15/11/13

Perchè si dice "fare un autodafè"?

Rieccoci qua, carissimi lettori, che seguite tutti i voli pindarici della mia vulcanica mente. Oggi ripensando ai tempi del liceo, mi sono ricordata di quando il professore di filosofia ci consigliò di leggere un interessante libricino scritto da Voltaire: "Candido".
Fu proprio durante la lettura delle avventure di Candido che mi imbattei in una di quelle ben note funzioni create dalla mente della Santa Inquisizione, ovvero l"autodafè".
Fare un autodafè si dice scherzosamente quando si fa il gesto di distruggere qualcosa, bruciandola, e con questo si mostra di voler rinnegare un'idea, un sentimento, un desiderio che si è avuto e a cui si è rinunciato.
Autodafè

In Spagna e nei domini dell'impero spagnolo, l'Auto da fè (atto della fede) era la proclamazione solenne di un giudizio pronunciato dal Tribunale dell'Inquisizione in una causa di empietà, apostasia o eresia. Per estensione, fu anche l'esecuzione del condannato, in seguio a questa sentenza o la distruzione, eseguita pubblicamente con il fuoco, di libri o oggetti candannati.
Il Sant'Uffizio dell'Inquisizione si recava in processione sul luogo designato per l'Auto da fè, generalmente una piazza con un palco su cui stavano i Sei. Questi indossavano una specie di tabarro (sambenito) e portavano in testa una mitra di cartone (coroza), sui quali erano dipinti diavoli tra le fiammi oppure croci di Sant'Andrea. La cerimonia, che attirava una folla immensa, iniziativa con un sermone dell'Inquisizione che invitava all'abiura. Se i colpevoli accettavano l'abiura, venivano assolti dalla scomunica e condannati solitamente a pene canoniche: sferza, prigione temporanea o perpetua, esilio, confisca dei beni parziale o totale. Se non abiuravano erano consegnati (relajados) al braccio secolare e condotti al rogo (quemadero). L'esecuzione avveniva in luogo e tempo diversi dall'Auto da fè. Quelli facevano una ritrattazione in extremis venivano strangolati prima di essere dati alle fiamme. Gli altri erano bruciati vivi.
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