Il-Trafiletto
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07/06/14

Libri misteriosi: Il Codex Gigas

Il Codex Gigas è uno dei libri più strani e misteriosi del mondo. Come dice il nome è enorme, misura circa un metro e per sollevarlo è necessaria l'opera di due persone. E' anche noto come  'La Bibbia del Diavolo', poichè secondo la leggenda è frutto di un patto con il Diavolo.

 In realtà le sue origini sono sconosciute come le vicissitudini ad esso legate che lo hanno portato ad essere ospitato definitivamente nella Biblioteca Nazionale di Svezia. In base ad una nota scritta a margine del manoscritto, si sa che è stato impegnato nel monastero di Sedlec presso i monaci di Podlažice, nel 1295. In seguito passò al monastero di Břevnov, vicino Praga. Tutti questi monasteri erano in Boemia, l’attuale Repubblica Ceca, ed è certo che il Codex Gigas è stato realizzato in qualche parte di questa regione. Nel 1594, il Codex Gigas passò nelle mani di Rodolfo II che lo portò  nel suo castello di Praga, dove albergò fino allo scoppio della Guerra dei Trent’anni in seguito alla quale, per mezzo dell’esercito di Svezia,  entrò nella collezione della regina Cristina e messo nella biblioteca reale del castello di Stoccolma. Nel 1877, entrò a far parte della Biblioteca Nazionale di Svezia, sempre a Stoccolma.


La leggenda relativa alla sua realizzazione, narra che  si tratterebbe del lavoro di un monaco, un compito gravoso attribuitogli per espiare i suoi peccati. Il racconto trae certamente origine dalla convinzione medievale che la copiatura dei testi fosse una via privilegiata per l’espiazione dei propri peccati. Il monaco, conscio del fatto che il compito affidatogli  era al di là dei suoi poteri, si decise ad invocare l’aiuto del diavolo. Senza farsi pregare troppo, il diavolo aiutò il monaco, chiedendo in cambio di essere raffigurato nel codice e di prendere la sua anima come pagamento. Sembra che il monaco grazie a  questo aiuto sia stato capace di scrivere il codice nell'arco di una sola notte. Egli aveva espiato i suoi peccati, ma aveva perduto la sua anima e, pare, la sanità mentale. Distrutto dai rimorsi decise di rivolgersi alla Vergine Santa, implorandola di salvarlo. La Madonna accettò di aiutare il penitente, il quale morì pochi istanti prima di saldare il conto con il diavolo. 

L’origine della leggenda è sconosciuta e, quasi certamente è nata a causa dell’enorme dimensione del manoscritto, da far pensare che a crearlo, sia stato un evento soprannaturale. Una cosa è certa,  l’analisi testuale  e grafica a cui è stato sottoposto il libro,  attesta una certa uniformità, tanto da ritenere possibile che si tratti dell’opera di un solo autore. Non si conosce il nome dello scriba, ma è stato ipotizzato che fosse un monaco chiamato Herman, che compare nel necrologio poichè nell’epiteto si fa riferimento alla sua vita peccaminosa e all’aver realizzato il Codex Gigas in una sola notte con l’assistenza del diavolo.

Legati a questo libro si raccontano fatti strani e misteriosi come pubblicato nel  Tokroliga Anekdoter,  nel 1858, in cui si legge che un custode della Biblioteca di Stoccolma rimase bloccato all’interno della sala lettura principale dopo essersi addormentato. Al risveglio, disse di aver visto i libri fluttuare nell’aria, spostandosi da uno scaffale all’altro. Un grande orologio, normalmente fuori servizio, cominciò a riprendere il funzionamento. Secondo il custode, quando ‘La Bibbia del Diavolo’ ha preso parte alla danza, tutti i libri hanno cominciato a cadere in tutte le direzioni. La mattina seguente, il custode fu trovato tremante sotto un tavolo della biblioteca, letteralmente terrorizzato. Da qual momento perse la sanità mentale e fu internato in un manicomio. L’autore Eugène Fahlstedt (1851-1935), intervistato nel 1911, raccontò che nel 1870 il suo amico August Strindberg (1849-1912) portò alcuni suoi amici in biblioteca per leggere la Bibbia del Diavolo. Era notte tarda, ma Strindberg, che lavorava presso la Biblioteca Reale, aveva la chiave d’accesso. Non appena tirò fuori il codice dallo scaffale, comparirono delle misteriose fiamme sulfuree che consentirono di leggere il Codex Gigas in piena notte.

 Il Codex Gigas contiene la versione completa della Vulgata, la Bibbia tradotta in latino da San Girolamo, più altri testi importanti. Vi si trovano l’Antico Testamento,  le Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio (1° secolo d.C.), l’Enciclopedia Etymologiae di Isidoro di Siviglia (6° secolo d.C.), una collezione di opere mediche di Ippocrate, Teofilo e altri, il Nuovo Testamento, e "Le Cronache di Boemia” di Cosma di Praga (1050 d.C.). All’interno è possibile trovare inclusi altri testi più brevi, tra cui il rituale dell’esorcismo, formule magiche, una raffigurazione della Città Celeste e una pagina con l’illustrazione completa del Diavolo. Probabilmente, la leggenda e il nome del codice nascono proprio da questa immagine. Secondo uno studio del National Geographic, per la realizzazione di un’opera del genere servirebbe una persona che lavorasse ininterrottamente, giorno e notte, per cinque anni, illustrazioni incluse. In termini pratici, ci sarebbero voluti più di 20 anni per l’autore per completare il codice, come in effetti sembrerebbe, perchè la scrittura ha conservato un’incredibile uniformità dall’inizio alla fine. Forse per questo si tramanda che il testo sia stato prodotto in una sola notte. Il codice è attualmente esposto presso la Biblioteca Nazionale di Stoccolma, dove è possibile visualizzare anche la versione digitale del Codex.

29/05/14

Il tè. Quali sono i vantaggi di assumere questa bevanda.

Da dove proviene il? Sembra che i cinesi lo conoscessero già 5 mila anni fa, ma alcuni testi riferiscono che in Cina fece la sua comparsa nel III secolo. Un’altra leggenda narra che la scoperta del tè venne attribuita all’imperatore Shen Nung, che nel 2.700 a. C. notò che alcune foglie cadute in acqua bollente emanavano un ottimo aroma profumato e volle assaggiarlo, scoprendone anche la bontà. Furono i monaci buddisti i primi a promuovere il consumo di tè, si espanse durante la dinastia Song e approdò in Giappone, mentre in Europa venne importato presumibilmente dai portoghesi, si espanse in Francia e Paesi Bassi mentre in Gran Bretagna crebbe moltissimo e si impose come costume nazionale. Molti studi e ricerche sono state fatte su questa foglia, derivante dalla pianta “Camellia sinensis”, scoprendone diverse proprietà, se non curative, sicuramente benefiche. Uno studio pubblicato sulla rivista Psychopharmacology il tè, specialmente quello verde, può migliorare alcune funzioni cerebrali compresa la memoria di lavoro. Infatti in questo studio 12 persone hanno ricevuto alcune una bevanda contenente 27,5 grammi di estratto di tè verde, altre la stessa bevanda senza il tè verde. Sottoposte queste persone a dei test di memoria, si è dimostrato come il tè verde ottimizzasse le prestazioni e i collegamenti tra la parte frontale del cervello e le regioni parietali. Un altro studio del 2006 pubblicato sul Journal of American Medical Association dimostra che il tè verde è riduce i casi di malattie cardiovascolari. In questo studio i volontari che hanno bevuto almeno cinque tazze di tè al giorno si sono visti ridurre significativamente il rischio di morire rispetto ai soggetti che bevevano una tazza di tè al giorno. Un altro beneficio di queste foglie è la proprietà di combattere la carie. Infatti alcuni suoi composti minimizzano la crescita di batteri che causano la carie, di conseguenza degli sciacqui con i tè riducono l’accumulo di placca sui denti. Anche il tono muscolare è sensibile ad una buona tazza di tè, riducendo questi lo stress ossidativo dovuto all'età e l'infiammazione che colpisce i muscoli e le ossa. Per dirla tutta, il tè è una bevanda che, se presa senza zucchero, ci dà un apporto calorico pari a zero, mentre se si sceglie il tè verde rispetto a quello nero si ha un’assunzione di caffeina molto minore.

10/03/14

Simon&Garfunkel festeggiano I 50 anni del loro più grande successo.

10 marzo 1964. 50 anni. Mezzo secolo si successi per “ The Sound of Silence” di Simon&Garfunkel, la canzone entrata nella storia. Un inconfondibile arpeggio, poi l’incipit che è diventato leggenda: "Hello Darkness My Old Friend”. In realtà all’epoca il titolo era “ The Sounds of Silence” " ed era un brano acustico che faceva parte del primo album di Simon & Garfunkel, "Wednesday Morning 3 A.M.", il titolo fu cambiato in "The Sound of Silence". Lo aveva scritto Paul Simon che suonava la chitarra acustica e la cantava insieme ad Art Garfunkel. L’anno seguente il duo si sciolse e Paul inserì la canzone nel suo primo album da solista. E iniziò così il cammino del pezzo verso il successo. E verso il mito. Il brano fu usato nella colonna sonora del film Il laureato, e appare nei titoli iniziali, nella scena della piscina e durante la parte finale; inoltre, appare anche nel film Bobby, che narra di alcune persone che si trovavano nell'albergo dove Robert "Bobby" Kennedy fu ucciso, durante le 24 ore antecedenti il delitto. Nel film, la canzone appare dopo l'assassinio. Durante la Celebrazione del 10º anniversario dell'attentato dell'11 settembre 2001 La canzone venne eseguita in un clima di grande commozione al Ground Zero Memorial di New York dallo stesso Paul Simon accompagnandosi con la sola chitarra acustica. In Italia venne cantata da diversi artisti con un testo scritto dal paroliere Carlo Rossi e che si si discostava dagli argomenti originali. Si titolava “La tua immagine” e venne cantata, tra gli altri, da “Mike Liddell e gli Atomi nel 1966 e da Dino nel 1968.

16/01/14

Il mito della leggendaria Lancia Fulvia| Regina di Montecarlo con Munari e Mannucci.

Rinasce il mito della Lancia Fulvia! Regina di Montecarlo con due "principi" d'eccezione: Munari e Mannucci!
La storia dell'automobilismo è stata segnata da sole due auto che sono ricordate menzionando il numero di gara: la Mercedes 300 Slr numero 722, alla cui guida c'era Stirling Moss che vinse a tempo di record la Mille Miglia del 1955, e la ancor più mitica Lancia Fulvia HF con numero 14 che, con la coppia Munari-Mannucci, i quali dominarono contro tutto e contro tutti il Rally di Montecarlo del 1972.

Mentre si sta svolgendo l'edizione 2014 del Rally più famoso del mondo, che affronterà per ben due volte il Col de Turini anche se in senso inverso rispetto alla tradizione, ricordare la leggenda di un'auto rimasta nel cuore di tutti gli appassionati di motori è un piacere e un obbligo.
Un'auto che proprio sul Col de Turini ribaltò la classifica che fino ad allora la vedeva in terza posizione, e già quello era considerato un risultato straordinario. Perché la Lancia Fulvia HF 1600, nel 1972, era ormai considerata ormai superata, una sorta di catorcio, un'auto spompata con soli 160 CV destinata a soccombere senza speranza nel confronto diretto con le Porsche (270 CV) e le Renault Alpine (cavalleria simile alle Porsche e 200 chili in meno della Fulvia) considerate le vere predestinate al successo finale.
Lancia Fulvia HF

Poco prima di affrontare il Turini, in quel gennaio del 1972, iniziò prima a piovere e poi a nevicare. Il dio pluvio delle corse aveva scombinato le carte, apparecchiando una situazione meteo nella quale la vecchia Fulvia si trovava a suo agio. Lo si era già capito molti anni prima, al Rally di Corsica, quando il motore era ancora il 1400: le rivali non riuscivano a tenere la strada mentre lei, la piccola Fulvia, restava aggrappata all'asfalto bagnato e ricoperto di foglie e fango. Chilometro dopo chilometro, fino alla vittoria finale. Un'auto che avrebbe vinto molto, che sarebbe entrata nella storia dei Rally anche grazie a un aggiornamento del motore, portato ai 1600 di cilindrata.

Ma il Montecarlo del 1972 quello no, era un sogno impossibile. Troppo potenti le Porsche, troppo potenti e leggere le Alpine anche solo per restargli alle costole. E poi, suvvia, i francesi schieravano addirittura sei equipaggi, proprio per non tralasciare alcun particolare sulla strade di casa. E invece, pioggia e vento: e "nonna" Fulvia a fine carriera che improvvisamente si ritrova nel suo ambiente naturale. Quando le altre escono di strada... Sembra di vedere lo sguardo sornione della HF numero 14, con i fanaloni a illuminare la notte e la scritta Lancia Italia sul cofano per far sentire a francesi e tedeschi il fiato sul collo. Fino ad arrivargli alle costole, fino a prenderli. Le Porsche non restano in strada: troppa potenza da scaricare a terra e a terra, al posto dell'asfalto asciutto, c'è solo neve.

Tanta, troppa neve. Le Alpine non reggono alla prova di una natura così scatenata: sul Turini, Jean Claude Andruet esce sbattendo contro la montagna. Darnische e Ove si fermano con il cambio rotto. Le altre Alpine, beh! quelle erano già dietro da tempo. Nonna Fulvia vola. Munari la guida come se fosse un prolungamento del suo corpo, Mannucci disegna il percorso per l'amico alla guida rendendogli impossibile un qualsiasi errore. Passato il Turini la Fulvia, la nonnetta, il ronzino, la vittima predestinata è in testa, dominatrice di un Montecarlo che spianerà la strada verso il titolo Mondiale Rally. Che farà passare la Fulvia Hf 1600, targata TO E24266, dalla storia alla leggenda. Ricordandola oggi rendiamo omaggio all'immenso Sandro Munari e a Mario Mannucci, che molti chiamavano "il maestro" e che ci ha lasciati, in silenzio, nel dicembre del 2011. Ricordiamo Cesare Fiorio, che tutti ricordano come artefice della Squadra corse Lancia di quegli anni straordinari. Ma ricordiamo anche Ettore Zaccone Mina, il papà del motore della Fulvia.

L'uomo che progettò un motore millecento, per la Fulvia berlina, riuscendo a trasformarlo nel tempo con una genialità inarrivabile in un 1600 da 160 cavalli, con un rapporto di 100 CV/litro che rivisto oggi ha dello straordinario. Lo fece quasi di nascosto, nelle notti trascorse disegnando nel salotto di casa, perché il numero uno della Lancia, il professor Fessia, gli aveva dato il permesso di inseguire questo sogno solo al di fuori dell'orario di lavoro. Così nacque il V stretto che ancora oggi stupisce gli addetti ai lavori per la perfezione assoluta con cui è stato concepito. Così, con la straordinaria unione di molti e molti uomini che hanno reso grande la Lancia, è nata la vittoria al Montecarlo del 1972 e la leggenda di una macchina immmortale.

26/12/13

Bianca Malaspina: leggenda o verità?

Castelli e manieri hanno un fascino senza tempo, mi riportano sempre alla mente storie di principesse prigionere e principi che sul loro destriero combattono contro maghi e draghi per salvare le dolci pulzelle. Torri smerlate e ponti levatoi, fossati e mura ciclopiche. E proprio in un castello  la leggenda racconta che si sia consumata una tragedia d'amore impossibile, ma sarà solo leggenda?
Quella del castello di Fosdindovo è una storia molto interessante e alquanto misteriosa. Quella che sembrava essere esclusivamente una leggenda, potrebbe essere molto di più. Iniziamo anzitutto col parlare con quella che fino a qualche tempo fa veniva raccontata come una leggenda. Fosdindovo è una terra che si trova al confine tra Liguria e Toscana, e in essa è situato un meraviglioso castello al quale, appunto, è legata una storia d’amore degna dei migliori romanzi shakespeariani. Quella che vi abbiamo annunciato è la leggenda di Bianca Maria Aloisia, della famiglia Malaspina, proprietaria del castello per secoli. La sua è la storia di un amore proibito, talmente proibito che portò alla morte di entrambi gli amanti.
Bianca Maria Aloisia

Bianca, vissuta nel XIII secolo, era una giovane Malaspina, famiglia nobile di origine longobarda. La ragazza, incurante del suo ceto sociale, s’innamorò follemente dello stalliere del castello. Nonostante il loro amore sincero, i due potevano vedersi e frequentarsi esclusivamente lontano dagli occhi del padre di Bianca, nobile legato alle tradizioni familiari e attaccato a ciò che il suo blasone vuole. Il loro amore era destinato ad incontrare ostacoli, infatti poco dopo il padre di Bianca le annunciò che era stata promessa in sposa a un cavaliere della zona. La ragazza si oppose a tale scelta e per convincere il padre dichiarò il suo amore con lo stalliere. Il padre si sentì ferito e provocato, perciò decise di rinchiuderla a vita monastica nel vicino convento. Nonostante la ferma opposizione del padre, Bianca continuò ad avere appuntamenti clandestini con lo stalliere al convento. In uno di questi incontri con l’amato, la ragazza rimane incinta, ciò comportò il suo allontanamento dal convento e il ritorno al castello. La vicenda diventò di dominio pubblico e i Malaspina videro tutto ciò come una profonda umiliazione. Il padre, che non poteva sopportare tutto ciò, decise di mettere fine a tutto ciò, in maniera a dir poco drastica. Fece uccidere lo stalliere e rinchiuse Bianca nelle segrete del castello. Bianca venne torturata con ferri arroventati e macchine diaboliche che le torcevano gli arti. Il padre concesse alla ragazza di essere perdonata  dopo che si fosse pentita e avesse accettato la vita di clausura. La ragazza, però, non rinnegò il suo amore, perciò il padre decise di condannarla. La portò in una stanza buia e la fece murare viva all’interno. Assieme a lei vennero murati anche un cinghiale, simbolo della ribellione alle regole della famiglia, e un cane, simbolo della fedeltà. Bianca morì poco tempo dopo.
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