Il-Trafiletto
Visualizzazione post con etichetta Pil. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Pil. Mostra tutti i post

28/10/14

"Crollano le banche-i mercati delusi-stress test"? | Proviamo a capirci qualcosa

Oggi grandi titoli sui quotidiani di economia: "Crollano le banche e l'Italia trema", "I mercati delusi dal governo", "La bocciatura dei bilanci bancari", "Bce commette un errore sullo stress test-chiuso per la correzione il sito di Mps-scoperto un errore sul 'capital ratio 2013'".

Ma gli esperti dicono: "Solo chi non voleva vederli poteva ignorare i segnali di un clima internazionale mutato in peggio nei confronti dell'Italia e del suo governo".
"I risultati degli esami sulle banche resi noti domenica non hanno che reso drammatico questo momento, con il crollo della Borsa del 2,4% e lo spread in aumento a 170 punti. Un allarme di cui sarebbe bene che il premier e i suoi ministri tenessero buon conto".

Difficile per un profano di "Economia" e "Finanza internazionale" capir qualcosa in questi intricati titoli fatti di termini che non conprende. Proviamo a comprendere, poco, ma almeno farcene un'idea.
In America nello scorso settembre si è tenuto l'ultimo vertice del Fondo monetario, dove autorevoli analisti italiani rispondevano alle domande di colleghi e investitori stranieri su cosa avrebbe prodotto la legge sul Senato, a che punto fosse invece quella elettorale e quando sarebbe arrivato il Jobs Act. Il mese successivo in altre occasioni come negli incontri riservati organizzati da banche a Londra e a Parigi, le domande agli esponenti italiani erano le stesse solo più incalzanti. Il 15 ottobre, indiscrezioni sulla tenuta delle banche greche hanno abbattuto la Borsa di Milano del 4,5%. Una settimana dopo, il 21 ottobre, il Financial Times ha cancellato l'annuale summit sull'Italia già programmato a Roma per metà novembre.

Ma se due o tre mesi fa la Borsa italiana era tra le migliori d'Europa nel 2014, cosa è successo?
  • La recessione con un ulteriore calo del Pil trimestrale (Prodotto interno lordo )
  • Con l'avvicinarsi della legge di stabilità, il governo ha chiesto flessibilità (i conti erano sicuramente sforati)
  • Mentre di riforme neanche l'ombra, se ne parla ma non si fanno.
  • In più la Banca Centrale Europea ha iniziato a fare gli stress test alle banche dei paesi dell'unione, arrivati a scadenza nel momento più difficile e sfortunato che si potesse immaginare. ( Con Stress test si intende  un programma di analisi per valutare il capitale che un istituto bancario accantona per fronteggiare eventuali situazioni di crisi )
 In realtà dietro la bocciatura di alcune banche italiane c'è il timore che i conti del Paese siano di nuovo a rischio come lo erano tre anni fa. Per semplificare e far capire al profano: "Gli investitori non verranno mai ad investire i loro soldi in Italia se non c'è una politica stabile con leggi chiare, non vogliono rischiare di perdere i loro investimenti; l'Italia senza investitori è destinata a fallire".

24/02/14

Il delirio di Delrio: vuole tassare i Bot ma viene prontamente smentito

Delrio ha avuto un momento di delirio mentre veniva intervistato da Lucia Annunziata, su RaiTre: "Se una signora anziana ha messo da parte 100mila euro in Bot non credo che se gli togli 25 o 30 euro ne avra' problemi di salute". Pronte le smentite ad un simile delirio: "Non ci saranno nuove tasse" Ma sappiamo come finiscono le promesse di Renzi ( Stai sereno Enrico)


Roma, 24 feb. - Dopo una giornata di polemiche su un'uscita di Graziano Delrio sull'ipotesi di tassare i Bot, l'ufficio stampa di Palazzo Chigi sottolinea che non e' prevista, ne' ci sara' alcuna nuova tassa.

Delrio
 L'orizzonte del governo e' quello di una riduzione della pressione fiscale attraverso una rimodulazione delle rendite finanziarie e delle tasse sul lavoro; tema che sara' illustrato domani dal presidente del Consiglio nel corso del suo intervento in Parlamento. Il tema della tassazione delle rendite finanziarie deve essere preso in considerazione, aveva detto Delrio. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio spiegava cosi', rispondendo a Lucia Annunziata a In mezz'ora su RaiTre, un potenziale impatto di tassazione dei Bot: "Se una signora anziana ha messo da parte 100mila euro in Bot non credo che se gli togli 25 o 30 euro ne avra' problemi di salute". Il Governo non pensa a una patrimoniale, assicurava il sottosegretario. Ma "c'e' un principio: chi piu' ha piu' deve dare. E in un momento cosi', chi piu' ha piu' deve dare". "Non vogliamo sforare il 3%, non ha senso. C'e' un 3% del nostro Pil che non stiamo rispettando - ha aggiunto - quello da reinvestire in ricerca e sviluppo. Vogliamo andare in Europa dicendo che non siamo l'Italia che annuncia ma che fa".

08/01/14

La Spagna rimonta e batte l'Italia

Era messa molto peggio dell'Italia, un anno fa la Spagna. Tecnicamente era in default. Lo spread con il Bund tedesco, lo «spauracchio» che misura il differenziale di rendimento tra i titoli di Stato, era ancora a quota 510 punti. Il tasso di disoccupazione aveva raggiunto il record storico del 27,2% e il sistema bancario locale versava ancora in condizioni difficili tanto da ricorrere a un'iniezione di capitali da 40 miliardi di euro dal Fondo salva-stati dell'Ue, l'Esm. In un anno hanno raggiunto una notevole ripresa, dopo 9 cali trimestrali consecutivi, il Pil spagnolo è tornato a crescere segnando nel periodo luglio-settembre 2013  un incoraggiante +0,1 per cento. La disoccupazione è calata di oltre un punto percentuale e si attesta ora al 26% grazie alla creazione di 135mila posti di lavoro, soprattutto nella parte più «ricca» e turistica del Paese (Catalogna, Baleari e Valencia). Lo spread è sceso a 201 punti, superando quello italiano (ieri a quota 203) e le banche non sono più nel mirino.
Nello stesso anno all'Italia succede che la disoccupazione è salita al 12,5%, quella giovanile è ai massimi storici oltre il 40%. Abbiamo perso altri 400mila posti di lavoro.
Italia Spagna

Il Pil, soprattutto non è ancora tornato a crescere: il nostro Paese è formalmente ancora in recessione. La spiegazione del disastro è tutta nel dato macroeconomico «principe»: l'andamento dell'occupazione. In Spagna si creano opportunità lavorative, qui da noi no. Il governo di centrodestra guidato da Mariano Rajoy, appena entrato in carica nel 2012, ha subito riformato il mercato del lavoro rendendo meno onerosi per le imprese i licenziamenti (in Spagna non esiste l'articolo 18, in caso di crisi basta solo pagare un indennizzo). Più facili sono diventate le assunzioni per le aziende con meno di 250 dipendenti sgravandole di gran parte del carico contributivo, quel «cuneo fiscale» che il governo Letta non riesce minimamente a limare. Inoltre è stato dato più spazio alla flessibilità anche a livello aziendale: i contratti di apprendistato valgono fino a 30 anni, mentre per i nuovi assunti c'è una finestra di licenziabilità di 3 anni (idea che Matteo Renzi ha copiato da Rajoy). Una dimostrazione dell'efficacia? In Spagna si producono 2 milioni di autovetture all'anno contro le 600mila italiane pur non essendoci un solo costruttore nazionale. Eppure, anche in Italia esistono variegati sgravi per chi assume e si parla sempre di tagliare le tasse e di sburocratizzare (anche Saccomanni s'è convinto di averlo fatto). Ma in Italia esiste pure la «riforma Fornero» che irrigidisce l'apprendistato, limita l'uso dei contratti atipici e di fatto perpetua l'articolo 18 (dimostrare a un giudice la sussistenza dei motivi economici è un'impresa). Il ministro Enrico Giovannini in 9 mesi non ha cambiato una virgola e i dati parlano chiaro. La Spagna, va detto, ha fatto i «compiti a casa» richiesti dall'Ue. Zapatero, prima di lasciare, ha tagliato del 10% gli stipendi pubblici e la contrattazione aziendale porta con sé la moderazione salariale tanto che l'inflazione nel 2013 s'è fermata allo 0,2% (+1,2% quella italiana). Il compito dell'Italia, invece, è stato tutto «pasticciato» e non s'è nemmeno trovato un accordo con la «maestrina» Merkel per evitare il solito 4 in pagella.
fonte Il Giornale.it

26/12/13

Il Regno Unito…davanti a Francia e Germania: scadenza 2030!

Il Regno Unito sarà davanti a Francia e Germania! Deterrà il primato della maggiore economia Europea entro il 2030: questa la… “profezia” avuta da parte dell'autorevole Centre for Economic and Business Research (Cebr). Il segreto di tutto ciò, sta in un regime fiscale leggero, liberi dagli impicci generati dall'eurozona ed una popolazione in crescita sono i tre elementi positivi che provvederanno a contribuire all’escalation del Pil britannico dagli attuali 1.590 milioni a 2.640 milioni di sterline nei prossimi 15 anni, in base allo studio annuale.
Economia
Economia Inglese nel 2030 

A livello globale però la Gran Bretagna subirà un calo in classifica, scendendo dall'attuale 6a posizione alla 7a , a causa dell’inevitabile ascesa delle economie emergenti, una su tutte la Cina che è destinata ormai a superare perfino gli Stati Uniti, diventando la prima economia mondiale nel 2028, nel mentre l'India che ora occupa la 10a posizione, balzerà al 3 posto, ai danni di un Giappone in debito di ossigeno.

Il Brasile passerà dal 7o al 5o posto, mentre il Messico entrerà in classifica al nono posto. L'Italia, che quest'anno ancora si trova in 8a posizione, è destinata ad essere messa fuori dalla classifica dei top ten, retrocedendo al 15o posto. Nigeria, Iraq, Egitto e Filippine entreranno nella classifica delle prime trenta economie al mondo.

Il Cebr prevede che nei prossimi quindici anni il Pil tedesco continuerà a crescere ma a un ritmo più lento, passando dagli attuali 2.200 miliardi di sterline a 2.690 miliardi. La popolazione che invecchia, la debolezza dell'euro e le incertezze sull'eurozona si riveleranno ostacoli insuperabili per la Germania, che entro il 2030 sarà superata dalla Gran Bretagna. Il sorpasso dell'economia britannica su quella francese invece avverrà molto prima, entro il 2018, secondo lo studio. La Francia, che attualmente è al quinto posto nella classifica globale, scivolerà fuori dai top ten a causa di una crescita debole, soffocata da un regime fiscale punitivo, e verrà superata dalla Turchia.

"Prevediamo che la Gran Bretagna diventerà la seconda economia occidentale dopo gli Stati Uniti, - spiega il rapporto Cebr. – Una situazione demografica positiva con un'immigrazione che continua, una minore vulnerabilità ai problemi dell'eurozona rispetto agli altri Paesi europei e un regime fiscale benevolo in confronto ai vicini incoraggeranno una crescita più rapida degli altri Paesi occidentali. Entro il 2029 la Gran Bretagna avrà quasi raggiunto la Germania e prevediamo che superi la Germania intorno al 2030, diventando la maggiore economia dell'Europa occidentale".

La capacità di rilanciare le esportazioni e trovare nuovi mercati è fondamentale per le prospettive di crescita di un Paese, sottolinea il Cebr: in questo la Francia sta fallendo e anche la Gran Bretagna rischia di trovarsi indietro. La crescita é ripartita ma spinta dai consumi interni invece che dalle esportazioni, rileva lo studio. Altri tre fattori di rischio per l'economia britannica sono anche i continui dissidi con l'Unione Europea, limiti all'immigrazione e la possibile separazione della Scozia in seguito al referendum previsto per il 2014.



03/12/13

Il debito pubblico origine di tutti i mali dell'Italia? Eppure il nostro cresce meno di tutti in Europa.

Si faccia avanti senza esitare chi non è convinto che il debito pubblico sia l'origine di tutti i mali dell'Italia! Effettivamente, l'ammontare (oltre 2mila miliardi di euro) non è una bazzecola, in particolare se consideriamo le conseguenze di tale debito ogni anno nelle casse dello Stato, ammontino a circa 85-90 miliardi di euro in termini di interessi. Tale ammontare viene, con ineluttabilità, sottratto alla crescita!
L'enormità di interessi accumulati risulta essere tra le cause maggiori della crescita del montante finale del debito, prendendo il volo in particolar modo negli anni '80 dopo che i tassi di interesse riguardo i titoli di Stato sono volati di riflesso al divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia (dall'istituto di Via Nazionale non è più intervenuto sul mercato primario per congelare i tassi di mercato).

Il fatto sta che, al di là delle cause, ora arrivano continui avvertimenti, in particolare dall'Europa, di moltiplicare gli sforzi per ridurre l'ammontare del debito pubblico. La stessa Europa per cui bisognerebbe tendere a un rapporto tra debito e Pil del 60%. Rapporto che a fine 2012 si è attestato in Italia al 127% e circa all'80% nella media dei 17 Paesi dell'Eurozona (solo Lussemburgo, Estonia e Slovacchia sono sotto la soglia del 60%).
Grafico del debito pubblico e Pil  


Dal confronto di come i vari Paesi sono intervenuti per frenare l'emorraggia del debito pubblico emerge però qualche spunto interessante, che in parte sconfessa la tesi dell' "origine di ogni male del debito pubblico". 
Dal secondo trimestre del 2007 - quando è ufficialmente scoppiata la crisi dei derivati subprime e delle banche che negli anni successivi hanno chiesto aiuto agli Stati facendo quindi incrementare il debito pubblico che nell'Eurozona i passato dal 60 all'80% - l'Italia è il Paese che ha visto crescere meno di tutti, nell'area euro, il debito pubblico nominale (quello che include anche il tasso di inflazione).

Se a metà 2007 era a 1.628 miliardi, a metà 2013 era a quota 2.076 miliardi. Si tratta di un incremento del 27%. Nello stesso periodo il debito pubblico della Germania (dove però non viene conteggiata la quota della Cassa depositi e prestiti che a Berlino è privata) è passato da 1.597 miliardi a 2.146 miliardi (+34%).

Questo nonostante negli stessi anni la Germania abbia generato un'inflazione inferiore di cinque punti rispetto all'Italia e abbia pagato tassi sul debito molto più bassi dell'Italia (da qui lo spread). E la Francia? Nel frattempo ha visto crescere lo stock di debito del 57%, anch'esso vicinissimo ai 2mila miliardi di euro. La crescita maggiore si è registrata in Irlanda (+349%) che, non a caso, è uno dei Paesi che ha dovuto salvare maggiormente il disastrato sistema bancario. Anche la Spagna ha registrato nel frattempo un balzo (+137%) con il debito vicino ai 1.000 miliardi. Certo il debito va raffrontato al Pil, perché le economie hanno grandezze diverse.

Le prime tre economie dell'Eurozona hanno superato (Italia e Germania) o sono vincinissime (Francia) la soglia dei 2mila miliardi ma producono Pil differenti. E soprattutto hanno prodotto Pil differenti nel corso di questi anni di crisi. Dal 2007 al 2013 (stime) il Pil a prezzi costanti (al netto dell'inflazione) è crollato in Italia dell'8,65% mentre nello stesso periodo è aumentato del 4,25% in Germania ed è rimasto stabile (+0,67%) in Francia (senza dimenticare il -24% della Grecia, il -8% di Cipro e Slovenia e il -7% dell'Irlanda). Ed è questo il motivo per cui il debito/Pil è tornato a salire in Italia. Non è stato tanto l'aumento del debito (cresciuto meno di tutti gli altri, pur al lordo di un'inflazione più alta della media dei Paesi virtuosi e di interessi esplosi a causa della crisi dei debiti sovrani) quanto piuttosto il calo del Pil (che nel rapporto è al denominatore) a far incrementare il parametro sorvegliato speciale da Bruxelles.

Incrociando questi dati emerge che le nuove misure del Governo dovrebbero soprattutto cercare di risollevare il Pil (composto per il 60% da consumi, quindi dalla domanda interna, e per la quota restante da spesa pubblica ed esportazioni nette) che concentrarsi unicamente sulla riduzione del debito. Paradossalmente se il debito sarà ridotto ma il Pil continuerà a perdere colpi il parametro debito/Pil continuera a peggiorare, in un preoccpuante circolo vizioso. In economia vale sempre questa regola: fintanto che il Pil di un Paese cresce meno del tasso di interesse che questo paga sul debito vuol dire che qualcosa non funziona. Ed è questo, in tutta probabilità, il problema numero uno dell'Italia, adesso.
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.