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17/05/14

La guerra dei germi | Antibiotici sempre più inoffensivi!

I nuovi superbatteri sono in grado di rendere inoffensivi gli antibiotici tradizionali. Ma la lotta alle infezioni potrebbe presto essere combattuta da virus e altri microorganismi "amici".

Ci tengono costantemente sotto assedio, tentando di fiaccare le difese del nostro organismo: sono i batteri! Fino a poco tempo fa, le nostre armi più potenti contro questi invasori erano gli antibiotici, farmaci in grado di fare fronte in maniera miracolosa ai loro attacchi, negli ultimi 70 anni, hanno contrastato con successo, gran parte delle infezioni. Di recente, però, sono comparsi nuovi ceppi di superbatteri, resistenti a quasi tutte le terapie tradizionali. NDM-1, per esempio, chiamato come l'enzima, prodotto dal microorganismo stesso, che promuove la resistenza agli antibiotici, è immune a tutti gli antibiotici tranne due, uno dei quali ha gravi effetti collaterali, mentre l'altro è soltanto parzialmente efficace.
Batteri
(immagine dal web)

MRSA, lo stafilococco aureo meticillino-resistente, è immune a tutti gli antibiotici tranne cinque. La minaccia più grave, tuttavia, non è rappresentata dai microorganismi di per sè: il vero problema è la trasmissibilità della resistenza ad altri batteri che a loro volta diventano immuni integrando un frammento di DNA che contiene il gene resistente. Quando NDM-1 venne identificato per la prima volta, nel 2008, la flora batterica limitrofa che colonizzava l'intestino del paziente, tra cui E. coli, aveva già sviluppato resistenze a gran parte degli antibiotici. Test di controllo, eseguiti da un'equipe di epidemiologi diretta da Tim Walsh dell'Università di Cardiff, hanno dimostrato che perfino il colera diventa non responsivo dopo l'esposizione a batteri contenenti il gene NDM-1.

Dopo la recente diagnosi di alcuni casi in Inghilterra, la celebre rivista scientifica Lancet aveva pubblicato un articolo dal titolo Is this the end of antibiotics? (Siamo giunti alla fine dell'era degli antibiotici?). Secondo Walsh, la risposta è si. "Arriveremo al punto in cui i batteri saranno diventati resistenti a tutte le terapie disponibili. Al momento non abbiamo praticamente nessun farmaco da opporre al NDM-1, e non c'è nulla nemmeno all'orizzonte". Anche se si scoprissero nuovi medicinali, si tratterebbe di una soluzione temporanea.

"Se comparisse un super-farmaco, tutti inizieremmo a usarlo e, inevitabilmente, si produrrebbero nuove resistenze", avverte Walsh. "Per annullare la minaccia rappresentata dal gene NDM-1, dovremmo poter disporre di cinque o dieci nuovi farmaci. In caso contrario, la medicina moderna, caratterizzata da basso rischio in chirurgia, tra vent'anni potrebbe non esistere più". (science)

31/01/14

Raffreddore stagionale | Buone norme da seguire per affrontarlo al meglio delle nostre possibilità!

Raffreddore stagionale: buone norme da seguire per affrontarlo al meglio delle nostre possibilità!
Il raffreddore è un disturbo estremamente diffuso, che affligge gran parte degli esseri umani adulti, almeno 2-3 volte durante in corso dell'anno: la percentuale aumenta notevolmente nel caso di bambini che almeno 1 volta ogni 2 mesi ne sono affetti. I sintomi di tale mal'essere, possono permanere da 3 a 10 giorni e fino a 3 settimane nei casi più ostinati. Quali sono, credo sia noto un po a tutti: mal di gola, naso chiuso o che cola, tosse e malessere generale.

All'University of Alberta, Michael Allan in collaborazione con Bruce Arroll, della University of Auckland, hanno pubblicato sul Canadian Medical Association Journal un lavoro di review che analizza e valuta gli approcci di prevenzione e terapia più diffusi, confermando alcune teorie e smentendone altre.

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Raffreddore stagionale
Il raffreddore, spiegano gli esperti, “è un disturbo molto debilitante: causa diminuzioni nella produttività lavorativa e può inficiare la guida”. E, inoltre, è parecchio costoso: negli Stati Uniti, per esempio, si spendono circa 25 miliardi di dollari l'anno per visite mediche, infezioni secondarie, farmaci e giornate di lavoro perse per malattia o per accudire i figli malati. Per questi motivi, è importante non prendere sottogamba il disturbo e combatterlo con le armi adeguate.

La maggior parte dei raffreddori è causata da virus: solo il 5% di essi deriva da infezioni batteriche. Ciononostante, una delle terapie più diffuse è quella antibiotica, del tutto inefficace se la malattia è virale. Per quanto riguarda la prevenzione, spiegano gli autori, l'accorgimento più efficace riguarda l'igiene.

Analizzando 67 studi randomizzati e controllati (Rct), i ricercatori hanno scoperto che lavarsi le mani, così come usare guanti e disinfettanti, rappresenta un fattore cruciale per evitare di ammalarsi. Anche l'uso di zinco funziona, specie nei bambini: almeno 2 Rct dimostrano che i bambini che assumono 10-15 mg di solfato di zinco, in media, si ammalano e si assentano da scuola meno degli altri. Sui probiotici gli autori non si sbilanciano troppo: alcuni studi sembrano dimostrare che siano lievemente efficaci, sebbene nei lavori esaminati i tipi e le combinazioni fossero troppo variabili per poter trarre delle conclusioni definitive.

Per il trattamento, gli scienziati suggeriscono l'utilizzo di antistaminici, eventualmente combinati con decongestionanti e/o antidolorifici, nei bambini al di sopra dei 5 anni e negli adulti. Farmaci come l'ibuprofene e l'acetaminofene aiutano a combattere febbre e dolore. Gli spray nasali possono alleviare il naso che cola, ma non hanno alcun effetto sulla congestione. I benefici di approcci come ginseng, omeopatia e gargarismi non sono chiari; il miele ha un lieve effetto palliativo sui sintomi della tosse; la vitamina C e gli antibiotici non sembrano apportare particolari miglioramenti.
“Ci siamo concentrati solo sugli Rct”, concludono gli autori, “e abbiamo riscontrato che la maggior parte degli studi era inconsistente e si basava su pregiudizi più che su risultati oggettivi (per esempio la vitamina C). C'è bisogno di studi più sistematici e obiettivi”.

06/01/14

L’eterna guerra contro i batteri: antibiotici sempre meno efficaci!

L’eterna guerra contro i batteri dura ormai da troppo tempo: dopo 85 anni gli antibiotici sono sempre meno efficaci, mostrando segni di resa inevitabile contro i batteri, nemici del nostro organismo, ma come pensate possa essere il nostro futuro se per un motivo qualunque dovessimo perdere questi farmaci? In un'epoca post-antibiotici, la pratica medica andrebbe senz’altro rivista e corretta.

Infatti senza la loro azione difensiva, chemioterapia e immunosoppressori assumerebbero un aspetto a dir poco inquietante, passando ad essere invece che cure a delle pratiche pericolose, così come la dialisi o gli interventi chirurgici: qui l'infezione sarebbe una ecatombe. Da uno studio britannico si è potuto appurare che una procedura comune come la protesi all'anca metterebbe in pericolo di vita 1 paziente su 6, per non parlare dei parti cesarei, biopsie, e finanche un tatuaggio o una liposuzione potrebbero risultare essere fatali.
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Antibiotici meno efficaci contro i batteri
Ma sui limiti degli antibiotici già in passato fu proprio lo scopritore della penicillina, il biologo Alexander Fleming, a metterci in guardia, mentre ritirava il suo Nobel: «non è difficile creare microbi resistenti in laboratorio, è sufficiente esporli a concentrazioni di antibiotico insufficienti a ucciderli… L'uomo può facilmente sottodosare il farmaco facilitando il fenomeno della resistenza». Fleming aveva visto bene.

Più gli antibiotici sono diventati accessibili e il loro uso è aumentato, più i batteri hanno sviluppato sempre più rapidamente le difese: in totale oggi sono 18 i batteri che rappresentano una seria minaccia.
Per le istituzioni sanitarie europee e americane questa è a tutti gli effetti una una crisi. «Se non stiamo attenti ci sarà presto un'era post-antibiotica», ha detto Thomas Frieden, direttore dei Cdc statunitensi. E per alcuni pazienti e alcuni batteri questa "era" è già arrivata: solo in Europa sono 25.000 i morti a causa di infezioni ospedaliere resistenti. L'Oms prevede che il costo totale del trattamento di tutte le infezioni resistenti agli antibiotici in ospedale è di circa 10 miliardi di dollari all'anno.

L’impotenza di fronte a uno scenario di tale portata è disarmante, dal momento che sono ben note tanto le cause quanto gli effetti. Ma poiché si tratta di un fenomeno che si evolve lentamente, le contromisure continuano a essere rimandate. E' lo stesso atteggiamento che la società e le istituzioni hanno nei confronti del cambiamento climatico. E' assodato, se ne discute da anni, ma di fatto resta un problema insoluto, da far risolvere alle prossime generazioni. E anche nel caso della resistenza agli antibiotici, siamo tutti responsabili: dalle aziende farmaceutiche che negli anni non hanno investito per scoprirne di nuovi, ai medici che ne prescrivono troppi e spesso quando non sono necessari, lo sono i pazienti che ne abusano o non ne rispettano la posologia, lo sono gli agricoltori: negli States l'80% degli antibiotici venduti vengono usati in agricoltura, per ingrassare animali e proteggerli dalle malattie. E lo stesso vale per la frutta. «L'impatto sulla società è notevole - ha detto Steve Solomon, direttore dell'ufficio del Cdc per la resistenza agli antibiotici - Si sviluppa nei pazienti e si diffonde nella comunità. Le minacce per la salute aumentano e diventano sempre più complesse».

Ma se l'evoluzione batterica è ineluttabile, il pericolo potrebbe dunque non avere mai fine? Probabile, a meno che non si introducano alcuni cambiamenti. Danimarca, Norvegia e Olanda hanno attuato un regolamento governativo sull'uso medico e agricolo di questi farmaci, ma gli Stati Uniti non sono disposti a tali controlli e hanno emanato un orientamento volontario e non obbligatorio. E l'Unione europea per voce della commissaria alla ricerca Máire Geoghegan-Quinn, ha annunciato il lancio di 15 nuovi progetti di ricerca sulla resistenza antimicrobica che beneficeranno di un contributo pari a 91 milioni di euro.

Servono quindi nuove idee, non solo nuovi antibiotici. Per esempio il controllo automatico delle prescrizioni attraverso le cartelle cliniche informatizzate, lo sviluppo di test diagnostici rapidi e un diverso approccio clinico alle infezioni.«Siamo in una fase in cui abbiamo bisogno di molti e nuovi agenti terapeutici. Non c'è dubbio su questo - chiarisce Pascale Cossart, direttrice dell'Unità per le interazioni batteri cellule all'Istituto Pasteur di Parigi -. E questi farmaci devono essere sviluppati sulla base di tutte le conoscenze acquisite negli ultimi anni, focalizzando meglio i particolari del processo infettivo e poi chiedersi se, anziché ricorrere agli antibiotici, non si possa seguire una strategia totalmente diversa, cercando, ad esempio, di impedire la penetrazione del batterio nelle cellule.

O se il batterio produce tossine, lavorare per contrastarne la proliferazione e di conseguenza prevenire l'infezione». Cossart conclude che serve investire anche sugli strumenti diagnostici, kit rapidi e facili da usare. «La diagnosi precisa è la chiave per prevenire le conseguenze catastrofiche di una qualsiasi malattia infettiva». È della stessa idea Klemens Wassermann dell'Austrian Institute of Technology, giovane ricercatore di talento che ha vinto il Falling Walls Conference di Berlino. «A causa della rapida diffusione di batteri resistenti, la procedura standard non è più praticabile -spiega - Noi abbiamo trovato un modo che in una manciata di secondi e in maniera completamente automatizzata svela il patogeno coinvolto . Applicando un campo elettrico specifico in un dispositivo microfluidico intelligente, separiamo, rompendole, le cellule ematiche umane dai batteri, che invece restano integri. Li concentriamo nel campione e con tecniche di biologia molecolare abbiamo subito la diagnosi». Ricerca e l'innovazione sono dunque la chiave per invertire la tendenza e contrastare la resistenza antimicrobica.


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