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06/09/14

Nervosismo | Nervoso? No, sono diversamente calmo!

Con la parola nervosismo si intende un particolare stato di eccitamento caratterizzato da una elevata sensibilità agli stimoli e da una esagerata risposta a tali stimoli, sia di tipo comportamentale che a livello fisico. E’ una patologia associata frequentemente a problemi di ansia, depressione e soprattutto stress, e sarebbe fin troppo comodo sentenziare che la medicina ideale per il suo trattamento sia una e soltanto una: la calma. Purtroppo non è così.
 Esistono due forme di nervosismo, psicologico e organico. Il nervosismo psicologico è dovuto ad eccitamento mentale. Questa condizione può essere dovuta a una dieta sbagliata o a cattive abitudini igieniche come il sonno. Fare quindi attenzione a come si mangia, imbattersi in diete semplici, equilibrate e non troppo abbondanti, e a dormire le giuste ore di sonno, dal momento che troppo sonno droga i nervi e troppo poco li danneggia. Più raramente, l’agitazione e il nervosismo hanno origini di tipo organico (ipoglicemia, ipertiroidismo, tetano). Spesso il nervosismo si riscontra in persone che fanno eccessivo uso di determinate sostanze (alcol, caffeina, farmaci, sostanze stupefacenti); in questi soggetti, le crisi di astinenza porta spesso forme di nervosismo particolarmente marcate. Caratteristica della persona nervosa è la tensione muscolare, che si traduce in tremore alle mani, alle gambe e al collo, con conseguenti movimenti meccanici, improvvisi e reiterati con il viso, le mani e i piedi. Lo sguardo è sempre vigile e la persona risponde a tutti gli stimoli che provengono dall’esterno, anche minimi, che possono andare dalle risate eccessive a forti crisi di pianto, collera, sudorazione eccessiva ecc. Anche la dialettica non è immune a questa antipatica situazione, l’individuo è portato ad esprimersi poco, a monosillabi ed in maniera veloce. Il soggetto nervoso inoltre è portato a nascondere sia il proprio stato emotivo sia la conseguente tensione che da esso deriva, ottenendo spesso il risultato opposto, la sua agitazione aumenta al punto tale da avere reazioni molto violente sia verso le cose che contro le persone. Se lo stato di nervosismo non è temporaneo ma si protrae per un periodo medio-lungo , il soggetto può andare incontro ad un’alterazione del sistema neurovegetativo. Possono comparire tachicardia e palpitazioni, inoltre possono manifestarsi spesso conseguenze a livello gastrointestinale; il soggetto soffre spesso di bruciori di stomaco, cattiva digestione, diarrea, gastrite, sindrome del colon irritabile, perdita dell’appetito e ulcera. Come si può trattare il nervosismo? Quello di tipo organico è sufficiente rimuovere le cause di tipo fisico che sono alla base del problema, ma è voce comune che, per ottenere degli ottimi risultati, sia sufficiente sostituire paura, ira, malinconia, rimorso, invidia, tristezza, odio, scontento o preoccupazione, e la mancanza del necessario con cibo appropriato, sufficiente esercizio, aria fresca, sole, un lavoro piacevole e uno scopo nella vita. 

05/09/14

Quel fastidioso fenomeno chiamato IRSUTISMO.

L'irsutismo è la presenza, negli individui si sesso femminile, di peli duri e grossolani, estesi in sedi peculiari del maschio come il labbro superiore, mento, schiena, intorno all'areola del capezzolo, da non confondere con l’ipertricosi, cioè quella situazione in cui si verifica anche lì un aumento della peluria, ma in sedi nelle quali essa è normalmente presente. Quando poi all’irsutismo viene collegata l’atrofia mammaria, il cambiamento mascolino del tono vocale, l’aumento della massa muscolare, l’ipertrofia del clitoride, si ha la condizione di virilismo, cioè una condizione che presenta diverse caratteristiche proprie del sesso maschile. Diverse sono le cause responsabili dell’irsutismo, tra le quali: l’irsutismo di origine ovarica, caratteristico delle pazienti affette da ovaio policistico, una patologia che comporta dei livelli di testosterone superiori alla norma e alterazioni del ciclo mestruale. Raramente l’irsutismo è dovuto a neoplasie dell’ovaio. L’irsutismo surrenalico, dovuto particolarmente a patologie che colpiscono i surreni, ghiandole produttrici di testosterone. L’irsutismo iatrogeno, causato dall’assunzione di determinati farmaci che come effetto collaterale hanno proprio questo problema, come ad esempio i corticosteroidi, gli anabolizzanti e i progestinici. Infine l’ irsutismo idiopatico, cioè quando la causa non è associabile a malattie o a cause predisponenti. La diagnosi di irsutismo nelle pazienti si basa inizialmente su dati oggettivi, per poi passare a metodi più scientifici come la tabella di Ferriman e Gallwey, la quale assegna un determinato punteggio in base alla qualità e quantità pilifera. Per il completamento della diagnosi si deve valutare inoltre anche il periodo d’insorgenza dell’irsutismo; se è insorto in data remota si può supporre un complicazione di origine non neoplastica a livello surrenale, mentre se l’insorgenza è rapida e intensa potrebbe trattarsi allora di un problema di tipo neoplastico a carico dei surreni o delle ovaie. E’ stato diagnosticato irsutismo anche in pazienti affette da obesità e diabete. La terapia dell’irsutismo dipende dalla sua eziologia. Se è dovuto a neoplasie ovariche o surrenali l’unica terapia è quella chirurgica seguita da cicli di chemioterapia, negli altri casi le terapie sono farmacologiche a base di cortisonici o estroprogestinici, e in qualche caso può essere d’aiuto la terapia estetica. (immagine presa dal web) .

03/08/14

Dolore intenso e vescicole: ecco il Fuoco di Santantonio.

L’Herpes Zoster, chiamato comunemente “Fuoco di Sant’Antonio ( si dice perché all’epoca chi fosse stato colpito da questa malattia si rivolgeva pregando a sant'Antonio abate, ritenuto grande taumaturgo), è una patologia virale che colpisce sia la pelle che le terminazioni nervose. Tale malattia è provocata dall’herpes virus varicella-zoster, il virus che è anche responsabile della varicella, infatti l’eruzione cutanea è simile a quella della varicella con le classiche vesciche piene di liquido. Tale eruzione compare generalmente sul torace o sulla schiena, sul viso, ma non è rara la sua presenza attorno agli occhi, all'interno della bocca, su un braccio o su una gamba, in genere sempre su un solo lato del corpo, ed è sempre accompagnata da un dolore molto intenso. Il decorso dello Zoster va da un periodo minimo di dieci giorni a circa tre mesi e spesso si risolve con la completa guarigione, mentre in diversi casi si cronicizza nella nevralgia post erpetica, ovvero un dolore persistente, anche per mesi o sine die. Tuttavia il virus della varicella non viene eliminato dall’organismo, esso rimane generalmente dormiente per tutto il corso della vita all’interno delle radici nervose spinali e in una percentuale non proprio trascurabile ( 15-20% e sopra i 50 anni) il virus si risveglia, provocando l’herpes zoster. Ne sono immuni i soggetti che non si sono mai ammalati di varicella. Questo perché negli individui normali la risposta immunitaria riesce a neutralizzare l’assalto del virus, generando un equilibrio tra le parti, mentre nei soggetti immunodepressi, avendo le difese immunitarie molto basse, prevale l’attacco virale e di conseguenza il manifestarsi nuovamente della patologia. Quali sono le cure. Spesso la risoluzione è spontanea dopo un certo lasso di tempo, ritenendo necessario solo il trattamento del dolore. Tra i farmaci vengono prescritti gli antivirali ( aciclovir ed altri) per via orale o endovenosa, per il trattamento riduttivo dell’ eruzione cutanea e dolore e a scopo preventivo. Il trattamento va protratto per almeno una decina di giorni e iniziato non oltre il terzo giorno dal manifestarsi della patologia. Altra categoria di farmaci sono gli antiepilttici (gabapentin), atti a normalizzare l’attività elettrica del sistema nervoso causata dai nervi danneggiati. Vengono usati generalmente come antalgici anche gli antidepressivi come l’amitriptilina, mentre la stimolazione elettrica (tens) sembra dia risultati poco soddisfacenti. L'herpes zoster è contagioso solo nel caso in cui avviene il contatto diretto con il liquido contenuto nelle vescicole, quindi solo durante i primi giorni della malattia. Non ci sono vaccini contro il fuoco di Santantonio, per lo meno in Italia, dal momento che quello sperimentato negli USA negli anni novanta, e con buoni risultati, non è mai stato disponibile nel nostro paese. (immagine presa dal web)

26/07/14

Quel dito storto che risponde al nome di alluce valgo.

L’alluce valgo è una patologia tra le più diffuse riguardanti l’avampiede. È una deformazione dell'alluce che si traduce in una deviazione dell’articolazione metatarso-falangea di questo dito in direzione delle altre dita. In alcuni casi l’alluce tende addirittura ad accavallarsi sul secondo e persino sul terzo dito del piede. È dunque una malformazione, caratteristica dell’età adulta, ma possiamo diagnosticarlo anche nei pazienti più giovani, e se questi ultimi praticano una qualche attività agonistica, può rivelarsi un vero problema. Ma come e quando viene l'alluce valgo? L'eziologia sembra abbia una multifattorialità, infatti si parla di alluce valgo congenito (primario) o acquisito (secondario). Quest'ultima causa, si è visto, si è riscontrata spesso e volentieri in quelle persone che usano determinati tipi di calzature,e colpisce molto più frequentemente i soggetti di sesso femminile, probabilmente a causa della poco maneggevolezza, sebbene alla moda, appunto delle loro calzature. Infatti raramente si riscontra l’alluce valgo in soggetti che camminano scalzi. Uno studio giapponese del 1981 dimostrò che, prima del 1945, in Giappone l'alluce valgo era pressoché sconosciuto, dal momento che la quasi totalità del popolo giapponese era solito indossare i "tabi", i tradizionali calzini che arrivano all’altezza della caviglia e che dividono l’alluce dalle altre dita; poi, dopo il 1945, anno in cui il popolo del sol levante ha iniziato a indossare anche le calzature di tipo occidentale, si è osservato un aumento dei casi di alluce valgo. La caratteristica fisica dell'alluce valgo è la famosa "cipolla", che causa dolore al contatto con la calzatura. La diagnosi è abbastanza evidente ad occhio nudo ma si consiglia una radiografia. Qual'è il tipo di trattamento per un alluce valgo? L'uso di plantari può essere utile e sufficiente per bloccare l'insorgenza nei casi più semplici, senza possibilità peraltro di far regredire quello che ormai è in atto, mentre nei casi più conclamati è opportuno affidarsi ad un intervento chirurgico, dove non esiste una tecnica standard oppure una migliore delle altre. Una volta effettuato l'intervento, il decorso sarà quello dell'uso di antidolorifici nei primi 2-3 giorni, la deambulazione è immediata e la prognosi è di circa 60 giorni, inframmezzati da una visita di controllo, al termine dei quali il paziente viene considerato guarito. (immagine presa dal web)

15/04/14

Mal di testa | puntuale come un orologio svizzero: viene il lunedì mattina alle 10.

Sul Journal of Medical Internet Research è stata pubblicata una ricerca svolta da alcuni scienziati dell’Univeristà del Michigan su una patologia tra le più comuni al mondo: il mal di testa. I ricercatori, Raccogliendo ed esaminando 21.741 tweet di persone sofferenti di emicrania negli Stati Uniti e in Europa, hanno dimostrato che i risultati di questo studio sul social media sono sostanzialmente sovrapponibili a quelli ottenuti dalla ricerca scientifica tradizionale: il mal di testa arriva puntuale il lunedì mattina intorno alle 10. Poi ricompare la sera verso le 22. Durante il weekend, invece, è più facile che arrivi verso le 12. Infine, a farne le spese sono soprattutto le donne. L'emicrania, dunque, colpisce circa il 12% degli adulti nel mondo: ne soffre circa il 18% delle donne e il 6% negli uomini. La maggior parte, ovvero il 90%, denuncia di avere un dolore serio, il 75% di soffrire talmente da non riuscire a fare quasi nulla, il 30% di avere bisogno addirittura di riposarsi a letto. Inoltre, il mal di testa è soprattutto un problema femminile: il 74% dei tweet è inviato, infatti, da donne che in quel momento ne soffrono. Questa ricerca, dunque, dimostra ancora una volta che Twitter non è soltanto un mezzo per pubblicare notizie o condividere emozioni e punti di vista, ma è utile come termometro della salute dei suoi utenti ed è da tempo usato per misurare la felicità del mondo. Quello che la ricerca americana non dice è che proprio i social media possono essere una delle cause principali delle cefalee: è il cosiddetto mal di testa dei "sempre connessi". Secondo una recente indagine Doxa, un italiano su tre ritiene infatti che il mal di testa sia conseguenza dell’abuso di computer e smartphone. Ma attenzione: questa ricerca è da prendere con le pinze per due motivi: non è scientifica (non indaga il rapporto causa-effetto) e si basa solo sulle opinioni di un campione; e soprattutto è commissionata da una casa farmaceutica che produce farmaci contro... il mal di testa.

30/03/14

Il chewing gum responsabile dei tuoi mal di testa.

Le cause del mal di testa sono molteplici, ma quella più diffusa sicuramente è la gomma da masticare. Lo dimostra una ricerca pubblicata su Pediatric Neurology e condotta da un gruppo di ricercatori del Meir Medical Center dell'università di Tel-Aviv in Israele, secondo cui molti casi di mal di testa nei giovanissimi ( ma anche nei meno giovani) sarebbero da attribuire alla cattiva abitudine di masticare chewing gum per ore e ore. Secondo gli autori il mal di testa è molto diffuso tra bambini e adolescenti, ancora di più tra le ragazzine. Tra le cause scatenanti questa fastidiosissima patologia ci sono lo stress, stanchezza, mancanza di sonno, rumori, l'uso prolungato di videogiochi, il fumo, i pasti saltati e il ciclo mestruale. Il neurologo Nathan Watemberg ha notato che molti dei suoi giovani pazienti, in particolare le femmine, erano soliti masticare il chewing-gum per ore e ore. Si è chiesto perciò se non potesse esservi un legame fra il masticare continuo e la comparsa del dolore, anche perché nella sua esperienza si era accorto che spesso, smettendo di masticare, il mal di testa come per incanto svaniva di lì a poco. Il medico ha condotto perciò una ricerca su 30 suoi pazienti dai 6 ai 19 anni con cefalea cronica e l’abitudine a masticare “cicche” ogni giorno, da una fino addirittura a sei ore quotidiane: a tutti ha chiesto di bandirle per un mese. Dopo trenta giorni senza gomme 19 ragazzini su 30 hanno visto sparire completamente il mal di testa, che in altri 7 casi era diminuito per frequenza e intensità. Facendo una controprova, 26 partecipanti hanno accettato di riprendere a masticare chewing-gum per due settimane: tutti hanno manifestato di nuovo la consueta cefalea nel giro di pochi giorni. Due le teorie chiamate in causa per questo mal di testa. La prima riguarda l’aspartame, il dolcificante contenuto in molti di questi prodotti: ma se fosse colpa del dolcificante dovrebbero soffrire di mal di testa anche i consumatori assidui di tutti i cibi e le bevande zuccherate. La seconda ipotesi è quella più probabile, secondo cui la masticazione della gomma provoca uno stress dell’articolazione temporo-mandibolare: in genere le gomme si tengono in bocca a lungo, masticandole ben oltre la scomparsa del loro sapore, e ciò costringe al “superlavoro” questa articolazione che peraltro è fra le più usate. Inoltre esistono prove scientifiche che una disfunzione dell’articolazione temporo-mandibolare possa davvero provocare mal di testa. Una scoperta che può avere immediate ripercussioni, secondo il neurologo: in un paziente con mal di testa (vale per i giovani, ma forse anche per i “ruminanti” più attempati) il consiglio di lasciar perdere le gomme è a costo zero e può risolvere una certa quota di casi senza necessità di ulteriori terapie.

29/03/14

Salbutamolo, un broncodilatatore per i sintomi delle allergie primaverili.

E' arrivata la primavera ( almeno sul calendario ) e porta con se la maggiorazione dei sintomi legati alle allergie, come gli attacchi di asma. L’asma è una patologia in aumento e molto frequente, soprattutto nella popolazione pediatrica. Sapere cosa fare in caso di un attacco di asma è importante per tutti, non solo per il bambino che ne soffre. Un attacco d’asma è causato da un brusco restringimento dei bronchi che portano l’ossigeno agli alveoli polmonari dove passa nel sangue. Questo vuol dire quindi una quantità ridotta di ossigeno che passa nel sangue, una difficoltà a respirare e spesso il classico fischio che in alcuni casi si può ascoltare ad orecchie nude. I fattori che possono scatenare un attacco d’asma sono molteplici: si va dagli abbondanti allergeni inalati (graminacee per esempio)alle infezioni virali, da uno sforzo fisico al fumo di sigaretta. In genere si avvertono dei segnali che anticipano di alcune ore la comparsa dei sintomi allergici, specialmente quelli respiratori. Questi segnali variano da paziente a paziente e possono essere diversi di volta in volta anche nello stesso soggetto. Imparare a riconoscere i segnali di avvertimento da parte del paziente significa agire prontamente su di essi, in questo modo si potrà evitare complicazioni molto gravi. I principali segni di avvertimenti che anticipano la comparsa degli attacchi d’asma nel bambino sono: naso che cola, starnuti ripetuti e tosse secca insistente, soprattutto notturna. La tensione emotiva peggiora gli attacchi d’asma, per cui è fondamentale che i genitori rimangano calmi ed assicurino altrettanta tranquillità al bambino. I farmaci da utilizzare in caso di attacco d’asma sono i broncodilatatori che servono a riaprire i bronchi che si sono chiusi velocemente. Il salbutamolo è un broncodilatatore in gocce per aerosol che va diluito con soluzione fisiologica, oppure spray da utilizzare sempre con un adeguato distanziatore. somministrato secondo il seguente schema: Aerosol: adeguato numero di gocce di salbutamolo in base al peso del bambino diluite in almeno 3 ml di soluzione fisiologica 3 volte al giorno per 4 giorni, 2 volte al giorno per 3 giorni, 1 volta al giorno per 2 giorni, oppure spray con distanziatore 3 – 4 puffs al giorno per 4 giorni, 2 – 3 puffs al giorno per 3 giorni, 1 – 2 puffs al giorno per 2 giorni Se vengono utilizzati gli spray e non si ottiene una risposta immediata alla prima somministrazione si possono ripetere i puffs fino a quattro somministrazioni nella prima mezzora. L’areosol può essere ripetuto dopo venti minuti se non vi è stato alcun miglioramento dei sintomi. In assenza di miglioramento è opportuno avere a portata di mano un cortisonico da somministrare per bocca e portare il bambino al più vicino pronto soccorso possibilmente pediatrico. Se si ha intenzione di allontanarsi da casa per un periodo di tempo superiore ai due giorni è meglio fare una scorta adeguata delle medicine necessarie.

01/03/14

Com'è cambiato il rapporto medico paziente?

A certe condizioni la rete può migliorare il dialogo: "Dottore ho trovato la soluzione su internet" Internet sta cambiando il rapporto medico-paziente. 


Secondo una ricerca, la possibilità di trovare notizie mediche on-line e di potersele stampare ha reso più informati e preparati i pazienti. Con una copia in mano di queste notizie il dialogo con i medici può essere facilitato visto che si può subito verificare l'attendibilità della notizia considerando la fonte che viene citata. Ma può esserci il rovescio della medaglia. Esiste la possibilità che su Internet si trovino notizie errate o fuorvianti e questo può diventare fonte di frustrazione per il medico. Il motivo?
medico - paziente

Capita che il paziente sia suggestionato da una notizia sbagliata letta navigando in rete e la riporti al suo medico di fiducia dandola senza dubbio per vera. Per cui oltre a dover capire di quale disturbo soffre il paziente, il terapeuta deve anche perdere del tempo a convincerlo che quello che ha letto non corrisponde alla realtà dei fatti. Dunque, come accade spesso quando si parla di Internet, questo strumento può essere interpretato in modo ambivalente. Quando offre un vero aiuto, nel nostro caso può trasformarsi in un'occasione per il medico di dedicare più tempo alla comprensione del vissuto del paziente e della sua patologia. Avendo egli risolto in pochi minuti i dubbi più generali sulla malattia stessa.

18/02/14

Artrosi | E’ un metallo il responsabile di questa patologia invalidante: lo zinco

L’artrosi è una malattia degenerativa che interessa le articolazioni più sottoposte ad usura, soprattutto al carico del peso corporeo, come le vertebre lombari o le ginocchia. Ora da una ricerca coreana si affaccia una notizia molto interessante che riguarda questa antipatica patologia: sembra che una delle sue cause possa essere l’accumulo di Zinco. Gli scienziati del Gwangju Institute of Science and Technology per ora hanno constatato questa circostanza solo tramite dei test su animali da laboratorio. Lo zinco è un metallo che entra nell’organismo grazie agli alimenti, quindi ricercatori si sono dati da fare proprio per verificare se il suo accumulo possa essere la causa di questa patologia invalidante. Infatti l’artrosi è una degradazione graduale , fino alla distruzione, della cartilagine che si trova tra le articolazioni. A quest’ultime viene a mancare il necessario cuscinetto cartilagineo che protegge la fluidità d’azione necessaria al corretto funzionamento, per cui le ossa sono direttamente a contatto tra loro compromettendo la funzionalità e causando dolori invalidanti, rigidità, gonfiori delle parti interessate fino alla loro deformazione. Solo ipotesi fino adesso per quanto riguarda i meccanismi che attivano il decadimento cartilagineo,di conseguenza il paziente affetto da artrosi viene trattato solo con terapie analgesiche e antinfiammatorie, agendo quindi sul sintomo e non sulle cause. Il Dottor Jang-Soo Chun, che ha coordinato la ricerca, ha spiegato che il deterioramento della cartilagine è determinato da specifiche proteine, “i cosiddetti enzimi che degradano la matrice” che le cellule della cartilagine stessa producono. “Per essere più precisi – ha spiegato lo scienziato – la cartilagine è formata dalla cosiddetta matrice extracellulare, una specie di sostanza amorfa in cui vivono le cellule cartilaginee vere e proprie”. E sono queste cellule, ha chiarito Jang-Soo Chun, che distruggono la matrice, grazie agli enzimi che producono. Questo processo, aggiunge l’esperto, si consuma “secondo noi, con la complicità dello zinco”. Per sostenere ciò i ricercatori hanno quindi studiato questo metallo scoprendo, sui topi da laboratorio malati e su pazienti umani, la presenza molto alta di una proteina denominata Zip8, presente nella membrana delle cellule cartilaginee che conduce le molecole di zinco all’interno delle cellule stesse. Lo zinco, a sua volta, attiva la Mft1 (metal-regulatory transcription factor), un’altra proteina che causa l’aumento patologico degli enzimi responsabili della distruzione della cartilagine. La scoperta, secondo Jang-Soo Chun, apre una prospettiva di cura che va alla causa dell’artrite. I risultati dello studio, dice lo scienziato, ”suggeriscono che l’eliminazione locale dello zinco con farmaci che inibiscono la proteina Zip8 o la proteina Mft1 potrebbe rappresentare una soluzione terapeutica per questa malattia così debilitante”.

01/01/14

“Passo importante” verso la cura per l’Nbia!

Un “passo importante” viene segnato da due nuove ricerche italiane che potrebbero dare una svolta fondamentale in futuro verso la ricerca di cura per l'Nbia (meglio conosciuta come neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro)!

L’Nbia è una grave sindrome neurodegenerativa di origine genetica e ad oggi non c’è ancora una terapia efficace per poterla combattere. Nelle due ricerche realizzate grazie ai finanziamenti di Telethon, e pubblicati sulle riviste Brain e The American Journal of Human Genetics, i ricercatori dell'Istituto NeurologicoCarlo Besta” di Milano hanno rivelato come un nuovo gene che potrebbe provocare alcune forme della malattia, evidenziando oltretutto l'efficacia terapeutica della pantetina, un integratore alimentare già approvato ed utilizzato negli Stati Uniti.
L'Nbia in sostanza altro non è che un insieme di diverse patologie accomunate da un innaturale accumulo di ferro nel cervello. Si tratta dunque di malattie genetiche che colpiscono in età precoce, causando disfunzioni neurologiche e muscolari estremamente gravi, che in poco tempo riducono i giovani sfortunati ad essere incapaci di alimentarsi e di camminare normalmente.

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Sindrome Nbia
Sino a oggi sono stati identificati 9 geni responsabili delle malattie Nbia, ma nel 30% dei casi l’alterazione che le causa rimane sconosciuta, impedendo così di avere una diagnosi. È per questo che l’Istituto Neurologico Besta ha deciso di avviare un progetto in collaborazione con l’Istituto di Genetica Umana di Monaco di Baviera, basato sul sequenziamento della parte codificante del Dna (Esoma) di pazienti con Nbia ancora senza una diagnosi genetica.

I risultati, pubblicati sull'American Journal of Human Genetics, hanno permesso di identificare un nuovo gene, denominato Coasy, responsabile della produzione di una proteina chiamata coenzima A, che nei pazienti con Nbia risulta alterata. Si tratta di un passo in avanti importante perché rafforza la convinzione che il coenzima A giochi un ruolo nell’insorgere di queste patologie: anche Pank2 infatti, il gene che causa il tipo più comune di sindromi Nbia, è coinvolto nella produzione di questa proteina. Il prossimo passo, spiegano i ricercatori, sarà indagare il legame tra la sintesi alterata del coenzima A e l'accumulo di ferro in regioni specifiche del cervello.

Nel secondo studio, apparso su Brain, i ricercatori del Besta hanno dimostrato invece la possibilità di un approccio terapeutico sperimentale per le forme di Nbia causate dall'alterazione del gene Pank2. Utilizzando la pantetina, una sostanza coinvolta nella sintesi del coenzima A e gia approvata dall'Fda come integratore alimentare, sono infatti riusciti a contrastare significativamente i sintomi clinici della malattia, ottenendo il recupero della normale attività motoria e una sostanziale riduzione della neurodegenerazione su topi colpiti dalla versione animale dell'Nbia.

Nonostante l'importanza della loro scoperta, i ricercatori ricordano però che è ancora presto per pensare ad una possibile applicazione clinica. “Si tratta di importanti passi in avanti nella conoscenza di queste gravi malattie e nell’elaborazione di una cura”, commenta Valeria Tiranti, ricercatrice dell’Istituto Neurologico Besta che ha coordinato entrambi gli studi. “E’ importante tuttavia precisare che si tratta ancora di esperimenti di laboratorio, e che per arrivare a un’applicazione nella pratica clinica saranno necessari alcuni anni”.

23/10/13

Da una ricerca Statunitense viene fuori che: la Sidrome di Down può essere soppressa

Da una ricerca Statunitense viene fuori che: la Sidrome di Down può essere soppressa!
Tutto ciò è quanto emerso dalla ricerca che gli scienziati dell’Università del Massachusetts sono riusciti a a eseguire per primi in vitro.
Chiaramente tutto ciò spiana la strada allo studio delle patologie implicate nel disturbo in questione, un obiettivo che si è ad oggi dimostrato sfuggente.
E un giorno, secondo la rivista Nature, potrebbe aiutare a trovare potenziali bersagli terapeutici per mettere a punto cure 'ad hoc'.
Gli esseri umani nascono con 23 coppie di cromosomi, tra cui 2 cromosomi sessuali, per un totale di 46 in ogni cellula. 
Le persone affette dalla sindrome di Down hanno 3 coppie anzichè di 2, del cromosoma 21: la cosiddetta ‘trisomia 21′ che genera disabilità cognitiva, insorgenza precoce di Alzheimer e un maggior rischio di leucemia infantile, di difetti cardiaci, del sistema immunitario e una disfunzione del sistema endocrino
Al contrario delle malattie genetiche causate da un singolo gene, la correzione di un intero cromosoma nelle cellule trisomiche ad oggi era apparsa impossibile.
Sindrome di down

Ma utilizzando il potere del gene Rna chiamato Xist, che di solito è responsabile dello ‘spegnimento’ di uno dei due cromosomi X che si trovano nei mammiferi di sesso femminile, gli scienziati americani hanno dimostrato che la coppia extra del cromosoma 21 responsabile della sindrome di Down, può essere soppressa in laboratorio facendo uso di cellule staminali prelevate da un paziente. Jeanne Lawrence e i suoi colleghi potranno adesso utilizzare questa tecnologia per verificare se la terapia cromosomica’ può correggere la patologia in modelli murini della sindrome di Down.
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