Il-Trafiletto
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03/10/14

La dicotomia della natura umana

La cara vecchia Londra di fine ottocento ha ancora molto da raccontarci e molto da insegnarci attraverso gli autori che camminarono per le sue vie e che, tra quelle stesse strade, ambientarono i loro libri. Ad accompagnarci oggi tra le nebbie londinesi due famosi personaggi, nati da un sogno e ripresi sovente in altre opere, ma nati dall'eccezionale mano di Robert Louis Stevenson. Il libro di oggi, come avrete sicuramente già capito, è proprio Lo strano caso del Dr Jekyll e di Mr Hyde.

“Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m'ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l'uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.”
Lo strano caso del
dottor Jekyll e del
signor Hyde

Il Dottor Jekyll è un medico dedito agli studi sulla psiche umana e sulla morale degli individui. Nella convinzione che ogni individuo possieda al proprio interno due entità distinte, decide di creare una pozione in grado di far emergere questo io nascosto. Da questa pozione testata sulla propria persona il Dottor Jekyll libererà Mr. Edward Hyde, una creatura completamente diversa da quella del dottore, votata al male e all'omicidio.

“Dalla mutevole inconsistenza delle nebbie che si erano troppo a lungo beffate di lui, guizzava fuori all’improvviso il presentimento inequivocabile di un demonio.” 

Iniziamo col dire che, nella traduzione italiana, questo libro ha cambiato molte volte titolo, talvolta simile a quello originale, talvolta completamente diverso. Quello che però non è mai cambiata è la sostanza del romanzo più importante di Stevenson, considerato uno dei più grandi classici della letteratura fantastica.

Come Wilde, anche Stevenson si sofferma sulla duplice natura degli esseri umani, composta da due forse distinte e contrapposte. In questo romanzo le due forze sono rappresentate dal Dottor Jekyll e da Mr Hyde. Se Jekyll è la coscienza morale, la bontà e la legge, Hyde è l'altra faccia della medaglia, fatta di malvagità senza coscienza, di bassezza e crudeltà senza limite.

“Pensavo che se ognuno di questi avesse potuto essere confinato in un’entità separata, allora la vita stessa avrebbe potuto sgravarsi di tutto ciò che è insopportabile: l’ingiusto avrebbe potuto seguire la propria strada di nequizie, svincolato dalle aspirazioni e dalle pastoie del virtuoso gemello; al giusto sarebbe stato dato altresì di procedere spedito e sicuro nel suo nobile intento, compiendo quelle buone azioni che lo avessero gratificato, senza essere più esposto alla gogna e al vituperio di un sordido compagno a lui estraneo. Era una maledizione del genere umano che questo eteroclito guazzabuglio dovesse così tenacemente tenersi avviluppato... che fin nel grembo tormentoso della coscienza questi gemelli antitetici dovessero essere in perenne tenzone. Come fare, allora, a separarli?”

Dal buon proposito del dottor Jekyll ne scaturiscono conseguenze inaudite che lo porteranno ad un'inevitabile fine. Una volta infatti che questo lato oscuro della natura umana viene allo scoperto, sembra non voler più tornare al proprio posto, vincolato e controllato dalla coscienza dominante.

Nelle rappresentazioni cinematografiche, così come nei fumetti, la maggior parte delle volte Mr Hyde viene rappresentato come un gigante, una creatura enorme e fortissima. Una scelta comprensibile dal punto di vista scenica, ma completamente sbagliata dal punto di vista letterario in quanto stravolge il significato che Stevenson voleva comunicare.
Robert Louis Stevenson

Per anni Jekyll aveva vissuto la propria vita seguendo la propria coscienza e la propria natura benevola, così che la natura di Hyde non era mai riuscita a crescere e svilupparsi appieno. Ecco dunque perché all'alta e prestante figura del dottore è contrapposta la piccola e contorta figura di Hyde. Una dualità insita in ogni essere umano: dove una metà cresce e matura, l'altra vive nell'ombra senza possibilità di vedere mai la luce.

“Il lato perverso della mia natura, era meno sviluppato del lato buono di cui m'ero spogliato; e con questo si spiega il fatto che Edward Hyde era tanto più basso e giovane di Henry Jekyll. Come la bontà splendeva nell'aspetto dell'uno, così la depravazione era scritta sul volto dell'altro. Il male (che credo sia la parte mortale dell'uomo) lasciava su quel corpo un'impronta di deformità e di decadenza. Eppure, guardando quella brutta immagine allo specchio, non provavo alcuna ripugnanza, ma un moto di soddisfazione. Anche questo ero io.”

Un romanzo dunque dalle tinte noir, gialle con contaminazioni di mistero e terrore dove Stevenson sviscera il difficile argomento del Bene e il Male.

(Le immagini presenti in questo posto sono state prese da internet, le informazioni generali del libro sono state prese dalla Wikipedia)

13/06/14

L'umorismo, irriducibile espressione dell'etica

Nel 1985, dopo aver scritto diversi libri per ragazzi, Daniel Pennac (pseudonimo di Daniel Pennacchioni) cominciava la sua serie forse più famosa, quella il cui protagonista è un capo espiatorio di “professione”: Benjamin Malaussène. Il primo capitolo di questa serie di libri è Il paradiso degli orchi ed è il libro di cui vi parlerò oggi.
Il paradiso degli orchi
Il paradiso degli
orchi

Siamo nella Parigi degli anni '80. Benjamin Malaussène è un capro espiatorio: un uomo pagato per prendersi la responsabilità di qualunque guasto di qualunque oggetto venduto ai Grandi Magazzini. Ogni volta che viene chiamato all'Ufficio Reclami deve ripetere la stessa partitura: impietosire a tal punto l'acquirente da costringerlo a ritirare il reclamo. Proprio dopo aver concluso una sua performance, nei Grandi Magazzini scoppia una bomba: un boato, delle urla, poi il silenzio. Una sola vittima: un uomo dilaniato, ritrovato con la patta aperta.


“In poesia i silenzi hanno lo stesso ruolo che in musica. Sono una respirazione, ma sono anche l'ombra delle parole, o il loro riflesso, dipende. Per non parlare dei silenzi annunciatori. Ci sono infiniti tipi di silenzi, Clara. Per esempio, prima che tu ti mettessi a recitare, stavi fotografando il gatto bianco sulla tomba di Victor Noir. Supponi che dopo che avrai recitato noi tacciamo. Sarà forse lo stesso silenzio?”

Daniel Pennac
Daniel Pennac

Il paradiso degli orchi è un esile libricino, ma talmente pregno di dissacrante e allucinatoria ironia da finire troppo presto. La cosa che sorprende è che sotto l'ironia pungente e la disastrosa realtà, si nasconda anche un giallo davvero niente male.

Se poi al giallo si aggiunge la straordinaria capacità di Pennac di creare personaggi così semplici e allo stesso tempo reali e concreti, si ottiene un libro davvero riuscito. Un giallo anomalo, con un protagonista dal lavoro inimmaginabile. Un intreccio tra personaggi e vite davvero ben costruito. Ma in tutto questo dissacrante umorismo c'è una saggezza di fondo.


“Gli orari della vita dovrebbero prevedere un momento, un momento preciso della giornata, in cui ci si potrebbe impietosire sulla propria sorte. Un momento specifico. Un momento che non sia occupato né dal lavoro, né dal mangiare, né dalla digestione, un momento perfettamente libero, una spiaggia deserta in cui si potrebbe starsene tranquilli a misurare l'ampiezza del disastro.”

Il paradiso degli
orchi (film)

Va detto che Pennac non è un autore adatto a tutti i palati. E' come una pietanza dal sapore insolito: c'è chi a piace al primo boccone, a chi piace solo dopo diversi assaggi e a chi invece non piacerà mai. Non c'è niente di male in questo, come per ogni cosa ognuno ha i suoi gusti. Se non sapete che gusto ha per voi Pennac, allora cominciate da questo libro, è una buon punto di partenza. Se invece la lettura vi spaventa, vi posso rincuorare dicendovi che ne hanno fatto anche un film.





(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet, le informazioni riguardanti il libro e l'autore sono state prese dalla Wikipedia, le citazioni invece dal libro di cui il post stesso parla)

04/02/14

Cinico, ironico e mordace: l'investigatore degli investigatori

Erano pressapoco le undici del mattino, mezzo ottobre, sole velato, e una minaccia di pioggia torrenziale sospesa nella limpidezza eccessiva là sulle colline. Portavo un completo blu polvere...

Chi di voi non ha mia visto un film in bianco e nero? Magari passandoci per caso, facendo zapping tra una pubblicità e l'altra, o magari perché appassionato del genere.
Le caratteristiche di questi film, soprattutto quelli ambientati nelle grandi città degli anni '30 e '40, sono le donne bellissime ed enigmatiche, sempre perfette nei loro abiti attillati, i cui sguardi languidi ammaliavano qualunque uomo. E poi? Protagonisti maschili forti, decisi, virili e incorruttibili. Ma anche gangster, alcool, bische clandestine, scazzottate e pistole. Tutte cose che nei film di oggi non ci sono più.
Il grande sonno (film)

Per i libri vale lo stesso discorso. I noir, i gialli, i polizieschi e i thriller con il tempo si sono evoluti, adattandosi al tempo in cui venivano scritti. Evoluzione naturale e necessaria di qualunque cosa a questo mondo.

Torniamo alla prima frase che avete letto, ed immaginate che a parlare sia un investigatore privato cinico, ironico, quasi corrosivo, irrispettoso e mordace nelle sue battute sempre pronte, anche nei momenti che sembrano meno opportuni, quasi diabolico nel suo non lasciarsi mai mettere i piedi in testa da nessuno, che si tratti di polizia, uomini ricchi o spietati gangster. Se vi è più semplice, immaginatelo con il volto di Humphrey Bogart.

Bene, l'uomo che avete davanti è l'investigatore privato Philip Marlowe. Ai molti non dirà nulla, altri invece diranno “Certo che lo conosco! Era ora che qualcuno ne parlasse!, ma procediamo con ordine. Il libro di cui vi parlerò oggi si intitola Il grande sonno scritto da Raymond Chandler.

Il grande sonno è il primo romanzo di Chandler in cui compare l'investigatore Philip Marlowe. In questo romanzo il nostro investigatore viene chiamato alla villa dell'anziano e ricchissimo Generale Sternwood, arricchitosi grazie a dei pozzi petroliferi situati fuori Los Angeles. Il Generale vuole che Marlowe indaghi su un biglietto ricattatorio inviatogli da un certo Arthur Gwynn Geiger, titolare di una libreria specializzata in volumi antichi e rari. Ben presto però Marlowe si rende conto che le cose sono ben più complicate di quanto sembrino, soprattutto quando finisce per conoscere le figlie del Generele: Vivian e Carmen.

Il grande sonno
Quando ho cominciato a scrivere, il massimo che mi proponevo era giocare come mezzo di espressione capace di restare a un livello non intellettuale e di acquistare tuttavia il potere di comunicare un certo numero di informazioni di solito somministrate in tono letterario. Il tipo di storia da scrivere in realtà non m'importava: ho scritto una storia melodrammatica perché, guardandomi intorno, era l'unica forma di narrativa relativamente onesta e non rischiava di pestare i piedi a nessuno.”

A parlare è Chandler in risposta all'interesse che cominciarono a suscitare i suoi libri e il suo investigatore. Parlo di interesse perché Chandler non divenne mai effettivamente famoso né in patria né tanto meno all'estero. Tuttavia a lui va reso il merito di aver tolto il poliziesco inglese dal suo curato e perfetto prato verdeggiante, per buttarlo in mezzo alla strada tra la gente comune.
A Chandler va inoltre riconosciuto il fatto di aver perfezionato lo stile hard boiled, un sotto-genere del poliziesco che si distingue dal giallo prettamente deduttivo per la sua rappresentazione realistica del crimine ed in genere di tutte le vicende narrate.

Leggendo Il grande sonno lo si capisce subito. Scritto in modo di per se semplice e diretto, non usa giri di parole o termini infiorettati, no, usa lo slang del tempo, quello che si sarebbe potuto sentire se avessimo vissuto in quel tempo, tra le strade di Los Angeles, stando alle costole di Marlowe.
Sulla storia in sé di cui Il grande sonno si compone, non c'è molto da dire, un noir ben articolato e avvincente, pare proprio di veder scorrere la pellicola di un film in bianco e nero. Quello che realmente colpisce di questo libro è il protagonista: Philip Marlowe.
Raymond Chandler

Cos'ha di particolare? La sua straordinaria realtà, la sua concretezza nel suo essere un paladino imperfetto della difesa del bene contro il male. Un disilluso uomo onesto, intestardito nell'andare avanti sempre e comunque nella sua convinzione di una concreta distinzione tra il bene e il male e nella scelta di compiere il bene piuttosto che il male. Si finisce con l'affezionarsi subito ad un personaggio simile, sorridendo alle sue battute pungenti e a quel suo senso della correttezza che a ben pensarci solo una creatura di cellulosa può avere.

Se ricordate, all'inizio vi dissi di immaginare Marlowe con il volto di Humphrey Bogart. Non è stata una scelta casuale la mia, in quanto dal libro di Chandler è stato tratto un film dove, ad interpretare l'investigatore, è proprio Bogart. L'investigatore, stereotipo di tutti gli investigatori privati venuti dopo, è stato anche di ispirazione per un personaggio di cellulosa tutto italiano. Tiziano Sclavi, per il suo famoso Dylan Dog, si ispirò infatti proprio Marlowe, e non solo, se ci fate caso, alcuni titoli degli albi di Dylan Dog sono gli stessi dei romanzi di Chandler.

Con simili premesse, non vi è venuta una gran voglia di conoscerlo questo Philip Marlowe?

Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di essere morti male, di essere caduti nel letame. Quanto a me, ne condividevo una parte pure io, di quel letame, ora.
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