Il-Trafiletto
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05/08/14

Il CV delle esperienze | Il prezzo della felicità

Il CV delle esperienze
Alcuni perseguono attività estreme, memorabili, o addirittura spiacevoli, solo per rimpolpare ciò che i ricercatori chiamano "il CV delle esperienze". 

In Kenya, Nicole e Dean soggiornavano presso un hotel particolarissimo chiamato "The Ark", dove è consuetudine far alzare gli ospiti in piena notte. Un brusco risveglio non è certo auspicabile in vacanza, ma Nicole e Dean ne sono stati entusiasti volevano vedere i Big Pive, i cinque animali più ambiti (elefante, rinoceronte, bufalo africano, leopardo e leone) ed erano dunque prontissimi a rinunciare al sonno per aggiungere un nuovo esemplare alla loro "collezione".

Un cartello sulla parete dell'hotel informava che un avvisatore acustico avrebbe suonato una volta per un elefante, due per un rinoceronte, tre per un leopardo, e quattro per un "avvistarne insolito". Alle 3 del mattino, sentendo quattro richiami, Nicole e Dean si sono precipitati fuori per vedere quell'animale fuori dal comune. Che cos'era? "Era", ride Nicole, "un istrice!". Ecco un'altra caratteristica delle esperienze, che le superiori ai prodotti: spesso riusciamo a vederne il lato positivo, o perlomeno sorriderne, anche quando tradiscono nostre aspettative. Ripensando al viaggio fatto, Nicole dice di non avere rimpianti.

Una recente ricerca condotta presso la Cornell University mostra che le persone tendono a rimpiangere l'acquisto di esperienze molto più raramente rispetto all'acquisto di oggetti. I ricercatori hanno chiesto agli studenti di ripensare ad alcune spese decise in passato e di parlare del loro più grosso pentimento. In tema di beni materiali, la maggior parte dei partecipanti ha descritto qualcosa che avrebbe preferito non acquistare, ma in tema di acquisto di esperienze, oltre l'80 per cento degli studenti ha invece raccontato un'esperienza mancata e che invece avrebbero voluto concedersi. Le esperienze sembrano talmente uniche e irripetibili da suscitare maggiori rimpianti quando non le viviamo. Nicole è felice di aver partecipato a un safari, anche se l'appartamento, a distanza di anni, è ancora da ristrutturare. Lei, però, commenta così: "Per nulla al mondo rinuncerei ai ricordi di quel viaggio. Né per un bagno, né per un'intera casa nuova".

Oltre a consentirci di partire per emozionanti avventure, il denaro ci aiuta a trasformare la nostra quotidianità, affidando ad altri l'esecuzione di compiti particolarmente odiati. Un nostro collega, Mike, riferisce di provare "terrore esistenziale" ogni volta che lava i piatti. Se non tutti provano un sentimento così forte di fronte al lavello pieno di schiuma, uno studio di caratterizzazione di una giornata tipo effettuato dallo psicologo Daniel Kahneman ha dimostrato che, prevedibilmente, i lavori di casa figurano tra le attività meno piacevoli. Le ultime ricerche condotte dallo stesso Kahneman suggeriscono anche che il nostro umore dipende, più che dalle circostanze generali della nostra esistenza, da come e con chi trascorriamo il tempo che abbiamo a disposizione. Invece di acquistare auto sempre più lussuose e case sempre più grandi, dunque, dovremmo spendere il nostro denaro per tenere lontano tutto ciò che interferisce con la nostra felicità quotidiana.(science)


26/02/14

Confisca dei beni alla mafia: timido sì dell'UE

L'Europa è ancora indietro  in merito ad una legislazione sulla confisce dei beni provento di reato, pare strano ma è così, sembra invece che l'Italia sia più avanti.
Il Parlamento europeo ha detto dunque sì alla direttiva sulla confisca dei beni provento di reato, ma  "è un timido passo avanti nel tentativo di esportare in Europa le norme che sono già in vigore in Italia" dice Sonia Alfano, eurodeputato dell'Alde, presidente della Commissione antimafia del Pe, che ha lavorato con Rita Borsellino al rapporto della relatrice rumena Monica Luisa Macovei. "E' importante che l'Ue continui ad attrezzarsi con leggi ispirate al 'modello Italia' per frenare il dilagare in Europa delle attività illecite delle mafie - osserva Alfano -. Nel lavoro di redazione del testo abbiamo dovuto fare i conti con quegli Stati membri che preferiscono provvedimenti legislativi che tutelino gli imputati piuttosto che le vittime dei reati. Resta tanto da fare per migliorare le norme sulla confisca approvate oggi".
Sonia Alfano
 "Va messo in evidenza - sottolinea l'europarlamentare - che, in modo incomprensibile, proprio quei paesi che si sono distinti per aver imposto una politica di austerity, mi riferisco alla Germania, sempre pronta a chiedere la spending review, davanti alla possibilità di far recuperare alle casse dell'Unione patrimoni frutto di attività illecite hanno alzato le barricate e hanno impedito l'approvazione di un testo più efficace ed ambizioso". "Ho combattuto una battaglia forte per far comprendere l'importanza di approvare una norma che prevedesse la confisca dei patrimoni illeciti in caso di morte: l'opposizione in Consiglio di alcuni Stati membri ha bloccato tutto. Ci auguriamo - aggiunge - che la direttiva possa entrare in vigore al più presto in tutti gli Stati membri e che le statistiche sulle confische possano dare l'idea di quanto importante sia applicare presto questa direttiva". "E' importante - conclude Alfano - che sia data attuazione anche alle norme sul riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati, proprio come accade in Italia: l'esempio delle attività di Libera e delle altre associazioni che rendono produttivi i beni confiscati ai mafiosi va seguito in tutta Europa".

03/01/14

Globalizzazione un paradosso senza fine?

Intorno agli anni ‘80, la globalizzazione economica ha avuto modo e condizioni favorevoli per potersi sviluppare velocemente, grazie anche ad una sempre più crescente libertà di fare. Ciò nonostante sia innegabile come abbia portato abbondanza e prosperità nei paesi più evoluti ed avanzati e nuove opportunità per i lavoratori di alcune zone povere del mondo, l’Asia su tutti, si sono evidenziati forti segnali che ne dimostrano la pericolosa fragilità.

villaggio-globale
Il paradosso della globalizzazione
Un esempio eclatante è stato il collasso finanziario del 2008, che ha avuto ripercussioni in tutto il mondo, proprio a causa di un effetto domino favorito proprio dalla globalizzazione. Queste considerazioni ci portano a riflettere sui rischi inerenti con i cosiddetti mercati iper-globalizzati, ovvero quei mercati in cui i confini nazionali non comportano più costi di transazione sul commercio e sulle attività finanziarie.

Un dogma che vige tra gli economisti è quello che la globalizzazione sia “cosa buona” e che vada sempre e comunque incentivata. Tale visione è una risultanza della “fede” incondizionata nell’efficienza dei mercati e nella loro capacità di auto-regolamentarsi. Ma cosa fare se ad un certo punto si scopre che la globalizzazione sta portando grandi vantaggi in particolar modo ai membri dell’élite finanziaria? I benefici del libero flusso di beni e capitali tramite i confini nazionali sono già stati, per la maggior parte, realizzati e quello che si prospetta all’orizzonte, se si dovesse procedere oltre nel processo di globalizzazione, è che i vantaggi sono ormai controbilanciati da grossi costi dovuti a disoccupazione, riduzione di salari, pensioni perdute e comunità urbane che si stanno svuotando. Per far in modo che il beneficio procurato dai mercati globali possa essere equamente distribuito, servirebbero strutture globali di governance che nella realtà non esistono e alla cui realizzazione la maggior parte degli uomini potenti si opporrebbe.

Dani Rodrik, professore prima a Harvard e ora all’Institute for Advanced Studies di Princeton, ha dato vita ad un simposio nel libro The Globalization paradox: Democracy and the Future of the World Economy (di cui è uscita anche la traduzione italiana, con il titolo Globalizzazione Intelligente, Editore Laterza) un pungente punto di vista sulle questioni poste dal fenomeno della globalizzazione. I punti salienti della sua argomentazione mettono in luce la necessità di gestire con estrema attenzione la globalizzazione, per evitare di incorrere in un paradosso, dal nome di “trilemma di Rodrik”: non è possibile perseguire simultaneamente democrazia, autodeterminazione dei singoli Stati e globalizzazione economica.

Al più, possiamo salvaguardare due di queste tre caratteristiche. Se ci muoviamo in direzione della iperglobalizzazione, siamo costretti a compiere una scelta tra democrazia e sovranità nazionale: una delle due va sacrificata. Troppa libertà ai mercati condurrebbe infatti a un’economia mondiale instabile con gravissime conseguenze politiche e sociali. Se invece concedessimo troppo potere ai governi nazionali finiremmo per cadere nel protezionismo. La globalizzazione è per sua natura dirompente: riorganizza i luoghi e le modalità di lavoro, e pertanto i luoghi e le modalità con cui si fanno profitti. Questo effetto destabilizzante è tollerabile da una società democratica solo se c’è fiducia che il processo sia corretto e porti giovamento alla maggior parte della popolazione.

Il punto da cui si sviluppa l’attrito tra iperglobalizzazione e democrazia è il naturale limite che determina la massima estensione dei mercati. Questo limite è definito dall’ampiezza delle regole di cui i mercati hanno bisogno per poter funzionare. A chi spetta il compito di stabilire queste regole? Le differenze sociali, culturali e di sviluppo tra i singoli Stati rendono estremamente difficile ipotizzare una governance globale. Pertanto, in pratica, il compito di assicurare la necessaria complementarietà tra mercati e regole sta ai governi degli Stati nazionali. Questo implica che l’unica opzione ragionevole sia di moderare le ambizioni rispetto alla globalizzazione economica. Senza un giusto bilanciamento tra istituzioni preposte alla governance e estensione dei mercati, si va incontro a problemi di legittimazione oppure di efficienza. Per evitare l’inefficienza che sarebbe derivata da regole globali, i mercati sono stati spinti verso una globalizzazione selvaggia. La proposta di Rodrik è di contenere la globalizzazione all’interno di limiti che diano ai singoli Stati libertà di policy e al contempo favoriscano un’adeguata regolamentazione dei mercati.

L’Eurozona
Un caso interessante è rappresentato dalla “zona euro”, dove è stato messo in atto un tentativo di governance globale. L’Unione Europea ha infatti dato vita a istituzioni per gestire un singolo mercato europeo, che riguarda il lavoro, i beni di consumo, i servizi, la finanza, e via discorrendo. Pensiamo al Parlamento europeo, eletto direttamente dai cittadini, alla Commissione europea, alla Corte europea della giustizia, incaricata di vigilare affinché le leggi nazionali non violino regole emanate a livello europeo. La zona euro ha creato contrasti tra governi nazionali e istituzioni centralizzate. A livello locale, ci si trova spesso in situazioni in cui i margini per un’azione politica efficace sono estremamente ridotti. È quello che alcuni studiosi hanno descritto come il problema di avere una policy senza politica a livello centrale e una politica senza policy a livello statale.

Conclusioni
Pare doveroso concludere lasciando la parola a Rodrik, che in un brano tratto dal suo libro scrive: «Noi possiamo e dovremmo raccontare una storia diversa riguardo alla globalizzazione. Anziché vederla come un sistema che ha bisogno di un singolo insieme di istituzioni o di una superpotenza dominante, dovremmo accettarlo come una collezione di nazioni diverse, le cui interazioni sono regolamentate da un insieme di norme leggere, semplici e trasparenti. Questa visione non costruirà una strada verso un mondo piatto – un’economia mondiale senza confini. Niente la costruirà. Renderà però possibile un’economia mondiale sana e sostenibile che lascia spazio alle singole democrazie di determinare il proprio futuro».

18/11/13

Perchè si dice "non avere nè arte nè parte"?

Senza arte nè parte
Questo adagio viene usato in scioltezza, almeno dalle mie parti, anche se devo dire che lo sentivo molto di più anni fa che non adesso.
Non avere nè arte nè parte ovvero non conoscere un mestiere e non avere nè beniappoggi. Nel Medioevo, tutti coloro che praticavano un'arte o un mestiere erano iscritti alle corporazioni distinte a seconda delle attività. Queste corporazioni,  vere e proprie associazioni, salvaguardavano gli interessi degli iscritti e li aiutavano a ragiu gere determinati fini economici. Inoltre, le corporazioni entravano nelle divisioni poilitiche, "prendevano partito", anche questo sempre a vantaggio degli iscritti. In definitiva, avere arte e parte (e infatti esiste anche il detto chi ha arte ha parte) significava appunto essere in grado di svolgere una professione che dava sicuramente da vivere e forniva appoggio in caso di bisogno, mentre coloro che non erano iscritti alle corporazioni venivano considerati poveri diavoli, gente, appunto, che non nè arte nè parte.

30/10/13

Perchè si dice: accettare una cosa con beneficio d'inventario? Parliamone

Proprio stanotte cari amici, prima che il sonno avesse il sopravvento sui miei pensieri, mi sono ricordata di un altro modo di dire, di uso comune, tanto comune che lo infiliamo nella conversazione come fosse la cosa più naturale al mondo, ma se ci chiedessero il perchè si dice così, cosa mai riposnderemmo? Non facciamoci trovare impreparati.

Testamento
"Accettare una cosa con beneficio di inventario" significa accettare qualcosa (una notizia, un'informazione, un proposta), riservandosi di controllarne la fondatezza o la validità.
L'espressione deriva dal linguaggio giuridico, e riguarda l'accettazione dei beni ereditati, da parte dell'erede, con riserva di decidere se tenerli o meno, dopo aver fatto l'inventario del patrimonio, in modo da evitare brutte sorprese, quali potrebbero essere tasse di successione  troppo onerose oppure debiti che il caro estinto ha contratto gravando di ipoteche i propri beni, per cui chi eredita potrebbe trovarsi nella situazione di dover spendere cifre speriori all'importo dei beni ereditati.
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