Depressione da lutto, ovvero sia la cosiddetta "esclusione dell'eccezione del lutto", prevista
dal DSM-5, a suscitare le maggiori preoccupazioni.
Detta anche
"
criterio E", questa norma procedurale consigliava agli psichiatri
di non diagnosticare
disturbi depressivi maggiori prima che
fossero trascorsi due mesi dalla
morte di una persona cara.
Ora
questa restrizione è stata rimossa, e c'è chi dice che il
DSM-5
invita a ritenere malato chi piange la scomparsa di un
familiare.
A difesa della nuova decisione,
David Kupfer, che ha diretto i
lavori di stesura del nuovo prontuario, spiega che l'esclusione del
lutto non aiutava, in guanto suggeriva che l'aver di recente subito
una grave perdita fosse un fattore protettivo nei confronti della
depressione maggiore, impedendo così dunque a depressi clinici
di ottenere aiuto.
Dissente invece Allen Frances, già direttore della
Taskforce
.la precedente unità operativa che si era occupata del
manuale: secondo lui l' opera, nel nuovo aggiornamento, limita
effettivamente l'intervallo di
normalità. "Il lutto è diventato un
disturbo depressivo maggiore', temere di ammalarsi è classificato
'di turbo sintomi da somatizzazione", fare i capricci, chiama 'disturbo da
disregolazione distruttiva dell'umore',
la golosità è oggi un 'disturbo da alimentazione incontrollata',
tutti risulteremo affetti dalla 'sindrome da deficit di
attenzione ha commentato lo studioso.
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Depressione da lutto
(immagine dal web) |
Frances è il solo ad esprimere riserve nei confronti della
patologizzazione sempre più accentuata operata dal
DSM. "Il numero di
diagnosi è in silenzioso ma costante aumento", segnala Sir Simon Wessely dell'Istituto di Psichiatria del King's College di Londra. Nel 1917, l'American Psychiatric Association (APA) riconosceva appena 59
disturbi mentali: oggi, il manuale ne elenca quasi 300.
L'APA, tuttavia, rende note altre cifre, dichiarando che il
DSM-5 elenca ufficialmente soltanto 157 disturbi. Dipende, però, da quali criteri di inclusione si adottano: alcune
patologie, infatti, vengono escluse perché definite 'in attesa di ulteriori indagini', mentre altre sono moderne suddivisioni di altre
sindromi già presenti in precedenza come casi a sé stanti. La cifra generalmente riconosciuta è di 297 disturbi segnalati dal
DSM-5; è indubbio, comunque, che il manuale sia aumentato di dimensioni: nel 1952 contava meno di 150 pagine, che oggi sono invece diventate quasi mille.
Il
DSM è la moderna versione di un manuale militare, il Medicai 203, creato dopo la Seconda guerra mondiale per classificare i disturbi mentali dei reduci. Precedentemente, non esisteva alcun "dizionario" della terminologia diagnostica: un medico poteva chiamare "
depressione" un disturbo definito Cecurato) altrimenti da un altro psichiatra. Il DSM fu dunque ideato per mettere ordine: inizialmente, era uno strumento di ricerca, ma da libro di testo molto dettagliato diveune in breve tempo una vera e propria guida. Si affermò definitivamente con la terza edizione del 1980, nota come
DSM-III, che inaugurò una nuova era per la diagnostica in psichiatria: il volume elencava ben 80 nuove
patologie, e trasformò definizioni quali "
sociofobia" e "depressione maggiore" in termini di uso comune.
Gli vennero mosse anche alcune critiche, che denunciavano in particolare come l'aumento del numero di disturbi non fosse basato su nuove, 'tangibili evidenze: si disse che la
sociofobia, per esempio, non fosse altro che un nome alla moda per la vecchia timidezza. Nel suo libro Craked: Why Psychiatry Is Doing More Harm Than Good (traducibile con "I danni della psichiatria: perché fa più male che bene"), lo psicoterapeuta James Davies spiega che i contenuti del
DSM-III furono stabiliti da un comitato a tavolino, e non con metodi empirici e scientifici. Era stata un'unità operativa composta da psichiatri a decidere che cosa includere: la spuntò chi faceva sentire con più fermezza la sua voce. Davies scrisse che, addirittura, un potenziale sintomo venne escluso quando uno dei componenti del gruppo di lavoro sentenziò: "Questo non possiamo inserirlo: ce l'ho anch'io!".
(science)