Il-Trafiletto
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08/09/14

Costruiamo un Pianeta: integratori alimentari e della polvere | La formazione stellare

Sacca di formazione stellare
INTEGRATORI ALIMENTARI
Perché si possa avviare la formazione stellare, il disco deve contenere particelle solide che possano conglomerarsi: microscopici frammenti di polvere di silicato e di ferro, o cristalli congelati di molecole come l'acqua, il metano e l'ammoniaca. Maggiore è la quantità di elementi più pesanti dell'idrogeno e dell'elio contenuta nel disco e più potrà crescere il pianeta. Vicino alla stella le particelle si accumulano in granelli di polvere, sassi, macigni, asteroidi e pianeti rocciosi. Più lontano, le particelle a bassa temperatura possono crescere fino a diventare comete ghiacciate e, infine, nuclei planetari che attraggono spessi involucri gassosi provenienti dal disco originario, fino a diventare giganti simili a Giove.

CATTURARE LA POLVERE
Le simulazioni mostrano che le particelle delle dimensioni di un millimetro vengono rallentate dal gas del disco e cominciano a scendere a spirale verso la stella. Se vogliamo che queste particelle di polvere si riuniscano in grumi, qualcosa le deve intrappolare. Fortunatamente, le osservazioni svolte con il telescopio ALMA in Cile hanno rivelato proprio l'esistenza di "trappole" nel disco di una stella dell'età di 15 milioni di anni, forse formate da differenze nella densità del gas.(science)


12/08/14

Creme solari | Come fanno a proteggere la nostra pelle?

Componenti della
luce solare

Le creme solari usano una miscela di particelle organiche e inorganiche che bloccano le radiazioni ultraviolette (UV) potenzialmente nocive della luce del Sole. 

Le particelle organiche (di solito l'octil-metossicinnamato o l'ossibenzone) assorbono i raggi e li dissipano nella pelle sotto forma di calore, prevenendo le scottature, Quelle inorganiche (diossido di titanio e ossido di zinco) riflettono e disperdono le radiazioni formando una barriera fisica. Erano questi componenti inorganici che rendevano bianche le creme solari.

Ma oggigiorno le particelle sono tanto piccole da essere invisibili e quindi le creme solari possono essere trasparenti e proteggere ugualmente la pelle. Come mostra il diagramma, ci sono tre tipi di radiazioni ultraviolette nella luce del sole - A, B e C - e il fattore di protezione di una crema misura solo la protezione dalle UVB. Spesso si dice che se a una persona basta un'ora per scottarsi, con un fattore 15 può stare sotto il Sole per 15 ore, ma è una descrizione semplificata. A mezzogiorno c'è molta più radiazione UV, dato che è il Sole è più basso in cielo.

Quindi il tempo per cui possiamo esporci con sicurezza dipende dall'ora del giorno, nonché dalla quantità di crema applicata e da quanto è stata assorbita bene dalla pelle. Ci vuole tempo perché venga assorbita, cosa necessaria perché sia efficace appieno.(science)


06/08/14

Acaro della polvere | In casa nostra: chi ci vive?

L'acaro della polvere ovvero sia
il Dermatophagoides pteronyssinus
 
L'acaro della polvere ovvero sia il Dermatophagoides pteronyssinus sono, come gli acari delle ciglia, aracnidi, e dunque, "cugini" di ragni e scorpioni. 

Tuttavia, sono lunghi appena 0.4 millimetri e dunque più piccoli del punto alla fine di questa frase. Il corpo non presenta segmentazioni e l'apparato buccale si è altamente specializzato per nutrirsi dei frammenti di pelle che si trovano nella polvere di casa. Mentre si alimenta, l'insetto rilascia residui fecali e particelle proteiche semidigerite: quando inaliamo questi scarti, il nostro organismo reagisce producendo anticorpi e liberando istamine.

L'inalazione degli escreti di acaro della polvere può perciò causare, in alcuni soggetti, una sintomatologia simile al raffreddore allergico o asma. Per contrastare questi effetti, è buona norma lavare spesso la biancheria da letto e limitare l'accumulo di polvere nelle case.(science)


27/07/14

Notizie in breve

Latimeria chalumnae
Pesce dalla notte dei tempi.
È stato sequenziato il genoma del celacanto (Latìmerìa chalumnae), un pesce osseo molto simile a un fossile di 300 milioni di anni fa. I ricercatori stimano che il patrimonio genetico di questo rarissimo vertebrato, che vive al largo delle coste africane e indonesiane, si sia evoluto molto più lentamente rispetto ad altri animali, e ciò spiegherebbe il suo aspetto primitivo. I geni di questo antico pesce si sono evoluti molto lentamente rispetto ad altri animali, e ciò spiegherebbe il suo aspetto primitivo.

Dolore e cervello.
II nostro medico sarà presto in grado di misurare l'intensità del dolore che proviamo grazie a una scansione cerebrale. Neuroscienziati dell'Università del Colorado, a Boulder, hanno osservato un incremento di attività in determinate aree del cervello, tra cui la corteccia cingolata anteriore, quando i volontari esaminati venivano esposti a fonti di calore violento. Le esperienze dolorose di carattere emotivo, invece, non hanno provocato una risposta analoga.

Materia oscura
Avvistata la materia oscura?
Gli scienziati potrebbero essere riusciti ad avvistare la materia osi Uno dei due rilevatori collocati in i vecchia miniera di ferro, nell'ambi dell'esperimento CDMS-II allestite in Minnesota, ha registrato segni di "debole interazione di particelle dotate di massa", una delle poten forme assunte dalla materia non direttamente osservabile. I ricerc però, avvertono che non è ancor stata esclusa un'origine casuale.(science)


03/03/14

Acqua | Mai stato cosi semplice renderla pura! Basta un filtro di ramo di pino.

Acqua: mai stato cosi semplice renderla pura! Basta un filtro di ramo di pino. 
Filtrare questo bene cosi prezioso e icona di vita, l’acqua, non è mai stato così semplice, economico e sopratutto ecologico!

Un team di ricercatori del Mit di Boston afferma infatti di essere riuscito a eliminare il 99% dei batteri di E.coli presenti in una sorgente d’acqua, facendola scorrere tramite un filtro ricavato dal ramo di un pino o altri tipi di alburno (la parte più giovane del legno degli alberi).

Il filtro realizzato e collaudato dai ricercatori, che presentano la loro proposta sulle pagine di Plos One, è capace di produrre circa 4 litri di acqua potabile al giorno ed è stato ideato per le zone rurali in cui è difficile realizzare sistemi di filtrazione avanzata. Infatti, come spiega Rohit Karnik, tra gli autori dello studio: “Le membrane di filtrazione di oggi hanno pori nanometrici che non sono qualcosa che si può produrre molto facilmente in un garage. L’idea qui invece è che non abbiamo bisogno di fabbricare una membrana, perché è facilmente disponibile. Basta prendere un pezzo di legno e farne un filtro”.
Filtro ricavato dal ramo di un pino

Ma a parte le difficoltà di realizzazione, il sistema messo a punto dai ricercatori del Mit è anche economico ed ecologico, rispetto ai metodi che utilizzano i depuratori a base di cloro, le membrane di filtrazione o lo stesso bollire. Il principio di funzionamento si ispira alla naturale capacità dell’alburno di filtrare le particelle più grandi di 70 nanometri, come racconta Nature World News. Abbastanza cioè per tener fuori i batteri ma non i virus.

Al momento il progetto dei ricercatori è solo agli inizi. L’idea infatti è sia quella di testare diversi tipi di legno, supponendo che alcuni abbiano capacità di filtro migliori di altre, che di trovare modi per evitare che lo stesso filtro si secchi, compromettendone le capacità.

04/02/14

“Hdl” | Il colesterolo che può far male davvero!

"Hdl": il colesterolo che può far male davvero! Nel momento in cui si ossida, favorisce l'aterosclerosi. Esistono vari tipi di colesterolo: affiancato a quello “cattivo”, che mette in grave pericolo la salute di cuore e arterie, c'è ne un tipo “buono” che aiuta a contrastare l'aterosclerosi.

Ma non fraitendetemi, il colesterolo in genere è sempre e comunque un  rischio per la salute e a tal proposito, uno studio pubblicato su Nature Medicine da un gruppo di ricercatori, coordinato da Stanley Hazen, esperto di Cardiologia Preventiva e Riabilitazione della Cleveland Clinic (Stati Uniti), ha infatti messo in luce il fatto che se le proteine presenti al loro interno si ossidano, le particelle di colesterolo buono” perdono le loro proprietà cardioprotettive, diventando pericolose per il sistema circolatorio, favorendo invece l'infiammazione e quindi l'aterosclerosi.

index
Hdl il colesterolo che fa male
Hazen e colleghi hanno scoperto che durante il processo di aterosclerosi, che porta al restringimento e all'irrigidimento delle arterie, nelle pareti dei vasi sanguigni si accumula una forma ossidata di apoA1, la proteina più abbondante all'interno delle particelle di colesterolo “buono”. Quando non è ossidata, apoA1 permette di trasportare il colesterolo dalle arterie al fegato, attraverso cui può essere eliminato dall'organismo. La forma ossidata non riesce a svolgere questa funzione, tanto che analizzando il sangue di 627 pazienti i ricercatori hanno scoperto che all'aumentare dei livelli di particelle di colesterolo “buono” ossidato aumenta anche il rischio di avere a che fare con un disturbo cardiovascolare.

“Identificare la struttura della apoA1 non funzionale e il processo attraverso cui inizia a promuovere le malattie anziché prevenirle è il primo passo verso la creazione di nuovi test e trattamenti per i disturbi cardiovascolari”, spiega Hazen. Non solo, questa scoperta fornisce anche una possibile spiegazione al fatto che gli studi condotti fino ad oggi utilizzando farmaci pensati per aumentare i livelli di colesterolo “buono” non abbiano dato i risultati sperati in termini di salute cardiovascolare. “Ora che sappiamo come è fatta questa proteina non funzionale stiamo sviluppando un test clinico per misurare i suoi livelli nel sangue che sarà uno strumento utile sia per valutare il rischio cardiovascolare nei pazienti sia per guidare lo sviluppo di terapie mirate contro l'Hdl [il colesterolo “buono”, ndr] per prevenite le malattie”.

21/10/13

Voyager 1 solo 17.000...anni per uscire dal nostro sistema solare!

Voyager 1 solo 17.000...anni per uscire dal nostro sistema solare! La sonda che fu lanciata ben 36 anni orsono dalla NASA, sta per accingersi ad oltrepassare l'eliopausa, ovvero la zona in cui il flusso di particelle emesso dal Sole è così "annacquato" da non riuscire a superare la resistenza della rarefattissima "atmosfera" interstellare, e pone fine alla sua espansione. Badate bene che comunque sia siamo ancora ben all'interno dei confini del sistema solare, ovvero di quella regione in cui la gravità del Sole agisce sulle forze gravitazionali della galassia e delle altre stelle, che si possono allocare ai confini della nube di Oort, a 1,1 anni luce da noi. Le ultime discussioni riguardo la possibilità che la sonda Voyager 1 abbia potuto già “lasciare il sistema solare” non hanno tenuto conto di alcuni dettagli critici. Il limite della radiazione delle particelle emesse dal Sole non è il confine fisico del contenuto del sistema solare, ma è il punto di passaggio in quella atmosfera di materia rarefattissima e campi magnetici che popola lo spazio tra le stelle della nostra galassia. Questo argomento ultimamente è tornato d'attualità, in quanto che dopo 36 anni di viaggio pare che la sonda Voyager 1 stia attraversando una zona che è stata descritta come una “autostrada magnetica”, nella quale le linee del campo magnetico del Sole si connettono a quelle che predominano lo spazio interstellare della nostra galassia. Tutto ciò sta a spiegare che Voyager 1 si sta accingendo ad oltrepassare l'eliopausa, la zona di transizione nella quale l'incredibile flusso di radiazione particellare  (come elettroni e protoni) emessa dal nostro Sole è ormai così diluito da non riuscire a farsi spazio nella debole radiazione interstellare. Questo è il punto di ingresso nel mezzo interstellare, in un certo senso nell'atmosfera della Via Lattea.
Voyager 1

Ma tutto ciò ha indotto ad alcuni commenti fuorvianti sulla “fine del nostro sistema solare”. Il 20 Marzo, la NASA ha quindi rilasciato una dichiarazione alfine di chiarire la confusione su dove sia il Voyager: "Il team di Voyager è a conoscenza di rapporti secondo cui il la sonda Voyager 1 della NASA avrebbe lasciato il sistema solare", ha detto Edward Stone, del California Institute of Technology di Pasadena, in California, e membro del progetto Voyager. "Il team scientifico del Voyager è concorde nell'affermare che Voyager 1 non ha ancora lasciato il sistema solare o raggiunto lo spazio interstellare. Nel dicembre 2012, il team scientifico del Voyager ha riferito che Voyager 1 si trova all'interno di una nuova regione, 'l'autostrada magnetica', in cui sono radicalmente cambiate le particelle energetiche. L'indicatore critico definitivo del raggiungimento dello spazio interstellare è un cambiamento nella direzione del campo magnetico e questo cambiamento di direzione non è stato ancora osservato."
Nonostante tutto, anche la dichiarazione della NASA non spiega sufficentemente la sottile differenza tra “lasciare il sistema solare” e “raggiungere lo spazio interstellare”, una differenza che vale per il nostro sistema solare come per qualsiasi altro. Come ogni stella normale, il Sole crea ciò che è in effetti una bolla di propri effluvi, e lo fa esercitando una pressione opposta all'ambiente interstellare, ma più ci si allontana, più questa pressione si indebolisce. Il punto esatto in cui la pressione solare diventa pari alla pressione circostante è influenzata da molti fattori. Ad esempio, dai campi magnetici che interagiscono con la materia elettricamente carica, ma anche, e molto, da dove ci troviamo nella galassia e dalla densità locale dell'atmosfera interstellare, che è in continuo cambiamento lungo la nostra orbita galattica, che percorriamo in circa 230 milioni di anni. Il problema è che, come per l'eliopausa, questo confine potrebbe non essere sempre alla stessa distanza dal Sole. Ancora una volta, il nostro movimento intorno alla galassia e l'azione di altre stelle e corpi celesti di paesaggio creano un lento cambiamento del paesaggio gravitazionale. Nonostante tutto, una stima approssimativa sta ad indicare che si tratta di circa un anno luce di distanza.
Nube di Oort

Non a caso questo è il limite ipotizzato esterno della nube di Oort, una enorme struttura formata da migliaia di miliardi di detriti ghiacciati scagliati verso l'esterno quando si formarono i nostri pianeti circa 4,5 miliardi di anni fa. La nube di Oort è la probabile origine delle comete a lunghissimo periodo, oggetti che per completare le orbite che li portano verso l'interno del sistema solare possono impiegare da centinaia a milioni di anni. Ad esempio, per vedere di nuovo la cometa West, che è stata osservata l'ultima volta nel 1976 e sta tornando verso il punto più lontano della sua orbita a circa 1,1 anni luce di distanza, bisognerà attendere circa 6 milioni di anni.
Tutto ciò vuol dire che, per quanto il vecchio caro Voyager potrebbe aver iniziato ad assaporare un po' di fresca brezza galattica, è ancora parecchio lontano dall'oltrepassare quel folto gruppo di “scogli” che ci separano dallo spazio interstellare veramente aperto.
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