Il-Trafiletto
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17/10/14

Il giudice si dimette dalla magistratura | Presiedeva il collegio nel caso Ruby

Non era mai accaduto prima. Con un gesto unico nella storia giudiziaria, un giudice si dimette e si toglie la toga per protesta che svela il suo dissenso all'assoluzione dell'imputato nel caso Ruby




Enrico Tranfa, il presidente del collegio della Corte d’Appello di Milano nel processo Ruby, si è tolto la toga e si è dimesso non dal collegio, non dalla seconda sezione della Corte d’Appello di Milano che presiede: dopo 39 anni in toga, ha scelto di andare in pensione con 15 mesi di anticipo sul previsto. Un gesto di protesta muto, non accompagnato da alcuna spiegazione formale al Csm e agli uffici giudiziari, ha firmato le 330 pagine della motivazioni della sentenza d’appello Berlusconi-Ruby, che assolve l’ex presidente, si è tolto la toga e si è dimesso.

Ruby
Il confronto con i colleghi Ketty Locurto e Alberto Puccinelli, componenti della camera di consiglio che 18 luglio scorso ha assolto l'ex presidente, sembra avere raggiunto per Tranfa livelli che deve aver giudicato incompatibili finanche con la possibilità di continuare ad amministrare la giustizia, a pronunciare sentenze e a celebrare processi a imputati comuni usando lo stesso metro di valutazione e il medesimo standard probatorio utilizzati per analizzare le prove a favore o contro l’ex premier, e per infine assolverlo.


10/06/14

Roma | Processo baby-squillo Parioli. Chiesti 16 anni per l'ideatore del "giro", Mirko Ieni e 6 anni per la mamma di una delle ragazze.

Vi ricordate lo scandalo delle baby-squillo dei Parioli, a Roma? Era l'ottobre del 2013 quando venne alla luce un giro di ragazzine squillo e i carabinieri del nucleo investigativo di Roma arrestarono quattro clienti e la mamma di una baby, quest'ultima perchè secondo la procura, induceva la propria figlia a prostituirsi. La Procura di Roma, a nome del procuratore aggiunto Maria Monteleone,del Pubblico Ministero Cristiana Macchiusi nell'udienza con rito abbreviato davanti al giudice Costantino De Robbio, ha richiesto la condanna a sedici anni e mezzo di reclusione per Mirko Ieni, l'uomo che si ritiene sia l'artefice del giro di prostituzione scoperto e che viene definito "soggetto dalla capacità criminale pericolosa,che non esitava a dare droga e a far prostituire donne con le quali aveva a che fare". L'accusa ha chiesto anche sei anni di reclusione per la mamma di una baby-squillo, accusata di sfruttamento della prostituzione, mentre otto mesi sono stati chiesti per un cliente, Gianluca Sammarone. Altre persone sono imputate in questo processo, vale a dire Nunzio Pizzacalla, caporalmaggiore dell’Esercito, Riccardo Sbarra, Mario Michael De Quattro, Marco Galluzzo e Francesco Ferraro. Per uno di questi, Mario Michael De Quattro, pende una imputazione per tentata estorsione, per aver chiesto a una delle ragazze la somma di 1.500 euro minacciandola di diffondere un video che la riprendeva durante un rapporto.Sono stati chiesti inoltre quattro anni di reclusione, più tremila euro di multa, per l'imprenditore Marco Galluzzo, accusato di aver ceduto cocaina in cambio di prestazioni sessuali. La sentenza del processo potrebbe essere emessa in giornata. (Nella foto, presa dal web, l'imputato Mirko Ieni)

28/04/14

Separazione e divorzio: presto una legge che ne accorcia i tempi e riduce la burocrazia.

La Commissione Giustizia della Camera ha dato il via libera al testo base riguardante il divorzio breve, con le novità che vanno a modificare l'Art. 3 della legge n. 898/70 sul divorzio. I tempi di approvazione saranno decisamente più brevi (basterà un anno di separazione contro gli attuali tre), e renderanno più semplice l'iter per lo scioglimento del vincolo matrimoniale. Inoltre,in caso di addio consensuale non sarà più necessario per i coniugi presentarsi davanti ad un giudice, ma sarà sufficiente un accordo coi rispettivi avvocati. Ecco le novità previste per il 2014, compresi i "paletti" posti dalla giurisprudenza sui rapporti economici post-matrimoniali. 1 - E’ SUFFICIENTE UN ANNO di separazione, rispetto agli attuali tre, per avere la possibilità di divorziare. I nuovi termini decorrono dal deposito della domanda di separazione e non, come accade ora, dalla comparizione dei coniugi di fronte al presidente del tribunale nella procedura di separazione. 2 - NIENTE PIU' GIUDICE. la coppia che sceglie di dirsi addio in modo consensuale non ha l'obbligo di presentarsi davanti a un giudice, tutto si risolverà con un accordo tra i coniugi assistiti dai rispettivi avvocati. Il tutto rientra in un necessario piano di semplificazione delle procedure: le cause pendenti che ingolfano i tribunali verranno risolte con procedure alternative o trasferite in una sede arbitrale. Vi rientrano le separazioni e i divorzi (ma non il lavoro, la previdenza e l'assistenza). 3 - L'ASSEGNO DOPO IL DIVORZIO. Spetta al coniuge malato e non idoneo al lavoro l'assegno divorzile anche in caso di oggettivo ed evidente sproporzione fra i redditi dei due ex coniugi. Inoltre l’assegno può aumentare solo ed esclusivamente se il mutamento delle condizioni dell'ex coniuge è tale da cambiarne radicalmente l'assetto patrimoniale. 4 - LA PENSIONE DI REVERSIBILITA'. Va considerata la data di separazione e la convivenza prematrimoniale della superstite con il defunto. A incidere sul calcolo, oltre alla durata dei matrimoni, è ovviamente anche la presenza di figli con la divorziata, nonchè l'eventuale assistenza fino alla morte prestata dalla seconda consorte. 5 - L'EREDITA'. Alla morte dell'ex coniuge, l'assegno a carico dell'eredità (a cui può aver diritto il divorziato) va quantificato in base a diversi fattori: misura dell'assegno di divorzio, entità del bisogno, eventuale pensione di reversibilità, sostanze ereditarie, numero e qualità degli eredi e rispettive condizioni economiche. 6 - IL TFR. Al coniuge divorziato cui viene riconosciuto l'assegno, e che non si sia risposato, spetta una quota del Tfr maturato dall'ex. Quota calcolata solo sulla somma corrisposta al lavoratore dopo la sentenza di divorzio. "Ci auguriamo - ha detto la relatrice del ddl Alessandra Moretti (Pd) - che il percorso di questa legge, per troppe volte rimandata nelle scorse legislature, possa essere rapido, anche grazie all'accordo preso dai presidenti di Camera e Senato che hanno previsto tempi stretti per la calendarizzazione del provvedimento".

28/03/14

Usa | Innocente condannato a morte nel 1985, torna libero dopo quasi trenta anni.

Ha trascorso la bellezza (si fa per dire ) di 25 anni nel braccio della morte. Ora per Glenn Ford, afroamericano, detenuto dal dal marzo del 1985 nel Penitenziario di stato della Louisiana, si aprono definitivamente le porte del carcere e torna ad essere un uomo libero, grazie ad un giudice della Corte distrettuale della Louisiana. Ford, 64 anni, 30 dei quali passati da recluso, era stato accusato di omicidio di primo grado e condannato a morte per l’uccisione del gioielliere Isadore Rozeman, avvenuta il 5 novembre 1983 in seguito ad una rapina. Per la giuria dell'epoca, formata di soli uomini bianchi che lo condannò, Ford era colpevole oltre ogni ragionevole dubbio ma per il giudice, che ha accolto la mozione avanzata dai pubblici ministeri affinché l’uomo fosse scagionato, si è invece trattato di un terribile errore. “Glenn Ford non avrebbe nemmeno mai dovuto essere arrestato”, ha dichiarato il giudice, “non ha partecipato e non era nemmeno presente durante la rapina”. “ E' una bella sensazione - dice Glenn a chi gli chiede come si sente - Il mio cervello vaga in tutte le direzioni, mi sento bene”.E' uno dei più longevi condannati a morte nella storia americana moderna. Per la legge dallo Stato della Louisiana, Glenn otterrà un risarcimento economico (25 mila dollari per ogni anno di detenzione illecita fino ad un massimo di 250.000 dollari, più altri 80.000 per la perdita della ‘opportunità di vita’), ma nessuno potrà mai restituirgli il tempo rubato. “Non posso tornare indietro e fare le cose che avrei dovuto fare quando avevo 35, 38 o 40 anni”, ha commentato con rammarico Ford, “i miei figli, quando li ho lasciati, erano bambini. Ora sono uomini che hanno dei bambini”. Duro anche il commento Amnesty International Usa, secondo cui “Glenn Ford è la prova vivente di quanto sia viziato il nostro sistema giudiziario”.

23/01/14

Totò Riina ne ha per tutti, anche per Barbara Berlusconi definendola “Potentosa come suo padre

Nelle intercettazioni, durante l'ora d'aria di Totò Riina mentre parla con Lorusso, suo compagno di detenzione, Riina parla anche di Barbara Berlusconi: “Potentosa come suo padre” Nuova puntata delle conversazioni con Lorusso intercettate nel carcere di Opera. Il capo dei capi ironizza sulla Minetti e sul Cavaliere, ma parla anche di Andreotti - "persona seria" - e dell'omicidio Dalla Chiesa: "Eravamo pronti a dargli il benvenuto". 

 

Questa volta Totò Riina dice la sua su Barbara Berlusconi, figlia di Silvio: “Min… Barbarella, Barbaretta, sta Barbarella è potentosa come suo padre, perché si è messa sotto quello lì… Lui era un potente giocatore e non ha potuto giocare più, lui dice che vuole venire di nuovo”. Parole che il boss di Cosa nostra ha pronunciato il 18 settembre scorso durante l’ora d’aria nel carcere di Opera (Milano) in compagnia del solito compagno di detenzione Alberto Lorusso.

 La conversazione ha poi toccato altri argomenti collaterali: Nicole Minetti, Ruby “la nipote di Mubarak”, la ventilata candidatura di Silvio Berlusconi in Lettonia alle Europee… E, in altre giornate, Giulio Andreotti e l’omicidio Dalla Chiesa. Tutto captato dai microfoni nascosti della Dia e depositato agli atti del processo sulla trattativa Stato-Mafia in corso a Palermo, come altre conversazioni rese note nei giorni scorsi, comprese quelle contenenti le minacce al pm Nino Di Matteo, che rappresenta l’accusa in quel processo. Riina e Lorusso, in particolare, si chiedono se Berlusconi, ancora leader del Pdl e alleato di Letta, voglia fare cadere l’esecutivo. “Stasera c’è la votazione – dice Lorusso – Il Governo lui non lo farà cadere, non gli conviene fare cadere il Governo”: E Riina: “No, no. Cornuti sono chi sale al Governo. Lo sai com’è”. A questo punto Lorusso parla della possibile candidatura di Berlusconi in Lettonia: “Forse si candida là”. E Riina: “Va là a ‘cafuddare’“. Gli inquirenti hanno tradotto questo termine “nel senso di fare sesso”. E’ Lorusso a spiegare che “Berlusconi è conosciuto dappertutto, sono vent’anni che tutte le televisioni parlano di lui. In tutto il mondo parlano di lui”. Poi i due citano anche Nicole Minetti, l’ex consigliera regionale lombarda: “L’ha fatta assessore (in realtà era stata eletta in consiglio regionale nel listino bloccato, ndr) a 12.000 euro al mese, perché faceva l’assessore? Perche sapeva parlare la lingua inglese”. E Riina ride. Fino a parlare anche di Mubarak e di Ruby Rubacuori, definita “nipote di Mubarak”. “Che figlio di … – dice Riina – le vede che figlio…”. E continua a ridere. Ce n’è anche per Giulio Andreotti, il potente leader democristiano scomparso l’anno scorso. “Andreotti, quello è stato una persona seria, a livello mondiale. Figlio di put…, che persona seria, eh? Chiesa e casa, casa e chiesa. Questo qua era un burattinaio, che cavolo di burattinaio…”, dice Riina a Lorusso il 31 ottobre 2013. Pezzi di storia italiana, filtrati dalla logica del “capo dei capi” che nei primi anni Ottanta portò i “viddani” corleonesi alla conquista di Cosa nostra. “Quando ho sentito alla televisione che il generale Dalla Chiesa era stato promosso prefetto di Palermo per distruggere la mafia ho detto: ‘prepariamoci’. Mettiamo tutti i ferramenti a posto, tutte le cose pronte per dargli il benvenuto”. E ancora: “Lui gli sembrava che veniva a trovare qua i terroristi. Gli ho detto: ‘qua il culo glielo facciamo a cappello di prete”. I due poi si dilungano in considerazioni sull’assassinio del generale, il 3 settembre 1982 a Palermo. Riina poi ironizza sulle tesi che vedono dietro al delitto Dalla Chiesa il coinvolgimento di soggetti estranei a Cosa nostra: “Loro (i figli del generale, ndr) sono convinti che a uccidere il padre fu lo Stato. Ma c’è solo un uomo e basta. Ha avuto la punizione di un uomo che non ne nasceranno più”.

09/11/13

«Particolarmente vistosa e inopportuna»: Ma nessun trasferimento al giudice Esposito

«Particolarmente vistosa e inopportuna» e anche «intempestiva». Il plenum all’unanimità, archivia il fascicolo sul giudice.
L’intervista del giudice Antonio Esposito al Mattino di Napoli, a pochi giorni dalla condanna definitiva di Silvio Berlusconi per frode fiscale e prima che fossero depositate le motivazioni di quella sentenza, è stata «particolarmente vistosa e inopportuna» e anche «intempestiva». Ma sarebbe «irragionevole» far derivare da «un unico e, a quanto risulta, isolato episodio di esternazione, per quanta risonanza possa aver prodotto», la misura «estrema e seria» del trasferimento d’ufficio per incompatibilità del magistrato.

giudice Esposito
È per questo che la Prima Commissione del Csm ha proposto al plenum all’unanimità di archiviare il fascicolo sul giudice, presidente del collegio che in Cassazione ha condannato il Cavaliere a quattro anni di reclusione (tre coperti dall’indulto) e che in pieno agosto era finito nella bufera per quell’intervista il cui concetto chiave era che il leader del Pdl era stato giudicato colpevole non perché non poteva non sapere, ma perché sapeva. Un’intervista peraltro contestata dallo stesso Esposito che aveva accusato il quotidiano di averne manipolato il testo.
Polemico con Palazzo dei marescialli il Pdl. «La decisione del Csm su Esposito? Scontata, non avevamo alcun dubbio. Ai giudici tutto è permesso. Sono loro la vera casta...», commenta Renato Brunetta. Raffaele Fitto parla di solita decisione salomonica e aggiunge: «mi chiedo in quale Paese c’è un magistrato che anticipa ai giornali i contenuti di una sentenza». «Il Csm riconosce che il giudice Antonio Esposito ha sbagliato ma decide di insabbiare tutto e di non punirlo. Ancora una volta la casta in toga si autoassolve in modo vergognoso», lamenta Luca D’Alessandro, mentre per Jole Santelli il Csm si è limitato a dare ad Esposito solo un «buffetto sulla guancia».
Il vice presidente del Csm Michele Vietti reagisce ricordando che il presidente della Prima Commissione è il laico del Pdl Annibale Marini, che non appartiene alla «casta dei magistrati», e spiegando che la Commissione «ha lasciato aperta la questione disciplinare che compete all’iniziativa del pg della Cassazione ed al ministro della Giustizia. Se uno dei due riterrà di esercitare l’azione disciplinare il Csm farà il suo mestiere».
                                                                                                                                                          fonte

24/10/13

La famiglia "Marzotto" e Donà delle Rose patteggiano una pena di sei mesi

La famiglia "Marzotto" e Donà delle Rose patteggiano, convertendo sei mesi di pena in una sanzione pecuniaria di 20.500€ procapite, per un totale di 164mila euro.
Durante la vendita  di "Valentino" al fondo Permira, le famiglie della moda, soci di maggioranza, erano stati accusati di aver evaso tasse per 71milioni di euro.

Valentino
Secondo l'accusa gli indagati avrebbero violato l'articolo 5 della legge 74/2000, non avrebbero pagato le tasse sulla plusvalenza realizzata dalla vendita delle loro quote del gruppo della moda al fondo Permira, in Italia. Stando ai calcoli effettuati dalla Agenzia delle Entrate l'imposta evasa, su una plusvalenza di circa 200 milioni di euro, ammonterebbe a 71 milioni di euro. Dei 13 indagati, gli altri cinque sono stati mandati a processo con citazione diretta. Gli otto indagati avevano trovato un accordo con la Procura di Milano per patteggiare una pena a sei mesi da convertire in sanzione pecuniaria. Oggi il giudice ha ratificato l'accordo tra i difensori e il Pm Laura Pedio, titolare dell'inchiesta insieme a Gaetano Ruta, stabilendo che il patteggiamento è al pagamento di 20.500 euro per ogni indagato. Nel corso dell'inchiesta, era stata fatta una stima iniziale dell'imposta evasa pari a 65 milioni di euro e nel novembre 2012 ai 13 indagati erano stati sequestrati beni di pari ammontare, tra cui una villa di 25 vani a Cortina d'Ampezzo (BL), case a Milano e Roma e un castello a Tressino.

L'ipotesi formulata dai Pm di Milano è che quando Valentino Fashion Group fu venduta al fondo Permira, i proprietari della maggioranza relativa, appartenenti alle famiglie Marzotto e Donà dalle Rose, hanno prima venduto le loro quote alla Icg, che ha sede in Lussemburgo e di cui sono comunque sempre proprietari, e poi attraverso la Icg hanno concluso l'operazione con il fondo. L'operazione per i magistrati ha fruttato una plusvalenza di 200 milioni di euro, non dichiarati in Italia, in quanto la venditrice finale è stata una società lussemburghese: i magistrati ipotizzano che si sia trattato di una esterovestizione, che ha avuto come effetto quello di non pagare le tasse in italia, come detto per 71 milioni di euro.

Vittorio Marzotto, in qualità di legale rappresentante della Icg, ha chiuso la questione con l'Agenzia delle Entrate, versando al Fisco circa 57 milioni di euro. Resta ora da fissare la data per l'inizio del processo per i cinque che sono stati mandati a giudizio con citazione diretta.
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