Il-Trafiletto
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10/01/14

Nella nube di Magellano scoperta una fabbrica di polveri

Come hanno avuto origine le galassie? Sono le polveri delle supernove. Pare che le supernove siano anche alla base dell'origine dell'Universo primordiale. Ma fino ad ora questa era solo una teoria, adesso non più.  Già questa affascinante scoperta è stata fatta dal telescopio Alma al quale l’Italia partecipa attraverso l’Osservatorio Europeo Meridionale (Eso) e con la Thales Alenia Space, che ha realizzato parti delle antenne. I risultati della ricerca e’ in via di pubblicazione sulla rivista Astrophysical Journal Letters. Il telescopio dell’Eso ha catturato per la prima volta i resti di una recente supernova, chiamata Sn1987A, ricca di polvere, situata nella Grande Nube di Magellano, a circa 160.000 anni luce dalla Terra.

Se una quantita’ sufficiente di questa polvere, riesce a completare il rischioso passaggio verso lo spazio interstellare, potrebbe spiegare come molte galassie abbiano acquisito il loro aspetto scuro e ‘polveroso’. Le galassie infatti possono essere luoghi decisamente polverosi e si pensa che le supernove siano una delle principali fonti di questa polvere, soprattutto nell’Universo primordiale. Ma finora le dimostrazioni dirette della possibilita’ di produrre polvere da parte delle supernove sono state poche e non erano in grado di giustificare le abbondanti quantita’ di polvere viste nelle galassie giovani e distanti. ”Abbiamo trovato una massa di polvere incredibilmente grande concentrata nella zona centrale del materiale espulso da una supernova relativamente giovane e vicina”, ha detto uno degli autori, Remy Indebetouw, astronomo all’Osservatorio Nazionale di Radio Astronomia degli Stati Uniti e universita’ della Virgina, entrambi con sede a Charlottesville. ”E’ la prima volta – ha aggiunto – che siamo in grado di produrre un’immagine della zona in cui si forma la polvere, un passo importante per comprendere l’evoluzione delle galassie”. Gli astronomi hanno previsto che quando il gas si raffredda dopo l’esplosione si formano grandi quantità di polvere poichè gli atomi di ossigeno, carbonio e silicio si legano tra loro nelle regioni interne e fredde del resto di supernova.

19/10/13

Fra le tante stelle dell'universo molti buchi neri

Fra le tante stelle dell'universo molti buchi neri. Questo e quanto si evince da uno studio della NASA, almeno una protogalassia su cinque, potrebbe includere un buco nero. Il risultato dello studio eseguito della NASA, è stato ottenuto utilizzando i dati dei satelliti Chandra e Spitzer, coordinato da Nico Cappelluti, ricercatore all’INAF-Osservatorio Astronomico di Bologna.
I buchi neri, essendo l’ultimo stadio dell’evoluzione di stelle massicce, s’ipotizza che abbiano fatto la loro apparizione relativamente tardi, nella storia del cosmo. Non è affatto cosi: la loro presenza era già alqaunto estesa anche fra le primordiali stelle dell'universo. Questo è quanto ha scoperto un team internazionale di astronomi, diretto dall’italiano Nico Cappelluti, mettendo a confronto, per una stessa regione di cielo, il fondo a infrarossi con quello a raggi X. Ciò che ne è scaturito dai dati è che una sorgente di raggi infrarossi su cinque, fra quelle risalenti all’universo primordiale, è un buco nero. «Abbiamo impiegato quasi cinque anni, per portare a termine questo studio. Ma i risultati sono sorprendenti», dice Cappelluti. «I nostri risultati attribuiscono ai buchi neri almeno il 20 per cento dell’emissione cosmica di fondo infrarossa. Questo significa che, all’epoca delle prime stelle, i buchi neri già erano impegnati a cibarsi di gas in modo frenetico», spiega Alexander Kashlinsky, astrofisico presso il Goddard Space Flight Center della NASA, nel Maryland.
L'idea di effettuare uno studio tale ebbe inizio nel 2005, quando Kashlinsky e alcuni suoi colleghi, analizzando i dati del telescopio spaziale infrarosso Spitzer della NASA, notarono per la prima volta un bagliore residuo.
Buco nero

Successive osservazioni hanno confermato la persistenza d’un bagliore irregolare residuo, anche dopo un’accurata sottrazione del contributo di tutte le stelle e le galassie conosciute nella regione osservata. Da qui la conclusione che si trattava del fondo cosmico a raggi infrarossi (CIB), una luce risalente all’epoca in cui prendevano forma le prime strutture dell’universo, fra le quali stelle e buchi neri primordiali. La stessa regione di cielo è stata monitorata nel 2007 anche da un telescopio spaziale a raggi X, il satellite Chandra, sempre della NASA. Elaborando i dati multibanda ottenuti in quell’occasione, Cappelluti ha realizzato mappe a raggi X, rimuovendo tutte le sorgenti conosciute in tre lunghezze d’onda. E di nuovo, proprio come con Spitzer, è rimasto un bagliore di fondo, questa volta però in banda X: il CXB, quindi, o fondo cosmico a raggi X. Confrontando le due mappe, è scaturito che le fluttuazioni del bagliore residuo alle energie X più basse evidenzioano una coerenza importante con quelle presenti nelle mappe a infrarossi.
La scoperta non scaturisce da osservazioni puntuali: neanche i telescopi più potenti sarebbero in grado di distinguere le stelle e i buchi neri più lontani come singole sorgenti. Ma l’analisi del loro bagliore totale, giunto fino a noi dopo un viaggio lungo miliardi di anni luce, ha comunque fornito la possibilità agli astronomi d’estrarre i contributi relativi di stelle e buchi neri della prima generazione. In sostanza è come osservare da Milano uno spettacolo pirotecnico in corso a Palermo, spiegano gli autori dello studio per illustrare il metodo da loro seguito: i singoli fuochi d’artificio sono troppo deboli per essere visti, ma se si potessero rimuovere tutte le sorgenti luminose nel mezzo, sarebbe possibile rilevare un bagliore residuo. La presenza di fumo, poi, rafforzerebbe ulteriormente la conclusione che almeno parte di quel bagliore proviene proprio dallo spettacolo pirotecnico. Nel caso delle mappe del CIB e del CXB, sia una parte dell’emissione infrarossa che di quella X sembrano provenire dalle stesse regioni del cielo. E le sole sorgenti capaci di emettere in entrambe queste bande con l’intensità necessaria, spiegano gli scienziati, sono esattamente i buchi neri. Le galassie normali, comprese quelle con i tassi di formazione stellare più elevati, non sarebbero in grado di farlo. Non solo: per rimanere indistinte, le sorgenti alimentate dai buchi neri devono trovarsi a distanze elevate.
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