Il-Trafiletto
Visualizzazione post con etichetta artrosi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta artrosi. Mostra tutti i post

12/06/14

Persone tutte di un pezzo

Anche la personalità può favorire il torcicollo che può essere anche la conseguenza di un modo di vedere la vita. Ci sono persone caratterizzate da una personalità concreta. Sono affermate sul lavoro, sanno sempre cosa fare e come ottenere un risultato in ogni situazione. Nello sport si sentono gratificate finché non stendono l'avversario. 

Esprimono le loro opinioni con affermazioni nette e decise. Ma a esse può capitare di presentarsi un disturbo del «collo schiacciato», senza nessuno spazio tra vertebra e vertebra. In pratica non cè elasticità, l'eccessiva risolutezza di queste persone, avere atteggiamenti senza nessun tentennamento o ripensamento, il fatto di essere «tutte di un pezzo» può essere un pregio, ma a volte si traduce somaticamente in una rigidità delle vertebre. Queste hanno perso la loro naturale disponibilità ad adattarsi, a reagire diversamente secondo il tipo di carico da portare. In queste persone può essere utile quindi scoprire la parte più duttile del loro carattere con in più l'esecuzione di esercizi che favoriscano il ristabilirsi del giusto spazio tra le vertebre.

LE PATOLOGIE CHE CAUSANO RIGIDITA' CERVICALE
Tra le probabili malattie che causano l'insorgenza della rigidità cervicale troviamo:
COLLO DI CIGNO: quando il capo è spostato in avanti e l'asse del collo assume una posizione obliqua. Cosa fare: evitare continui movimenti di flessoestensione avanti-dietro del capo.
LORDOSI CERVICALE: o meglio iperlordosi cervicale in genere da compensazione di un'eccessiva cifosi dorsale. Causa spesso schiacciamento non corretto dei dischi intervertebrali delle vertebre cervicali. Cosa fare: Mantenere il mento retratto e parallelo al suolo.
RETTIFICAZIONE DELLA CURVA CERVICALE: posizioni forzate come stare ore a un tavolo a lavoro o davanti a un computer possono determinare una riduzione della curva fisiologica riducendone anche la mobilità e la contrattura dei muscoli distrettuali costretti a sopportare una posizione anomala della testa. Cosa fare: eseguire costantemente esercizi di mobilizzazione e di allungamento.
FIBROMIOSITE: infiammazione a seguito di infezione del tessuto connettivo che riveste i muscoli. Provoca dolore e rigidità muscolare. Il collo e le spalle sono uno dei punti più colpiti. Cosa fare: evitare in questi casi ambienti umidi e il freddo
SPONDILOSI CERVICALE O ARTROSI CERVICALE: usura dei dischi intervertebrali con riduzione degli spazi vertebrali e compressione delle radici nervose limitando la mobilità della colonna. Può essere causata anche dal noto «colpo di frusta».
Cosa fare: eseguire esercizi di decompressione del tratto cervicale dopo consulto medico.

Gli esercizi indicati per il collo devono avere i seguenti obiettivi:
Educare al rilassamento della muscolatura di collo e spalle.
Migliorara la mobilizzazione del tratto cervicale del rachide.
Ridurre un'accentuata iperlordosi cervicale.

Poiché spesso le patologie del tratto cervicale sono conseguenza di squilibri dell'intera colonna vertebra le e del segmento dorsale, nella quotidianità la miglior terapia sarebbe quella di praticare costantemente un'attività che contrasti eventuali vizi di postura non soltanto del collo ma anche del tratto dorsale. 
ESERCIZIO 1. Rotazioni: testa eretta, mento parallelo al pavimento, spalle rilassate e sguardo rivolto in avanti. Da questa posizione di partenza ruotate lentamente la testa verso il lato non dolente mantenendo il mento parallelo a terra. Mantenete la posizione per 20 secondi e ripetete almeno 10 volte da tutte e due le parti. Arrivate fino a dove non sentite dolore.
ESERCIZIO 2. Inclinazioni: spalle rilassate, mento parallelo a terra; inclinate lateralmente il capo fino ad awicinare l'orecchio alla spalla corrispondente. Mantenete la posizione per 20 secondi, poi cambiate lato. Ripetete una decina di volte.
esercizi contro la rigidità cervicale
ESERCIZIO 3 Flesso estensioni: partendo sempre dalla stessa posizione flettete il capo in avanti fino ad awicinare il più possibile il mento al petto per allungare la muscolatura posteriore del collo. Mantenete la posizione per 20 secondi e poi lentamente ritomate su. Potete flettere un po' la testa anche indietro, ma senza esasperare la posizione per evitare compressioni del rachide cervicale.
ESERCIZIO 4. Stretching attivo: testa eretta e spalle rilassate; portate la mano dalla parte del lato non dolente contro l'orecchio. Cercate ora di inclinare il capo mentre fate opposizione con la mano per impedire il movimento. Mantenete la posizione per 20 secondi.
ESERCIZIO 5. Stretching: inclinate il capo dalla parte non dolente, e aiutandovi con una mano, tiratelo lentamente per allungare i muscoli laterali del collo. Attenzione a non sollevare le spalle per non annullare l'effetto dello stretching. Mantenete la posizione sempre 20 secondi. Gli esercizi dovrebbero essere eseguiti più volte al giorno in caso di torcicollo, coloro che spesso presentano questo fastidio dovrebbero comunque ripeterli giornalmente per prevenire eventuali ricadute provocate da poca mobilità del tratto cervicale e rigidità della muscolatura del collo.

07/03/14

API: Oltre al miele...c'è di più

Oltre al miele propoli e pappa reale si fa avanti un altro tipo di applicazione dal mondo dell'alveare: l'uso del veleno dell'insetto per curare reumatismi, artriti, artrosi e altro ancora con risultati sorprendenti.

L'ape è un insetto meraviglioso indispensabile all'agricoltura, perchè grazie al suo prezioso lavoro di impollinazione permette la sopravvivenza di piante, fiori, frutti e di tanti prodotti della terra. "Senza l'ape l'agricoltura e il suo pianeta non avrebbero un futuro", sono pronti a dichiarare i bene informati. Della stessa idea era Albert Einstein: ".....Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbe che quattro anni di vita..."

Ape
Ma l'ape non è solo l'amico per eccellenza dell'ambiente è anche un formidabile insetto capace di assicurare altri preziosi doni all'uomo. L'arnia può essere definita senza imbarazzo un vero e proprio centro della salute naturale. Vi si trovano miele, propoli, polline, pappa reale, capaci di assicurarci una ricca fonte di nutrienti. Non a caso negli ultimi decenni, grazie alla ricerca scientifica, si è dimostrata la grande validità terapeutica e alimentare dei prodotti dell' alveare. Ormai si parla di apiterapia. E un altro grosso vantaggio è che il miele e i suoi fratelli possono fare la parte del leone nei regimi alimentari di ogni giorno, senza costituire alcun rischio per la salute umana.
«Troppo spesso si dimentica che racchiudono sostanze ricche di aminoacidi, vitamine (B, C, K, acido folieo e pantotenico), sali minerali (calcio, fosforo, ferro, zolfo, potassio, manganese e altri in quantità oligodinamiche), zuccheri, enzimi, sostanze ad azione antibiotica e ancora biostimoline, acetilcolina, pigmenti, solo per citarne alcune, che ne fanno alimenti-rimedio doc, alleati della buona salute. Si tratta di elementi biologicamente attivi, ideali per stare in forma senza danneggiare 1'organismo o a rivitalizzarsi tenendo conto del principio che dovrebbe essere alla base di ogni pratica curativa "pnmum non nocere", cioè innanzitutto non recare danni». 
 Paure infondate Tuttavia, da sempre, nascondiamo un timore ancestrale nei confronti dell' aculeo delle api. In realtà al momento della puntura le api iniettano un veleno, un altro prodotto da annoverare nell'apiterapia, che ha virtù curative superiori a quelle di molti farmaci. Stiamo parlando dell' apipuntura, una tecnica antica come il mondo. Già Ippocrate e, successivamente, Galeno erano sicuri assertori di questa terapia. Ma è soprattutto nell'ultimo secolo che il nuovo approccio ha conosciuto una maggiore considerazione fra i ricercatori. Si dice che il primo medico a curare con la puntura d'ape fu, intorno al 1870, Anton Tere. il suo campo d'intervento erano soprattutto le malattie reumatiche. Gli studi furono portati avanti e sperimentati con successo su pazienti affetti da malattie reumatiche e artriti, a partire dal 1930, da due medici statunitensi il dottor Bodog Beck e il dottor Joseph Broadman. Oggi della composizione del veleno d'api si occupano numerose università a livello mondiale.
Tra le tante si segnalano il dipartimento di medicina dell'università statunitense di Cincinnati nell'Ohio; School of Medicine di New York; ospedale di Gorki, in Russia; lo Ziegler Hospital di Bema, in Svizzera; il dipartimento di biologia cellulare a Glasgow, in Scozia; il Dipartimento di Immunologia clinica presso il Flinders Medical Centre a Bedford Park, in Australia; il Dipartimento di Dermatologia di Amburgo, in Germania. 
E ci fermiamo qui perché l'elenco sarebbe molto lungo. Ma qual è la composizione del veleno? Ancora non è del tutto nota. I dati disponibili dicono che al 70 per cento è composto da acqua, mentre nel restante 30 per cento si trovano principi attivi, tra i quali si segnalano mellitina, ampamina, acido formico, acido cloridrico e ortofosforico, istamina, due enzimi come la ialoronidasi e fosfolipasi A, colina e albumina. Verso la metà degli anni Settanta nel veleno è stata trovata una nuova sostanza, il cardiopep, che ha interessanti effetti a livello cardiaco. Ma vediamo a cosa fa bene il veleno d'api. I ricercatori sostengono che il suo campo d'azione sono soprattutto reumatismi, artriti, artrosi, infiammazioni del sistema nervoso periferico, ulcere e piaghe croniche, arteriosclerosi dei vasi periferici, ipertensione arteriose non seria, eczemi, psoriasi, artrite reumatoide. Solo in mani esperte Come si pratica la cura? Ce lo spiega il dottor Federico Grosso, al quale va il merito di aver introdotto l'apipuntura in Italia. Del resto qui da noi è ancora vista con scetticismo e incredulità, nonostante sia applicata con successo un po' ovunque nel mondo. Secondo il dottor Grosso c'è addirittura bisogno di approfondire ulteriormente l'applicazione dell'apipuntura. Un'ipotesi di lavoro interessantissima sarebbe quella di abbinarla con l'agopuntura che porterebbe al potenziamento delle due terapie. Per praticare la cura ci vogliono api sane di uno sciame forte e questo compito va affidato a un apicoltore esperto. Per catturare l'ape, senza farsi pungere, occorre prenderla frontalmente con gesto calmo ma deciso afferrandone l'alina sinistra con pollice e indice della mano destra. Anche una pinza a gambi lunghi, comunque, va bene per la cattura dell' ape. Lape è poi appoggiata sulla cute e pungerà immediatamente immergendo anche il pungiglione. La tecnica del dottor Grosso prevede 1'asportazione del pungiglione dopo averlo schiacciato con una pinza in misura più o meno completa, secondo la reattività del paziente. Ma il pungiglione si può anche non rimuovere se si vuole sfruttare lentamente tutta l'azione del veleno in esso contenuto. In genere si raccomandano 2 sedute settimanali distanziate fra loro (per esempio, martedì e giovedì) con un numero variabile di punture che vanno dalle 2-3 alle 10-12 circa per seduta. A fare la differenza è la risposta del paziente al veleno. Un ultimo consiglio. È bene precisare che per questo tipo di terapia occorre recarsi da uno specialista qualificato. In agguato ci potrebbero essere pericolosi fenomeni allergici che solo personale serio può prevedere o bloccare. Non a caso il medico apipuntore esegue prima di avviare qualsiasi terapia delle prove allergiche e in caso di comparsa del fenomeno prepara in modo adeguato il paziente alla terapia. Si parla, in questo caso, di desensibilizzazione. In commercio si trovano anche pomate e fiale al veleno d'api da iniettare per via cutanea. Ma sempre secondo il dottor Grosso ci sarebbe una riduzione curativa del veleno perché per metterlo in fiala si volatilizzerebbero alcuni componenti fondamentali.

18/02/14

Artrosi | E’ un metallo il responsabile di questa patologia invalidante: lo zinco

L’artrosi è una malattia degenerativa che interessa le articolazioni più sottoposte ad usura, soprattutto al carico del peso corporeo, come le vertebre lombari o le ginocchia. Ora da una ricerca coreana si affaccia una notizia molto interessante che riguarda questa antipatica patologia: sembra che una delle sue cause possa essere l’accumulo di Zinco. Gli scienziati del Gwangju Institute of Science and Technology per ora hanno constatato questa circostanza solo tramite dei test su animali da laboratorio. Lo zinco è un metallo che entra nell’organismo grazie agli alimenti, quindi ricercatori si sono dati da fare proprio per verificare se il suo accumulo possa essere la causa di questa patologia invalidante. Infatti l’artrosi è una degradazione graduale , fino alla distruzione, della cartilagine che si trova tra le articolazioni. A quest’ultime viene a mancare il necessario cuscinetto cartilagineo che protegge la fluidità d’azione necessaria al corretto funzionamento, per cui le ossa sono direttamente a contatto tra loro compromettendo la funzionalità e causando dolori invalidanti, rigidità, gonfiori delle parti interessate fino alla loro deformazione. Solo ipotesi fino adesso per quanto riguarda i meccanismi che attivano il decadimento cartilagineo,di conseguenza il paziente affetto da artrosi viene trattato solo con terapie analgesiche e antinfiammatorie, agendo quindi sul sintomo e non sulle cause. Il Dottor Jang-Soo Chun, che ha coordinato la ricerca, ha spiegato che il deterioramento della cartilagine è determinato da specifiche proteine, “i cosiddetti enzimi che degradano la matrice” che le cellule della cartilagine stessa producono. “Per essere più precisi – ha spiegato lo scienziato – la cartilagine è formata dalla cosiddetta matrice extracellulare, una specie di sostanza amorfa in cui vivono le cellule cartilaginee vere e proprie”. E sono queste cellule, ha chiarito Jang-Soo Chun, che distruggono la matrice, grazie agli enzimi che producono. Questo processo, aggiunge l’esperto, si consuma “secondo noi, con la complicità dello zinco”. Per sostenere ciò i ricercatori hanno quindi studiato questo metallo scoprendo, sui topi da laboratorio malati e su pazienti umani, la presenza molto alta di una proteina denominata Zip8, presente nella membrana delle cellule cartilaginee che conduce le molecole di zinco all’interno delle cellule stesse. Lo zinco, a sua volta, attiva la Mft1 (metal-regulatory transcription factor), un’altra proteina che causa l’aumento patologico degli enzimi responsabili della distruzione della cartilagine. La scoperta, secondo Jang-Soo Chun, apre una prospettiva di cura che va alla causa dell’artrite. I risultati dello studio, dice lo scienziato, ”suggeriscono che l’eliminazione locale dello zinco con farmaci che inibiscono la proteina Zip8 o la proteina Mft1 potrebbe rappresentare una soluzione terapeutica per questa malattia così debilitante”.
Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non opere derivate 3.0 Italia.