Il-Trafiletto
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22/11/13

Perchè si dice "fare occhi da basilisco"?

Basilisco, non basilico, a voi cosa fa venire in mente? A me una creatura di qualche novella di maghi. Oggi di sicuro i bambini appassionati di Harry Potter vi sapranno dare spiegazioni in merito.
Ma a noi interessa il significato e l'origine di questa espressione un po' aulica.
Fare gli occhi da basilisco o meglio, fare gli occhiacci, occhi terribili, fulminare con lo sguardo. Il basilisco è una graziosa lucertola dell'America tropicale, di colore verde o marrone olivastro a fasce trasversali nere sul dorso, una  cresta dorsale elevate e la coda molto lunga.
Basilisco
 Si trova nelle foreste lungo i fiumi del Messico e del Guatemala, e sta di preferenza  sui rami degli alberi che sporgono sull'acqua, dove si tuffa al primo allarme. Ma la voce Basiliscus s'incontra nella Vulgata come traduzione dell'ebraico Séphà, il nome di un serpente velenoso molto terribile, non identificabile. E con questo stesso nome gli antichi chiamavano strani mostri creati dalla fantasia, cui si attribuivano spaventosi e malefici poteri. Questi mostri, per la maggior parte, sono raffigurati con uan cresta a forma di corona, e per questo il basilisco era chiamato anche "piccolo re". Nei secoli XVI e XVII o ciarlatani usavano fabbricare mostri simili, deformando abilmente razze, piccoli pescecani e altri animali, e li esponevano nelle piazze per richiamare l'attenzione del pubblico, o li vendevano ai collezionisti di curiosità naturali. Basilisco è anche un termine militare, che indica una grossa bocca da fuoco in uso nei secoli XIV e XV, che lanciava palle molto pesanti; all'ordigno fu dato quel nome  per il grande terrore che incuteva, e secondo il costume dell'antica terminologia militare di dare alle varie bocche da fuoco nomi di serpenti.

21/11/13

Perchè si dice: "essere povero in canna"?

Ovviamente credo che per tutti voi il significato di questo adagio sia lampante. Ma c'è sempre da imparare quando ci poniamo delle domande sull'origine non credete?
Povero in canna
Essere povero in canna, essere in miseria, non avere neanche di che vivere. La locuzione, molto usata nella nostra lingua, ha origine incerta. Secondo quanto si legge nel "Vocabolario della lingua italiana" del Manuzzi, pare che si alludesse all'interno si una canna, completamente vuoto, per dire che non si possiede proprio niente.

Dal dizionario Rezasco, invece, si apprende che le dame e i cavalieri antichi portavano in mano un piccolo globo e una canna, che poi collocavano sulla torre più alta di un castello, per manifestare tutto il proprio dolore in seguito a un triste avvenimento. La canna, comunque, nella simbologia di tutti i tempi, è sempre associata all'idea della privazione, del dolore. Anche nel Vangelo (Matteo XXVII, 28-30) si legge che Cristo venne spogliato, poi coperto con un manto scarlatto. Quindi gli calcarono una corona di spine in testa e nella mano destra gli misero una canna che di tanto in tanto gli toglievano e che usavano per picchiarlo.


18/11/13

Perchè si dice "non avere nè arte nè parte"?

Senza arte nè parte
Questo adagio viene usato in scioltezza, almeno dalle mie parti, anche se devo dire che lo sentivo molto di più anni fa che non adesso.
Non avere nè arte nè parte ovvero non conoscere un mestiere e non avere nè beniappoggi. Nel Medioevo, tutti coloro che praticavano un'arte o un mestiere erano iscritti alle corporazioni distinte a seconda delle attività. Queste corporazioni,  vere e proprie associazioni, salvaguardavano gli interessi degli iscritti e li aiutavano a ragiu gere determinati fini economici. Inoltre, le corporazioni entravano nelle divisioni poilitiche, "prendevano partito", anche questo sempre a vantaggio degli iscritti. In definitiva, avere arte e parte (e infatti esiste anche il detto chi ha arte ha parte) significava appunto essere in grado di svolgere una professione che dava sicuramente da vivere e forniva appoggio in caso di bisogno, mentre coloro che non erano iscritti alle corporazioni venivano considerati poveri diavoli, gente, appunto, che non nè arte nè parte.

17/11/13

Perchè si dice "fabbricare castelli in Spagna"?

Castello in Spagna

Solo un plurimiliardario potrebbe permettersi di costruirsi un bel castello in una delle splendide regioni spagnole. Magari in Andalusia. In effetti come idea è molto scenografica, con panorama sulle Colonne d'Ercole, giusto per tener d'occhio lo stretto di Gibilterra e il traffico marittimo.
Fabbricare castelli in Spagna, fare progetti inattuabili. Pare che nel Medioevo vi sia stato un periodo in cui era impossibile, in Spagna, fabbricare un castello, per il severo divieto dei sovrani cristiani, i quali temevano che gli Arabi, che avevano occupato gran parte della penisola, vi si fortificassero. Il detto c'è anche in francese: Faire des chateaux en Espagne. Si dice ancora: Fare castelli in aria, cioè disegni fantastici, irrealizzabili.

16/11/13

Perchè si dice "sapere dove il diavolo tiene la coda"?

Di detti sul Diavolo, detto anche Lucibello, Satana, Demonio ce ne sono tanti, ci si potrebbe scrivere un libro. Vi sono favole che lo vedono protagonista, ne ricordo in special modo due, dei fratelli Grimm, della raccolta "Le cinquanta novelle": "I tre capelli d'oro del Diavolo" e "Il Diavolo e la sua nonna", inoltre si dice che il Diavolo fa le pentole e non i coperchi e così via.
Oggi pensando a queste novelle, mi è tornato un mente un adagio interessante, un po' raro forse, ma sempre efficace nel dibattimento.

Lucibello
Sapere dove il Diavolo tiene la coda: essere molto furbi, capire immediatamente dove sta l'inganno. L'origine di questa locuzione è di estrazione popolare a fa parte del bagaglio di miti e leggende che segue da tempo l'umanità. Una volta si credeva che il Diavolo venisse tra i mortali per indurli in tentazione, o per acquistarne l'anima, e per passare inosservato si travestiva nei modi più disparati.
Ora, mentre le  corna si potevano facilmente mascherare sotto un grosso cappello, e le zampe caprine erano occultate da una lunga veste, la coda rappresentava un problema anche per quell'astutissimo essere. Però qualcuno ancora più astuto del Diavolo riusciva ugualmente a vedere, o meglio, a intuire, che sotto la veste c'era una coda, e quindi capiva chi aveva di fronte a non si lasciava ingannare. Lo stesso dicasi per l'espressione: Saperne una più del Diavolo.

15/11/13

Perchè si dice "fare un autodafè"?

Rieccoci qua, carissimi lettori, che seguite tutti i voli pindarici della mia vulcanica mente. Oggi ripensando ai tempi del liceo, mi sono ricordata di quando il professore di filosofia ci consigliò di leggere un interessante libricino scritto da Voltaire: "Candido".
Fu proprio durante la lettura delle avventure di Candido che mi imbattei in una di quelle ben note funzioni create dalla mente della Santa Inquisizione, ovvero l"autodafè".
Fare un autodafè si dice scherzosamente quando si fa il gesto di distruggere qualcosa, bruciandola, e con questo si mostra di voler rinnegare un'idea, un sentimento, un desiderio che si è avuto e a cui si è rinunciato.
Autodafè

In Spagna e nei domini dell'impero spagnolo, l'Auto da fè (atto della fede) era la proclamazione solenne di un giudizio pronunciato dal Tribunale dell'Inquisizione in una causa di empietà, apostasia o eresia. Per estensione, fu anche l'esecuzione del condannato, in seguio a questa sentenza o la distruzione, eseguita pubblicamente con il fuoco, di libri o oggetti candannati.
Il Sant'Uffizio dell'Inquisizione si recava in processione sul luogo designato per l'Auto da fè, generalmente una piazza con un palco su cui stavano i Sei. Questi indossavano una specie di tabarro (sambenito) e portavano in testa una mitra di cartone (coroza), sui quali erano dipinti diavoli tra le fiammi oppure croci di Sant'Andrea. La cerimonia, che attirava una folla immensa, iniziativa con un sermone dell'Inquisizione che invitava all'abiura. Se i colpevoli accettavano l'abiura, venivano assolti dalla scomunica e condannati solitamente a pene canoniche: sferza, prigione temporanea o perpetua, esilio, confisca dei beni parziale o totale. Se non abiuravano erano consegnati (relajados) al braccio secolare e condotti al rogo (quemadero). L'esecuzione avveniva in luogo e tempo diversi dall'Auto da fè. Quelli facevano una ritrattazione in extremis venivano strangolati prima di essere dati alle fiamme. Gli altri erano bruciati vivi.

14/11/13

Perchè si dice "fare berlicche e berlocche"?

Marionetta
Vi è mai capitato che qualcuno vi promettesse qualcosa o vi desse la sua parola e poi "puff", quel qualcuno nè ha tenuto fede alla promessa, nè ha mantenuto la parola?
Possiamo certo apostrofare queste persone con improperi di ogni genere e tipo, e diventare maestri di volgarità, ma esiste un adagio, forse un po' obsoleto, ma altrettanto efficace, per delineare e descrivere questi figuri.

Fare berlicche e berlocche ovvero mancare alla parola data, non mantenere una promessa, fare il voltafaccia. Probabilmente la locuzione deriva dal nome scherzoso dato a una marionetta che rappresenta il diavolo. La marionetta, come certi mimi antichi, greci e romani, ha due facce, di cui una è costantemente coperta con un fazzoletto o un panno, a seconda della volontà di chi fa muovere la marionetta stessa. Le due facce si chiamano, appunto, "Berlicche" e "Berlocche". Durante le rappresentazioni nei teatrini la stessa maionetta assume atteggiamenti diversi, spesso contrastanti, significando che una persona prima asserisce una cosa, poi un'altra. L'altra potrebbe anche derivare, come sostengono alcuni, dal tedesco aber nicht (ma no) aber doch (ma sì).

13/11/13

Perchè si dice "fare la gatta morta"?

Non ditemi che almeno una volta nella vita non avete sentito questo adagio, magari facendo qualche pettegolezzo. Credo a volte anche erroneamente, in ogni caso son sicura che vi piacerà indagare con me le origini di questo modo di dire.
Fare la gatta morta cioè fingere di non capire, in una determinata situazione, o di mostrarsi distratto, per poi approfittare e agire a proprio vantaggio.
gatta
Fare la gatta morta
 L'espressione deriva senz'altro dall'abitudine di questo felino, quando va a caccia per procurarsi il cibo. Nelle favole di Fedro e di La Fontaine, si parla di un gatto che si lasciava penzolare dal soffitto, al quale si teneva saldamente ancorato con le unghie, per dare l'impressione di essere morto e incoraggiare quindi i topi a uscire dalla tana. Capita spesso, ancora oggi, di vedere un gatto, magari nel giardino di casa, appostato nei pressi di un cespuglio, o in cortile, in atteggiamento del tutto simile alla morte, ma pronto a balzare non appena appare la preda.

12/11/13

Perchè si dice "capire l'antifona"?


Antifona
Capire l'antifona
E' esperienza comune a tutti noi essere stati ad ascoltare qualcuno che parlando in un certo modo, voleva comunicarci qualche concetto, facendo allusioni o usando parole meno dirette, significati questi che magari ci sono sfuggiti in prima battuta. E proprio a questo proposito la ciliegina sulla torta è proprio un adagio di uso abbastanza comune.
Capire l'antifona intendere il succo di un discorso pur velato da parole caute ed esitanti, afferrare un'allusione, un avvertimento nascosto, un'intenzione non apertamente dichiarata.
Nella liturgia cristiana, l'antifona è una breve frase recitata o cantata prima e dopo il salmo, e talvolta tra i versetti dello stesso, che ne riassume il senso o gli conferisce particolare significato secondo la festa o il momento liturgico per il quale si usa. C'è anche il detto: E' più lunga l'antifona del salmo, per significare che è più lunga la premessa del discorso.

11/11/13

Perchè si dice "il busillis"?

busillis
Busillis
Stamani prima che Zeus pluvio rovesciasse la sua ira sopra la mia testa, sono uscita a fare la mia solita camminata lungomare. Il cielo era già minaccioso, e l'aria odorava di pioggia. Perciò mi sono data una mossa, dato che anche Eolo pareva essersi indispettito non poco. Al mio ritorno a casa, i miei stavano questionando: se mettere la pancetta nel sugo o no. Così mi sono ricordata (come al solito, direte voi) di un adagio che ben si adattava alla situazione.

Il busillis o anche ecco il busillis, qui sta il busillis, questo è il busillis, si dice per indicare il nodo di una questione, la difficoltà, l'inciampo.

Si racconta che uno scolaro (o forse fu un chierico, o un prete, o non lo so), doveva tradurre il principio d'un brano del Vangelo, e arrivando alla fine d'un rigo, divise così le parole in diebus illis (in quei giorni): in die-busillis. Quando poi tradusse, rese senza esitare: nel giorno del busillis. Da allora il termine busillis restò a indicare un ostacolo non facilmente superabile.

10/11/13

Perchè si dice "rivedersi a Filippi"?

Oggi mi è venuto in mente il periodo, ai tempi del ginnasio, in cui si studiava la storia dell'impero romano. Vi ricordate il secondo Triumvirato? E la battaglia di Filippi? Forse no, a me è venuto in mente per caso, non so nemmeno come. Fatto sta che esiste un adagio che recita proprio così.
Rivedersi a Filippi ovvero rivedersi in un'altra occasione, ben precisa, in cui avverrà un confronto, una gara, una vendetta. La frase, che comunemente si usa al plurale: "Ci vedremo a Filippi" è tratta dalla Storia di Giulio Cesare, di Plutarco, paragrafo 69.
Giulio Cesare
Filippi

Bruto, uno dei congiurati che parteciparono all'uccisione di Cesare, stava trasferendo l'esercito nei pressi di Abido, per prepararsi allo scontro  con le truppe di Ottaviano. Una sera, mentre era immerso nelle sue riflessioni, gli apparve un fantasma. Interrogato da Bruto sulla sua identità, il fantasma rispose: "Sono il tuo cattivo genio, Bruto. Mi vedrai a Filippi!". Bruto con coraggio, rispose: "D'accordo, ti vedrò volentieri!".
A Filippi, poi, dopo un primo scontro vittorioso, Bruto venne definitivamente sconfitto e si tolse la vita buttandosi a corpo morto sulla propria spada.

09/11/13

Perchè si dice "essere un codino"?

Non so perchè sono andata a pescare un adagio che ormai credo sia caduto in disuso, e che con il tempo sia diventato obsoleto. Ma ritengo che come adagio possa essere usato con successo nel momento opportuno, magari quando ci si trova coinvolti in qualche particolare conversazione ad argomento politico o filosofico.
Codino
Essere un codino
Essere un codino ovvero essere retrogrado, arretrato, sostenere idee superate, essere nemico delle innovazioni.
   Nel Settecento, regnava la moda della parrucca, anche per gli uomini, e questa terminava con un codino che cadeva sulla nuca. Questa civetteria durò fino alla Rivoluzione francese e gli ultimi ad abbandonarla furono i realisti e i reazionari, coloro cioè che si opponevano alle innovazioni introdotte dalla rivoluzione e che erano ancora favorevoli alla monarchia. Da allora il "codino" è diventato il simbolo dell'attaccamento alle vecchie idee, di una certa mentalità.

07/11/13

Perchè si dice "il re travicello"?

Ai bei vecchi e cari tempi del liceo la mia professoressa di latino e greco, ci fece tradurre una favola di Esopo, intitolata "Le rane chiesero un re".  Ricordo perfettamente che risi quando mi trovai a tradurre proprio una frase buffa: Zeus mandò alle rane un re travicello.
Da questa frase capii poi che era nato un adagio.
Il re travicello si dice di occupa un posto di comando solo per figura senza avere l'autorità necessaria. In fatti narra  la favola di Esopo che le ranocchie, stanche di vivere senza alcuno che le governasse, mandarono ambasciatori a Zeus, pregandolo di largire loro un re. E Zeus, vedendo la semplicità del loro animo, buttò giù nello stagno un pezzo di legno.

Le rane chiesero un re
 A tutta prima, atterrite dal tonfo, le ranocchie si tuffarono nel fondo; ma poi dato che il legno rimaneva immobile, risalirono a galla, e giunsero a tal punto di disprezzo per il loro re che gli saltarono addosso e vi si accomodarono sopra. Infine, vergognandosi di avere un sovrano di tal fatta, andarono nuovamente da Zeus, e lo pregarono di mandare loro un re più valido, perchè il primo era troppo indolente. Allora Zeus perdette la pazienza, e mandò una biscia d'acqua, che comincò ad afferarle e divorarsele. La favola, conclude Esopo, mostra che è meglio avere governanti infingardi ma non cattivi, piuttosto che turbolenti e malvagi.

06/11/13

Perchè si dice "essere un franco tiratore"?

Quante volte abbiamo sentito parlare dei "franchi tiratori"? Moltissime, soprattutto in politica. Allora la mia curiosità mi ha spinta a cercare di capire da dove questo adagio trae il suo significato. Trovo infatti che usare determinate frasi sia inutile se non sene conosce la vera origine, quindi mi sono data da fare per approfondire l'argomento.
Franchi tiratori
Essere un franco tiratore significa mandare a monte i progetti di qualcuno, approfittando dell'anonimato, senza manifestarsi apertamente. La locuzione è stata adoperata per la prima volta nel linguaggio politico, in Italia, nel 1951, in seguito a dissensi sorti in seno alla Democrazia Cristiana.

 Alcuni deputati, dovendo esprimere il loro voto a scrutinio segreto, invece di dimostrarsi a favore, come esigeva la disciplina di partito, votarono contro. L'espressione, comunque, deriva dal francese franctireur che forse prede origine dal tedesco Freischütz , e sta a indicare i tiratori scelti (cecchini) che agiscono separatamente dalle truppe regolari e tendono imboscate al nemico, appostati in luoghi ben nascosti.

31/10/13

Perchè si dice al tempo che Berta filava? E chi era Berta?

Buongiorno carissimi, oggi per la rubrica "Perchè si dice" sarò a spiegarvi l'origine del famoso adagio "Al tempo che Berta filava". E' un modo di dire che qui dalle mie parti si usa ancora, e a me piace il suono.
Berta
 Dunque, "Al tempo che Berta filava" viene usato  nell' accezione di: in tempi antichi, molto lontani, quando le cose andavano in un certo modo.
Fra le varie versioni, numerosissime in verità, sull'identità di questo misterioso personaggio, quelle che sembrano riscuotere maggior credito, indicano Berta come madre o sorella di Carlo Magno. La donna, in un certo periodo della sua vita, a causa di una serie di disavventure, per potersi guadagnare da vivere, si mise a filare. L'espressione quindi può indicare che è finito un periodo nero, ma anche, in senso più generico, che siè chiusa un'epoca e ne è iniziata un'altra completamente diversa.

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