa preferita dei batteri

Stiamo molto attenti all'igiene delle mani, magari ci siamo abituati a portarci dietro in borsa un igienizzante che ci aiuti a tenere le mani pulite durante tutto il giorno, quando siamo al lavoro, o in giro, e siamo in contatto con le più svariate superfici, altre persone, animali.
In realtà non ci accorgiamo di avere spesso tra le dita alcuni oggetti tra i più ricchi di batteri in assoluto: cellulari, smartphone e tablet! Ad annidarsi tra i nostri tanto amati oggetti tecnologici ci sono tra gli altri lo Staffilocco Aureo e il Clostridium (potenzialmente patogeni), a rivelarlo un nuovo studio della Sanford Health pubblicato sull’American Journal of Incection Control che non fa altro che confermare ulteriormente quello che già sapevamo: insieme alle borse e alle tavolette del Wc, smartphone e tablet sono tra gli oggetti più ricchi di batteri.
  La domanda allora è: come possiamo difenderci? Semplicemente passando un panno in microfibra umido ogni giorno sul nostro smartphone o tablet, ha risposto Dubert Guerriero, uno degli autori principali della ricerca. Ma in realtà questo potrebbe non bastare nel caso sul proprio dispositivo si sia “accomodato” un virus più resistente come ad esempio quello dell’influenza. In questo caso per debellarlo è necessario utilizzare qualche detergente apposito per smartphone che, a detta dello studioso, sarebbe grado di uccidere il 99.9% dei batteri e dei virus. Un’ulteriore alternativa suggerita dai ricercatori è quella di acquistare delle coperture usa e getta, da cambiare ogni giorno, ma noi siamo “green” e questa soluzione non ci piace! Ci accontentiamo di passare sul dispositivo un panno umido in microfibra, il resto lo facciamo fare al nostro sistema immunitario.

08/03/14

Che cosa significa sentirsi bene?

"Come stai?" La domanda, puramente retorica alla quale si risponde: " Bene grazie e tu?", è in realtà da molti anni oggetto di riflessione della scienza medica. 

In genere, quando a chi ci chiede «come stai?"  al di là delle convenzioni sociali, rispondiamo  "così così"  e ci sentiamo liberi di sciorinare i nostri malanni e malesseri, con la lunga serie di farmaci che assumiamo, a riprova del nostro "star male" seriamente, vogliamo esprimere il nostro malessere mentale causato dalla malattia. Spesso è il contrario e per noi lo stare bene è l'assenza di un elemento di disturbo magari banale come un mal di denti o di una generica malattia. Ma le nostre risposte a quella domanda non si fermano solo a considerazioni "mediche". Se siamo in ansia per qualcuno o per noi stessi, se dobbiamo risolvere un conflitto con una persona, il nostro stato d'animo è inquieto, di certo non risponderemo (almeno interiormente) «Sì, sto bene ...». Il significato più profondo del concetto di salute, nella nostra esperienza quotidiana, va quindi ben oltre i fattori oggettivi, organici, fisici. Non aspetta che la patologia sia conclamata.

Esso tiene conto delle varie dimensioni che percorrono l'intero panorama dell'esistenza, compresa quella sociale e ambientale nel senso più vasto del termine (la qualità dell'aria, degli edifici in cui abitiamo o lavoriamo). La malattia non è solo il risultato di un attacco fisico esterno (batteri,virus...) al nostro organismo, ma di un insieme di fattori che mettono in relazione l'unità psicofisica della persona e l'ambiente che la circonda. Sotto questo aspetto, per esempio, l'aggressione di un virus, il consumo di sostanze tossiche, diete sbagliate o situazioni dolorose e di disagio (un lutto, una delusione amorosa, litigi in famiglia, o sul lavoro) possono essere considerati sullo stesso piano perché in ogni caso rappresentano un evento stressante di fronte a cui l'organismo reagisce in modo sostanzialmente analogo. Questa prospettiva ci porta alla conclusione che noi stessi siamo "portatori" di benessere. A partire dal modo in cui, per esempio, contribuiamo a creare un ambiente favorevole al dialogo con gli altri. Concludo con un consiglio "medicale": due significativi aforismi di Oscar Wilde:
Non si ammalerà mai una donna ben vestita, per quanto poco vestita sia
Bisogna sempre perdonare i propri nemici. Niente li infastidisce di più.

03/03/14

Acqua | Mai stato cosi semplice renderla pura! Basta un filtro di ramo di pino.

Acqua: mai stato cosi semplice renderla pura! Basta un filtro di ramo di pino. 
Filtrare questo bene cosi prezioso e icona di vita, l’acqua, non è mai stato così semplice, economico e sopratutto ecologico!

Un team di ricercatori del Mit di Boston afferma infatti di essere riuscito a eliminare il 99% dei batteri di E.coli presenti in una sorgente d’acqua, facendola scorrere tramite un filtro ricavato dal ramo di un pino o altri tipi di alburno (la parte più giovane del legno degli alberi).

Il filtro realizzato e collaudato dai ricercatori, che presentano la loro proposta sulle pagine di Plos One, è capace di produrre circa 4 litri di acqua potabile al giorno ed è stato ideato per le zone rurali in cui è difficile realizzare sistemi di filtrazione avanzata. Infatti, come spiega Rohit Karnik, tra gli autori dello studio: “Le membrane di filtrazione di oggi hanno pori nanometrici che non sono qualcosa che si può produrre molto facilmente in un garage. L’idea qui invece è che non abbiamo bisogno di fabbricare una membrana, perché è facilmente disponibile. Basta prendere un pezzo di legno e farne un filtro”.
Filtro ricavato dal ramo di un pino

Ma a parte le difficoltà di realizzazione, il sistema messo a punto dai ricercatori del Mit è anche economico ed ecologico, rispetto ai metodi che utilizzano i depuratori a base di cloro, le membrane di filtrazione o lo stesso bollire. Il principio di funzionamento si ispira alla naturale capacità dell’alburno di filtrare le particelle più grandi di 70 nanometri, come racconta Nature World News. Abbastanza cioè per tener fuori i batteri ma non i virus.

Al momento il progetto dei ricercatori è solo agli inizi. L’idea infatti è sia quella di testare diversi tipi di legno, supponendo che alcuni abbiano capacità di filtro migliori di altre, che di trovare modi per evitare che lo stesso filtro si secchi, compromettendone le capacità.

31/01/14

Raffreddore stagionale | Buone norme da seguire per affrontarlo al meglio delle nostre possibilità!

Raffreddore stagionale: buone norme da seguire per affrontarlo al meglio delle nostre possibilità!
Il raffreddore è un disturbo estremamente diffuso, che affligge gran parte degli esseri umani adulti, almeno 2-3 volte durante in corso dell'anno: la percentuale aumenta notevolmente nel caso di bambini che almeno 1 volta ogni 2 mesi ne sono affetti. I sintomi di tale mal'essere, possono permanere da 3 a 10 giorni e fino a 3 settimane nei casi più ostinati. Quali sono, credo sia noto un po a tutti: mal di gola, naso chiuso o che cola, tosse e malessere generale.

All'University of Alberta, Michael Allan in collaborazione con Bruce Arroll, della University of Auckland, hanno pubblicato sul Canadian Medical Association Journal un lavoro di review che analizza e valuta gli approcci di prevenzione e terapia più diffusi, confermando alcune teorie e smentendone altre.

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Raffreddore stagionale
Il raffreddore, spiegano gli esperti, “è un disturbo molto debilitante: causa diminuzioni nella produttività lavorativa e può inficiare la guida”. E, inoltre, è parecchio costoso: negli Stati Uniti, per esempio, si spendono circa 25 miliardi di dollari l'anno per visite mediche, infezioni secondarie, farmaci e giornate di lavoro perse per malattia o per accudire i figli malati. Per questi motivi, è importante non prendere sottogamba il disturbo e combatterlo con le armi adeguate.

La maggior parte dei raffreddori è causata da virus: solo il 5% di essi deriva da infezioni batteriche. Ciononostante, una delle terapie più diffuse è quella antibiotica, del tutto inefficace se la malattia è virale. Per quanto riguarda la prevenzione, spiegano gli autori, l'accorgimento più efficace riguarda l'igiene.

Analizzando 67 studi randomizzati e controllati (Rct), i ricercatori hanno scoperto che lavarsi le mani, così come usare guanti e disinfettanti, rappresenta un fattore cruciale per evitare di ammalarsi. Anche l'uso di zinco funziona, specie nei bambini: almeno 2 Rct dimostrano che i bambini che assumono 10-15 mg di solfato di zinco, in media, si ammalano e si assentano da scuola meno degli altri. Sui probiotici gli autori non si sbilanciano troppo: alcuni studi sembrano dimostrare che siano lievemente efficaci, sebbene nei lavori esaminati i tipi e le combinazioni fossero troppo variabili per poter trarre delle conclusioni definitive.

Per il trattamento, gli scienziati suggeriscono l'utilizzo di antistaminici, eventualmente combinati con decongestionanti e/o antidolorifici, nei bambini al di sopra dei 5 anni e negli adulti. Farmaci come l'ibuprofene e l'acetaminofene aiutano a combattere febbre e dolore. Gli spray nasali possono alleviare il naso che cola, ma non hanno alcun effetto sulla congestione. I benefici di approcci come ginseng, omeopatia e gargarismi non sono chiari; il miele ha un lieve effetto palliativo sui sintomi della tosse; la vitamina C e gli antibiotici non sembrano apportare particolari miglioramenti.
“Ci siamo concentrati solo sugli Rct”, concludono gli autori, “e abbiamo riscontrato che la maggior parte degli studi era inconsistente e si basava su pregiudizi più che su risultati oggettivi (per esempio la vitamina C). C'è bisogno di studi più sistematici e obiettivi”.

09/01/14

Fibre contro l'asma

Una dieta ricca di fibre oltre a proteggere, com'è noto, da malattie cardiovascolari e patologie intestinali, aiuta a prevenire l'infiammazione delle vie respiratore e ridurre l'asma, stimolando la flora batterica intestinale e favorendo la produzione di acidi grassi in grado di rafforzare il nostro sistema immunitario.
A renderlo noto l'Università di Losanna, in Svizzera, grazie alla ricerca condotta dal team di ricercatori guidato da Benjamin Marsland. Dalla ricerca sperimentale si è potuto osservare come una alimentazione ricca di fibre influenzi la flora intestinale a produrre batteri buoni che, entrando in circolazione attraverso il flusso sanguigno, attivano un'efficace risposta immunitaria che riduce i rischi di irritazione e infiammazione delle vie respiratore e, quindi, il presentarsi dell'asma. 
 
Questo processo è legato al tipo di alimentazione: una dieta troppo "pesante", caratterizzata perlopiù da cibi preconfezionati e povera di fibre, inficia la flora batterica intestinale riducendone la capacità di produzione di quei batteri "buoni" in grado di attivare il sistema immunitario dell'organismo, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Per la nostra salute via libera, quindi, a orzo, farro, pasta e pane integrale, carciofi, lenticchie, piselli, banane, carote, lamponi ecc. Alimenti che oltre a rafforzare le nostre difese, saziano e aiutano a mantenersi in forma. 

06/01/14

L’eterna guerra contro i batteri: antibiotici sempre meno efficaci!

L’eterna guerra contro i batteri dura ormai da troppo tempo: dopo 85 anni gli antibiotici sono sempre meno efficaci, mostrando segni di resa inevitabile contro i batteri, nemici del nostro organismo, ma come pensate possa essere il nostro futuro se per un motivo qualunque dovessimo perdere questi farmaci? In un'epoca post-antibiotici, la pratica medica andrebbe senz’altro rivista e corretta.

Infatti senza la loro azione difensiva, chemioterapia e immunosoppressori assumerebbero un aspetto a dir poco inquietante, passando ad essere invece che cure a delle pratiche pericolose, così come la dialisi o gli interventi chirurgici: qui l'infezione sarebbe una ecatombe. Da uno studio britannico si è potuto appurare che una procedura comune come la protesi all'anca metterebbe in pericolo di vita 1 paziente su 6, per non parlare dei parti cesarei, biopsie, e finanche un tatuaggio o una liposuzione potrebbero risultare essere fatali.
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Antibiotici meno efficaci contro i batteri
Ma sui limiti degli antibiotici già in passato fu proprio lo scopritore della penicillina, il biologo Alexander Fleming, a metterci in guardia, mentre ritirava il suo Nobel: «non è difficile creare microbi resistenti in laboratorio, è sufficiente esporli a concentrazioni di antibiotico insufficienti a ucciderli… L'uomo può facilmente sottodosare il farmaco facilitando il fenomeno della resistenza». Fleming aveva visto bene.

Più gli antibiotici sono diventati accessibili e il loro uso è aumentato, più i batteri hanno sviluppato sempre più rapidamente le difese: in totale oggi sono 18 i batteri che rappresentano una seria minaccia.
Per le istituzioni sanitarie europee e americane questa è a tutti gli effetti una una crisi. «Se non stiamo attenti ci sarà presto un'era post-antibiotica», ha detto Thomas Frieden, direttore dei Cdc statunitensi. E per alcuni pazienti e alcuni batteri questa "era" è già arrivata: solo in Europa sono 25.000 i morti a causa di infezioni ospedaliere resistenti. L'Oms prevede che il costo totale del trattamento di tutte le infezioni resistenti agli antibiotici in ospedale è di circa 10 miliardi di dollari all'anno.

L’impotenza di fronte a uno scenario di tale portata è disarmante, dal momento che sono ben note tanto le cause quanto gli effetti. Ma poiché si tratta di un fenomeno che si evolve lentamente, le contromisure continuano a essere rimandate. E' lo stesso atteggiamento che la società e le istituzioni hanno nei confronti del cambiamento climatico. E' assodato, se ne discute da anni, ma di fatto resta un problema insoluto, da far risolvere alle prossime generazioni. E anche nel caso della resistenza agli antibiotici, siamo tutti responsabili: dalle aziende farmaceutiche che negli anni non hanno investito per scoprirne di nuovi, ai medici che ne prescrivono troppi e spesso quando non sono necessari, lo sono i pazienti che ne abusano o non ne rispettano la posologia, lo sono gli agricoltori: negli States l'80% degli antibiotici venduti vengono usati in agricoltura, per ingrassare animali e proteggerli dalle malattie. E lo stesso vale per la frutta. «L'impatto sulla società è notevole - ha detto Steve Solomon, direttore dell'ufficio del Cdc per la resistenza agli antibiotici - Si sviluppa nei pazienti e si diffonde nella comunità. Le minacce per la salute aumentano e diventano sempre più complesse».

Ma se l'evoluzione batterica è ineluttabile, il pericolo potrebbe dunque non avere mai fine? Probabile, a meno che non si introducano alcuni cambiamenti. Danimarca, Norvegia e Olanda hanno attuato un regolamento governativo sull'uso medico e agricolo di questi farmaci, ma gli Stati Uniti non sono disposti a tali controlli e hanno emanato un orientamento volontario e non obbligatorio. E l'Unione europea per voce della commissaria alla ricerca Máire Geoghegan-Quinn, ha annunciato il lancio di 15 nuovi progetti di ricerca sulla resistenza antimicrobica che beneficeranno di un contributo pari a 91 milioni di euro.

Servono quindi nuove idee, non solo nuovi antibiotici. Per esempio il controllo automatico delle prescrizioni attraverso le cartelle cliniche informatizzate, lo sviluppo di test diagnostici rapidi e un diverso approccio clinico alle infezioni.«Siamo in una fase in cui abbiamo bisogno di molti e nuovi agenti terapeutici. Non c'è dubbio su questo - chiarisce Pascale Cossart, direttrice dell'Unità per le interazioni batteri cellule all'Istituto Pasteur di Parigi -. E questi farmaci devono essere sviluppati sulla base di tutte le conoscenze acquisite negli ultimi anni, focalizzando meglio i particolari del processo infettivo e poi chiedersi se, anziché ricorrere agli antibiotici, non si possa seguire una strategia totalmente diversa, cercando, ad esempio, di impedire la penetrazione del batterio nelle cellule.

O se il batterio produce tossine, lavorare per contrastarne la proliferazione e di conseguenza prevenire l'infezione». Cossart conclude che serve investire anche sugli strumenti diagnostici, kit rapidi e facili da usare. «La diagnosi precisa è la chiave per prevenire le conseguenze catastrofiche di una qualsiasi malattia infettiva». È della stessa idea Klemens Wassermann dell'Austrian Institute of Technology, giovane ricercatore di talento che ha vinto il Falling Walls Conference di Berlino. «A causa della rapida diffusione di batteri resistenti, la procedura standard non è più praticabile -spiega - Noi abbiamo trovato un modo che in una manciata di secondi e in maniera completamente automatizzata svela il patogeno coinvolto . Applicando un campo elettrico specifico in un dispositivo microfluidico intelligente, separiamo, rompendole, le cellule ematiche umane dai batteri, che invece restano integri. Li concentriamo nel campione e con tecniche di biologia molecolare abbiamo subito la diagnosi». Ricerca e l'innovazione sono dunque la chiave per invertire la tendenza e contrastare la resistenza antimicrobica.


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