Il-Trafiletto
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28/03/14

Usa | Innocente condannato a morte nel 1985, torna libero dopo quasi trenta anni.

Ha trascorso la bellezza (si fa per dire ) di 25 anni nel braccio della morte. Ora per Glenn Ford, afroamericano, detenuto dal dal marzo del 1985 nel Penitenziario di stato della Louisiana, si aprono definitivamente le porte del carcere e torna ad essere un uomo libero, grazie ad un giudice della Corte distrettuale della Louisiana. Ford, 64 anni, 30 dei quali passati da recluso, era stato accusato di omicidio di primo grado e condannato a morte per l’uccisione del gioielliere Isadore Rozeman, avvenuta il 5 novembre 1983 in seguito ad una rapina. Per la giuria dell'epoca, formata di soli uomini bianchi che lo condannò, Ford era colpevole oltre ogni ragionevole dubbio ma per il giudice, che ha accolto la mozione avanzata dai pubblici ministeri affinché l’uomo fosse scagionato, si è invece trattato di un terribile errore. “Glenn Ford non avrebbe nemmeno mai dovuto essere arrestato”, ha dichiarato il giudice, “non ha partecipato e non era nemmeno presente durante la rapina”. “ E' una bella sensazione - dice Glenn a chi gli chiede come si sente - Il mio cervello vaga in tutte le direzioni, mi sento bene”.E' uno dei più longevi condannati a morte nella storia americana moderna. Per la legge dallo Stato della Louisiana, Glenn otterrà un risarcimento economico (25 mila dollari per ogni anno di detenzione illecita fino ad un massimo di 250.000 dollari, più altri 80.000 per la perdita della ‘opportunità di vita’), ma nessuno potrà mai restituirgli il tempo rubato. “Non posso tornare indietro e fare le cose che avrei dovuto fare quando avevo 35, 38 o 40 anni”, ha commentato con rammarico Ford, “i miei figli, quando li ho lasciati, erano bambini. Ora sono uomini che hanno dei bambini”. Duro anche il commento Amnesty International Usa, secondo cui “Glenn Ford è la prova vivente di quanto sia viziato il nostro sistema giudiziario”.

20/02/14

"Provati i suoi contatti con Cosa nostra" la motivazione della condanna a Raffaele Lombardo

La carica di Governatore della regione Sicilia forse porta iella a chi la ricopre. Dopo Cuffaro anche l'ex presidente della regione Raffaele Lombardo è stato condannato.


Raffaele Lombardo
Catania- L'ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo e' stato condannato a 6 anni e 8 mesi di reclusione dal Gup di Catania, Marina Rizza, nel procedimento in cui era imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e di voto di scambio. Lombardo, su sua stessa richiesta, e' stato giudicato con il rito abbreviato. La Procura aveva chiesto 10 anni. Lombardo: sono sereno, me l'aspettavo; ho intaccato interesso torbidi Il Gup ha ritenuto il reato elettorale assorbito in quello di concorso esterno nell'associazione mafiosa e su questa base ha determinato la pena. L'ex governatore e' stato assolto per il capo d'imputazione relativo ai rapporti con il clan mafioso dei Cappello, ma sono stati ritenuti per il resto provati i suoi contatti con Cosa nostra. Oltre alla reclusione, il Gup ha inflitto anche la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per un anno. Con la stessa decisione, e' stato rinviato a giudizio il fratello dell'ex presidente, Angelo Lombardo, ex deputato Mpa, imputato degli stessi reati. Per lui il processo col rito ordinario si aprira il prossimo 4 giugno davanti al Tribunale di Catania. Infine, il Gup ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura per valutare la posizione di Mario Ciancio Sanfilippo, editore del quotidiano "La Sicilia". Raffaele Lombardo, presente in aula alla lettura della sentenza, non ha tradito emozione: "E' l'epilogo naturale di questo processo. Me lo aspettavo. Stamattina l'avevo detto a mia moglie", ha detto l'ex governatore ai giornalisti. Secco il commento del procuratore Giovanni Salvi: "Il nostro castello ha retto".fonte(AGI)

30/12/13

Cagliari, indiano condannato

In alcuni paesi orientali avvenimenti drammatici di questo tipo sono all’ordine del giorno, ma se accadono in Europa, e nella fattispecie addirittura nel nostro Paese, destrano alquanto scalpore. La vicenda è accaduta in Sardegna, a Cagliari, e ha davvero del disumano: un marito di origine indiana ha malmenato la moglie, indiana anche lei, per un motivo che ha dell’incredibile: aver partorito una figlia femmina. Naturalmente il marito-padrone è stato arrestato dalle forze dell’ordine della città sarda con l’accusa di maltrattamenti familiari. << Io faccio quello che voglio, ne ho tutti i diritti, me la sono comprata, è mia. >> - si è giustificato così l'indiano di 36 anni , arrestato giovedì e condannato oggi a tre anni e sei mesi con la concessione dei domiciliari. L'uomo picchiava e teneva chiusa in casa la moglie con cui viveva nella centrale via Roma. La donna, che stando alle indagini subiva da tempo i maltrattamenti, si è decisa a chiedere aiuto dopo che il coniuge l'ha prima trascinata per i capelli e poi presa a schiaffi e calci aver fatto una passeggiata con la figlioletta di un anno, senza il suo permesso. La moglie era talmente spaventata che ha risposto agli agenti che volevano accompagnarla in ospedale che non poteva senza il permesso del marito.

15/11/13

Perchè si dice "fare un autodafè"?

Rieccoci qua, carissimi lettori, che seguite tutti i voli pindarici della mia vulcanica mente. Oggi ripensando ai tempi del liceo, mi sono ricordata di quando il professore di filosofia ci consigliò di leggere un interessante libricino scritto da Voltaire: "Candido".
Fu proprio durante la lettura delle avventure di Candido che mi imbattei in una di quelle ben note funzioni create dalla mente della Santa Inquisizione, ovvero l"autodafè".
Fare un autodafè si dice scherzosamente quando si fa il gesto di distruggere qualcosa, bruciandola, e con questo si mostra di voler rinnegare un'idea, un sentimento, un desiderio che si è avuto e a cui si è rinunciato.
Autodafè

In Spagna e nei domini dell'impero spagnolo, l'Auto da fè (atto della fede) era la proclamazione solenne di un giudizio pronunciato dal Tribunale dell'Inquisizione in una causa di empietà, apostasia o eresia. Per estensione, fu anche l'esecuzione del condannato, in seguio a questa sentenza o la distruzione, eseguita pubblicamente con il fuoco, di libri o oggetti candannati.
Il Sant'Uffizio dell'Inquisizione si recava in processione sul luogo designato per l'Auto da fè, generalmente una piazza con un palco su cui stavano i Sei. Questi indossavano una specie di tabarro (sambenito) e portavano in testa una mitra di cartone (coroza), sui quali erano dipinti diavoli tra le fiammi oppure croci di Sant'Andrea. La cerimonia, che attirava una folla immensa, iniziativa con un sermone dell'Inquisizione che invitava all'abiura. Se i colpevoli accettavano l'abiura, venivano assolti dalla scomunica e condannati solitamente a pene canoniche: sferza, prigione temporanea o perpetua, esilio, confisca dei beni parziale o totale. Se non abiuravano erano consegnati (relajados) al braccio secolare e condotti al rogo (quemadero). L'esecuzione avveniva in luogo e tempo diversi dall'Auto da fè. Quelli facevano una ritrattazione in extremis venivano strangolati prima di essere dati alle fiamme. Gli altri erano bruciati vivi.
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