Fra le tante
stelle dell'universo molti
buchi neri. Questo e quanto si evince da uno studio della
NASA, almeno una
protogalassia su cinque, potrebbe includere un
buco nero. Il risultato dello studio eseguito della
NASA, è stato ottenuto utilizzando i
dati dei satelliti Chandra e Spitzer, coordinato da
Nico Cappelluti,
ricercatore all’INAF-
Osservatorio Astronomico di Bologna.
I
buchi neri, essendo l’
ultimo stadio dell’evoluzione di stelle massicce, s’ipotizza che abbiano fatto la loro apparizione relativamente tardi, nella
storia del cosmo. Non è affatto cosi: la loro presenza era già alqaunto estesa anche fra le
primordiali stelle dell'universo. Questo è quanto ha scoperto un
team internazionale di astronomi, diretto dall’
italiano Nico Cappelluti, mettendo a confronto, per una stessa
regione di cielo, il fondo a
infrarossi con quello a
raggi X. Ciò che ne è scaturito dai dati è che una
sorgente di raggi infrarossi su cinque, fra quelle risalenti all’
universo primordiale, è un
buco nero. «Abbiamo impiegato quasi cinque anni, per portare a termine questo studio. Ma i risultati sono sorprendenti», dice
Cappelluti. «I nostri risultati attribuiscono ai
buchi neri almeno il 20 per cento dell’
emissione cosmica di fondo infrarossa. Questo significa che, all’
epoca delle prime stelle, i
buchi neri già erano impegnati a cibarsi di
gas in modo frenetico», spiega
Alexander Kashlinsky,
astrofisico presso il
Goddard Space Flight Center della
NASA, nel Maryland.
L'idea di effettuare uno studio tale ebbe inizio nel 2005, quando
Kashlinsky e alcuni suoi colleghi, analizzando i
dati del telescopio spaziale infrarosso Spitzer della
NASA, notarono per la prima volta un bagliore residuo.
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Buco nero |
Successive osservazioni hanno confermato la persistenza d’un
bagliore irregolare residuo, anche dopo un’accurata sottrazione del contributo di tutte le
stelle e le
galassie conosciute nella regione osservata. Da qui la conclusione che si trattava del
fondo cosmico a
raggi infrarossi (
CIB), una luce risalente all’epoca in cui prendevano forma le
prime strutture dell’universo, fra le quali
stelle e buchi neri primordiali. La stessa
regione di cielo è stata monitorata nel 2007 anche da un
telescopio spaziale a raggi X, il
satellite Chandra, sempre della
NASA. Elaborando i
dati multibanda ottenuti in quell’occasione,
Cappelluti ha realizzato
mappe a raggi X, rimuovendo tutte le
sorgenti conosciute in tre
lunghezze d’onda. E di nuovo, proprio come con
Spitzer, è rimasto un
bagliore di fondo, questa volta però in
banda X: il
CXB, quindi, o
fondo cosmico a raggi X. Confrontando le due mappe, è scaturito che le
fluttuazioni del bagliore residuo alle
energie X più basse evidenzioano una coerenza importante con quelle presenti nelle
mappe a infrarossi.
La scoperta non scaturisce da osservazioni puntuali: neanche i
telescopi più potenti sarebbero in grado di distinguere le
stelle e i buchi neri più lontani come
singole sorgenti. Ma l’analisi del loro bagliore totale, giunto fino a noi dopo un viaggio lungo
miliardi di anni luce, ha comunque fornito la possibilità agli
astronomi d’estrarre i contributi relativi di
stelle e buchi neri della prima generazione. In sostanza è come osservare da Milano uno spettacolo pirotecnico in corso a Palermo, spiegano gli autori dello studio per illustrare il metodo da loro seguito: i singoli
fuochi d’artificio sono troppo deboli per essere visti, ma se si potessero rimuovere tutte le
sorgenti luminose nel mezzo, sarebbe possibile rilevare un bagliore residuo. La presenza di fumo, poi, rafforzerebbe ulteriormente la conclusione che almeno parte di quel bagliore proviene proprio dallo spettacolo pirotecnico. Nel caso delle
mappe del CIB e del
CXB, sia una parte dell’
emissione infrarossa che di quella X sembrano provenire dalle stesse
regioni del cielo. E le sole sorgenti capaci di emettere in entrambe queste bande con l’intensità necessaria, spiegano gli
scienziati, sono esattamente i
buchi neri. Le
galassie normali, comprese quelle con i tassi di
formazione stellare più elevati, non sarebbero in grado di farlo. Non solo: per rimanere indistinte, le sorgenti alimentate dai
buchi neri devono trovarsi a distanze elevate.