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07/03/14

API: Oltre al miele...c'è di più

Oltre al miele propoli e pappa reale si fa avanti un altro tipo di applicazione dal mondo dell'alveare: l'uso del veleno dell'insetto per curare reumatismi, artriti, artrosi e altro ancora con risultati sorprendenti.

L'ape è un insetto meraviglioso indispensabile all'agricoltura, perchè grazie al suo prezioso lavoro di impollinazione permette la sopravvivenza di piante, fiori, frutti e di tanti prodotti della terra. "Senza l'ape l'agricoltura e il suo pianeta non avrebbero un futuro", sono pronti a dichiarare i bene informati. Della stessa idea era Albert Einstein: ".....Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra, all'uomo non resterebbe che quattro anni di vita..."

Ape
Ma l'ape non è solo l'amico per eccellenza dell'ambiente è anche un formidabile insetto capace di assicurare altri preziosi doni all'uomo. L'arnia può essere definita senza imbarazzo un vero e proprio centro della salute naturale. Vi si trovano miele, propoli, polline, pappa reale, capaci di assicurarci una ricca fonte di nutrienti. Non a caso negli ultimi decenni, grazie alla ricerca scientifica, si è dimostrata la grande validità terapeutica e alimentare dei prodotti dell' alveare. Ormai si parla di apiterapia. E un altro grosso vantaggio è che il miele e i suoi fratelli possono fare la parte del leone nei regimi alimentari di ogni giorno, senza costituire alcun rischio per la salute umana.
«Troppo spesso si dimentica che racchiudono sostanze ricche di aminoacidi, vitamine (B, C, K, acido folieo e pantotenico), sali minerali (calcio, fosforo, ferro, zolfo, potassio, manganese e altri in quantità oligodinamiche), zuccheri, enzimi, sostanze ad azione antibiotica e ancora biostimoline, acetilcolina, pigmenti, solo per citarne alcune, che ne fanno alimenti-rimedio doc, alleati della buona salute. Si tratta di elementi biologicamente attivi, ideali per stare in forma senza danneggiare 1'organismo o a rivitalizzarsi tenendo conto del principio che dovrebbe essere alla base di ogni pratica curativa "pnmum non nocere", cioè innanzitutto non recare danni». 
 Paure infondate Tuttavia, da sempre, nascondiamo un timore ancestrale nei confronti dell' aculeo delle api. In realtà al momento della puntura le api iniettano un veleno, un altro prodotto da annoverare nell'apiterapia, che ha virtù curative superiori a quelle di molti farmaci. Stiamo parlando dell' apipuntura, una tecnica antica come il mondo. Già Ippocrate e, successivamente, Galeno erano sicuri assertori di questa terapia. Ma è soprattutto nell'ultimo secolo che il nuovo approccio ha conosciuto una maggiore considerazione fra i ricercatori. Si dice che il primo medico a curare con la puntura d'ape fu, intorno al 1870, Anton Tere. il suo campo d'intervento erano soprattutto le malattie reumatiche. Gli studi furono portati avanti e sperimentati con successo su pazienti affetti da malattie reumatiche e artriti, a partire dal 1930, da due medici statunitensi il dottor Bodog Beck e il dottor Joseph Broadman. Oggi della composizione del veleno d'api si occupano numerose università a livello mondiale.
Tra le tante si segnalano il dipartimento di medicina dell'università statunitense di Cincinnati nell'Ohio; School of Medicine di New York; ospedale di Gorki, in Russia; lo Ziegler Hospital di Bema, in Svizzera; il dipartimento di biologia cellulare a Glasgow, in Scozia; il Dipartimento di Immunologia clinica presso il Flinders Medical Centre a Bedford Park, in Australia; il Dipartimento di Dermatologia di Amburgo, in Germania. 
E ci fermiamo qui perché l'elenco sarebbe molto lungo. Ma qual è la composizione del veleno? Ancora non è del tutto nota. I dati disponibili dicono che al 70 per cento è composto da acqua, mentre nel restante 30 per cento si trovano principi attivi, tra i quali si segnalano mellitina, ampamina, acido formico, acido cloridrico e ortofosforico, istamina, due enzimi come la ialoronidasi e fosfolipasi A, colina e albumina. Verso la metà degli anni Settanta nel veleno è stata trovata una nuova sostanza, il cardiopep, che ha interessanti effetti a livello cardiaco. Ma vediamo a cosa fa bene il veleno d'api. I ricercatori sostengono che il suo campo d'azione sono soprattutto reumatismi, artriti, artrosi, infiammazioni del sistema nervoso periferico, ulcere e piaghe croniche, arteriosclerosi dei vasi periferici, ipertensione arteriose non seria, eczemi, psoriasi, artrite reumatoide. Solo in mani esperte Come si pratica la cura? Ce lo spiega il dottor Federico Grosso, al quale va il merito di aver introdotto l'apipuntura in Italia. Del resto qui da noi è ancora vista con scetticismo e incredulità, nonostante sia applicata con successo un po' ovunque nel mondo. Secondo il dottor Grosso c'è addirittura bisogno di approfondire ulteriormente l'applicazione dell'apipuntura. Un'ipotesi di lavoro interessantissima sarebbe quella di abbinarla con l'agopuntura che porterebbe al potenziamento delle due terapie. Per praticare la cura ci vogliono api sane di uno sciame forte e questo compito va affidato a un apicoltore esperto. Per catturare l'ape, senza farsi pungere, occorre prenderla frontalmente con gesto calmo ma deciso afferrandone l'alina sinistra con pollice e indice della mano destra. Anche una pinza a gambi lunghi, comunque, va bene per la cattura dell' ape. Lape è poi appoggiata sulla cute e pungerà immediatamente immergendo anche il pungiglione. La tecnica del dottor Grosso prevede 1'asportazione del pungiglione dopo averlo schiacciato con una pinza in misura più o meno completa, secondo la reattività del paziente. Ma il pungiglione si può anche non rimuovere se si vuole sfruttare lentamente tutta l'azione del veleno in esso contenuto. In genere si raccomandano 2 sedute settimanali distanziate fra loro (per esempio, martedì e giovedì) con un numero variabile di punture che vanno dalle 2-3 alle 10-12 circa per seduta. A fare la differenza è la risposta del paziente al veleno. Un ultimo consiglio. È bene precisare che per questo tipo di terapia occorre recarsi da uno specialista qualificato. In agguato ci potrebbero essere pericolosi fenomeni allergici che solo personale serio può prevedere o bloccare. Non a caso il medico apipuntore esegue prima di avviare qualsiasi terapia delle prove allergiche e in caso di comparsa del fenomeno prepara in modo adeguato il paziente alla terapia. Si parla, in questo caso, di desensibilizzazione. In commercio si trovano anche pomate e fiale al veleno d'api da iniettare per via cutanea. Ma sempre secondo il dottor Grosso ci sarebbe una riduzione curativa del veleno perché per metterlo in fiala si volatilizzerebbero alcuni componenti fondamentali.

23/10/13

Dimmi che fisico hai e ti dirò che tempo fa!

Dimmi che fisico hai e ti dirò che tempo fa! Proprio cosi, chiunque soffra di sinusite sa bene a cosa mi riferisco. Nel momento in cui ci sono certi picchi di umidità, il dolore che si accampa nella parte superiore del viso aumenta esponenzialmente fino a raggiungere livelli insoportabili. La leggende metropolitana che connette i doloretti, i più classici, sono quelli alle ginocchia e alle articolazioni più in generale, quando avviene un cambiamento del clima, trova adesso un fondamento scientifico come riporta il Wall Street Journal. Infatti se le condizioni atmosferiche possano davvero aumentare il dolore fisico (ma vale anche per quello psicologico, dal momento che il numero di persone metereopatiche è in continua ascesa) è un interrogativo che in medicina ci si pone da molto tempo. Sin dai tempi di Ippocrate e addirittura nella millenaria medicina cinese nella quale i reumatismi (Fngshi bing) si traducono in "malattia del vento umido".
Meteopatia

In epoca recente i ricercatori hanno ottenuto risultati controversi e hanno liquidato il tema concludendo che si tratta di un collegamento molto soggettivo. «I pazienti con fibromialgia sembrano essere i più sensibili al tempo» dice Susan Goodman, reumatologa all'Hospital for Special Surgery che però aggiunge: «se alcune persone sembrano essere estremamente sensibili al clima, altre nelle stesse condizioni non lo sono per niente per ragioni che non sono ancora chiare».
Il più noto studio risale agli anni '90 ad opera dello psicologo Amos Tversky, il quale dopo aver analizzato una ventina di pazienti con artrite reumatoide non ha trovato alcuna connessione. Altri studi hanno poi collegato i cambiamenti di temperatura, umidità o pressione atmosferica anche ad altre malattie, come il mal di testa, il mal di denti, le nevralgie del trigemino, la gotta. Tutti noi del resto abbiamo in famiglia un nonno, una nonna o una zia che come un barometro ci avverte che il tempo sta cambiando perché la vecchia cicatrice o le ginocchia "si fanno sentire".
Il nesso dunque c'è, anche se gli scienziati non comprendono tutti i meccanismi coinvolti nel dolore da maltempo. La spiegazione più plausibile è che quando sta per arrivare un temporale la pressione atmosferica si abbassa alterando anche quella interna alle articolazioni. Che si sa sono circondate da sacche di liquido e gas. A sostenere questa tesi è Robert Jamison, anestesista e psichiatra alla Harvard Medical School. «Immaginate un palloncino che si trova tra l'aria esterna e quella interna. Se quella esterna diminuisce, il palloncino si espande, lo stesso accade nelle nostre articolazioni che espandendosi premono sui nervi e i tessuti circostanti».
In fin dei conti è risaputo che gli ambulatori di ortopedici, neurologi, ma anche di chiropratici e fisioterapisti si riempiono proprio quando piove perché il clima, al di là delle previsioni del tempo, ha un'incidenza diretta sulla nostra salute. E il legame tra temporali e dolore è così stretto che negli Stati Uniti i canali meteo hanno anche un "indice dell'Artrite". E ci sono pazienti che sostengono che le loro articolazioni «sono meglio e più precise dei meteorologi». Bill Balderaz, presidente di una società di digital-marketing di Columbus, in Ohio, ricorda che l'anno scorso in una giornata di pieno sole ha iniziato a sentire un fortissmo dolore a causa della sua artrite. A metà pomeriggio un uragano non previsto ha sconvolto l'Ohio e gli Stati limitrofi con venti che soffiavano a 80 miglia all'ora.
Anche il freddo e non solo l'umidità, sembra aumentare certe patologie, come il rischio di ictus e gli attacchi di cuore. Il rischio d'infarto aumenta del 7% ogni 10 gradi di calo della temperatura, secondo uno studio condotto in Belgio su quasi 16.000 pazienti. In questo caso la causa sarebbe dovuta a uno ispessimento del sangue e alla costrizione dei vasi sanguigni.
E per chi pensa che la soluzione sia quella di andare a vivere in climi caldi e asciutti… gli esperti sottolineano che il beneficio, purtroppo, è soltanto temporaneo: se si vive in un luogo a tempo pieno, il corpo si acclimata e si ridiventa sensibile ai cambi di clima, anche minimi.
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