Il-Trafiletto
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22/03/14

Perchè si dice "farsi la croce con la mano storta"?

Ben sappiamo che ciò che è fuori dall'ordinario suscita nell'uomo meraviglia, timore, sospetto, paura. E' per questo che per secoli i mancini sono stati perseguitati, in primis dalla Chiesa, che considerava la mano sinistra la mano del Diavolo (se penso che la Chiesa ha tenuto in pugno popolazioni intere lavorando sull'ingnoranza della gente....) e di conseguenza i mancini come suoi seguaci e discepoli (vogliamo ricordare ciò che ha fatto l'Inquisizione spagnola?).
Inquisitore

Questa credenza ha permeato in seguito non solo il popolino, ma anche l'ottusa mente di molti medici, che consideravano i mancini persone con problemi mentali (anche qui potrei dare sfogo a tutta la mia coprolalìa). Solo negli ultimi decenni le ricerche hanno dimostrato che essere mancini significa semplicemente avere molto più sviluppato l'emisfero destro del cervello. Vi è tuttavia, un modo di dire che richiama le vecchie credenze sul mancinismo:
Farsi la croce con la mano storta (o anche con la mano sinistra), è usata per indicare una situazione d'estrema meraviglia o addirittura di raccapriccio. La circostanza è talmente fuori dell'ordinario che si perde perfino il senso della religiosità segnandosi, appunto, con la mano sinistra (vorrei aggiungere che, in ogni caso, farsi il segno della croce con la mano sinistra è ammesso). 

07/03/14

La strana circostanza che portò Tartini a comporre il "Trillo del diavolo"

Cari lettori del Trafiletto, oggi voglio parlarvi de ‘Il Trillo del diavolo’, celebre sonata  per solo violino del grande musicista Giuseppe Tartini, (1692-1770)ma non voglio parlarvi del musicista, assolutamente illustre conosciuto, ma della circostanza a molti sconosciuta, che portò Tartini a comporre la celebre sonata.
Giuseppe Tartini
Certamente tutti gli appassionati di musica classica conosceranno il Tartini, che tanto influenzò e contribui nel periodo barocco e rococò a far conoscere la musicale italiana alle corti europee e all’alta borghesia, tanto da essere studiato dall’attento J.S.Bach, suo contemporaneo, e un secolo dopo dal genio assoluto del violino Nicolò Paganini, per una difficoltà di esecuzione allora sconosciuta ma, forse quello che pochi conosceranno, è l’aneddoto che ancora oggi echeggia nell’ambito musicale a proposito de ‘Il Trillo del diavolo’. La sonata desta ancora oggi ammirazione in tutto il mondo e lo stesso Tartini la descrive così: 
” Una notte sognai che avevo fatto un patto e che il diavolo era al mio servizio. Tutto mi riusciva secondo i miei desideri e le mie volontà erano sempre esaudite dal mio nuovo domestico. Immaginai di dargli il mio violino per vedere se fosse arrivato a suonarmi qualche bella aria, ma quale fu il mio stupore quando ascoltai una sonata così singolare e bella, eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non potevo concepire nulla che le stesse al paragone. Provai tanta sorpresa, rapimento e piacere, che mi si mozzò il respiro. Fui svegliato da questa violenta sensazione e presi all'istante il mio violino, nella speranza di ritrovare una parte della musica che avevo appena ascoltato, ma invano. Il brano che composi è, in verità il migliore che abbia mai scritto, ma è talmente al di sotto di quello che m'aveva così emozionato che avrei spaccato in due il mio violino e abbandonato per sempre la musica se mi fosse stato possibile privarmi delle gioie che mi procurava”

05/01/14

Anche io vittima della Depressione. Zucchero si rivela.

Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, in un’intervista di qualche mese fa, ha rivelato un particolare molto triste e buio della sua vita, che ha scioccato non poco i suoi fans. Il noto cantante ha confessato di aver vissuto quattro anni, a cavallo fra gli anni ’80 e ’90, in balia della depressione e della disperazione più profonda, e di esserne uscito grazie ai farmaci e ad un luminare della Psichiatria. Rivela Zucchero:<< Tra il 1989 e il 1993, che è anche il periodo in cui ho scritto l’album Miserere, ero conciato piuttosto male. Venivo da una separazione, problemi personali non mi mancavano, non avevo punti di riferimento.
Zucchero Fornacciari
Col passare dei giorni mi isolavo sempre di più. Mi ritirai a vivere in una casetta sul mare, lontano da tutto e da tutti, non avevo più interesse per niente e per nessuno, addirittura non volevo più suonare. Alcuni amici mi sono stati sempre vicini, mi invogliavano ad uscire, ma io non ne volevo sapere, neanche solo per attraversare la strada e prendere un gelato. >> Il recupero è avvenuto piano piano e con molta fatica, grazie anche ad una donna che lo ha sostenuto nei momenti cruciali. << Devo molto a una donna, - continua Zucchero – Laura, un angelo caduto in terra. Si occupava di me, tutte le sere mi preparava il bicchier d’acqua con la pasticca antidepressiva perché non riuscivo più a dormire. Non sono uscito di casa per sei mesi tanto stavo male. Era una bella donna, ma non ero in grado di innamorarmi, l’ho fatta molto soffrire.>> L’artista toscano però, nonostante i problemi che lo affliggevano, non ha mai voluto cancellare i suoi impegni professionali e per fare ciò si rivolse ad un luminare della Psichiatria: << Sono andato dal Prof. Cassano a Pisa. Lui si è preso cura di me e un giorno mi ha detto: Zucchero, se non vai in tournée ti devi ricoverare al reparto psichiatrico e dimostrare ai periti che non puoi muoverti da qui. Se mi fossi rotto una gamba sarebbe stato facile, ma con la depressione? >> Zucchero non nasconde il ruolo importante avuto dai farmaci nel suo recupero: << Per me i farmaci sono stati provvidenziali per ristabilire gli equilibri chimici nel mio cervello. Ho preso il Prozac per più di un anno. >> La sua depressione però ha giovato al suo talento, infatti in quel periodo ha scritto le sue canzoni più belle: “senza una donna”, “diavolo”, “per colpa di chi”.

16/11/13

Perchè si dice "sapere dove il diavolo tiene la coda"?

Di detti sul Diavolo, detto anche Lucibello, Satana, Demonio ce ne sono tanti, ci si potrebbe scrivere un libro. Vi sono favole che lo vedono protagonista, ne ricordo in special modo due, dei fratelli Grimm, della raccolta "Le cinquanta novelle": "I tre capelli d'oro del Diavolo" e "Il Diavolo e la sua nonna", inoltre si dice che il Diavolo fa le pentole e non i coperchi e così via.
Oggi pensando a queste novelle, mi è tornato un mente un adagio interessante, un po' raro forse, ma sempre efficace nel dibattimento.

Lucibello
Sapere dove il Diavolo tiene la coda: essere molto furbi, capire immediatamente dove sta l'inganno. L'origine di questa locuzione è di estrazione popolare a fa parte del bagaglio di miti e leggende che segue da tempo l'umanità. Una volta si credeva che il Diavolo venisse tra i mortali per indurli in tentazione, o per acquistarne l'anima, e per passare inosservato si travestiva nei modi più disparati.
Ora, mentre le  corna si potevano facilmente mascherare sotto un grosso cappello, e le zampe caprine erano occultate da una lunga veste, la coda rappresentava un problema anche per quell'astutissimo essere. Però qualcuno ancora più astuto del Diavolo riusciva ugualmente a vedere, o meglio, a intuire, che sotto la veste c'era una coda, e quindi capiva chi aveva di fronte a non si lasciava ingannare. Lo stesso dicasi per l'espressione: Saperne una più del Diavolo.

14/11/13

Perchè si dice "fare berlicche e berlocche"?

Marionetta
Vi è mai capitato che qualcuno vi promettesse qualcosa o vi desse la sua parola e poi "puff", quel qualcuno nè ha tenuto fede alla promessa, nè ha mantenuto la parola?
Possiamo certo apostrofare queste persone con improperi di ogni genere e tipo, e diventare maestri di volgarità, ma esiste un adagio, forse un po' obsoleto, ma altrettanto efficace, per delineare e descrivere questi figuri.

Fare berlicche e berlocche ovvero mancare alla parola data, non mantenere una promessa, fare il voltafaccia. Probabilmente la locuzione deriva dal nome scherzoso dato a una marionetta che rappresenta il diavolo. La marionetta, come certi mimi antichi, greci e romani, ha due facce, di cui una è costantemente coperta con un fazzoletto o un panno, a seconda della volontà di chi fa muovere la marionetta stessa. Le due facce si chiamano, appunto, "Berlicche" e "Berlocche". Durante le rappresentazioni nei teatrini la stessa maionetta assume atteggiamenti diversi, spesso contrastanti, significando che una persona prima asserisce una cosa, poi un'altra. L'altra potrebbe anche derivare, come sostengono alcuni, dal tedesco aber nicht (ma no) aber doch (ma sì).
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