Il-Trafiletto
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20/08/14

Nube di gas | Dilaniata da un buco nero


Come era stato già annunciato dall'articolo pubblicato sul numero di Luglio 2013 di BBC Science World, una vasta nube di gas e polvere è stata "azzannata" da un buco nero supermassiccio al centro della nostra Galassia. 

La nube ha subito un allungamento per l'effetto della forza gravitazionale del buco nero, fornendo agli scienziati un punto di osservazione privilegiato per approfondire questo misterioso fenomeno. Grazie al Very Large Telescope dell'ESO (Osservatorio Europeo Astrale), gli astronomi hanno seguito la progressione della nube verso il buco nero Sagittarius A*.

"La nube, come uno sventurato astronauta in un film di fantascienza, si è deformata al punto da diventare filiforme", dice Stefan Gillessen dell'Istituto Max Planck di Fisica Extraterrestre, in Germania, che ha diretto l'equipe di osservatori. La nube, sgranandosi, diventa meno visibile perché la sua emissione luminosa si indebolisce. Ma il team è stato comunque in grado di misurare la velocità dell'oggetto celeste i servando la regione circostante il buco nero, e analizzando, con il VLT posizionato nel deserto cileno di Atacama, un'esposizione della durata di oltre 20 ore. La testa della nube, dopo aver superato la zona di massima attrazione gravitazionale, sta tornando verso di noi a una velocità superiore ai 10 milioni di km/h.

L"'incontro ravvicinato" avverrà però in tempi tutt'altro che brevi. "La nube si è talmente allungata da rendere il suo approssimarsi un processo diffuso, prevedibile nel corso di almeno un anno, piuttosto che un evento puntuale", spiega Gillessen. Gli astronomi stanno attualmente osservando gli eventi che si svolgono in prossimità del sistema, nella speranza di poter esaminare regioni prossime al buco nero mai studiate prima.

Tenteranno inoltre di approfondire gli effetti di forze gravitazionali elevatissime (Sagittarius A* ha una massa pari a quattro milioni di volte quella del Sole).(science)

25/12/13

Odissea nello spazio…2013!

Odissea nello spazio...2013! Di diritto possiamo annoverare tra gli eventi spaziali del 2013 al primo posto possiamo annoverare, e a giusta ragione, all'inaspettato arrivo di un meteorite sopra la regione russa di Chelyabinsk, avvenuto a febbraio. Forse per l’inaspettata, e la devastante discesa del meteorite che è stata la migliore registrazione della storia, grazie alla presenza di tantissime telecamere d’istanza nella zona. Con quasi 20 metri di lunghezza, il meteorite di Chelyabinsk è stato il più grande a giungere sulla terra da ben 100 anni a questa parte, suscitando l’interesse per il rilevamento degli asteroidi ed eventuali misure preventive. Ma ecco tutti gli altri eventi spaziali dell'anno che sta per concludersi, ricordati dal NewScientist.

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Spazio anno 2013
 
Cominciamo dagli eventi recenti. Sarebbe dovuta essere la cometa del secolo, con una luminosità più splendente di quella della Luna, ma il Sole l’ha dissolta prima che potesse rivelarsi in tutta la sua brillantezza: parliamo di ISON, studiata da dozzine di sonde, e attesa da centinaia di astronomi professionisti ed amatori che hanno scrutato il cielo nella speranza di osservarla. Al suo posto sarà invece possibile osservare a occhio nudo un’altra cometa, Lovejoy R1, per tutto il mese di dicembre. Ma il passo dalle comete ai pianeti è breve.

Anche se ancora non sappiamo con certezza assoluta se dei microbi abbiano definitivamente fatto parte della popolazione ideale ed ipotetica di Marte, quest’anno le osservazioni di Curiosity hanno dato forza e sostanza una volta per tutte che il pianeta rosso, Marte, è stato in grado in un lontano passato, potenzialmente di ospitare la vita: analisi eseguite su una roccia, estratta dal rover nei presso di un antico canale supportano l’ipotesi che il cratere Gale fosse una volta un lago colmo di acqua potabile, e incoraggiano la speranza di trovare tracce di antichi esseri viventi su Marte. Ma Curiosity non è l’unico veicolo che si appresta a fare misurazioni e scoperte su Marte: anche l’India ha deciso di partecipare all’esplorazione del pianeta rosso lanciando, lo scorso novembre, la Mars Orbiter Mission, costata “solo” 73 milioni di dollari.

La sonda contiene diversi strumenti scientifici, per determinare la presenza di metano nell’atmosfera e per cercare di ottenere maggiori informazioni sul clima del pianeta (uno scopo condiviso anche dalla missione MAVEN della Nasa. Ma il 2013 è stato un anno importante anche per gli esopianeti: ad Aprile il telescopio Kepler della NASA ha osservato la prima coppia di pianeti simili per dimensioni alla Terra, entrambi in orbita all’interno della zona abitabile che circonda la loro stella, Kepler 62, a 1200 anni luce dalla Terra. Secondo gli astronomi, si tratterebbe di pianeti rocciosi, abbastanza massivi da poter trattenere una spessa atmosfera, coperti di oceani liquidi che potrebbero potenzialmente ospitare la vita. Lanciato nel 2009, il telescopio Kepler ha scoperto, nei suoi 5 anni di attività, 167 esopianeti e ha identificato quasi 3000 possibili candidati, alcuni dei quali potrebbero ospitare la vita. Ma la sua missione si è interrotta bruscamente poco dopo la scoperta degli esopianeti di Kepler 62: a maggio la Nasa ha infatti annunciato che il telescopio era gravemente danneggiato. La missione è stata poi ufficialmente interrotta ad Agosto.

Ma di esopianeti si è parlato anche a livello teorico quest'anno. Era il 1961 quando l’astronomo Frank Drake ricavava la sua famosa equazione per stimare il numero di civiltà extraterrestri esistenti in grado di comunicare nella nostra galassia: la formula tuttavia conteneva una quantità di incognite sconosciute a quei tempi, tra cui la possibilità o no che esistessero effettivamente pianeti al di fuori del Sistema Solare. Grazie all’enorme quantità di dati sugli esopianeti raccolti negli ultimi tempi, quest’anno Sara Seager del Mit ha potuto rielaborare l’equazione, restringendo i campi di ricerca e focalizzandola sui pianeti che potrebbero contenere tracce biologiche nelle loro atmosfere.

Il 2013 è stato anche l’anno della nascente concorrenza nell’esplorazione commerciale dello Spazio: fino a settembre, la SpaceX era l’unica compagnia privata di voli spaziali in grado di consegnare i rifornimenti alla Stazione Spaziale Internazionale. La SpaceX è stata tuttavia affiancata dall’Orbital Sciences, che ha lanciato e attraccato all’ISS la sua capsula cargo Cygnus. E dal trasporto merci privato nello Spazio passiamo ai tour per esseri umani attorno a Marte: il milionario Dennis Tito ha infatti annunciato di aver formato una organizzazione no-profit con lo scopo di mandare due persone sul pianeta rosso entro il 2018, con un viaggio che avrebbe la durata di 501 giorni. La missione ha tuttavia bisogno del supporto della Nasa, e non è ancora chiaro se l’agenzia spaziale americana accetterà o no l’offerta.
Infine, dopo 35 lunghi anni di viaggio, il 2013 è stato l’anno in cui la sonda Voyager 1 della Nasa ha finalmente lasciato il Sistema Solare: il veicolo continuerà a mandare alla Terra dati che ci permetteranno di comprendere meglio la zona che ci circonda, e terminerà la sua missione nel 2015, dopo aver esaurito il suo combustibile.



19/10/13

Fra le tante stelle dell'universo molti buchi neri

Fra le tante stelle dell'universo molti buchi neri. Questo e quanto si evince da uno studio della NASA, almeno una protogalassia su cinque, potrebbe includere un buco nero. Il risultato dello studio eseguito della NASA, è stato ottenuto utilizzando i dati dei satelliti Chandra e Spitzer, coordinato da Nico Cappelluti, ricercatore all’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna.
I buchi neri, essendo l’ultimo stadio dell’evoluzione di stelle massicce, s’ipotizza che abbiano fatto la loro apparizione relativamente tardi, nella storia del cosmo. Non è affatto cosi: la loro presenza era già alqaunto estesa anche fra le primordiali stelle dell'universo. Questo è quanto ha scoperto un team internazionale di astronomi, diretto dall’italiano Nico Cappelluti, mettendo a confronto, per una stessa regione di cielo, il fondo a infrarossi con quello a raggi X. Ciò che ne è scaturito dai dati è che una sorgente di raggi infrarossi su cinque, fra quelle risalenti all’universo primordiale, è un buco nero. «Abbiamo impiegato quasi cinque anni, per portare a termine questo studio. Ma i risultati sono sorprendenti», dice Cappelluti. «I nostri risultati attribuiscono ai buchi neri almeno il 20 per cento dell’emissione cosmica di fondo infrarossa. Questo significa che, all’epoca delle prime stelle, i buchi neri già erano impegnati a cibarsi di gas in modo frenetico», spiega Alexander Kashlinsky, astrofisico presso il Goddard Space Flight Center della NASA, nel Maryland.
L'idea di effettuare uno studio tale ebbe inizio nel 2005, quando Kashlinsky e alcuni suoi colleghi, analizzando i dati del telescopio spaziale infrarosso Spitzer della NASA, notarono per la prima volta un bagliore residuo.
Buco nero

Successive osservazioni hanno confermato la persistenza d’un bagliore irregolare residuo, anche dopo un’accurata sottrazione del contributo di tutte le stelle e le galassie conosciute nella regione osservata. Da qui la conclusione che si trattava del fondo cosmico a raggi infrarossi (CIB), una luce risalente all’epoca in cui prendevano forma le prime strutture dell’universo, fra le quali stelle e buchi neri primordiali. La stessa regione di cielo è stata monitorata nel 2007 anche da un telescopio spaziale a raggi X, il satellite Chandra, sempre della NASA. Elaborando i dati multibanda ottenuti in quell’occasione, Cappelluti ha realizzato mappe a raggi X, rimuovendo tutte le sorgenti conosciute in tre lunghezze d’onda. E di nuovo, proprio come con Spitzer, è rimasto un bagliore di fondo, questa volta però in banda X: il CXB, quindi, o fondo cosmico a raggi X. Confrontando le due mappe, è scaturito che le fluttuazioni del bagliore residuo alle energie X più basse evidenzioano una coerenza importante con quelle presenti nelle mappe a infrarossi.
La scoperta non scaturisce da osservazioni puntuali: neanche i telescopi più potenti sarebbero in grado di distinguere le stelle e i buchi neri più lontani come singole sorgenti. Ma l’analisi del loro bagliore totale, giunto fino a noi dopo un viaggio lungo miliardi di anni luce, ha comunque fornito la possibilità agli astronomi d’estrarre i contributi relativi di stelle e buchi neri della prima generazione. In sostanza è come osservare da Milano uno spettacolo pirotecnico in corso a Palermo, spiegano gli autori dello studio per illustrare il metodo da loro seguito: i singoli fuochi d’artificio sono troppo deboli per essere visti, ma se si potessero rimuovere tutte le sorgenti luminose nel mezzo, sarebbe possibile rilevare un bagliore residuo. La presenza di fumo, poi, rafforzerebbe ulteriormente la conclusione che almeno parte di quel bagliore proviene proprio dallo spettacolo pirotecnico. Nel caso delle mappe del CIB e del CXB, sia una parte dell’emissione infrarossa che di quella X sembrano provenire dalle stesse regioni del cielo. E le sole sorgenti capaci di emettere in entrambe queste bande con l’intensità necessaria, spiegano gli scienziati, sono esattamente i buchi neri. Le galassie normali, comprese quelle con i tassi di formazione stellare più elevati, non sarebbero in grado di farlo. Non solo: per rimanere indistinte, le sorgenti alimentate dai buchi neri devono trovarsi a distanze elevate.

Il primo "vagito" di una stella appena nata!

Il primo "vagito" di una stella appena nata! La vita si sa bene, è una questione di equilibrio, e per ottenerlo bisogna cambiare constantemente.
Questo inculcava nel lontano 1930 al proprio figlio Eduard Albert Einstein in una celebre lettera. Le stelle chiaramente non hanno una vita in se ma si bensi si formano per poi evolversi. Tutta la loro vita è una costante e continua ricerca di equilibrio in cui tante di esse, appena formate sono costrette ad espellere miliardi e miliardi di tonnellate di materiale gassoso e polvere che hanno in eccesso dentro di loro per non essere costrette ad esplodere. Questo lo si sa da tempo ormai, ma ora c'è una conferma davvero importante che ci giunge da un'immagine a dir poco spettacolare, dai colori oltremodo superbi e di un dettaglio mai raggiunto, realizzata da un gruppo di astronomi nord e sud americani che, facendo uso del nuovissimo e potente Alma l'insieme di radiotelescopi posto a 5.000 metri nel deserto cileno di Atacama, hanno fissato una stella appena formatasi da cui fuoriescono, con una violenza e velocità inimagginabile, getti di gas e polvere. Questi, viaggiando a centinaia di migliaia di chilometri all'ora, vanno incontro ad altro materiale inerte e nello scontrarsi si produce un'energia notevolissima che si tramuta in segnale luminoso. La novità delle osservazioni dell'oggetto Herbig Haro 46/47, così si chiama dal nome di
Stella appena nata

due famosi astronomi del recente passato, sta soprattutto nel livello di dettaglio raggiungibile con il nuovo strumento, che osserva la radiazione elettromagnetica nelle lunghezze d'onda di un millimetro o meno. Questi pennacchi luminosi e colorati, a causa degli elementi chimici coinvolti nel fenomeno, stanno a soli 1400 anni luce da noi, nella costellazione della Vela, alquanto ricca di gas e polveri interstellari da cui si formano continuamente nuove stelle. La loro vita iniziale è sempre a rischio: da una massa informe di materiale diffuso, parliamo di poche particelle per centimetro cubo, si addensa una formazione sferoidale di qualche milione di chilometri di diametro, tipicamente, che si contrae su sé stessa per attrazione gravitazionale, le parti più interne sono sulla Terra. A questo punto sulla sfera è come se agissero due enormi mani infatti più dense e attirano sempre più quelle esterne. L'aumento di massa porta man mano a quello della densità al centro e di conseguenza della temperatura, parliamo comunque sempre di tempi "astronomici" e quindi centinaia di migliaia e più di anni. Quando la temperatura nel cuore dello sferoide va sui milioni di gradi si accende la fusione nucleare, quella che cerchiamo da 50 anni di riprodurre qui sulla Terra. Sulla stella nascente agiscono ora due fenomeni contrapposti: la gravità tende a far "cadere" le parti più esterne verso il centro, come un bicchiere cade per terra se ci sfugge di mano, mentre l'energia prodotta dalla fusione nucleare all'interno tende ad uscire, sotto forma di radiazione e calore, come una stufa elettrica accesa. Per dire è come se due mani schiacciassero un pallone da calcio e due dall'interno cercassero di farlo espandere. L'equilibrio, la parola chiave, può essere raggiunto nella stella anche espellendo quantità per noi mostruose di materiale dallo sferoide che sta diventando stella a tutti gli effetti, come nel nostro caso. Se non ce la fa la stella scoppia subito e si ritenta fra qualche miliardo di anni. Al di là della scoperta scientifica questa ricerca dimostra l'eccezionale resa di Alma, l'Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, un osservatorio astronomico internazionale che è una collaborazione fra l'Europa, il Nord America e l'Asia Orientale, in cooperazione con la Repubblica del Cile. Le parabole europee di Alma sono state fornite dall'Italia, che ha vinto la gara internazionale per la loro costruzione. Siamo noi infatti ad avere la migliore tecnologia in questo campo, che è apparentemente di nicchia, ma molto qualificante a livello internazionale.
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