Il-Trafiletto
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25/03/14

Sardegna | Oltre quattro mesi dall'alluvione "Cleopatra" e il Governo boccia ancora gli aiuti all'isola.

Sono ormai passati poco più di quattro mesi dall'alluvione "Cleopatra" che ha colpito la Sardegna e alla Camera sono stati nuovamente bocciati due emendamenti - uno del Pd e l'altro del Movimento 5 stelle - che riproponevano le misure già contenute nel Salva Roma ritirato dall'esecutivo Renzi. Ancora una volta passano in secondo piano gli interessi della Sardegna e del recupero dopo i danni dell'alluvione che ha messo in ginocchio la meravigliosa isola meta delle vacanze estive di molti italiani e stranieri. Il più rapido a commentare è il deputato di Sel (Sinistra ecologia libertà) Stefano Quaranta, che scrive su Facebook: "scene di vita parlamentare: una deputata del Pd presenta un emendamento per dare fondi agli alluvionati della Sardegna, tutti gli altri gruppi si dichiarano favorevoli. Il governo sostiene che non ci sia la copertura e il Pd vota contro. Riassunto: il Pd presenta un emendamento e tutti sono a favore tranne il Pd. E alla Sardegna i soldi non vanno". Un paradosso sottolineato da un po' tutti i deputati sardi, specie quelli dell'opposizione come Michele Piras, anch'egli di Sel, che in un durissimo intervento in aula cita Giorgio Gaber con un "io non mi sento italiano", un atto di accusa verso lo Stato in generale che secondo Piras, nella vicenda dell'alluvione "discrimina" l'isola che da oltre quattro mesi attende interventi strutturali mentre il Governo Renzi, come già quello guidato da Letta, parla di "fondi strutturali" da trovare per le calamità, fondi che però nonostante il passare del tempo non sembrano venire fuori. Anche gli interventi dei deputati sardi del principale partito di governo, quello democratico, sono fortemente critici. Romina Mura dice: "non possiamo andare oltre, la misura per i sardi è colma. Quanto accaduto oggi alla Camera rappresenta un vulnus che il Governo deve sanare, non oltre la settimana prossima, in Senato". Anche il deputato Emanuele Cani ricorda che "sono passati oltre quattro mesi dalla data del disastro e nulla di concreto è stato fatto, non c'è più tempo per aspettare. Oggi avremmo potuto risolvere definitivamente il problema, ma così non è stato. Per quanto mi riguarda - spiega l'esponente del Pd - ho votato convintamente, in dissenso dal mio gruppo, a favore degli emendamenti". Per Caterina Pes, la bocciatura dell'emendamento "è stato un grave errore da parte della Camera, ma prendiamo atto dell'impegno del Governo a garantire un intervento a favore della Sardegna nei prossimi giorni".

22/02/14

Rinunciare al nostro smartphone per sostenere i bambini senza acqua!

Rinunciare al nostro smartphone per sostenere i bambini senza acqua! Spegnere il vostro smartphone perdare un aiuto i bambini senza acqua che viviono nelle parti più remote della terra. L'Unicef è solito pruomuovere iniziative coinvolgenti a favore delle persone più indigenti: questa volta si tratta di rinunciare all'oggetto più utilizzato nel tran tran quotidiano di ognuno di noi esseri ancora appartenenti al mondo benestante per dare visibilità ad un problema davvero grave e di difficile risoluzione.

In base alle stime in nostro possesso, arrivano a 768 milioni il numero di esseri umani che non possono usufruire liberamente all'acqua potabile, diventano addirittura 2,5 miliardi quelli che vivono privi di servizi igenici. Sono cifre che senza troppe difficoltà si tramutano in morti premature: 1.400 sono i bambini che ogni giorno muoiono a causa di malattie legate alla mancanza di acqua potabile e servizi igienici di base. Una piaga disgraziatamente già conosciuta per la quale non si riesce mai a fare abbastanza, ma almeno per una volta ognuno di noi può dare un piccolo contributo che può rivelarsi molto prezioso.
Unicef Tap Project

Con il progetto Tap Project, l'Unicef chiede soltanto di rinunciare un po’ al nostro ormai inseparabile smartphone: in cambio porteremo nelle casse dell'agenzia delle Nazioni Unite denaro utile per rifornire di acqua i bambini più bisognosi.

Partecipare è molto semplice: basta andare sul sito www.UnicefTapProject.org con il proprio smartphone e in automatico si attiva l'applicazione che monitora l'utilizzo del dispositivo. L'unica richiesta è quella di mettere da parte il nostro smartphone e concentrarsi su altri interessi. In tal modo, tramite l'accelerometro integrato, si controlla quanto resta ai box il dispositivo: per ogni minuto di stop saranno erogati 0,25 centesimi di dollari dai partner dell'iniziativa, Unicef Next Generation (un gruppo di giovani professionisti che seguono da anni l'organizzazione) coprirà i costi nel periodo 14-28 febbraio, mentre per l'intero mese di marzo ci penserà Giorgio Armani, altro sostenitore Unicef di vecchia data.

La sfida al trono di digiunatore è già partita e per verificare l'andamento ci sono le opzioni dell'app per conoscere le singole statistiche e scoprire quante persone della propria zona sostengono l'iniziativa. Da oggi avete, quindi, un valido motivo per allentare la presa dallo smartphone e se proprio non riuscite a staccarvi, rimediate con un versamento: bastano 5.00 dollari (3,60 euro) per fornire a un bambino acqua potabile per 200 giorni.

03/12/13

Il debito pubblico origine di tutti i mali dell'Italia? Eppure il nostro cresce meno di tutti in Europa.

Si faccia avanti senza esitare chi non è convinto che il debito pubblico sia l'origine di tutti i mali dell'Italia! Effettivamente, l'ammontare (oltre 2mila miliardi di euro) non è una bazzecola, in particolare se consideriamo le conseguenze di tale debito ogni anno nelle casse dello Stato, ammontino a circa 85-90 miliardi di euro in termini di interessi. Tale ammontare viene, con ineluttabilità, sottratto alla crescita!
L'enormità di interessi accumulati risulta essere tra le cause maggiori della crescita del montante finale del debito, prendendo il volo in particolar modo negli anni '80 dopo che i tassi di interesse riguardo i titoli di Stato sono volati di riflesso al divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia (dall'istituto di Via Nazionale non è più intervenuto sul mercato primario per congelare i tassi di mercato).

Il fatto sta che, al di là delle cause, ora arrivano continui avvertimenti, in particolare dall'Europa, di moltiplicare gli sforzi per ridurre l'ammontare del debito pubblico. La stessa Europa per cui bisognerebbe tendere a un rapporto tra debito e Pil del 60%. Rapporto che a fine 2012 si è attestato in Italia al 127% e circa all'80% nella media dei 17 Paesi dell'Eurozona (solo Lussemburgo, Estonia e Slovacchia sono sotto la soglia del 60%).
Grafico del debito pubblico e Pil  


Dal confronto di come i vari Paesi sono intervenuti per frenare l'emorraggia del debito pubblico emerge però qualche spunto interessante, che in parte sconfessa la tesi dell' "origine di ogni male del debito pubblico". 
Dal secondo trimestre del 2007 - quando è ufficialmente scoppiata la crisi dei derivati subprime e delle banche che negli anni successivi hanno chiesto aiuto agli Stati facendo quindi incrementare il debito pubblico che nell'Eurozona i passato dal 60 all'80% - l'Italia è il Paese che ha visto crescere meno di tutti, nell'area euro, il debito pubblico nominale (quello che include anche il tasso di inflazione).

Se a metà 2007 era a 1.628 miliardi, a metà 2013 era a quota 2.076 miliardi. Si tratta di un incremento del 27%. Nello stesso periodo il debito pubblico della Germania (dove però non viene conteggiata la quota della Cassa depositi e prestiti che a Berlino è privata) è passato da 1.597 miliardi a 2.146 miliardi (+34%).

Questo nonostante negli stessi anni la Germania abbia generato un'inflazione inferiore di cinque punti rispetto all'Italia e abbia pagato tassi sul debito molto più bassi dell'Italia (da qui lo spread). E la Francia? Nel frattempo ha visto crescere lo stock di debito del 57%, anch'esso vicinissimo ai 2mila miliardi di euro. La crescita maggiore si è registrata in Irlanda (+349%) che, non a caso, è uno dei Paesi che ha dovuto salvare maggiormente il disastrato sistema bancario. Anche la Spagna ha registrato nel frattempo un balzo (+137%) con il debito vicino ai 1.000 miliardi. Certo il debito va raffrontato al Pil, perché le economie hanno grandezze diverse.

Le prime tre economie dell'Eurozona hanno superato (Italia e Germania) o sono vincinissime (Francia) la soglia dei 2mila miliardi ma producono Pil differenti. E soprattutto hanno prodotto Pil differenti nel corso di questi anni di crisi. Dal 2007 al 2013 (stime) il Pil a prezzi costanti (al netto dell'inflazione) è crollato in Italia dell'8,65% mentre nello stesso periodo è aumentato del 4,25% in Germania ed è rimasto stabile (+0,67%) in Francia (senza dimenticare il -24% della Grecia, il -8% di Cipro e Slovenia e il -7% dell'Irlanda). Ed è questo il motivo per cui il debito/Pil è tornato a salire in Italia. Non è stato tanto l'aumento del debito (cresciuto meno di tutti gli altri, pur al lordo di un'inflazione più alta della media dei Paesi virtuosi e di interessi esplosi a causa della crisi dei debiti sovrani) quanto piuttosto il calo del Pil (che nel rapporto è al denominatore) a far incrementare il parametro sorvegliato speciale da Bruxelles.

Incrociando questi dati emerge che le nuove misure del Governo dovrebbero soprattutto cercare di risollevare il Pil (composto per il 60% da consumi, quindi dalla domanda interna, e per la quota restante da spesa pubblica ed esportazioni nette) che concentrarsi unicamente sulla riduzione del debito. Paradossalmente se il debito sarà ridotto ma il Pil continuerà a perdere colpi il parametro debito/Pil continuera a peggiorare, in un preoccpuante circolo vizioso. In economia vale sempre questa regola: fintanto che il Pil di un Paese cresce meno del tasso di interesse che questo paga sul debito vuol dire che qualcosa non funziona. Ed è questo, in tutta probabilità, il problema numero uno dell'Italia, adesso.

18/11/13

Perchè si dice "non avere nè arte nè parte"?

Senza arte nè parte
Questo adagio viene usato in scioltezza, almeno dalle mie parti, anche se devo dire che lo sentivo molto di più anni fa che non adesso.
Non avere nè arte nè parte ovvero non conoscere un mestiere e non avere nè beniappoggi. Nel Medioevo, tutti coloro che praticavano un'arte o un mestiere erano iscritti alle corporazioni distinte a seconda delle attività. Queste corporazioni,  vere e proprie associazioni, salvaguardavano gli interessi degli iscritti e li aiutavano a ragiu gere determinati fini economici. Inoltre, le corporazioni entravano nelle divisioni poilitiche, "prendevano partito", anche questo sempre a vantaggio degli iscritti. In definitiva, avere arte e parte (e infatti esiste anche il detto chi ha arte ha parte) significava appunto essere in grado di svolgere una professione che dava sicuramente da vivere e forniva appoggio in caso di bisogno, mentre coloro che non erano iscritti alle corporazioni venivano considerati poveri diavoli, gente, appunto, che non nè arte nè parte.
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