Il-Trafiletto
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06/05/14

Dare un colpo al cerchio e uno alla botte | Perchè si dice

Eccoci di nuovo alle prese con un detto proverbiale della nostra ricca lingua italiana. Di uso molto comune, per fortuna ancora oggi lo si sente ancora sulla bocca di molte persone.
Dare un colpo al cerchio e uno alla botte, così si dice in riferimento a chi per opportunismo non prende mai una posizione netta di fronte a due contendenti e da ragione un po' all'uno e un po' all'altro. Però questo suo significato si discosta dall'origine di suddetto adagio.
Immagine presa dal web

La teoria più plausibile è che nella costruzione delle botti, arrivati al momento di inserire gli anelli che ne terranno ferme le doghe (le assi arcuate della botte), l'operazione si svolge a mano dando dei colpi di martello agli anelli e inevitabilmente anche alla botte  per assestare nella maniera ottimale le assi. Da qui dunque, il modo di dire sta nel sottintendere di fare una cosa che ne comporta essnzialmente anche un'altra di pari importanza.
Pare però che il detto sarebbe: “dare un colpo al ciarchio e uno alle botte”e significherebbe ‘avere una gran fortuna’, ‘azzeccare una cosa difficile’. Era un gioco “di strada”: il ciarchio era un gancio di ferro che doveva essere colpito con un bastone di legno: se si riusciva a colpirlo due volte in aria si raddoppiava il punteggio, magari colpendolo sulle botte, le due borchie rotonde alle due estremità del ciarchio. Altra spiegazione sarebbe quella che l’origine sarebbe popolare e che avrebbe a  che fare con la perizia degli artigiani, cioè con la loro capacità di fare due cose contemporaneamente e di farle bene. Solo in seguito sarebbe diventato proverbiale 

21/02/14

Perchè si dice "essere uno stacanovista"?

Questo adagio è il caso di dire che oggi non vale più un tubo, e quindi non si usa più, dato che e me lo concederete, gli stacanovisti oggi sono morti e sepolti.
Essere uno stacanovista, il termine viene riferito a chiunque dimostri uno zelo e una dedizione al lavoro fuori del comune. Deriva dal movimento Stacanovista nato negli anni trenta in Russia e spinto dalla propaganda stalinista per portare alla razionalizzazione del lavoro e aumentarne la produttività tramite l'emulazione reciproca dei lavoratori.
  Il movimento prende il nome dal minatore Aleksej Grigoriyevich Stachanov che, il 30 agosto 1935, stabilì il record di estrazione di carbone effettuato da una sola persona: estrasse 102 tonnellate di antracite in cinque ore e quarantacinque minuti per celebrare la Giornata della Gioventù. Insignito dell'Ordine di Lenin per l'impresa, Stachanov lasciò i pozzi l'anno successivo per diventare amministratore di miniere e insegnare il suo metodo di produzione basato sull'organizzazione e la divisione del lavoro. Soltanto di recente le autorità sovietiche hanno riconosciuto che Stachanov fu aiutato da altri minatori. Ciò non toglie il grande apporto che l'ex minatore diede nella razionalizzazione del lavoro in Unione Sovietica.

09/02/14

Perchè si dice "mangiare la foglia"?

Mangiare la foglia

Non immaginerete certo qualcuno che bruca verdi foglie rotolandosi in un prato vero? Ma sicuramente avrete sentito questo adagio che è di uso comune e lo avrete usato in più di un'occasione. Anche questo per fortuna non caduto in disuso come altri che in questa sede abbiamo trattato.
Mangiare la foglia, significa capire una cosa al volo, intuire in anticipo, evitando in questo modo un pericolo. Il detto deriva forse dall’osservazione del comportamento animale effettuata nelle civiltà contadine: il fiuto sviluppato e l’esperienza, per esempio, permettono alle mucche di distinguere le piante da pascolo buone da quelle velenose.

07/01/14

Perchè si dice "salvare capra e cavolo"?

Anche questo adagio è di uso piuttosto comune, di sapore un po' agreste forse, ma rende bene l'idea. Nel nostro passato prossimo eravamo un paese in cui agricoltura e pastorizia erano alla base dell'economia, prima dell'avvento dell'industrializzazione.
Salvare capra e cavolo

Salvare capra e cavolo, brigare in modo da ottenere due vantaggi che parevano escludersi, o anche far sì da accontentare tutti. Derva da un vecchio rompicapo che si proponeva ai ragazzi: un pastore deve attraversare un fiume su una barca, trasportando, uno alla volta, un lupo, una capra e un cavolo. Se comincia con il traghettare il lupo, la capra, restando sola, mangerà il cavolo; se si porta dietro per prima la capra, nel secondo tragitto dovrà portare o il lupo o il cavolo, e allora o il lupo mangerà la capra, o la capra mangerà il cavolo. E qualcosa correrà  sempre il rischio di essere divorato. Perciò il pastore dovrà prima trasportare la capra, che lascerà sull'altra riva; poi il cavolo che sbarcherà, ripigliando la capra e portandola con sè; e infine il lupo, che potrà lasciare con il cavolo senza pericolo, mentre, finalmente, nell'ultimo tragitto, riporterà la capra.

17/12/13

Perchè si dice:"passare il quarto d'ora di Rabelais"?

Chi non ha mai passato il cosiddetto brutto quarto d'ora? Credo che tutti noi ci siamo trovati a volte in situazioni da cui ci è sembrato impossibile uscire. Questo adagio riassume proprio una situazione di questo genere. Vediamo perchè.

Rabelais
Passare il quarto d'ora di Rabelais, trovarsi in una situazione difficile, critica, e particolarmente trovarsi a dover pagare senza aver soldi o dover rendere conto di qualcosa senza averne il mezzo. Si racconta che Rabelais si trovava a Lione e non aveva di che pagare il conto all'oste presso il quale era alloggiato. Preparò allora delle cartine di polveri misteriose, su cui scrisse: Polvere per il Re, Polvere per il Delfino, Polvere per la Regina, mettendole bene in vista sul tavolo. L'oste se ne accorse, e credendo di aver a che fare con un avvelenatore, lo denunciò. Rabelais fu subito arrestato e inviato a Parigi sotto buona scorta, e ovunque passava, era trattato come un prigioniero di stato. Alla fine fu condotto davanti al re Francesco I e questi, che conosceva bene quel genio matto, comprese tutto, ringraziò le guardie di Lione per la loro sollecitudine e....invitò a pranzo "l'avvelenatore".

15/12/13

Perchè si dice "menare l'orso a Modena"?


Saltimbanco con orso
Cerco di immaginare un qualche saltimbanco che porta un orso bruno al guinzaglio in giro per paesi e fiere. Uno di quei saltimbanchi con i vestiti coloratissimi, un cappello con i sonaglietti, e tanta energia. A questo mi fa pensare questo adagio. Ma vediamo dove ci conduce.
Menare l'orso a Modena, accingersi a compiere un'impresa difficilissima, quasi impossibile. Quando la Garfagnana apperteneva al ducato di Modena, gli abitanti del posto che volevano sfruttare i boschi dovevano pagare una strana tassa ai loro signori: dovevano catturare un orso e condurlo a Modena vivo. Ora, percorrere un'ottantina di chilometri con una bestia froce al guinzaglio per sentieri impervi e scoscesi, era un'impresa veramente ardua. Ma per necessità o per avidità, la gente affrontava ugualmente l'impari compito.

11/12/13

Perchè si dice "de gustibus non est disputandum"?

Quando frequentavo il liceo, e avevo bisogno di fare grandi scorte di quaderni su cui trascrivere le innumerevoli versioni che Monna Vanna, detta Gina (la professoressa di latono e greco), ci dava da tradurre, ne trovai giusto uno con questo adagio, che tale è rimasto cementato nella mia memoria.
De gustibus
 De gustibus non est disputandum, sui gusti non si discute. Comunemente si crede che questa frase provenga dai classici latini; qualcuno in passato, l'attribuiva addirittura a Cicerone (anathena sit!). La grossolanità della frase non ha nulla che vedere con la finezza d'espressione dei nostri classici, e nessuno mai, a quell'epoca si sarebbe sognato di aggiungere quell'est così pleonastico, limitandosi, semmai a dire: De gustibus non disputandum. La massima quindi, deve senz'altro far parte di quel linguaggio aulico tanto caro ai dotti medioevali, che poi è rimasto in vigore nel linguaggio giuridico, e appartiene a quel bagaglio di modi di dire, che vanno dal latino maccheronico, tipo Gratatio capitis facit recordare cosellas (Il grattamento di testa fa ricordare le cose spicciole) e Non est de sacco ista farina tuo (Questa non è farina del tuo sacco), a frasi ancora oggi usate nelle aule di giustizia, come Testis ununs, testis nullus (Un solo testimone non è attendibile) e De minimis non curat praetor (Il pretore non si cura delle cose molto piccole).

09/12/13

Perchè si dice "dare a Cesare quel che è di Cesare"?

Questo adagio lo conosciamo tutti, e lo si usa spesso, o se non altro lo abbiamo sentito dire da qualcuno. Sono sicura che, intuitivamente sappiamo tutti cosa significhi. Ma a me piace comunque indagare ed esser sicura quando parlo o quando faccio citazioni di esser capace di spiegare il perchè l'ho usata e da cosa deriva.
Dare a Cesare
 Dare a Cesare quel che è di Cesare, dare a ciascuno il suo, quel che gli spetta o s'è guadagnato. Ma anche non dare più di questo, non quello che spetta agli altri. La frase è tolta dal Vangelo, Luca 20,20: Essi (gli Scribi e i Capi dei Sacerdoti) non lo perdettero di vista e mandarono insidiatori, i quali si fingessero giusti per sorprenderlo in fallo durante i discorsi, e poterlo dare in mano alle autorità e in balia del governatore. Costoro lo interrogarono: "Maestro, sappiamo che tu parli e insegni rettamente, e non guardi in faccia nessuno, ma insegni la via di Dio con verità. E' lecito a noi pagare il tributo a Cesare o no?". Egli, conoscendo la loro astuzia, rispose loro: " Perchè mi tentate? Mostratemi un denaro. Di chi è l'immagine e l'iscrizione?" Gli risposero: "Di Cesare". "Rendete dunque" soggiunse loro "a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio".

04/12/13

Perchè si dice: "menare il can per l'aia"?

Anche questo adagio, miei cari amanti delle citazioni e della loro origine storico- letteraria, si usa ancora oggi, e per fortuna, perchè mi accorgo che nel dialogare, oggi come oggi, si tende ad essere sempre più stringati, concisi, ermetici e oltremodo tecnici. Abbiamo introdotto una gran quantità di parole anglosassoni, tralasciando la splendida varietà di forbite parole di cui è ricca la nostra lingua.
Menare il can per l'aia
 Menare il can per l'aia, portare le cose per le lunghe, senza concluderle. Il modo di dire deriva probabilmente da un vecchio proverbio italiano: L'aia non è luogo per cani da caccia. I segugi, infatti, abituati a correre e a cercare la selvaggina in mezzo ai boschi, ai cespugli, e comunque nei grandi spazi, perderebbero il loro tempo, in uno spazio ristretto come un'aia, dove, peraltro, non ci sono nascondigli ma tutto è chiaramente visibile. Ora, la similitudine è evidente: chi conduce un cane da caccia per l'aia, ovviamente non può aspettarsi di trovare selvaggina. Quindi il detto è passato a significare che "mena il cane per l'aia" chi si perde in lunghe discussioni senza concludere niente, o promette qualcosa, senza poi alla fine mantenere.

29/11/13

Perchè si dice: "nascere con la camicia"?

Questo adagio lo avrete sentito molte e molte volte, si usa spessissimo, e tutti noi sappiamo cosa vuol dire. Ma è oltremodo interessante indagarne le origini.
Nascere con la camicia, essere fortunati, portare a buon termine qualunque tipo di operazione intrapresa. Il feto, nell'utero materno, è avvolto da una membrana protettiva, detta amnio, che dal momento della nascita resta nel ventre materno.
Nascere con la camicia

In qualche caso, però, il neonato ha ancora la testa coperta da parte di questa membrana, e in certi casi, molto rari, l'intero corpo. Fin dai tempi più remoti, il fenomeno è stato considerato di buon auspicio. Nell'antica Roma, per esempio, le levatrici vendevano l'amnio agli avvocati, ad altissimo prezzo, sostenendo che un amuleto del genere portato sempre addosso conferisse loro un'eloquenza straordinaria e gli consentisse di vincere tutte le cause. Con il passare del tempo si è arrivati perfino a vedere nel fenomeno un intervento divino: in Francia, l'amnio veniva benedetto da un prete e se assomigliava anche vagamente alla mitra episcopale, il neonato che lo portava addosso al momento della nascita veniva consacrato alla vita religiosa. Questa abitudine non è ancora del tutto scomparsa, in Francia, mentre gli inglesi, sempre molto pratici, quando si verifica un'eventualità del genere, mettono l'amnio in vendita, con insersioni sui giornali o addirittura con manifesti. Pare che gli acquirenti accorrano in massa.

14/11/13

Perchè si dice "fare berlicche e berlocche"?

Marionetta
Vi è mai capitato che qualcuno vi promettesse qualcosa o vi desse la sua parola e poi "puff", quel qualcuno nè ha tenuto fede alla promessa, nè ha mantenuto la parola?
Possiamo certo apostrofare queste persone con improperi di ogni genere e tipo, e diventare maestri di volgarità, ma esiste un adagio, forse un po' obsoleto, ma altrettanto efficace, per delineare e descrivere questi figuri.

Fare berlicche e berlocche ovvero mancare alla parola data, non mantenere una promessa, fare il voltafaccia. Probabilmente la locuzione deriva dal nome scherzoso dato a una marionetta che rappresenta il diavolo. La marionetta, come certi mimi antichi, greci e romani, ha due facce, di cui una è costantemente coperta con un fazzoletto o un panno, a seconda della volontà di chi fa muovere la marionetta stessa. Le due facce si chiamano, appunto, "Berlicche" e "Berlocche". Durante le rappresentazioni nei teatrini la stessa maionetta assume atteggiamenti diversi, spesso contrastanti, significando che una persona prima asserisce una cosa, poi un'altra. L'altra potrebbe anche derivare, come sostengono alcuni, dal tedesco aber nicht (ma no) aber doch (ma sì).

02/11/13

Perchè si dice "chiudersi in una torre d'avorio"?

A chi di noi non è mai capitato di rinchiudersi in se stessi, perchè sdegnati da qualcosa? A me è capitato spesso, incrociare le braccia e accomodarmi in solitudine, più che mai circondata da alte mura a protezione dei miei pensieri e a difesa dei miei "credo".
 Così mi è tornato alla memoria questo adagio, caduto un po' in disuso in verità, ma che riassume bene questo stato d'essere.
Chiudersi in una torre d'avorio indica la solitudine sdegnosa e aristocratica di chi si astrae dalla realtà per chiudersi nella contemplazione del suo mondo interiore.
E' un'espressione biblica che si trova nel Cantico dei Cantici: collum tuum sicut turris eburnea; oculi tui sicut piscinae in Hesebon (Il tuo collo è una torre d'avorio, i tuoi occhi vasche di Hesebon). Fu riferita poi alla Madonna, che nelle litanie del Rosario è chiamata Turris eburnea. Per estensione, l'epiteto si attribuisce a una donna di fiera inavvicinabilità.
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