Il-Trafiletto
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16/02/15

Vita Sackville-West la Donna Amata da Virginia Woolf

Vita Sackville-West, la donna amata da Virginia Woolf. Poetessa scrittrice e abile costruttrice di giardini. Donna dal comportamento scandaloso per le sue storie omosessuali. Si sposa all'età di 21 anni con un personaggio eccentrico, Harold Nicolson dal quale avrà due figli Nigel e Benedict.


Vita nasce nel 1892 con un corredo di titoli nobiliari. Figlia del barone Lionel Edward Sackville- West e di Victoria Sackville- West, una cugina del marito. Il suo nome completo è Victoria Mary Sackville- West. Nel 1913, si sposa con Harold Nicolson, diplomatico, giornalista, membro del Parlamento inglese e autore di apprezzate biografie. Fu un matrimonio felice nonostante l'omosessualità di entrambi i coniugi, sostenitori convinti del matrimonio aperto.

Il figlio Nigel, anche lui scrittore, raccontò senza ipocrisia degli amori omosessuali della madre in un famoso libro, “Ritratto di un matrimonio”. Anche Vita come scrittrice non è da meno, un suo poema, The Land, vince l'Hawthornden Prize nel 1927. La relazione di Vita con Violet Trefusis, scrittrice britannica, fu una passione fortissima, e resa celebre dal racconto del figlio Nigel. Vita era solita scappare con Violet nella Francia del Sud non appena gli impegni glielo permettevano. Fughe che divennero sempre più frequenti e più lunghe.
Victoria Sackville- West
Victoria Sackville- West

Vita con il Marito Harold Nicolson
Vita e Virginia































Le due signore scappavano spesso in Francia e poi, in Italia, probabilmente perché lì loro amore era più accettato. Fra le due, Vita era quella che si vestiva normalmente da uomo e portava in giro la sua ragazza. Il figlio Nigel racconta nei dettagli una fuga lunghissima, tanto da allarmare i due mariti, Harold Nicolson e quello della Trefusis che insieme percorrono l’Italia alla ricerca delle due donne amanti. Le trovano e interrompono quella vacanza. Una vera storia d'amore tanto che le due signore progettano anche di scrivere un libro a quattro mani per raccontare la loro storia: si tratta di “Challenge”, che alla fine venne pubblicato dalla sola Vita.

La relazione con Virginia Woolf nasce nel circolo di Bloomsbury, dove Virginia era soprattutto l’animatrice del circolo. Cioè casa sua, dove ogni giovedì sera si incontravano i più raffinati, e spregiudicati, intellettuali inglesi: dal grande storico Lytton Strachey, massimo studioso dell’era vittoriana, a John Mainard Keynes, il grande economista che salvò il mondo dopo la crisi del ’29.
Vita ammessa in questo ristrettissimo circolo, neofita viene trattata come una scolaretta. Le fanno domande su domande, fino a quando l’accettano a pieno titolo in virtù della fama che in quel momento aveva in Inghilterra, quasi più famosa di Virginia Woolf.

L’amore fra le due scoppia all’improvviso. Virginia non abita lontano da Vita e una sera va a casa sua. Fanno all’amore, sembra su iniziativa di Virginia che è pazza di Vita. La cosa era talmente abituale che un giorno un’ospite dice al figlio di Vita: “Ma tu hai capito che Virginia ama tua mamma?”. E lui risponde: “Certo che l’ama, tutti amano mia mamma”.

Virginia Woolf le dedica il libro “Orlando”, in cui confessa il suo amore. Virginia racconta poi tutto al marito, e il consiglio che riceve da lui è il seguente: “Per l’amor del cielo, stai attenta: questo non è giocare con il fuoco, ma con la dinamite”. Al circolo di Bloomsbury non erano molto convenzionali.

A un certo punto l’amore fra le due finisce. Ma non per Virginia che nel 1928 a Berlino, quando già ci sono i primi bagliori del nazismo, cerca di riprendersi Vita, ma inutilmente. La Woolf continuerà a scrivere i suoi libri e le sue poesie, ma qualcosa non quadra nella sua vita. Il 28 marzo del 1941 si riempie le tasche di sassi e si lascia annegare nel fiume Ouse, non lontano da casa sua.

Vita Sackville-West avrà un’esistenza più fortunata. A un certo punto si ritira con la famiglia nel castello di Sissinghurst nel Kent e si dà al giardinaggio (avrà anche una rubrica sull’Observer). Insieme al marito costruisce il giardino del suo castello. Oggi, quel giardino è il più frequentato d’Inghilterra (nonostante la chiusura invernale) con 200 mila visitatori l’anno.
(Dal "Quotidiano Nazionale" del 7 dicembre 2014)

30/05/14

Alfred Douglas & Oscar Wilde


Oscar Wilde 1880 foto d'epoca

ALFRED DOUGLAS & OSCAR WILDE

Quando un amore diverso uccide

..cari amici del Trafiletto, perdonate la mia lunga e imperdonabile assenza, ma eccomi a voi con un altro breve scritto che avrebbe meritato una più lunga attenzione, ma faccio di necessità virtù:

Alfred Douglas  1892 foto d'epoca
È il 3 dicembre 1900, quando a Parigi uno scarno corteo si reca a piedi alla Chiesa di St. Germain des Près per una mesta e malinconica cerimonia che chiude con celato mormorio e velata clandestinità, l’esistenza di un uomo che più di ogni altro era stato la delizia, lo stupore e lo scandalo più deplorevole dell’Inghilterra vittoriana, la cui sorte può essere riassunta in una frase che lui stesso un giorno aveva pronunciato con tedioso e caustico snobismo: “Only the extraordinary survives”. – “solo lo straordinario sopravvive” – ed Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, (Dublino 1854 - Parigi 1900) è stato un uomo straordinario; discutibile finché si vuole, ma senz’altro straordinario: il debole vento della mediocrità non ha mai sfiorato la bella e imponente testa del romanziere, scrittore, poeta, critico d’arte e letteratura, dalla mente acuta e brillante, né quando, al tempo aureo dei suoi successi teatrali, portava i capelli lunghi e ondulati, e vestiva in modo del tutto originale, né dopo il doloroso intervallo del carcere di Reading che lo rende precocemente incanutito come un vecchio.

Un conversatore meraviglioso e inimitabile, uno scrittore di pregio che lambisce le vette del genio: Oscar Wilde è tutto questo e anche di più. L’uomo che ha impersonato l’anticonformismo più autentico e attuale del suo tempo nei confronti dell’ipocrisia aristocratica inglese, nonché della ricca borghesia la cui principale occupazione consisteva nello scimmiottare il palcoscenico intelligente. Wilde, delizioso insolente, desideroso di stupire e affascinare con ogni sua parola, compare nei salotti e nei ristoranti alla moda tenendo con disinvoltura fra le mani fiori di giglio, indossando camicie di seta e soprabiti di pelliccia da stupire, calandosi in una vera e propria campagna di autopromozione, nel ruolo dell’esteta raffinato.

Non erra chi lo trova artificioso e affettato, ma Wilde non è un uomo qualunque, la sua presenza non può passare inosservata: non si può ascoltarlo senza rimanerne incantati, nessun attore da palcoscenico riesce a parlare come Wilde parla nella vita quotidiana. Il suo grande successo arriva con la pubblicazione del romanzo “Il ritratto di Dorian Grey” nel 1891, lo stesso anno in cui il destino lo fa incrociare con quello che segnerà definitivamente il futuro percorso della sua vita: il ventunenne lord Alfred DouglasBosie per gli amici - , secondogenito  dell’ottavo marchese di Queensberry.

Bosie è un adolescente esile e delicato, con grandi occhi azzurri e capelli biondi, che si atteggia a poeta e aspira poi a emulare senza possibilità, quello che diventerà per sei anni, suo maestro e compagno intimo di vita. Wilde si sente subito attratto dalla femminea bellezza di quel giovane febo, nel quale vi trova il suo Dorian Grey, quale narciso inconsapevole che si contempla nello specchio dell’arte appagandosi del proprio capolavoro, senza presagire il dramma che inesorabile fato gli ha riservato: una lenta e progressiva distruzione fisica e spirituale causata da un amore impossibile agli occhi di una società intransigente, superficiale e bigotta; la vita come opera d’arte dunque: Oscar e il suo Bosie cominciano a frequentare con assiduità tutti i ritrovi della Londra elegante, sfidando apertamente il pettegolezzo che tramuterà in scandalo per omosessualità.

Tutto si svolge con incredibile rapidità, da sembrare un brutto sogno: primo, il biglietto insultante del padre di Bosie, su cui spicca la parola ‘Sodomite’, terribile e inaccettabile all’ipocrita e farisea società vittoriana; secondo, la folle querela per diffamazione di Wilde, al di là di ogni elementare prudenza; il processo non tarda a venire, con un Wilde certo del suo trionfo, tanto che decide di non avvalersi di nessuna difesa legale, prendendo il destino giudicante nelle sue stesse mani.

Processo che si conclude rapidamente per omosessualità, una condanna che lo porterà alla rovina economica e sociale; infine il carcere, prima a Wandsworth e poi a Reading per due lunghi anni, che lo segneranno irrimediabilmente nel corpo e nell’anima; In carcere scrive il ‘De Profundis’,  lettera biografica – che consiglio di leggere - del periodo vissuto col suo amato Bosie, dove non risparmia nulla sia a se stesso, sia al suo giovane amico, accusandolo amorevolmente di un comportamento spregiudicato ed egoista, ritenendolo il principale responsabile della sua ineluttabile disfatta fisica, morale e sociale; Esce dal carcere il 19 maggio 1897, e non riconosce più il brillante ed elegantissimo dandy che aveva affascinato le platee della cultura mittel-europea, non riconosce neppure più Oscar Wilde, colui che un giorno si autodefinì ‘lo straordinario che sopravvive’.

In esilio per tre anni  si fa chiamare Sebastian Melmoth, e indossa abiti a buon mercato, su un corpo in disfacimento simile a quello del suo Dorian Grey, contemplato una notte nel ritratto fatale; Abita in due miserabili stanzette all’Hotel d’Alsace, a Parigi, in Rue des Beaux Arts, indirizzo che fatalmente riflette il bello della sua arte, lo stesso dove lo coglie la morte il 30 novembre 1900. Oscar Wilde, genio e sregolatezza insieme, colpevole di aver vissuto secondo i propri principi, di aver sfidato con la sola bellezza intellettuale i dogmi severi di una società schematizzata e bacchettona, di aver voluto bene soltanto a una donna, la stessa che gli aveva donato due figli, ma di aver amato con delicata e tenera passione un’altra bellezza allora proibita, illegale, che ineluttabilmente lo porta alla morte: Un illustro sconosciuto lord Alfred Bruce Douglas (Worchestershire 1870 - Lancing 1945), poeta e scrittore. Lascia un libro soltanto: ‘Io e Oscar Wilde’.

...l'amore è di gran lunga superiore all'arte...O.Wilde
...l'amore è il primo capolavoro d'arte appeso al cielo della poesia...S.Dellestelle

25/04/14

Margherita Luti questa illustre sconosciuta

RAFFAELLO SANZIO
e la
FORNARINA


quando l’amore supera la vita

La Fornarina - Galleria Nazionale
           Roma-1518-1519
..ma chi è quella bella dama che appare ritratta in varie opere del grande Raffaello Sanzio?..
…cari amici del Trafiletto, eccomi a voi con questa domanda che forse pochi si sono posti fino ad oggi; un’interrogazione che merita una risposta, per quanto sia possibile: la Fornarina. Nome sotto cui andò famosa Margherita Luti, bella popolana romana vissuta all’inizio del sec. XVI, amante di Raffaello Sanzio,(1483-1520) - il Vasari ne parla ne "Le Vite" a proposito del dipinto "La Velata" -  che la ritrasse in molte sue opere: nel dipinto a olio della Galleria Nazionale di Roma, nel grande affresco di Eliodoro e in quello del Parnaso in Vaticano, sotto le sembianze di Clio nello Spasimo di Sicilia (Madrid, Prado), e perfino nel capolavoro della Trasfigurazione (Roma Pinacoteca Vaticana). Celebre è anche il ritratto di lei dipinto da Sebastiano del Piombo. (Firenze, Uffizi). Di Margherita Luti non si conoscono né la data di nascita, né quella di morte; sappiamo per certo che nasce figlia di un fornaio di Trastevere, certo Francesco Luti,  in contrada Santa Dorotea; per via della professione paterna  Margherita passa alla storia come "La Fornarina".
Nell’ottocento la bella Margherita suggestiona l’immaginario romantico, che la definisce quale musa ispiratrice del pittore urbinate. Nel 1897 un noto studioso d’arte, certo Valeri Antonio, scopre un documento che attesta il ritiro presso il monastero in Trastevere chiamato Sant’Apollonia, di Margherita, avvenuto soltanto pochi mesi dopo la morte del suo amato Raffaello. Il documento riporta: “al dì 18 agosto 1520, oggi è stata ricevuta nel nostro conservatorio Madama Margherita vedoa figliuola del quodam Francesco Luti di Siena.” Per tale scoperta si è ipotizzato che Raffaello e Margherita si siano sposati in segreto e che alla morte del pittore ella abbia deciso la via del ritiro a vita monastica. Il ritratto, oggi chiamato "La Fornarina", che ritrae la giovane Margherita, a differenza di tanti altri che non recano la firma dell’artista, è in questo caso rivelatore di autenticità in quanto la fanciulla porta un bracciale con l’autografo di Raffaello. Ritratto che l’urbinate conserverà per sé fino alla morte.   Ora, come non ammettere che questa bellissima popolana non sia stata amante di Raffaello? E allo stesso tempo che il magnifico urbinate non abbia amato la Fornarina? Io amo e continuo a credere che la loro sia stata una straordinaria favola d’amore, e che senza questa illustre sconosciuta, oggi noi non potremmo ammirare i capolavori scaturiti dalla mano di un immortale della pittura, ed io aggiungo, anche per volere di due essenze divine: Fato e Amore. Infine affermo, che laddove respira l'amore di una donna, l'uomo che lo sa raccogliere, è sulla strada di un capolavoro: Raffaello docet....

Particolare del bracciale
La Velata-Galleria Palatina Firenze


12/04/14

Natal’ja Goncarova: questa illustre sconosciuta

Natal'ja Goncarova-Aleksandr Brjullov 1831
Natal’ja Goncarova & Aleksandr Serghej Puskin
 
Cari amici del Trafiletto, non mi sono perduto in selve oscure, tranquilli, ma soltanto assentato qualche giorno in compagnia di un amato poeta: Aleksandr Serghej Puskin, (1799-1837) gigante della letteratura e padre della poesia russa del periodo romantico. Fra una poesia e l’altra e qualche canto del poema eroico Eugenji Onegin, ho pensato di farvi partecipi di un momento della sua vita, il più importante e significativo fra i tanti che hanno fatto di Puskin un grande personaggio del suo tempo. È verso la fine del dicembre 1828, durante un ballo organizzato da un certo Jokel, noto maestro di ballo, che il nostro poeta fa la conoscenza di colei che nel bene e nel male, segnerà per sempre la sua errabonda, solitaria e agitata vita: Natal’ja Goncarova (1812-1863). L’impatto con questa giovane bellezza, allora sedicenne, è talmente forte che Puskin s’innamora come non era mai avvenuto nella sua breve esistenza: ella non rappresenta soltanto la bellezza femminile, ma racchiude in sé tutti i sogni di una casa, di una famiglia tutta sua, che egli non ha mai posseduto, né nell’infanzia, né da adulto. Dopo cinque mesi, per un nuovo soggiorno a Pietroburgo, Puskin si decide a chiedere formalmente la mano di Natalia, senza ottenere un pieno consenso da parte dei genitori di lei. Il rifiuto, seppur non netto, condiziona Puskin che parte alla volta del Caucaso senza il permesso delle autorità, (per ordine dello zar, Puskin era ancora guardato a vista dalla polizia di stato per l’insurrezione Decabrista del dicembre 1825) ignorando le possibili conseguenze politiche, che fortunatamente si risolvono con un marcato rimprovero da parte dello zar Nicola I
Nell’aprile del 1830 il nostro poeta innamorato rinnova la proposta di matrimonio a Natalia Goncarova, dai genitori della quale questa volta ottiene l’approvazione, non prima però di aver consegnato alla futura suocera, un certificato di buona condotta redatto da Benkendorf, capo della gendarmeria.
Aleksandr Serghej Puskin-ritratto
di sconosciuto-1835
L’anno 1831 inizia con una serie di vicende spiacevoli: in gennaio muore uno dei suoi migliori amici, cui fanno seguito preoccupazioni finanziarie e dissapori con la famiglia della futura sposa. Comunque il 18 febbraio convola felicemente a nozze e si trasferisce con la sua bellissima moglie a Corskoe Selo. Il primo anno scorre sereno, l’intesa fra i novelli sposi è buona tanto che a ottobre Natalia è già in attesa del primo figlio, ma le prime preoccupazioni, non tanto di matrice psicologica quanto economiche, inquietano Puskin che non riesce a scrivere come vorrebbe, e così pure l’anno successivo. Nel frattempo la situazione familiare si complica non poco: Natalia viene molto ammirata nella società pietroburghese, diventando sempre più il centro dell’attenzione ai balli, da non passare inosservata neppure agli occhi dello zar che ne resta affascinato. Puskin nutre una fiducia illimitata nella bellissima moglie e si limita a scriverle lettere dai suoi frequenti viaggi. Nell’estate del 1833 nasce il figlio Aleksandr, e nell’autunno finisce il racconto La donna di picche e varie poesie. Gli anni passano, Natalia nel maggio 1835 partorisce il terzo figlio Grigorij, ma non manca di partecipare ai molti inviti di ballo. Per non dilungarmi troppo dalla data fatale che segnerà la vita del nostro poeta, balzo al 1836, quando il giovane Gerges D’anthès, figlio adottivo dell’allora ambasciatore d’Olanda, , inizia a fare apertamente la corte a Natalia, conosciuta durante un ballo. La società bene scorge subito l’occasione per spettegolare sul fatto, contenta di mettere in cattiva luce lo sposo, da tempo osteggiato e poco amato dalla stessa nobiltà . D’anthès è bello, brillante, giovane e ben presto diventa il beniamino dei salotti della borghesia pietroburghese. Natalia turbata dalle avances insistenti di D’anthès, - ora diventato barone per via del padre putativo Heeckeren - si confida col marito che per prima cosa cambia abitazione, non molto distante però dalla guarnigione dove soggiorna lo stesso intraprendente corteggiatore. La relativa vicinanza favorisce D’anthès che inizia a frequentare la dacia dei Puskin. Le chiacchiere mondane montano a dismisura, e portano i coniugi alla decisione di non ricevere più lo sfrontato barone che inizia a fare la corte alla sorella di Natalia,Ekaterina Nikolaevna che vive con loro. Questa nuova versione non convince troppo il “bel mondo”e, a dir il vero, nemmeno Puskin che vede nel corteggiamento un nuovo intrigo da ‘Don Giovanni’. Gli avvenimenti precipitano il 4 novembre quando il nostro poeta riceve un libello nel quale gli viene conferita l'"onorificenza dei cornuti". Puskin perde il controllo di sé per l’oltraggio morale e manda subito a D’anthès, che è stato citato nel libello, una missiva ad accettare una sfida a duello. A questo punto interviene il vecchio ambasciatore Heeckeren, pregando Puskin di rinviare la data del duello di almeno quindici giorni, utili per informare tutta l'alta società che il figlio adottivo corteggiava soltanto la sorella e non Natalia Gongarova. Il 17 novembre D’anthès si dichiara a Ekaterina che accetta di diventare sua moglie. Puskin è furente, ma è costretto a ritirate il guanto della sfida e non si presenta al matrimonio che si tiene il 10 gennaio 1837. Ciononostante l’ostinato D’anthès continua a fare la corte alla bella Natalia ai vari balli della stagione in maniera aperta e spudorata. Le lettere non tacciono, e Puskin, ancora col sangue che bolle nelle vene, ne riceve una nella quale viene informato di un incontro fra D’anthès e Natalia, un incontro del tutto casuale. Ma il già provato autocontrollo del poeta crolla e getta di nuovo il guanto della sfida, con una lettera talmente offensiva da non poter essere rifiutata. Il 27 gennaio alle ore 17,00 si arriva allo scontro fatale. Le condizioni stabilite non lasciano dubbi, la distanza è di dieci passi dalla barriera, e l’agone fino alla morte. Puskin arrivato alla barriera di delimitazione comincia a mirare con la sua pistola, ma D’anthès spara in anticipo. Il poeta dall’animo inquieto, cade gravemente ferito sulla neve. Portato a casa resta in agonia per due giorni e muore il 29 gennaio. La salma di Puskin viene trasportata al Convento di Sviatigoresk, luogo dove è sepolta la madre, soltanto l’amico di liceo Aleksandr Turgenev accompagna la bara.
Cari amici, sembra una favola dal finale triste, invece è storia realmente accaduta. Certo,oggi i guanti dell’onore non si gettano più, questo romantico gesto si è perduto, il cavaliere senza cappa e spada è tramontato, ma resta sempre l’amore, che di romantico forse ha perso alcuni valori. Alcuni di voi prenderanno la difesa del poeta, che per amore difende il suo onore e quello della sua amata consorte, altri invece, sosterranno la bellissima consorte, rea soltanto di saper suscitare fascino con la sua grazia, di essere una creatura dolce e bella nelle forme femminili, ma una cosa è certa, una bella donna come Natal’ja Goncarova, per quanto illustre sconosciuta, è sempre pericolosa, gli dei ne sanno qualcosa…

25/03/14

Marianne von Willemer questa illustre sconosciuta

J.Jacob De Lose. Marianne von Willemer-1809
Marianne von Willemer
Il libro di Suleika- J.W. Goethe


Cari lettori del Trafiletto, oggi vi scrivo a malincuore una stringata recensione su dei personaggi che la storia della letteratura ci ha tramandato per sempre: Johann Volfgang Goehte (1749-1832; scrittore, poeta e drammaturgo) e Marianne Jung von Willemer (1784-1860; ballerina da fanciulla poi poetessa). Ho scritto ‘a malincuore’, perché l’uomo Goethe, genio incontrastato delle lettere, meriterebbe uno spazio indefinito per poterlo ricordare come merita. Così mi soffermo su un breve periodo della sua vita che ha segnato una delle pagine letterarie più belle del periodo romantico: un periodo di soli cinque mesi, fra il 1814-1815, dove il geniale Goethe, ormai sessantaseienne,  incontra la benestante signora Marianne Jung in von Willemer, allora trentenne. La giovane e affascinante signora è  prima amica, fin dalla giovanissima età, poi sposa del banchiere, Johann Jakob von Willmer (1760-1838) anch’egli amico da lungo tempo delle stesso Goethe.
L’intreccio conoscitivo fra i nostri protagonisti, che poi sfocerà in passione amorosa, nasce come sempre per le fatali casualità del destino: nella primavera del 1814, l’editore J.F.Cotta, invia  a Goethe una raccolta di poesie tradotte in tedesco, “The Divan di Hafez Mohammed Schemseddin” del XIV secolo. Dopo averlo letto  l’anziano Goethe s’infiamma ai versi del poeta Hafez, tanto da percepire il respiro di un’aria nuova da farlo rimbalzare indietro nel tempo, quando nella giovinezza si appassionava alle letture della Bibbia e del Corano. L’ancora viva fantasia si mette in moto e l’estro poetico incalza la mano e nascono le prime poesie che daranno, in seguito all’incontro con la giovane Marianne, il titolo ‘Il Libro di Suleika’: una raccolta poetica che si può definire un libro nel libro,  del ‘Divano occidentale orientale’, iniziato proprio nell’anno del romantico incontro e terminato nel 1827. Il libro di Suleika,  narra spesso in forma dialogata, la passione esemplare che va oltre la contingenza del fatto biografico: l’amore del poeta sessantaseienne per la giovane Marianne, non si cristallizza soltanto nei versi che resteranno immortali, ma viene vissuto da entrambi nella villa di lei, dove Goethe resta ospite per cinque mesi. Periodo questo trascorso nella reciproca passione tra l’erotico sensuale, lo spirito e il letterario, fino al segno della rinuncia senza appello da parte del poeta, che però continua ad amarla, scrivendole e ricevendo, seppur irregolarmente, tantissime lettere.
I due amanti si ritrovano sotto i nomi dei personaggi del canzoniere orientale Hafez, Suleika vive in Marianne e Goethe respira la passione ricambiata di Hatem per la giovane e bella Suleika, ora occidentalizzata nella stessa Marianne. Il rapporto d’amore felice e spensierato, annulla il divario temporale fra i due innamorati, destando la creatività poetica di entrambi, dove anche Marianne pareggia in pari forza con quella dell’amico, che oltre ad essere diventata la sua musa ispiratrice e suggeritrice di vari versi, compone due liriche di raffinata bellezza sentimentale che assieme alla poesia ‘Ginko Biloba’ impreziosiscono l’interero ‘Divano’: “Was bedeutet die Bewegung?..”-- “che vuol dire questa agitazione?...” e “Ach, um deine feucthen Swingen…” – “Vento dell’overst come t’invidio…”.
Gerhard von Kügelgens-Goethe- 1915
Cari amici, io penso che in ogni capolavoro letterario vi sia sempre presente una donna, e che i maggiori siano nati sotto l’influenza di un coinvolgimento sentimentale. Il libro di Suleika, che consiglio a tutti di leggere possibilmente col cuore affetto d’amore, senza la fatale presenza della signora Marianne von Willemer una illustre sconosciuta, non sarebbe mai giunto ai nostri mortali uditi.

Ach, un deine feuchten Swingen

Vento dell'ovest, come t'invidio
per l'umido vibrare delle ali!
Perché puoi portargli notizia
di come soffro per la separazione.

..prima quartina scritta da Marianne subito dopo la separazazione, che continuò ad amare Goethe per tutta la sua vita...




21/03/14

Leto e il Gallo: questo illustre sconosciuto

Leto con Apollo e Artemide
Leto, Aurora e il Gallo


Cari lettori del Trafiletto, oggi faccio un balzo nell’affascinante mitologia greca, per ritrovare quell’uccello domestico dal piumaggio brillante e dalla testa grossa con cresta carnosa e bargigli che tutti noi conosciamo: il gallo. Ancora oggi questo volatile viene  ricordato per il suo canto annunciatore dell’alba, senza che nessuno si domandi il come e il perché esso apra il becco e faccia vibrare l’ugola per intonare la sua millenaria melodia poco prima dell’arrivo del giorno. Tutto ebbe inizio quando: Leto, (Latona per la mitologia romana, figlia dei titani Ceo e Febe) dea greca, sposa Zeus e diviene madre di Apollo e Artemide.
Secondo la tradizione storica più diffusa, l’unione di Leto con il re olimpico ebbe luogo a Didimo presso Mileto, e da quel momento la dea fu perseguitata dalla gelosia di Era, (settima moglie di Zeus) che la costrinse a vagare per molte terre prima di poter partorire.
Per volere di Era, infatti, Leto avrebbe potuto sgravarsi unicamente in un luogo che non fosse mai stato illuminato dal sole. Le peregrinazioni di Leto incinta sono state narrate e suddivise in due gruppi, di cui il primo si ricollega alla Licia, il secondo all’isola di Delo.
La singolare condizione posta da Era al parto di Leto, sottolinea che Apollo doveva nascere nelle tenebre, e quindi pone in evidenza l’aspetto oscuro ed infero del dio e di sua madre: aspetto che coincide con il carattere lupino di Apollo e si riconnette alla Licia (in greco Likia, paese dei lupi); l’elemento lupino sopravvive anche nelle tradizioni che indicano l’isola di Delo come luogo natale di Apollo. Si narra infatti che Zeus abbia trasformato Leto in lupa, e che sotto questa forma la dea sia giunta a Delo e qui abbia partorito i due gemelli. Parto che si protrae per nove giorni e nove notti di terribili doglie, alla presenza di tutte le grandi dee. Le doglie si protraggono così a lungo poiché Era aveva trattenuto con l’inganno sull’Olimpo la dea dei parti, Ilizia; quest’ultima, infine, viene chiamata da Iris, (personificazione dell’arcobaleno) che sospinge la dea dei parti sull’isola, la quale sollecita e assiste al parto. Ed è proprio nel divino evento che entra in scena il nostro comune gallo: Fato vuole che alla fine dello sgravio gemellare sia presente l’uccello domestico che oggi noi chiamiamo il gallo del mattino; questo, fino ad allora anonimo volatile, passa alla storia mitologica come l’annunciatore di Aurora, (dea greca dalle rosee dita che precede in cielo il fratello Elios, recando agli uomini la luce), divenendo per sempre sacro alla stessa dea Leto.
Cari amici del Trafiletto, se un comune uccello domestico è riuscito a divenire un "illustro sconosciuto", non disperate, siate speranzosi, anche voi un giorno potreste ritagliarvi un lembo di eterna storia.
La cresta del Gallo-particolare
Il gallo sacro a Leto

17/03/14

Asclepio la cicuta e Socrate

La morte di Socrate
(Jacques.Louis.David)
Asclepio, illustre sconosciuto, ma semidio che "uccise" Socrate

Asclepio, per la mitologia greca, o Esculapio per quella romana, è secondo Esiodo  figlio di Apollo e di Arsinoe, oppure di Apollo e Coronide (figlia di Flegias re dei Lapiti) leggendo la testimonianza di Pindaro. Un semidio dunque, ma uomo mortale per Omero. Secondo il mito del poeta Pindaro, Apollo si innamora di Coronide mentre nuota in un lago. Il dio la concupisce fino a consumare la loro passione, poi l’abbandona lasciando un candido corvo a guardia della fanciulla. 

Un sogno senza sogni
(Platone, Apologia di Socrate)
In seguito Coronide decide di convolare a nozze con certo Ischis, (figlio di Elato e Hippea), che già amava da tempo, accogliendolo presto nel talamo nuziale, pur consapevole di essere feconda del seme di Apollo. Il corvo assiste all’atto d’amore e subito, certo di fare cosa gradita, vola da Apollo e riferisce il tutto. Questi, dalla sua posizione olimpica, punisce il candido corvo tramutandogli le piume nel colore della notte senza luna e stelle, per non aver allontanato il giovane Ischis dalla sua Coronide. Nel frattempo la sorella Artemide, per solidarietà uccide la novella sposa trafiggendola con una freccia per vendicare il fratello disonorato. Apollo mosso a pietà, decide si salvare il feto e chiede a Ermes di estrarlo dal corpo della madre dandogli il nome di Asclepio.
Ermes consegna la creatura informe al centauro Chirone che con l’aiuto della dea Artemide, cresce istruito alla medicina naturale delle piante. La leggenda vuole che Asclepio scopra gli effetti terapeutici di una pianta bella a vedersi, ma mortale per gli uomini se bevuta per infuso con semi verdi: la Cicuta. Oggi si sa che la sua principale tossina, la Coniina, conduce a morte lenta per paralisi muscolare. Morte, che nel dialogo di Platone, ‘Il Fedone’, colpisce il padre della filosofia occidentale: Socrate. Primo uomo che fa della coerenza un principio di vita.

14/03/14

Iosif Kotek senza di lui Ciaikovskij non avrebbe scritto "Il Concerto"

Nadjeshda von Meck


IOSIFOVICH KOTEK

Peter Iljic Ciaikovskij
Nadjeshda Filaretnova von Meck

Cari amici del Trafiletto, oggi scriverò di un personaggio legato al mondo della musica classica, certo Iosifovich Kotek, violinista russo (1855-1885). Iosifovich, o Josef per gli amici e conoscenti più stretti, dopo le scuole medie s’iscrive al conservatorio musicale di Mosca diventando l’allievo prediletto di composizione, e amico intimo, dell’allora professore di musica Peter Iljic Ciaikovskij (1840-1893). I quindici anni che li separano non impediscono loro di aver un intimo rapporto amoroso fino alla morte del giovane violinista. Josef, gioca un ruolo importante, anzi, decisivo per la carriera musicale di Ciaikovskij: ci avviciniamo al 1877, l’anno del destino e della crisi, l’anno in cui accade un fatto destinato a dare una svolta del tutto nuova alla vita del trentasettenne Peter Iljic.C, che ancora si trova a essere soltanto un buon compositore e insegnate di conservatorio. Fato vuole che uno degli allievi, il giovane violinista Kotek, abbia una specie d’impiego fisso presso una certa baronessa (titolo nobiliare acquisito) Nadjeshda Filaretnova von Meck, (1831-1894) ricchissima dama della società moscovita, che nutre un amore appassionato per la musica, tanto da essere essa stessa una mediocre pianista. Kotek le parla di Ciaikovskij e della triste e penosa situazione in cui egli si trova, per essere un grande musicista fuori del comune.
J.Kotek e P.I.Ciaikovskij
La dama manifesta il desiderio di conoscerne le composizioni e ben presto si accende di così forte entusiasmo per quella musica piena di svolte sentimentali, da decidere di aiutare il compositore. Per mezzo dell’ambasciatore di Fato, in altre parole Kotek, lei chiede a Peter Iljic.C, offrendogli un generoso compenso in rubli , di trascrivere per violino e pianoforte alcune sue composizioni. Da questo fatale preludio, nasce un rapporto epistolare molto stretto fra la gentil dama molto appassionata di musica e il compositore insegnante presso il conservatorio di Mosca. Un rapporto esclusivamente epistolare che giorno dopo giorno apre i cuori dei protagonisti fino ad accendere sentimenti passionali senza riscontro nella benevola signora von Meck. Una corrispondenza che si protrae per circa dieci anni, senza mai un incontro fisico, se non un incontro fortuito di pochi istanti presso la villa di lei durante una vacanza in Italia, a Firenze.  Un lungo periodo di tempo dove il fragile e sensibile carattere di Ciaikovskij, trova quella quiete e sicurezza economica, poiché la baronessa pensa a tutte le spese materiali, oltre a un cospicuo mensile, che possano permettergli di comporre pagine musicali immortali, quale il concerto opera 35 per violino e orchestra sotto riportato. Tre personaggi oggi ricordati e deposti per sempre alle pagine della storia, dove un illustre sconosciuto ha giocato la carta vincente di questa pagina: Iosifovich Kotek.

12/03/14

Giancarlo Giammetti, un illustre sconosciuto

Valentino è forse la casa di moda più importante e conosciuta nel mondo: fondata nel 1957 da Valentino Garavani, con negozi in tutto in mondo, sfilate da sogno e critici sempre entusiasti degli abiti presentati. Anche dal punto di vista finanziario, Valentino è un successo continuo: il 2008 ha chiuso con un fatturato in crescita del 3% a 2.206,9 milioni, un EBTIDA di 320,4 milioni, in linea con quello del 2007, mentre il risultato della gestione ordinaria (al netto degli ammortamenti) segna un calo del 7% a 248,3 milioni. Ma come si è arrivati a tale successo? In realtà, Valentino Garavani non è mai stato in grado di gestire un business e la chiave del grandissimo successo della casa di moda è da imputare a Giancarlo Giammetti, illustre sconosciuto. Compagno di Valentino per 50 anni, Giammetti entrò in società con Valentino nel 1962 quando era solo uno studente di architettura.
Entrando in società con Valentino ha affermato: “Io ho più buon senso di lui…almeno so quanto fa 3+3…” Giancarlo Giammetti ha sempre vissuto all’ombra dello stilista: estremamente conosciuto nell’ambiente dell’alta moda, è rimasto per anni un perfetto sconosciuto per i più.

Giancarlo Giammetti e Valentino Garavani
Si tratta di colui che ha sempre organizzato le sfilate, gli eventi, l’organizzazione del personale e delle sarte, i rapporti con la stampa. Insomma, colui che ha gestito interamente il business dell’azienda, lasciando a Garavani la sola parte creativa: non c’è nessun elemento che ha determinato il successo di Valentino che non sia passato tra le mani di Giammetti. E Valentino? Certamente stiamo parlando del più grande stilista del ’900, colui che è stato definito “l’ultimo imperatore della moda”, ma in quanto a business e gestione di un’azienda era totalmente inappropriato.
“Valentino non ha idea del business che c’è dietro ogni suo abito, dietro ogni sua creazione. Non ne ha assolutamente coscienza.” Giancarlo Giammetti Valentino è l’artista; Giammetti colui che tramuta in oro le sue creazioni, che altrimenti rimarrebbero “delle opere d’arte su carta”.Un connubbio durato 50 anni e mai interrotto. Nemmeno nel momento che ha segnato per sempre la storia della casa di moda e dello stilista. Nel 1998 Valentino è stata ceduta ad HdP, conglomerata controllata dalla famiglia Agnelli, per 500 miliardi di lire e, dopo soli 5 anni, è passata di mano alla famiglia Marzotto per 240 milioni di euro. Matteo Marzotto è salito alla presidenza dell’azienda e, nonostante i due passaggi di proprietà, Valentino e Giammetti sono rimasti ai propri posti.
VIDEO: sfilate Valentino 2014



10/03/14

Le affinità elettive ispirate da Torbern Olaf Bergman, illustre sconosciuto

Cari lettori del Trafiletto, oggi scriverò di un certo, T.O.Bergman,  svedese (1735-1784)  noto chimico e specializzato in mineralogia; Il suo nome echeggia ancora nella storia per la sua “Dissertazione sulle attrazioni elettive” (1775), degli elementi inorganici; 

Torbern Olaf Bergman: Lo studio conteneva il più ampio schema sulle affinità chimiche degli elementi pubblicato fino ad allora. Fra le varie leggi che figurano nella dissertazione, ne spicca una, in virtù della quale, alcuni elementi si attraggono vicendevolmente, disgregando – per unirsi -  le precedenti combinazioni nelle quali si trovavano prima dell’unione.

Torbern Olaf Bergman
Destino vuole che l’allora giovane J.W.Goethe, venisse a conoscenza della brillante dissertazione. E già allora il ventiseienne Goethe, non solo era un affermato scrittore e poeta, ma amava studiare tutto quello che apparteneva alle scienze. Così prese con passione a studiare lo studio pubblicato dal Bergman, tanto che dopo una attenta riflessione, sposò il concetto dello svedese trasportandolo in quello che divenne un romanzo ancora oggi molto attuale: Le affinità elettive.
Col suo romanzo, Goethe, denuncia la dissoluzione passionale del vincolo matrimoniale e afferma di scorgere che in ogni separazione amorosa si annida un germe della follia.
La trama si sviluppa fra quattro personaggi, Edoardo con la consorte Carlotta che vivono in un appartato castello di campagna, finalmente uniti dopo essere stati divisi in gioventù; matrimonio che viene scosso dall’arrivo di due ospiti, prima il Capitano, vecchio amico di Edoardo e in seguito la giovanissima Ottilia, nipote di Carlotta.
Le affinità elettive tendono ad unire da una parte Edoardo e Ottilia, e  dall’altra Carlotta e il Capitano. C’è chi si abbandona alla passione, come Edoardo facilmente inebriato dall’illimitato, c’è invece chi la argina e la frena come Carlotta.
Suggerisco a chi non avesse letto questo romanzo che trasporta e affascina, di leggerlo quanto prima, ricordandosi di ringraziare un certo Torbern Olaf Bergman, illustre sconosciuto che ha sospinto il geniale Goethe, a lasciarci una romantica ma allo stesso tempo triste storia d’amore che ancora oggi trova riscontro nelle società moderne.

07/03/14

La strana circostanza che portò Tartini a comporre il "Trillo del diavolo"

Cari lettori del Trafiletto, oggi voglio parlarvi de ‘Il Trillo del diavolo’, celebre sonata  per solo violino del grande musicista Giuseppe Tartini, (1692-1770)ma non voglio parlarvi del musicista, assolutamente illustre conosciuto, ma della circostanza a molti sconosciuta, che portò Tartini a comporre la celebre sonata.
Giuseppe Tartini
Certamente tutti gli appassionati di musica classica conosceranno il Tartini, che tanto influenzò e contribui nel periodo barocco e rococò a far conoscere la musicale italiana alle corti europee e all’alta borghesia, tanto da essere studiato dall’attento J.S.Bach, suo contemporaneo, e un secolo dopo dal genio assoluto del violino Nicolò Paganini, per una difficoltà di esecuzione allora sconosciuta ma, forse quello che pochi conosceranno, è l’aneddoto che ancora oggi echeggia nell’ambito musicale a proposito de ‘Il Trillo del diavolo’. La sonata desta ancora oggi ammirazione in tutto il mondo e lo stesso Tartini la descrive così: 
” Una notte sognai che avevo fatto un patto e che il diavolo era al mio servizio. Tutto mi riusciva secondo i miei desideri e le mie volontà erano sempre esaudite dal mio nuovo domestico. Immaginai di dargli il mio violino per vedere se fosse arrivato a suonarmi qualche bella aria, ma quale fu il mio stupore quando ascoltai una sonata così singolare e bella, eseguita con tanta superiorità e intelligenza che non potevo concepire nulla che le stesse al paragone. Provai tanta sorpresa, rapimento e piacere, che mi si mozzò il respiro. Fui svegliato da questa violenta sensazione e presi all'istante il mio violino, nella speranza di ritrovare una parte della musica che avevo appena ascoltato, ma invano. Il brano che composi è, in verità il migliore che abbia mai scritto, ma è talmente al di sotto di quello che m'aveva così emozionato che avrei spaccato in due il mio violino e abbandonato per sempre la musica se mi fosse stato possibile privarmi delle gioie che mi procurava”

06/03/14

Johann Nepomuk Mälzel un illustre sconosciuto

Carissimi lettori del Trafiletto, oggi vi scriverò di un certo Johann Mepomuk Mälzel, (1772-1838), di professione inventore. Tedesco, nonché abile uomo d'affari e mediocre conoscitore della musica. 

A lui viene riconosciuto il merito di aver perfezionato e brevettato il Metronomo: strumento meccanico per la suddivisione in BPM (battiti per minuti) del tempo musicale. Il brevetto viene depositato e riconosciuto legalmente, perché il vero ideatore del metronomo, certo Dietrich Nikolaus Winkel, non si preoccupò di formalizzare e presentare a tempo debito il carteggio relativo per il riconoscimento e la tutela della sua idea.
metronomo meccanico a destra
elettronico a sinistra
A Mälzel va riconosciuto il merito di aver apportato la vantaggiosa modifica al metronomo dell’effetto sonoro, che scandisce il battito regolare per determinare la velocità di un tempo stabilito a priori. La possibilità di indicare la velocità di esecuzione di un brano riferendosi a dei parametri sufficientemente precisi e replicabili è sempre stata una necessità vitale per il musicista dall'avvento della musica mensurale. Modifica che molti musicisti del momento, primo fra tutti L.VBeethoven, apprezzeranno quale strumento didattico per lo studio compositivo delle loro opere. In tempi successivi lo strumento viene sempre più perfezionato, fino a giungere ai nostri giorni con una precisione da orologio svizzero al quarzo. 
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