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24/10/14

Disturbi dell umore "depressi" dal movimento fisico

In base ad uno studio eseguito allo University College della capitale londinese e successivamente reso pubblico sulla rivista Jama Psychiatry, gli esseri umani aventi un età che varia fra i 23 e i 50 anni, manifestano una quantità di distrubi dell'umore, se praticano con costanza attività fisica.


Contrariamente agli individui che preferiscono una sedentarietà maggiore che appaiono più vulnerabili e esposte a provare la sintomatologia relativa alla depressione.
I fautori dello studio hanno dato luogo ad analisi riguardo i dati di quasi 11000 individui nate nel 1958 di conseguenza sono stati a disposizione, informazioni riguardo il loro grado di attività motoria e dei sintomi depressivi all'età di 23, 33, 42 o 50 anni.

Passando ad esaminare gli individui che "praticavano" la pigrizia, che si sono decise a svolgere un'attività fisica costante, aldilà dell'età, hanno constato il fatto che si è notevolmente ridotto il loro pericolo di cadere in depressione durante l'arco di 5 anni del 19%. Coloro che rappresentano le vittime della depressione, sono apparse le meno propense all'attività in senso lato per tal motivo gli studiosi hanno concluso che l'attività fisica può alleviare i sintomi depressivi nella popolazione generale, ma la depressione in età adulta è un forte deterrente per l'attività sportiva.


13/09/14

La disfagìa nell'anziano

In genere la deglutizione fisiologica si manifesta nel seguente schema suddiviso in 4 momenti:
• la preparazione orale;
• lo stadio orale;
• lo stadio faringeo;
• lo stadio esofageo. 


Il mal funzionamento soltanto di una di queste fasi può dare luogo alla cosiddetta disfagia, ovvero sia ad un'esagerata deglutizione. Ciò che provoca la disfagia cronica nei casi maggiori sono i disturbi neurologici, ad esempio il morbo di Parkinson, una patologia del motoneurone, disturbi neuro-muscolari, sclerosi multipla e l'Alzheimer.

A causare la disfagia cronica però, ci sono anche:
- anomalie strutturali, come tumori di testa e collo, ingrossamento della tiroide, stenosi benigne;
- infezioni da HIV, candida o herpes;
- cause iatrogene, come per esempio la perforazione dell'esofago durante l'intubazione;
La disfagia
- malattia da reflusso gastroesofageo (GERD), in seguito alla quale l'acido gastrico irrita e danneggia la mucosa dell'esofago;
- avvelenamento e / o ustioni provocati, per esempio, dall'ingestione di prodotti domestici per la pulizia.

La diagnosi clinica per mettere alla luce una disfagia include 3 fattori importanti:
1. anamnesi generale e specifica;
2. osservazione del paziente;
3. esame clinico della deglutizione.

L'anamnesi deve comprendere informazioni riguardanti i sintomi tra cui inappetenza, calo di peso, mal'essere alla gola oppure al torace durante la deglutizione del liquido salivario, perdurare e gravità dei sintomi, manifestazioni di apparente soffocamento e presenza di infezioni toraciche ricorrenti. Per avere il controllo di tutti questi elementi si potrà usufruire di prove o metri di giudizio dello screening. Tra quelli più noti c'è quello del bolo d'acqua, che è molto consigliato per la valutazione del rischio tracheobronchiale in tutti i pazienti con ictus.

Un'altra prova che potrà essere adottata è il semplice ed accurato è il Bedside Swallowing. Assessment. La prova del bolo d'acqua si svolge facendo assumere una certa quantità di acqua mentre l'addetto ai lavori giudica l'apparizione del senso di soffocamento o altri sintomi, come tosse e sforzo nel deglutire. Il Bedside Swallowing Assessment consiste nella valutazione di alcuni parametri (livello di coscienza, controllo della testa e del tronco, respirazione) e l'osservazione del paziente durante l'ingestione di un cucchiaino d'acqua. Per quel che concerne i pazienti che, sucessivamente alla valutazione clinica, sono stati dichiarati a rischio di disfagia è opportuna una valutazione clinica strumentale.

L'esame diagnostico strumentale di elezione è la videofluoroscopia, utile sia nella fase di valutazione del grado di disfagia, sia nella fase di followup per monitorare la progressione del disturbo. Secondo gli studi, la videofluoroscopia è una tecnica dotata di elevata capacità diagnostica per la valutazione dei deficit deglutitori nei soggetti affetti da SLA, perché è in grado di identificarne il grado di compro-missione e le cause determinanti. Inoltre la possibilità di eseguire lo studio con differenti tipi di bolo e con diversi atteggiamenti posturali permette di individuare gli espedienti in grado di migliorare la capacità deglutitoria.


07/09/14

Nausea e vomito da chemioterapia | Gestione dei sintomi anticipatori

A dispetto degli importanti passi avanti fatti nel settore oncologico da 20 anni a questa parte, purtroppo il vomito, e in particolare la nausea, continuano ad essere i due effetti più avversi e frequenti, causati dal trattamento chemioterapico.


La nausea e il vomito assumono un aspetto di grande rilevanza riguardo la qualità di vita dei pazienti che sono soggetti a chemioterapia. Un trattamento antiemetico non adeguato può influire in maniera importante nei pazienti e nel loro modo di fronteggiare la terapia propinatagli nelle sedute a venire, facendo aumentare il rischio di mancata compliance e inducendo i pazienti a troncare i trattamenti potenzialmente utili a loro salvavita.

In base alle linee guida della Multinational Association of Supportive Care in Cancer e della Società Europea per l'oncologia medica, la nausea e il vomito anticipatori compaiono in una proporzione di pazienti che può raggiungere il 20% entro il quarto ciclo di trattamento. Studi più recenti registrano un tasso di nausea e vomito anticipatorio più basso rispetto a quello osservato negli studi più datati, in quanto l'efficacia della profilassi antiemetica è migliorata negli anni. A oggi il tasso di nausea anticipatoria è intorno al 10% e quello di vomito anticipatorio intorno al 2%, e comunque tende ad aumentare con l'aumentare del numero di cicli effettuati: una volta instaurati sono difficili da trattare e possono persistere per un anno. L'insorgenza di nausea e vomito indotti dai farmaci antitumorali può essere influenzata da molti fattori dipendenti da caratteristiche soggettive del paziente e dal tratta-mento scelto per la cura del tumore.
Linea guida
riguardo i cibi da evitare
e quelli da assumere

Il rischio di avere nausea e vomito è più alto nelle donne e in particolare in quelle che in gravi-danza hanno sofferto di nausea e vomito. L'ansia può facilitare la comparsa di nausea e vomito e peggiorarne i sintomi già esistenti. Nei soggetti già sottoposti a tratta-menti chemioterapici e che hanno sofferto di nausea e vomito, il rischio di avere i sintomi è più alto. Infine la storia di cinetosi e di scarso o nullo consumo di alcol si asso-ciano più spesso alla comparsa di nausea e vomito da chemioterapia. Sembra che i sintomi anticipatori siano più frequenti nei soggetti di età superiore ai 50 anni e in quelli ansiosi. Inoltre la sudorazione do-po il primo trattamento chemioterapico è un evento che può far presagire lo sviluppo di nausea e vomito anticipatori. La scelta del tipo di trattamento, nella maggior parte dei casi, non è influenzata da nessuno dei fattori di rischio correlati alle caratteristiche soggettive del paziente.

E comunque importante conoscere i pazienti e i potenziali fattori che potrebbero influire sulla nausea e il vomito da chemioterapia. Le principali categorie di farmaci utilizzati nel trattamento di nausea e vo¬mito da chemioterapia sono: - gli antagonisti della dopamina che bloccano gli impulsi al centro del vomito, ma possono causare sedazione e reazioni extrapiramidali; - gli antagonisti della serotonina (5-HT3), ben tollerati dai pazienti; - i corticosteroidi utilizzati nella gestione di nausea e vomito acuti; - gli antagonisti dei recettori della neurochinina-1 (NK-1), in genere associati al desametasone, usati per la gestione dell'emesi acuta e tardiva indotta da chemioterapie ad alto rischio emetogeno.

I sintomi anticipatori sono difficilmente controllabili con metodi farmacologici. Le linee guida più recenti considerano come approccio migliore la terapia utilizzata per il trattamento dei sintomi acuti e ritardati. Le terapie comportamentali, e in particolare gli esercizi per favorire il rilassamento muscolare, possono essere consigliati per il trattamento della nausea e del vomito anticipatori. Le benzodiazepine sono l'unico farmaco in grado di controllare i sintomi anticipatori, ma l'efficacia tende a ridursi progressivamente man mano che si prosegue il trattamento chemioterapico. Per prevenire la nausea si ricorda di:
- consumare cibi facilmente digeribili specialmente in prossimità dei trattamenti;
- fare pasti piccoli e frequenti (5-6 volte in sostituzione dei 3 pasti principali):
- consumare i pasti possibilmente alla stessa ora, mangiare lenta-mente masticando con cura e prendendosi il tempo necessario per consumare il pasto;
- mangiare il pasto più abbondante quando è presente meno nausea;
- evitare dolci, spezie e grassi o cibi fritti;
- evitare di bere abbondantemente durante il pasto, ma bere lenta-mente sorseggiando liquidi durante la giornata;
- preferire le verdure cotte alle crude;
- farsi aiutare da amici e parenti a cucinare per evitare gli odori della cucina;
- mangiare cibi secchi come grissini, fette biscottate o toast, prima dei pasti;
- non sforzarsi di mangiare quando si ha nausea e di contro se si ha fame non aspettare che aumenti troppo perché potrebbe aumentare il senso di nausea;
- evitare di coricarsi per almeno due ore dopo aver mangiato;
- adottare l'abitudine di camminare dopo pranzo, per evitare reflussi, nausea e vomito;
- praticare con regolarità esercizi di respirazione, il rilassamento può prevenire la nausea. In caso di nausea si raccomanda di:
- fare profondi respiri e rilassarsi;
- masticare pezzettini di ghiaccio, fino al momento in cui la nausea non è regredita;
sorseggiare piccole quantità di cola sgasata;
- man mano che la nausea migliora assumere in modo graduale altri liquidi e cibi, iniziando con piccole quantità di liquidi a temperatura ambiente per poi passare a cibi liquidi, ma più consistenti (per esempio succo di frutta), per poi tornare gradualmente a una dieta normale;
- preferire le posate in plastica a quelle di metallo;
- ricordarsi di avvisare tempestiva-mente il medico o l'infermiere (più precoce è l'intervento, maggiore sarà l'effetto di controllo sulla nausea).(l'infermiere)


10/08/14

Gli animali soffrono di allergia da fieno?

Noi siamo animali e alcuni di noi ne soffrono, e quindi la risposta è sì. 

Ma se intendiamo altre specie, effettivamente ce ne sono alcune che mostrano reazioni allergiche al polline degli alberi e dell'erba.

La maggior parte degli animali non ha problemi; dopo tutto, si sono evoluti e hanno trascorso tutta la vita accanto a piante che producono polline. I casi peggiori riguardano cani e gatti domestici, che hanno perso l'immunità naturale attraverso l'allevamento selettivo o per il fatto di trovarsi per lo più in casa, in un'aria priva di polline, e poi fatti uscire. Alcuni sintomi sono simili a quelli degli esseri umani, compreso il prurito alla pelle e alle orecchie e la lacrimazione. Ci sono stati casi di allergia al polline anche in mandrie di bestiame.(science)

07/06/14

La psichiatria | "Fondamentale oggi come cento anni fa".

"Oggi la psichiatria è fondamentalmente quella di cento anni fa: ci affidiamo alle descrizioni soggettive dei sintomi, fatte dagli stessi pazienti, e indaghiamo 'per procura' sulle dinamiche di una mente che soffre". 

Un quadro che, presto, sarà rivoluzionato dalle nuove scoperte della biologia molecolare, della genetica e delle tecniche di imaging cerebrale. "Grazie alla diagnostica per immagini, saremo in grado di osservare direttamente che cosa accade nella mente di chi ha difficoltà cognitive, sente voci o è vittima di depressioni o sindromi psicotiche", ha piegato l'esperto. Gli scienziati ricorrono già alla risonanza magnetica funzionale (fMRI) per studiare l'attività cerebrale di oggetti impegnati nella risoluzione di problemi o nella visione di immagini pensate per scatenare risposte emotive.

Nell'autunno del 2013, strumenti di imaging messi a punto da ricercatori statunitensi hanno rivelaro la distruzione di tessuto cerebrale in pazienti schizofrenici. mentre un altro studio ha scoperto, nel codice genetico umano. l nuove sedi legate alla patogenesi della schizofrenia Craddock è con IDro che, tra appena 20 anni, gli psichiatri saranno finalmente in grado di corroborare le attuali indagini sulla intomatologia dei pazienti con test in grado di diagnosticare oggettivamente parologie quali il disturbo bipolare, la depressione e le sindromi ansiose.

"Da questo traguardo ci separa ormai una sola generazione: tra 10 anni, ci guarderemo indietro e penseremo che le categorie diagnostiche del DSM fossero, dopotutto, piuttosto bizzarre" .

15/05/14

Se fumi rischi un invecchiamento cerebrale precoce, smetti e ti torna il buonumore.

“Perché fumo? A cosa serve fumare?” Quante volte ci siamo posti queste domande, dandoci anche delle risposte abbastanza scontate, ma senza mai prendere una drastica decisione e dare un taglio netto alla sigaretta. “Lo so, non serve a niente, ma fumare mi rilassa, mi dà sicurezza con gli altri, non ne posso fare a meno, e poi posso smettere quando voglio”, ci giustifichiamo. Senza pensare a quanti e quali danni possiamo avere a breve o a lungo termine. Uno studio durato 25 anni, effettuato dai ricercatori dell’University College di Londra (apparso su Archives of General Psychiatry) condotto su 7.236 uomini e donne di mezza età (dipendenti del Servizio civile inglese), ha dato come risultato un’accelerazione del rischio di demenza ed invecchiamento precoce del cervello, a cominciare dai 45 anni di età. Ai volontari di questo studio è stato chiesto di svolgere alcuni prove cognitive a tre età diverse: tra i 44-69 anni, tra i 50 e i 74, e tra i 55 e gli 88, e si è arrivati alla conclusione che i fumatori mostravano un declino cognitivo più veloce, di circa 10 anni, rispetto ai non fumatori. E più numerose erano le sigarette fumate, maggiori erano i danni neurologici. Ma c’è un altro studio condotto dai ricercatori dell’Università di Nottingham e pubblicato sulla rivista medica British Medical Journal dove si è studiata la salute psicologica di circa 1500 partecipanti a dei corsi contro il fumo, misurandola sei settimane prima del corso e poi ricalcolandola dopo altre sei settimane senza aver fumato. I risultati hanno dimostrato che dopo un primo momento di variazione di umore, dovuto probabilmente allo stop drastico del fumo di sigaretta, nella totalità dei volontari è stato notato un evidente calo dei sintomi ansiosi e depressivi, lasciando spazio all’ottimismo e alla voglia di programmazione. Smettere di fumare quindi non può che fare bene alla salute dell’uomo (e della donna), dal momento che sono sufficienti poche settimane per riscontrare effetti positivi sull’apparato cardiocircolatorio per arrivare, a 10 anni dopo lo stop al fumo di sigaretta, a un rischio di malattie cardiovascolari e tumorali pari a quelle di un soggetto che non ha mai fumato. E non è poco.

22/03/14

La febbre: perchè ci colpisce?

La febbre,questa fastidiosissima "malattia" così chiamata erroneamente che, almeno una volta nella vita, ci ha colpiti tutti. Temperatura alta, debolezza, mal d'ossa, poco appetito, questi i suoi sintomi. E' comunemente ritenuta una malattia, ma in realtà la febbre è un meccanismo molto speciale attivato dall’organismo per un motivo ben preciso: difenderci dalle infezioni. Attaccato continuamente da virus e batteri, i maggiori responsabili delle infezioni, il nostro organismo risponde proprio innalzando la temperatura corporea: la febbre, infatti, mette a rischio la vita degli agenti patogeni che viaggiano per il nostro corpo, e permette alle nostre difese immunitarie di affrontarli alla meglio. E’ grazie alla febbre che riusciamo a produrre una quantità maggiore di anticorpi, le cellule amiche che si attaccano agli invasori, e proteine per combattere le infezioni e supportare i tessuti nell’eliminazione delle sostanze nocive. La febbre è generalmente un segnale positivo, che sta a significare che il corpo sta lottando contro l’infezione, ma attenzione: se troppo alta è bene farla scendere e chiedere al medico i farmaci più adatti a ciò. Una piccola curiosità da sfatare: spesso sentiamo dire che la febbre fa diventare più alti. Anche questa, come quella che la febbre sia una malattia e non un sintomo di qualcos’altro, è una falsa credenza: trascorrere molto tempo a letto fa sì rilassare i dischi di cartilagine tra le vertebre della colonna vertebrale, ma si tratta solo di un fenomeno momentaneo, alzandoci di nuovo dal letto si torna alla normalità.

08/12/13

Scoperta una miracolosa pillola che sconfigge l'epatiteC | Ma a che prezzo?

 Per quattro settimane di cura servono 28mila dollari, che diventano 84mila per il ciclo consigliato di 12 settimane. E si arriva a quota 168mila per le 24 che sono necessarie per battere le infezioni più resistenti.
L'Italia il Paese europeo più colpito con due milioni di contagiati. Per gli esperti: "È una rivoluzione, una grande notizia per tutti quelli che soffrono di epatite C". I medici americani non hanno dubbi: il farmaco, approvato ora dalla Food and Drug Administration, è destinato ad aprire una nuova frontiera nella lotta ad una delle malattie più pericolose e diffuse.

Epatite C
La medicina miracolosa è una pillola da prendere una sola volta al giorno, si chiama Sovaldi e il principio attivo che combatte il virus è il sofosvubir, una molecola in grado di sconfiggere anche i ceppi più resistenti. In questo modo diventano inutili le punture di interferone, sino ad oggi l'unico rimedio efficace, ma che porta con sé pesanti effetti collaterali: insonnia, nausea, depressione, sintomi influenzali. E oltre ad essere molto meno invasiva la cura promette percentuali di successo altissime: attorno all'80% secondo gli ultimi test, che però necessitano di altre conferme. "È un passo avanti eccezionale nella lotta all'epatite, riusciremo a sconfiggere con molta più facilità il virus soprattutto nei pazienti cronici": dice al New York Times, Edward Cox uno dei membri della commissione Fda. C'è però una controindicazione destinata a riaccendere le polemiche sull'accesso ai farmaci, ovvero il costo della pillola. Per quattro settimane di cura servono 28mila dollari, che diventano 84mila per il ciclo consigliato di 12 settimane. E si arriva a quota 168mila per le 24 che sono necessarie per battere le infezioni più resistenti. "È inaccettabile e vergognoso: non c'è alcuna logica che giustifichi questi prezzi. Una follia sulla pelle dei pazienti di tutto il mondo": attacca Michael Weinstein presidente di una delle maggiori organizzazioni che aiutano i malati di Aids, protagonista in passato di altri scontri durissimi con Big Pharma sul prezzo dei medicinali. La Gilead Science, la società che produce la pillola reagisce con la consueta tranquillità: "Il prezzo è in linea con il mercato, anzi se confrontato con altri concorrenti che sono meno efficaci e innovativi è persino basso. Cercheremo poi di attuare dei programmi per aiutare i malati che non hanno i mezzi". Per la società è un successo annunciato, secondo gli analisti di Wall Street, il farmaco è destinato a superare tutti i record di vendita e ricompenserà ampiamente gli 11 miliardi di dollari investiti nel progetto. La Gilead batte tutte le altre grandi compagnie farmaceutiche che stanno lavorando nella ricerca di cure simili. "Nei prossimi 18 mesi arriveranno altre medicine che semplificheranno di molto la cura dell'epatite, saranno meno invasive e soprattutto porteranno il tasso di guarigione oltre il 90%", dice ancora Cox. Novità che arriva proprio in uno dei picchi più alti di ammalati: nel mondo sono 180 milioni, quasi quattro negli Stati Uniti, quasi due in Italia, anche se sono pochissimi quelli che si curano. "Si sta manifestando il virus in quei pazienti che l'hanno contratto anche molti anni fa, quando ancora non si conoscevano tutti i pericoli di comportamenti a rischio: come i rapporti sessuali non protetti o lo scambio di siringhe", spiegano gli esperti. Numeri che adesso sembrano destinati a diminuire con le nuove cure, anche se prima di venire importate in Italia e in Europa ci vorranno ancora un paio di mesi. L'epatite C inizia a far meno paura, a patto di aver qualche migliaio di dollari in tasca.                                                                                fonte

02/11/13

Un robot rimuove per la prima volta un tumore dallo stomaco di una donna!

Un robot rimuove per la prima volta un tumore dallo stomaco di una donna!
Per la prima volta nella storia della medicina alcuni chirurghi del Centro Sanitario dell'Università di California-San Diego hanno praticato una gastrectomia robotica, per rimuovere con la minore invasività possibile un tumore dallo stomaco di una donna. La rimozione è stata effettuata attraverso l'uso di arti robotici, hanno provveduto a rimuovere il tessuto malato, ed eseguito una delicata ricostruzione dell'organo, dopo di che hanno anche prelevato dei linfonodi alfine di poterli esaminare.
intervento di
Robot "Da Vinci"
«Per trattare il cancro gastrico rimuoviamo lo stomaco completamente o in parte con cinque piccole incisioni», ha provveduto a spiegare Kaitlyn Kelly, oncologa. «L'obiettivo dell'approccio robotico è di eliminare il tumore e di estrarre i linfonodi vicini con la massima precisione, per poter valutare in modo più accurato lo stadio di diffusione del cancro».
Meglio noto anche come adenocarcinoma, il cancro gastrico ha la sua genesi nelle cellule della mucosa che riveste lo stomaco. Una immediata intercettazione coadiuvata da un'accurata valutazione dello stadio di diffusione sono fondamentali per il destino del paziente. I suoi sintomi possono inizialmente essere facilmente scambiati con quelli dell'indigestione. In Europa rappresenta circa il 23% di tutte le neoplasie. La diffusione è ancora più elevata in alcuni Paesi orientali, come la Corea.

Il robot usato per l'operazione è un Da Vinci, il primo e più diffuso sistema chirurgico robotico, realizzato da Intuitive Surgical. Messo in commercio agli inizi del 2000, è stato venduto in centinaia di esemplari e usato per oltre un milione e mezzo di interventi. «La particolarità dell'approccio robotico è la capacità di rimuovere con precisione i linfonodi intorno a grandi vasi sanguigni senza danneggiare i vasi o i nodi stessi, offrendo ai patologi materiale migliore da esaminare», ha aggiunto il dottor Santiago Horgan, direttore del centro. Le tecniche a invasività minima, sia robotiche, sia laparoscopiche, fanno sì che il paziente possa rimettersi più in fretta dall'operazione, cosa importante per chi soffre di cancro e spesso ha bisogno di un successivo trattamento chemioterapico per completare la cura. La chirurgia dello stomaco non è però priva di rischi, tra cui emorragie, ernia addominale e perdita di acidi gastrici nell'addome, e va perciò eseguita con la massima cautela.
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