Il-Trafiletto
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04/07/14

un addio allo scrittore-attore-cantante Giorgio Faletti

Lo scrittore e attore Giorgio Faletti, 63 anni, piemontese di Asti, è venuto a mancare questa mattina all'ospedale Molinette di Torino. E' stato stroncato da un male incurabile mentre era ricoverato nel reparto di Radioterapia dell’Ospedale torinese e da qualche tempo aveva disdetto tutti gli impegni di lavoro perché le sue condizioni di salute non gli permettevano di continuare. Nato artisticamente negli anni settanta come cabarettista nel locale milanese Derby, periodo d'oro durante il quale nel locale facevano le loro apparizioni artisti del calibro di Paolo Rossi, Diego Abatantuono e Massimo Boldi, Faletti si sposta poi negli anni ottanta in televisione a fianco di Raffaella Carrà, prima di approdare con successo alla trasmissione "Drive in" presentata da Gianfranco D'Angelo ed Ezio Greggio. Si affaccia diverse volte al festival di Sanremo come cantante e nel 1994 ebbe successo con la canzone "Signor Tenente" inspirata alla strage di Capaci e via d’Amelio. Anche il cinema ha visto la presenza di Giorgio Faletti in diversi film come "La notte prima degli esami", "Miracolo italiano", "Cemento armato" altri ancora. Ma il boom del successo Faletti l'ha avuto come scrittore. Nel 2002 uscì il suo primo romanzo "Io uccido", con oltre quattro milioni di copie vendute, e due anni dopo, nel 2004,il secondo romanzo "niente di vero tranne gli occhi" con tre milioni e mezzo di copie vendute. I funerali dell'attore-cantante-scrittore saranno celebrati martedì 8 luglio, alle 15, presso la Collegiata di San Secondo ad Asti, la sua città natale.

13/06/14

L'umorismo, irriducibile espressione dell'etica

Nel 1985, dopo aver scritto diversi libri per ragazzi, Daniel Pennac (pseudonimo di Daniel Pennacchioni) cominciava la sua serie forse più famosa, quella il cui protagonista è un capo espiatorio di “professione”: Benjamin Malaussène. Il primo capitolo di questa serie di libri è Il paradiso degli orchi ed è il libro di cui vi parlerò oggi.
Il paradiso degli orchi
Il paradiso degli
orchi

Siamo nella Parigi degli anni '80. Benjamin Malaussène è un capro espiatorio: un uomo pagato per prendersi la responsabilità di qualunque guasto di qualunque oggetto venduto ai Grandi Magazzini. Ogni volta che viene chiamato all'Ufficio Reclami deve ripetere la stessa partitura: impietosire a tal punto l'acquirente da costringerlo a ritirare il reclamo. Proprio dopo aver concluso una sua performance, nei Grandi Magazzini scoppia una bomba: un boato, delle urla, poi il silenzio. Una sola vittima: un uomo dilaniato, ritrovato con la patta aperta.


“In poesia i silenzi hanno lo stesso ruolo che in musica. Sono una respirazione, ma sono anche l'ombra delle parole, o il loro riflesso, dipende. Per non parlare dei silenzi annunciatori. Ci sono infiniti tipi di silenzi, Clara. Per esempio, prima che tu ti mettessi a recitare, stavi fotografando il gatto bianco sulla tomba di Victor Noir. Supponi che dopo che avrai recitato noi tacciamo. Sarà forse lo stesso silenzio?”

Daniel Pennac
Daniel Pennac

Il paradiso degli orchi è un esile libricino, ma talmente pregno di dissacrante e allucinatoria ironia da finire troppo presto. La cosa che sorprende è che sotto l'ironia pungente e la disastrosa realtà, si nasconda anche un giallo davvero niente male.

Se poi al giallo si aggiunge la straordinaria capacità di Pennac di creare personaggi così semplici e allo stesso tempo reali e concreti, si ottiene un libro davvero riuscito. Un giallo anomalo, con un protagonista dal lavoro inimmaginabile. Un intreccio tra personaggi e vite davvero ben costruito. Ma in tutto questo dissacrante umorismo c'è una saggezza di fondo.


“Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento, un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento specifico. Un momento che non sia occupato né dal lavoro, né dal mangiare, né dalla digestione, un momento perfettamente libero, una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l'ampiezza del disastro.”

Il paradiso degli
orchi (film)

Va detto che Pennac non è un autore adatto a tutti i palati. E' come una pietanza dal sapore insolito: c'è chi a piace al primo boccone, a chi piace solo dopo diversi assaggi e a chi invece non piacerà mai. Non c'è niente di male in questo, come per ogni cosa ognuno ha i suoi gusti. Se non sapete che gusto ha per voi Pennac, allora cominciate da questo libro, è una buon punto di partenza. Se invece la lettura vi spaventa, vi posso rincuorare dicendovi che ne hanno fatto anche un film.





(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet, le informazioni riguardanti il libro e l'autore sono state prese dalla Wikipedia, le citazioni invece dal libro di cui il post stesso parla)

30/05/14

Alfred Douglas & Oscar Wilde


Oscar Wilde 1880 foto d'epoca

ALFRED DOUGLAS & OSCAR WILDE

Quando un amore diverso uccide

..cari amici del Trafiletto, perdonate la mia lunga e imperdonabile assenza, ma eccomi a voi con un altro breve scritto che avrebbe meritato una più lunga attenzione, ma faccio di necessità virtù:

Alfred Douglas  1892 foto d'epoca
È il 3 dicembre 1900, quando a Parigi uno scarno corteo si reca a piedi alla Chiesa di St. Germain des Près per una mesta e malinconica cerimonia che chiude con celato mormorio e velata clandestinità, l’esistenza di un uomo che più di ogni altro era stato la delizia, lo stupore e lo scandalo più deplorevole dell’Inghilterra vittoriana, la cui sorte può essere riassunta in una frase che lui stesso un giorno aveva pronunciato con tedioso e caustico snobismo: “Only the extraordinary survives”. – “solo lo straordinario sopravvive” – ed Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, (Dublino 1854 - Parigi 1900) è stato un uomo straordinario; discutibile finché si vuole, ma senz’altro straordinario: il debole vento della mediocrità non ha mai sfiorato la bella e imponente testa del romanziere, scrittore, poeta, critico d’arte e letteratura, dalla mente acuta e brillante, né quando, al tempo aureo dei suoi successi teatrali, portava i capelli lunghi e ondulati, e vestiva in modo del tutto originale, né dopo il doloroso intervallo del carcere di Reading che lo rende precocemente incanutito come un vecchio.

Un conversatore meraviglioso e inimitabile, uno scrittore di pregio che lambisce le vette del genio: Oscar Wilde è tutto questo e anche di più. L’uomo che ha impersonato l’anticonformismo più autentico e attuale del suo tempo nei confronti dell’ipocrisia aristocratica inglese, nonché della ricca borghesia la cui principale occupazione consisteva nello scimmiottare il palcoscenico intelligente. Wilde, delizioso insolente, desideroso di stupire e affascinare con ogni sua parola, compare nei salotti e nei ristoranti alla moda tenendo con disinvoltura fra le mani fiori di giglio, indossando camicie di seta e soprabiti di pelliccia da stupire, calandosi in una vera e propria campagna di autopromozione, nel ruolo dell’esteta raffinato.

Non erra chi lo trova artificioso e affettato, ma Wilde non è un uomo qualunque, la sua presenza non può passare inosservata: non si può ascoltarlo senza rimanerne incantati, nessun attore da palcoscenico riesce a parlare come Wilde parla nella vita quotidiana. Il suo grande successo arriva con la pubblicazione del romanzo “Il ritratto di Dorian Grey” nel 1891, lo stesso anno in cui il destino lo fa incrociare con quello che segnerà definitivamente il futuro percorso della sua vita: il ventunenne lord Alfred DouglasBosie per gli amici - , secondogenito  dell’ottavo marchese di Queensberry.

Bosie è un adolescente esile e delicato, con grandi occhi azzurri e capelli biondi, che si atteggia a poeta e aspira poi a emulare senza possibilità, quello che diventerà per sei anni, suo maestro e compagno intimo di vita. Wilde si sente subito attratto dalla femminea bellezza di quel giovane febo, nel quale vi trova il suo Dorian Grey, quale narciso inconsapevole che si contempla nello specchio dell’arte appagandosi del proprio capolavoro, senza presagire il dramma che inesorabile fato gli ha riservato: una lenta e progressiva distruzione fisica e spirituale causata da un amore impossibile agli occhi di una società intransigente, superficiale e bigotta; la vita come opera d’arte dunque: Oscar e il suo Bosie cominciano a frequentare con assiduità tutti i ritrovi della Londra elegante, sfidando apertamente il pettegolezzo che tramuterà in scandalo per omosessualità.

Tutto si svolge con incredibile rapidità, da sembrare un brutto sogno: primo, il biglietto insultante del padre di Bosie, su cui spicca la parola ‘Sodomite’, terribile e inaccettabile all’ipocrita e farisea società vittoriana; secondo, la folle querela per diffamazione di Wilde, al di là di ogni elementare prudenza; il processo non tarda a venire, con un Wilde certo del suo trionfo, tanto che decide di non avvalersi di nessuna difesa legale, prendendo il destino giudicante nelle sue stesse mani.

Processo che si conclude rapidamente per omosessualità, una condanna che lo porterà alla rovina economica e sociale; infine il carcere, prima a Wandsworth e poi a Reading per due lunghi anni, che lo segneranno irrimediabilmente nel corpo e nell’anima; In carcere scrive il ‘De Profundis’,  lettera biografica – che consiglio di leggere - del periodo vissuto col suo amato Bosie, dove non risparmia nulla sia a se stesso, sia al suo giovane amico, accusandolo amorevolmente di un comportamento spregiudicato ed egoista, ritenendolo il principale responsabile della sua ineluttabile disfatta fisica, morale e sociale; Esce dal carcere il 19 maggio 1897, e non riconosce più il brillante ed elegantissimo dandy che aveva affascinato le platee della cultura mittel-europea, non riconosce neppure più Oscar Wilde, colui che un giorno si autodefinì ‘lo straordinario che sopravvive’.

In esilio per tre anni  si fa chiamare Sebastian Melmoth, e indossa abiti a buon mercato, su un corpo in disfacimento simile a quello del suo Dorian Grey, contemplato una notte nel ritratto fatale; Abita in due miserabili stanzette all’Hotel d’Alsace, a Parigi, in Rue des Beaux Arts, indirizzo che fatalmente riflette il bello della sua arte, lo stesso dove lo coglie la morte il 30 novembre 1900. Oscar Wilde, genio e sregolatezza insieme, colpevole di aver vissuto secondo i propri principi, di aver sfidato con la sola bellezza intellettuale i dogmi severi di una società schematizzata e bacchettona, di aver voluto bene soltanto a una donna, la stessa che gli aveva donato due figli, ma di aver amato con delicata e tenera passione un’altra bellezza allora proibita, illegale, che ineluttabilmente lo porta alla morte: Un illustro sconosciuto lord Alfred Bruce Douglas (Worchestershire 1870 - Lancing 1945), poeta e scrittore. Lascia un libro soltanto: ‘Io e Oscar Wilde’.

...l'amore è di gran lunga superiore all'arte...O.Wilde
...l'amore è il primo capolavoro d'arte appeso al cielo della poesia...S.Dellestelle

06/02/14

7 febbraio 2014 | Compleanno centenario per l’icona “Charlot”

Il mitico personaggio di “Charlot” ( al secolo Charles Spencer Chaplin, nato a Londra il 16 aprile 1989) fa la sua prima comparsa sullo schermo il 7 febbraio 1914, fermamente deciso a restarvi mentre altri vorrebbero cacciarlo via. Chaplin è al suo secondo cortometraggio (dopo Per guadagnarsi la vita, di appena cinque giorni precedente, dove impersona un giornalista), intitolato "Kid Auto Races at Venice", e ha già l'aspetto caratteristico di Charlot mentre, con impertinenza, cerca di imporre la sua presenza alla cinepresa malgrado la troupe, di cui ostacola il lavoro, lo cacci dall'inquadratura a spinte, strattoni, perfino calci. Da allora sono passati esattamente cent'anni e Charlot si è consolidato come l'icona più celebre del cinema di sempre. Negli anni seguenti Charlot impersonò una miriade di personaggi: cameriere, ballerino di tango, pugile, pittore, facchino, panettiere, gagà, innamorato e quant'altro. E ancora, diventato ormai un beniamino del pubblico, sarebbe stato marinaio, pompiere, pattinatore, usuraio, evaso, emigrante; avrebbe interpretato parodie (Carmen); ma soprattutto avrebbe affermato la figura, fiera e patetica, stracciona e dignitosa del Vagabondo. Il periodo d’oro per Charles Chaplin, e naturalmente per Charlot, iniziò nel 1918, con i grandi film quali “vita da cani”, “Charlot soldato” e altri. Il 5 febbraio 1919 il comico londinese fondò una casa cinematografica, la United Artists, e con lei scrisse, diresse e interpretò tutti i suoi capolavori fino al 1952: “La febbre dell’oro”, “Luci della città”, “Tempi moderni”. E’ con quest’ultimo che è iniziata la crisi del popolare Charlot, che venne travolto dalla devastante introduzione del sonoro. Che voce si poteva dare, infatti, a un personaggio schematico, quasi immaginario come il Vagabondo? Infiniti sono stati gli imitatori, contemporanei e successivi, dichiarati o inconfessati, del Vagabondo, la lista sarebbe troppo lunga da scrivere. Nel 1948 Chaplin scrisse un romanzo intitolato Footlight, che gli diede lo spunto per il primo e unico film ispirato da un libro: “ Luci della ribalta”.
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