Il-Trafiletto
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18/07/14

Peperoncino | Perchè sono cosi piccanti? | Mani | Perchè abbiamo delle linee sui palmi?

Peperoncini croce e delizia
dei mammiferi
La pianta di peperoncino produce la capsaicina, che serve a scoraggiare gli erbivori dal mangiarne i frutti. 

I denti dei mammiferi frantumano i semi di peperoncino, mentre gli uccelli li ingoiano interi, aiutando la pianta a diffonderli. La pianta, dunque, ha evoluto un sistema di difesa chimica che è irritante per i mammiferi, ma non ha alcun effetto sugli uccelli.

Linee sui palmi delle mani
PERCHE' ABBIAMO DELLE LINEE SUI PALMI DELLE MANI?
In modo da poter chiudere le mani a pugno, o far assumere loro altre forme complesse, senza un eccessivo stiramento della pelle e senza il bisogno di averne in eccesso: pensate a quanti movimenti fate quando digitate su una tastiera, tenete una tazza o sbrigate le faccende domestiche. Le linee sono chiamate "pieghe di flessione palmare" e si sviluppano prima della nascita. La maggior parte delle persone ha due linee principali che attraversano il palmo della mano, ma alcuni hanno una singola "piega scimmiesca", che può essere ereditata e presentarsi su una o su entrambe le mani, ma può anche essere associata alla sindrome di Down o ad altre patologie.
La chiromanzia afferma che le linee rivelano la personalità, ma di ciò non esistono prove.(science)


12/07/14

Non hanno orecchie ma...

Le piante hanno tutti i 5 sensi
Le piante hanno tutti e 5 i sensi. Sono in grado di vedere la luce, di toccare ciò che le circonda, di assaggiare il terreno per capire che nutrienti ci sono, di annusare l'aria per individuare i composti volatili e, dalle ultime ricerche, anche di sentire i suoni attorno a loro. 

I vegetali riescono a percepire le basse frequenze, quelle comprese nell'intervallo di 100 Hz e 400 Hz, che invece noi non captiamo. Dagli esperimenti fatti al LINV, Laboratorio Internazionale di Neurobiologia vegetale di Firenze, è emerso che i suoni influenzano la crescita della pianta e favoriscono la germinazione dei semi. Anche le radici ascoltano le vibrazioni sonore e crescono in direzione della fonte del suono.

Ma le piante sono anche in grado di "parlare"? "Certo che no", spiega Stefano Mancuso, direttore del LINV. "Ma come prodotto secondario delle crescita dell'apparato radicale emettono dei suoni provocati dalla rottura delle pareti cellulari nelle radici. Noi non li udiamo ma amplificati sembrano dei click. Le piante invece li percepiscono e questa capacità potrebbe servire a comunicare, certo involontariamente, la propria presenza agli altri vegetali vicini". La spiccata sensibilità delle piante non deve stupire; a causa della loro immobilità devono, infatti, essere in grado di percepire tutte le variabili ambientali e di reagire di conseguenza. E per questo i sensi delle piante sono anche di più di quelli che posseggono gli esseri umani. Sono infatti capaci di misurare l'umidità del terreno e di individuare le fonti d'acqua, di sentire la gravità e i campi elettromagnetici, di trovare e riconoscere una grande quantità di elementi chimici anche in minima concentrazione.(science)



11/07/14

La famiglia è importante

Essere in grado di riconoscere individui con cui si hanno forti somiglianze genetiche cioè con i quali si è imparentati, è molto importante. 

Sappiamo farlo noi e anche gli altri animali: questo permette di trasmettere il proprio patrimonio genetico alle generazioni successive e di evitare di sprecare energia entrando in competizione con chi è sangue del nostro sangue. E le piante?

I vegetali sanno individuare i propri fratelli? Si. E' stato scoperto per la prima volta nel 2007 da Susan Dudley e Amanda File, due ricercatrici dell'Università McMaster in Ontario, Canada. Le scienziate hanno seminato, in un vaso, alcuni semi di Cakile edentula prodotti dalla stessa pianta madre e in un altro contenitore semi nati invece da piante della stessa specie ma di "genitrici" diverse. Le pianticelle strettamente imparentate sono cresciute rigogliose mentre quelle lontane geneticamente hanno prodotto un numero di radici molto più elevato.

Insomma, ogni pianta figlia di madri diverse ha cercato di occupare più spazio possibile competendo per le risorse idriche e nutritive  a discapito di chi stava accanto. Se nel mondo animale si individuano i propri parenti attraverso il senso della vista e dell'olfatto, in quello vegetale i meccanismi non sono ancora chiari anche se si ipotizza che il riconoscimento dei parenti avvenga tramite il rilascio di messaggeri chimici.(science)



10/07/14

Semi da scoprire | Coma fare i germogli

Possono essere di girasole, di soia o lino. Contengono grassi insaturi, minerali e nutrienti che aiutano a prevenire diverse patologie. Da mangiare crudi o in germogli, non dovrebbero mai mancare sulla nostra tavola.

Non c'è dubbio: l'uomo non è né un carnivoro né un erbivoro. Ce lo dice la sua dentatura. Nell'uomo i canini e gli incisivi (i denti più importanti rispettivamente per i carnivori e per gli erbivori) non sono certamente i più rilevanti. I nostri denti più massicci sono piuttosto i premolari e i molari, dotati di ampie superfici "che consentono di triturare facilmente semi e altri vegetali. Grazie anche al movimento laterale della mandibola (del tutto assente nei carnivori), che rende ottimale lo sfruttamento delle superfici dei denti. L'uomo è dunque essenzialmente un granivoro, un consumatore di cereali, legumi e semi oleosi. Questi alimenti, con l'integrazione di frutta e verdure fresche, contengono tutte le sostanze indispensabili perché l'organismo possa mantenersi in buona salute. Solo durante particolari periodi della vita (prima infanzia, gravidanza e allattamento) sono effettivamente necessarie modeste integrazioni con alimenti diversi come, per esempio, latticini e uova. Queste considerazioni valgono naturalmente se la dieta è sufficientemente variata. Se la scelta dei nostri alimenti, in altri termini, non è limitata alla pasta di grano duro quotidiana, ai fagioli di tanto in tanto e a una scorpacciata di noci durante le festività di fine anno... Andiamo allora alla scoperta di alcuni semi, poco conosciuti e molto meno consumati di quello che meriterebbero le loro notevoli qualità nutrizionali.
...DI GIRASOLE
I grassi presenti in questo seme sono per il 90 per cento di tipo insaturo e utili quindi per conservare fluido e scorrevole il sangue, per abbassare la colesterolemia elevata, per mantenere morbide ed elastiche le arterie e per ridurre il rischio di infarto cardiaco. Questi stessi grassi si sono dimostrati in grado (come risulta già da un lavoro pubblicato ancora nel 1941 su Report n. 1 - Lee Foundation [or Nutrional Research, Milwaukee,Wisconsin, Usa) di migliorare in modo significativo la funzionalità urinaria compromessa dall'ipertrofia prostatica. Il seme di girasole contiene anche una buona quantità di proteine (circa 25 per cento), che diventano di qualità eccellente se consumate insieme a pane o pasta. Non è da trascurare nemmeno 1'ottimo patrimonio di ferro, calcio e zinco. Quest'ultimo minerale, tra l'altro, concorre alla riduzione dell'ingrossamento della prostata. 
...DI LINO
Il lino e i suoi semi sono da sempre largamente utilizzati dall'uomo (non a caso il nome scientifico di questo vegetale è Linum usitatissimum, ma soprattutto per usi non alimentari: la pianta per la produzione di fibre tessili; 1'olio dei semi nella fabbricazione di vernici, inchiostri e linoleum; la pappa di farina di semi di lino come cataplasma pettorale nelle infiammazioni dei bronchi. Da qualche decennio, tuttavia, si stanno studiando i semi di lino anche come fonte di sostanze preziose nella prevenzione di alcune malattie degenerative come le patologie cardiovascolari e alcuni tumori. li seme di lino è infatti ricco di lignani, composti che riducono il rischio tumorale (soprattutto nei confronti del tumore al seno). Sul n. 25/1986 della rivista "Journal of Steroids Biochemistry" si è osservato che nelle urine di donne con tumore al seno (e che consumavano molta carne) era presente una quantità di lignani molto inferiore rispetto alle donne vegetariane. Sulla scorta di questa constatazione si è eseguita una sperimenrazione su animali i cui risultati sono stati pubblicati sul n. 60/1991 di "Cancer Letters": l'aggiunta di semi di lino alla dieta dei topi ha ridotto della metà il rischio di tumore al seno. I semi di lino contengono anche parecchio acido linolenico, un grasso essenziale la cui utilità in diverse patologie (nell'ipercolesterolemia e nella prevenzione dell'arteriosclerosi, nella psoriasi e nella terapia degli eczemi) è stata ripetutamente confermata.
...GERMOGLI DI SOIA
Della soia i nostri lettori più affezionati sanno probabilmente già tutto. O quasi. Questo seme straordinario, con una storia antichissima, è oggi ritenuto un alimento privilegiato per la prevenzione di gran parte delle malattie degenerative che affliggono l'uomo. Il contenuto proteico della soia si aggira intorno al 40 per cento, ben superiore alla quantità mediamente apportata da altri alimenti (manzo magro 20 per cento, pesce 20 per cento, stracchino 18 per cento, riso 8 per cento). Sono proteine di alta qualità nutrizionale, il cui consumo regolare permette di ridurre fortemente il ricorso ad alimenti di origine animale. La soia contiene anche molte fibre, che contribuiscono alla formazione di feci voluminose e facilmente eliminabili. Le fibre, inoltre, riducono i livelli sanguigni del colesterolo, aumentano la sensibilità dell'organismo all'insulina e riducono la glicemia. Recentissimi sono gli studi sugli isoflavoni della soia (sbrigativamente definiti (fitoestrogeni). Di fatto, le donne che mangiano regolarmente soia sono maggiormente protette, dopo la menopausa, dalla patologia cardiovascolare e mantengono più a lungo una buona struttura scheletrica. I germogli di soia aggiungono alle interessanti e positive caratteristiche del legume altre qualità, proprie degli organismi vegetali in rapida moltiplicazione. La germinazione infatti provoca notevoli e profonde modificazioni nella composizione del seme: aumenta la disponibilità degli aminoacidi essenziali (componenti pregiate delle proteine) e degli elementi minerali assorbibili (per esempio, il ferro), si incrementa il contenuto vitaminico (specialmente delle vitamine A, C e del gruppo B), una parte degli amidi di riserva si trasformano in zuccheri più semplici e quindi più facilmente utilizzabili dall'organismo. I germogli di soia infine sono ricchissimi di enzimi, sostanze che rendono possibili le reazioni chimiche. In mancanza di enzimi l'assunzione dell' energia e la sua trasformazione in sostanze utili nonché l'eliminazione delle scorie dall'organismo sarebbe letteralmente impossibile. Gli enzimi sono i maggiori responsabili del mantenimento della vitalità di tutte le nostre cellule.A ulteriore riprova dell'utilità dei germogli per il nostro organismo il professor W. Krebs affermò, nel numero di agosto del 1970 della rivista "Cancer News Journal", che nei germogli sono contenuti specifici fattori anticancro. Conclusioni queste confermate negli anni successivi. Questi fattori sarebbero quasi completamente assenti nelle piante adulte.

COME FARE I GERMOGLI 
Un metodo semplice Esistono in commercio attrezzature diverse per far germogliare i semi. Tuttavia il metodo più semplice ed economico è il seguente. Sciacquate un paio di cucchiai di semi in abbondante acqua corrente per eliminare la polvere e le altre impurità. Metteteli in un vaso di vetro (vanno benissimo quelli da un chilo utilizzati per il miele), copriteli con 4-5 dita di acqua e chiudete l'imboccatura con una tela bianca a trama larga, fissandola con un elastico. Riponete il vaso in un luogo buio e non freddo (la credenza della cucina andrà benissimo) per circa 6-12 ore. Il giorno dopo svuotate il vaso semplicemente capovolgendolo: l'acqua scorrerà via attraverso la tela. Ripetete questa operazione di risciacquo dei semi due-tre volte al giorno. In questo modo i semi rimarranno leggermente umidi. Dopo 4-5 giorni i germogli avranno raggiunto la lunghezza di qualche centimetro e sono pronti per essere consumati. I germogli si possono conservare in frigorifero, ma per non più di una settimana.

29/04/14

Antichi frutti e semi in difesa della biodiversità

Immagine presa dal web

Diventare paladino di antichi frutti in difesa della biodiversità di cereali, legumi, ortaggi e frutta, è stata lanciata in Italia, ormai da qualche anno, una campagna per mettere in piedi una rete di «salvatori di semi», sull'esempio di quanto è già in atto nel resto del mondo occidentale.

 


Ideatrice e sponsor dell'iniziativa è Civiltà Contadina, un'associazione che ha organizzato un gruppo di persone per trasformarle in sentinelle della biodivervità, sempre più minacciata dalle multinazionali del seme. La strategia? Ospitare nel proprio orto piante rare con l'obiettivo di costituire una banca genetica del seme, aperta e pubblica. Il progetto è di creare, in questa prima fase, cento orti conservativi, e in ognuno di essi, un «Seed Savers» di Civiltà Contadina dovrà adottare almeno una varietà destinata all'estinzione. E che non si tratta di un'idea campata in aria sta a dimostrarlo l'esperienza austriaca: dopo otto anni di sensibilizzazione i Seed sono 5.000 e le piante conservate negli orti ben 8.000. Tutti i soci che entrano a far parte della rete dei «SeedSavers» di Civiltà Contadina, pagando una quota di iscrizione, avranno a disposizione semi, conoscenzee strumenti indispensabili a mantenere integro e vivibile il pianeta.
C'è molto amore e poesia nelle storie dei "Seed Savers", i salvatori di semi. Amore per la ricerca di cibi perduti o diventati ormai rarissimi; poesia di sapori unici finora riservati solo alle generazioni passate, al massimo ai nostri padri. Quella di Nardello, pioniere di questa pratica, sono vicende solo apparentemente esclusive, riservate a pochi «fissati», romantici della biodiversità e dell'ecologia. Esse racchiudono in realtà elementi di grande modernità e alcuni preziosi insegnamenti. Tra questi ci sono la forza di volontà, la testardaggine, il lavoro umile ma tenace di chi da una manciata di semi ricava intere colture che si tramandano nei decenni. Colture ricche di... culture ben poco astratte. Dentro quei semi (di pomodori gialli o di aglio violetto) ci sono altre storie da raccontare, queste ancora più secolari. La storia di una popolazione che impara a selezionare quello che le serve, osserva come reagisce il terreno, conosce la specie più resistenti e, senza l'ausilio di armamentari chimici, riesce a resistere alle aggressioni esterne. In quei semi c'è la memoria di quello che poteva essere ma non è stato. È il prezzo del progresso, si dice. Che offre meno qualità, però la garantisce a tutti. Ma i conti non tornano. Perché dopo un secolo di chimica, siamo di nuovo a cercare la panacea dei mali di questo progresso ricorrendo alle promesse della genetica. Ogm o bio?. Potremmo dire a questo punto, sì al bio accompagnato da una maggiore attenzione alla biodiversità. D'altronde proprio la tenacia dei "Seed Savers" ci sprona a tentare di imboccare strade più impegnative che potrebbero portare molto lontano. Perché nella biodiversità è contenuto un altro importante insegnamento: il rispetto della differenza. E una civiltà che si ingegna a mantenerla e a ravvivarla, probabilmente acquisisce una maggiore sensibilità verso più ampie e profonde diversità che coinvolgono donne e uomini di altre culture e religioni.

(fonte Vita e Salute articolo di Ennio Battista)

28/04/14

Semi antichi conservati per la biodiversità

Ormai sono a rischio di estinzione migliaia di semi che davano vita a un'infinita varietà di ortaggi frutta, cereali e legumi. L'omologazione dei sapori e il dominio di semi ibridi ha uniformato la produzione dei prodotti da orto. Per ovviare a questo impoverimento dei nostri prodotti, è nato una nuova figura: il "Seed Saver"( salva di semi)

Ma chi sono i salvatori di semi? Partiamo dal loro capostipite, Jimmy Nardello, uno dei tanti emigranti italiani che dalla nativa Lucania nel 1887 si trasferì negli Stati Uniti, portandosi dietro un fagottino di semi, tra i quali un peperone dolce che gli avrebbe ricordato la famiglia lontana. Nardello e i suoi discendenti continuarono a coltivare nel loro orto quel particolare peperone, conservandone i semi generazione dopo generazione. Nel 1983, poi, un discendente di Nardello fondò negli Usa l'associazione «Seed savers exchange», il gruppo più attivo e organizzato che si conosca: ha 8.000 soci e ha salvato oltre 20 mila semi di ortaggi.
Pomodori antichi

I semi hanno una lunga storia da raccontare, non solo quella delle mani in cui sono passati, ma anche la storia di innumerevoli generazioni di agricoltori che fin dalla notte dei tempi hanno utilizzato, in modo naturale, la genetica dei vegetali per ricavarne cibo, fibre per tessere, coloranti e medicinali. Purtroppo dopo circa diecimila anni di frammentarietà, varietà e fantasia l'agricoltura si è imbucata nel tunnel d'una grandiosa monotonia. Non pìù terreni coltivati con molte varietà di semi ma estese monoculture. Una filosofia agricola che ha portato in primo piano i big della chimica con il loro arsenale di fertilizzanti sintetici e pesticidi, affiancati dai venditori di trattori che tormentano il suolo e dai fautori dei semi ibridati. Qualche voce di opposizione che ha osato levarsi, denunciando i danni che sarebbero derivati da questa tendenza, è stata subito messa a tacere. Finché, a partire dagli anni Settanta, un parassita dei cereali dimezza, in un' estate, il raccolto di mais e in Brasile le piantagioni di caffè, orgoglio dei genetisti, vanno in fumo non solo per la cattiva stagione ma soprattutto perché la ruggine delle foglie fa fuori le superpiante senza pietà. In pratica è accaduto quanto già in molti avevano previsto: quando il gene antimicrobico è messo fuori gioco dalle mutazioni, il vegetale sarà facile vittima della malattia, e 1'appiattimento genetico farà diffondere il morbo per migliaia di ettari.
 Sarebbe bastato trarre insegnamenti dall'agricoltura di una volta: biodiversità delle sementi, il concime quasi non occorreva, poca acqua e le malattie quando colpivano si fermavano presto, provocavano pochi danni e non isterilivano intere regioni. Invece, il risultato principe dell' agricoltura della monotonia sta solo nel far dipendere la nutrizione umana da appena trenta piante, otto delle quali coprono i tre quarti del contributo che il regno vegetale offre al mantenimento dell'umanità. Le campagne italiane sono un chiaro esempio di tale politica. Che fine ha fatto il grano Rieti 11, resistente agli assalti della ruggine? In Sicilia, durante gli anni Venti c'erano ben 42 varietà di frumento duro, oggi siamo appena a una. L'impoverimento ha colpito anche i vigneti e gli agrumeti siciliani. Questo fenomeno ha coinvolto anche l'universo vegetale del Terzo mondo: i paesi industrializzati hanno creato ibridi a più alta resa, che i paesi «sottosviluppati» sono costretti ad acquistare, sostituendo le varietà autoctone selezionate dai contadini, che per millenni hanno rifornito il cibo quotidiano. Gli ibridi sono oltretutto sterili e quindi a ogni nuova semina occorre rifornirsi di un nuovo stock. Per questo motivo è indispensabile che anche in Italia inizino a operare nuovi salvatori di semi. L'obiettivo? Cercare e salvare le numerose varietà locali che lentamente cedono il passo alle biotecnologie. Noi non siamo fanatici che vogliono il ritorno a un mondo forzatamente bucolico e non ci occupiamo di piante provenienti dalle foreste vergini. Stiamo lavorando per salvare vegetali assai comuni e in cui ci imbattiamo sempre, come patate, pomodori, peperoni, lattughe, mele e altri utilizzati dall'umanità come cibo. «A rischiare di sparire non sono chiaramente questi prodotti anzi continueranno ad arrivare sulle nostre tavole; a correre il pericolo della totale estinzione è la loro biodiversità, mi riferisco soprattutto a quelle più antiche e tradizionali che senza i Seed Savers sarebbero condannate a non lasciare più traccia. Per esempio, delle 25 varietà di cocomero italiano coltivate a inizio secolo ne resta solo una, «il moscadello a pasta gialla». Le altre sono state sostituite con quelle provenienti dall' America. Le varietà di broccolo scomparse sono invece 33 e ancora 400 varietà di frumento, centinaia di pomodori e meloni. Se non resteranno semi antichi, sarà inevitabile consumare cibi prodotti da semi manipolati, brevettati e che servono semplicemente a monopolizzare il mercato e a pagare le royalties ai loro inventori. È in gioco la biodiversità del pianeta. Noi dobbiamo rispondere incrementando la rete di tutti i salvatori di semi scambiandoci piantine. 

23/04/14

Olio d'oliva originale

Verde intenso, giallo oro, trasparente, non filtrato, a bassa acidità, biologico, 'Italiano, spremuto a freddo. Sono solo alcuni degli elementi per riconoscere un buon olio, inteso come quel grasso, liquido a temperatura ambiente, estratto dai frutti (olive) o dai semi (mais, soia, girasole, ecc.). 


In percentuali variabili, secondo la provenienza, contiene acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi (acidi grassi essenziali), piccole quantità di vitamine (A, D, E, K, ecc.) e antiossidanti naturali come i tocoferoli. Medici, dietologi e ricercatori di tutto il mondo non hanno dubbi: è il condimento ideale di qualsiasi pietanza 'In grado di coniugare gusto e salute. Ma ciò che non era chiaro era da quale paese provenisse l'olio d'oliva che si acquista. I più risponderebbero dal paese dove sono nate e state raccolte le olive. Ma per Bruxelles le cose non stavano così: è possibile definire italiano un olio ricavato da olive importate, a patto che siano frante 'In Italia. Tutto da rifare, dunque. Grazie all'opposizione italiana, il parlamento europeo fece marcia indietro, così per olio di oliva si intenderà quello ottenuto a partire dal frutto dell'olivo e la denominazione di origine dell'olio extravergine sarà legata al luogo da dove proviene la materia prima: se un extravergine è prodotto da olive tunisine, spagnole e italiane lo si dovrà riportare chiaramente, insieme alla relativa percentuale.
Legge Mongiello approvata alla fine del 2012,(o "legge salva olio Made in Italy"), che tra le altre cose prevedeva un miglioramento nella leggibilità delle etichette degli oli (aumento delle dimensioni dei caratteri) e rendeva reato di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine (articolo 517-quater del codice penale) anche il solo mettere in etichetta indicazioni “che evocano una specifica zona geografica di origine degli oli di oliva non corrispondente alla effettiva origine territoriale delle olive”.

Olio d'oliva
Nel dicembre 2013 la Commissione Ue ha approvato a Bruxelles (con 283 voti a favore e 69 astensioni) un nuovo regolamento per le etichette degli oli (modifiche al regolamento europeo n. 29/2012 relativo alle norme di commercializzazione e all’etichettatura dell’olio di oliva) che si applicherà a partire dal 13 dicembre 2014 e che prevede che: le informazioni in etichetta dovranno essere riportate obbligatoriamente nello stesso campo visivo principale e in un corpo di testo omogeneo, utilizzando caratteri di dimensioni già fissati dal regolamento (CE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori; per quanto riguarda le bottiglie destinate alla ristorazione gli Stati membri possono stabilire norme a livello nazionale che dispongano l’uso obbligatorio di sistemi di chiusura che ne impediscano il riempimento dopo l’esaurimento del contenuto (dunque una volta aperte le confezioni non saranno più riutilizzabili). In più il consumatore dovrà essere garantito, attraverso controlli, che quello che gli viene venduto sia veramente olio d'oliva, acidità, presenza di perossidi, cere, trigliceridi, ecc. Non sarà consentito aggiungere all'olio grassi di provenienza diversa rispetto alle olive. Gli oli, poi, saranno suddivisi in due grandi categorie secondo tipologie e qualità: si definiranno naturali gli extravergine (acidità tra 1 e 0,8 per cento); e vergini quelli con acidità fino a 1,5 per cento. In ogni caso, si ottengono tutti e due attraverso prima spremitura nel frantoio e le differenze vengono dal diverso grado di acidità. Saranno, invece, etichettati come standard quelli che oggi definiamo lampanti o di sansa (acidità superiore al 2 per cento) e che derivano dal taglio e dalla miscelazione con olio d'oliva vergine per ovviare alle perdite di qualità connesse al metodo di trasformazione. Le diciture Dop (Denominazione di origine protetta) e Igp (Indicazione geografica protetta) rimarranno invariate.


21/01/14

Da un contenitore take away biodegradabile nascono fiori

Ho sempre pensato che ci stiamo sempre più "americanizzando" e non me ne vogliano coloro che fanno dello stile di vita americano una filosofia.

Il take away si sta espandendo a macchia d'olio, e trova terreno fertile perchè ormai non è più possibile tornare a casa a mangiare, e nessuno ha più voglia di prepararsi la "panierina" da portare al lavoro contentente cibi sani e semplici. Visto che non possiamo arrestare questo processo, per lo meno prendiamo il buono che la colonizzazione americana porta con sè. Biodegradable Take Out Box, ecco il nuovo contenitore per alimenti biodegradabile al 100%. E' costituito da materiali naturali e riciclabili. Al di sotto del coperchio si trovano dei semi da cui nasceranno tanti fiori colorati o pinate per l'orto. Se il contenitore take away deve essere usa e getta, che almeno risulti completamente biodegradabile e a basso impatto ambientale. L'idea è stata presentata da Michal Marko, studente di design della Tomas Bata University. Il contenitore per alimenti che ha progettato è stato pensato per essere piantato nel terreno, dove scomparirà senza lasciare traccia nel giro di breve tempo, arricchendolo di nuove sostanze nutritive naturali. "Eat Your Food, Grow A Plant, Save A Planet", ecco l'insegnamento che l'utilizzo di questo contenitore biodegradabile vuole lanciare. Si tratta dell'impegno nel ridurre l'impatto ambientale delle azioni quotidiane fondamentali, come quella di nutrirsi. Il messaggio correlato al prodotto è molto semplice: è davvero possibile rendere più sostenibile l'opportunità di mangiare fuori casa ed è dunque necessario che le persone siano consapevoli dell'esistenza di materiali biodegradabili alternativi a ciò che non risulta nemmeno riciclabile. Dopo aver consumato il proprio pasto, si potrà riempire la vaschetta con del terriccio e quindi piantare i semi al suo interno. Dopo alcuni giorni, grazie alle cure dedicate ai semi e alle innaffiature, le piantine inizieranno a crescere. Quando saranno forti, le si potrà trasferire nel terreno, in giardino o nell'orto, scatola compresa. Ed ecco allora un nuovo dono vivo e verde per noi e per la Terra.

05/12/13

Vivere sulla Luna? Magari…la verdura già c’è il resto lo portate voi!

Vivere sulla Luna? Magari…la verdura già c’è il resto lo portate voi! Se mai un domani l’umano essere dovesse prendere la decisione, di fare i bagagli e traslocare in una residenza Lunare, quanto meno avranno belle e pronte delle erbette per insaporire i pasti che si porteranno dietro. Almeno, pare che questo sarà possibile se l’esito dell'esperimento in programma per il 2015 dalla Nasa dovesse andare a buon fine: l'agenzia spaziale USA, in collaborazione con l'équipe del Lunar Plant Growth Habitat, infatti, ha tutta l’intenzione di piantare e coltivare sul suolo lunare, tutta una una serie di contenitori delle dimensioni di un barattolo da caffè, contenenti semi, ma anche fotocamere e sensori per tenerne sotto controllo lo sviluppo e la crescita.
Rape, basilico e arabetta (arabidopsis, già molto usata nelle ricerche scientifiche) sono le piante preferite dai ricercatori per eseguire l’esperimento: la crescita avverrà in un habitat autosufficiente, un contenitore del peso di circa 1kg, che sarà trasportato sulla Luna da un veicolo spaziale. Per ridurre i tempi della missione, stavolta la Nasa ha volto la sua attenzione ad un sistema di viaggio non del tutto convenzionale.
Verdure sul suolo lunare

“Come possiamo mandare le piante sulla Luna il prima possibile?”, svelano di essersi chiesti all'agenzia spaziale americana. Presto fatto,“Con l’autostop! Grazie a Google, infatti, possiamo fare riferimento ad uno dei futuri viaggi sulla Luna che verranno realizzati dalle compagnie in competizione nel Google Lunar X-Prize”.
 
Si tratta del concorso, organizzato e finanziato dal colosso di Montain View con scadenza il 31 dicembre 2015, offre infatti un premio in denaro all'azienda che riuscirà ad atterrare in modo sicuro sulla Luna, viaggiare 500 metri sopra o sotto la superficie del satellite e inviare alla Terra due campioni di suolo. Premi bonus si potranno ottenere esaminando reperti, sopravvivendo alla fredda notte lunare e completando missioni secondarie sulla Terra o nello Spazio.

Una volta sulla Luna, i semi trasportati saranno irrigati di acqua e avranno a disposizione abbastanza aria per garantire almeno cinque giorni di crescita alle piantine. Lo sviluppo sarà monitorato per circa dieci giorni e confrontato con i dati ottenuti sulla Terra, tramite fotografie scattate a intervalli regolari. Secondo la Nasa, grazie questo esperimento la comunità scientifica otterrà più conoscenze sulle piante e maggiori informazioni sulle possibilità di vita sul nostro satellite: “Gli esseri umani possono vivere e lavorare sulla Luna? Non solo per una vacanza di pochi giorni, ma rimanere per decenni? Il primo passo per trovare una risposta è inviare piante, sensibili quanto gli esseri umani – se non di più – alle condizioni ambientali. I vegetali, per esempio, contengono materiale genetico che può essere danneggiato dalle radiazioni quanto quello degli umani”.


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