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24/10/14

Conferma della condanna ma con sconto di pena per Dolce e Gabbana

Dolce e Gabbana devono essere condannati, lo dice il sostituto procuratore generale della Cassazione, per evasione fiscale, si ma ammorbita, la condanna si intende ritoccando al ribasso l'entità della pena

Francesco Salzano, sostituto procuratore generale della Cassazione, ha chiesto la conferma tutte le condanne a carico di Domenico Dolce e Stefano gabbana, fatta eccezione per il mancato versamento dell'Iva relativo al 2005 che, a detta della pubblica accusa, si sarebbe prescritto. Stessa sorte per gli altri 4 imputati nella vicenda della presunta evasione fiscale.

Dolce e Gabbana, condannati a un anno e sei mesi dalla Corte d'appello di Milano il 30 aprile 2014, il vice procuratore ha chiesto la conferma della condanna ma con una riduzione della pena. Nell'inchiesta sono coinvolti anche il commercialista Luciano Patelli (un anno e sei mesi), il fratello dello stilista Alfonso Dolce, manager del gruppo (un anno e due mesi) e l'amministratrice delegata Cristiana Ruella e Giuseppe Minoni (un anno e due mesi).

In particolare, il pg della Cassazione ha sottolineato che tutti gli imputati hanno agito "con dolo" e che erano "perfettamente consapevoli" di ciò che stavano facendo, vale a dire, ha proseguito Salzano, "di una evasione fiscale realizzata con una estero-vestizione in una sede fittizia, quella del Lussemburgo, che non era operativa dal momento che tutto veniva deciso a Milano". Inoltre, per il Pg, la sentenza della Corte d'Appello è "rispettosa sia dell'accordo Italia-Lussemburgo sia dei principi stabiliti dal'Ocse".


14/09/14

Dopo varie denuncie il marito la uccide | I minori verranno risarciti dallo stato

Si poteva evitare la morte di Marianna Manduca uccisa sette anni fa dal marito nonostante le dodici  denuncie fatte alla Procura di Caltagirone per le minacce continue di morte dell’ex marito Saverio Nolfo.


La Cassazione dispone che i tre figli minori di Marianna, possano avere un risarcimento per la «negligenza inescusabile» dei pm che avrebbero dovuto occuparsi di quelle denunce, dallo Stato come chiede il legale dei tre adolescenti, l’ex pm antimafia Aurelio Galasso, in base ad una legge del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati.

La Cassazione accoglie il ricorso
dello zio dei tre minori nominato tutore dei piccoli orfani - che li sta crescendo - a chiedere giustizia.
La corte di appello di Messina respinse la richiesta di risarcimento in virtù della legge che prevede si inoltri la richiesta entro i due anni successivi al fatto cioè l'omicidio di Marianna, uccisa a 32 anni con dodici coltellate a Palagonia (Catania) il tre ottobre del 2007. Lo zio dei minori  ha ricevuto la nomina di tutore solo il 21 dicembre del 2010 e ha potuto iniziare la causa contro lo Stato il 5 aprile 2011, quindi i termini dei due anni in questo caso, a tutela dei soggetti minori per quanto riguarda «l’accesso alla giustizia», decorre dal momento in cui i minori o chi per loro hanno acquisito la capacità di agire.

Venti anni di condanna
Pe cui il ricorso dell’aprile del 2011, non era fuori tempo utile e l’azione risarcitoria è «legittimamente» esercitabile, spiega la Cassazione. Questa dolorosa vicenda sarà ripresa in mano dalla Corte di Appello che deve considerare valida la domanda risarcitoria avanzata nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri a nome dei tre figli di Marianna. Molte ombre dovranno schiarirsi e portare alla luce la responsabilità dei magistrati. Il padre uxoricida il quale avevaripetutamente aggredito la ex moglie sempre in pubblico, è stato condannato a vent'anni. Ciò nonostante nessuno condusse indagini, e nemmeno prese provvedimenti a tutela della donna in pericolo, lasciando inascoltate le sue richieste di aiuto. L’aggressione fatale avvenne alla vigilia della sentenza che doveva affidare i tre maschietti alla mamma dopo la separazione. L’omicida accoltello’ non solo la donna, ma colpì gravemente anche Salvatore Manduca (59 anni), il padre di Marianna, l’unico uomo che l’ ha difesa.

11/04/14

Dichiarato latitante dalla Corte d’Appello Marcello Dell’Utri, ex delfino di Berlusconi.

Nessuna risposta dal suo cellulare, gli squilli suonano a vuoto. Da questa mattina Marcello Dell'Utri è ufficialmente latitante. La terza sezione della Corte d’Appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, ha emesso un ordine di custodia cautelare per pericolo di fuga nei suoi confronti, ma la polizia non ha potuto eseguirlo perché non riesce a trovarlo. Troppo tardi: l’ex senatore del Pdl, condannato a sette anni per mafia e che attende per martedì la sentenza definitiva, potrebbe essere all’estero. Il suo telefono cellulare sarebbe stato localizzato dagli investigatori nei dintorni di Beirut il 3 aprile, ma fonti bene informate hanno smentito l’indiscrezione. L’ex delfino di Berlusconi potrebbe anche aver raggiunto la Guinea Bissau o la Repubblica dominicana, Paesi di cui ha il passaporto. E proprio nell’ultimo Stato, si era rifugiato due anni fa, in circostanze simili, quando sparì nei giorni in cui la Cassazione doveva decidere il suo destino. Nel giallo sulla fuga, spunta anche la testimonianza di un passeggero che avrebbe viaggiato accanto a Dell’Utri su un volo Parigi-Beirut il 24 marzo scorso. L’uomo – che ha chiesto di restare anonimo – ha riferito all’Ansa che l’ex senatore ha viaggiato “in business” ed ha assicurato di averlo visto ritirare il bagaglio una volta atterrato e uscire dall’aeroporto. Alla Farnesina invece “non risulta che l’ex senatore sia in possesso di un passaporto diplomatico italiano” né di un “passaporto di servizio valido”, ovvero quelli previsti per i parlamentari o funzionari non diplomatici. In tutta questa storia l’unica cosa certa è che Dell’Utri risulta irreperibile. “Non rintracciato in alcuno dei luoghi ispezionati - riferisce una nota - al momento risulta irreperibile. La Corte d’Appello – continua la nota – ricevuti i verbali di vane ricerche, ne ha dichiarato lo stato di latitanza”. Verranno attivati nelle prossime ore tutti i canali di ricerca, sia in area Schengen, che in altre aree sensibili per riuscire a individuare la posizione dell'ex senatore. La Procura generale farà una richiesta di cattura internazionale attivando anche l'Interpol per riuscire a trovare l'ex politico. Il Movimento 5 Stelle insorge e chiede le immediate dimissioni del ministro dell'Interno, Angelino Alfano: "Non possiamo che augurare buona latitanza a Marcello Dell'Utri, amico fraterno di Berlusconi e del Pd e chiedere le dimissioni di Angelino Alfano, che fa arrestare e trasferire in Kazakistan una donna e una bambina perseguitate da quel regime, ma lascia fuggire i condannati per mafia", si legge in una nota dei deputati e senatori del M5S.

20/03/14

Eccidi del 1944 nell'appennino tosco-emiliano: confermati tre ergastoli.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della procura generale militare confermando la condanna all'ergastolo per gli ex nazisti della divisione "Herman Goering" accusati delle stragi sull’Appennino tosco-emiliano nella primavera del 1944, dove in una delle quali, e precisamente quella del Monte Falterona, tra le province di Firenze e di Arezzo, vennero uccise 200 persone tra uomini, donne e bambini. La Prima sezione penale è intervenuta così sulla decisione della Corte militare d'appello di Roma del 26 ottobre 2012, confermando gli ergastoli per Hans Winkler, Alfred Luhmann e Wilhelm Stark. La Corte ha anche disposto un nuovo processo di appello per altri 2 militari e due eccidi rimasti senza colpevoli: Monte Morello (la più alta montagna della cosiddetta “conca” fiorentina) e Mommio di Fivizzano (in provincia di Massa Carrara). Nel frattempo uno degli imputati, Ferdinand Osterhaus, è morto. Si riapre così dopo 70 anni di distanza il capitolo giudiziario per le quattro stragi naziste. Un nuovo processo d’appello dovrà accertare le responsabilità dei cinque ex militari nazisti, tutti novantenni. Tre di questi per due degli eccidi dei resistenti (tra cui molte donne, anziani e bambini) sono già stati condannati all’ergastolo dalla corte d’appello militare di Roma, il 26 ottobre del 2012: sentenza che ieri sera (19 marzo) è diventata definitiva appunto per decisione della prima sezione penale della Suprema Corte. Il nuovo processo sarà celebrato per accertare le responsabilità per gli eccidi di Monte Morello e quello di Mommio di Fivizzano, finora rimaste senza colpevoli. Mentre per la strage di Monchio,Susano e Costrignano sull’Appenino modenese (oltre 150 morti), del 18 e 20 marzo 1944, della quale proprio in questi giorni ricorrono i 70 anni, e per l’eccidio del monte Falterona del 13 e 18 aprile, andrà valutato se ci sono ulteriori responsabilità oltre a quelle accertate. Gli imputati che dovranno tornare alla sbarra, sono l’allora capitano dell’esercito tedesco Helmut Odenwald, di 95 anni; l’ex tenente Erich Koeppe (95), assolti in appello per i quattro capi d’imputazione, e il sottotenente e medico della divisione Hans Georg Karl Winkler (92), il caporale, poi sergente, Alfred Luhmann (89) e il sergente Wilhelm Stark (93), condannati all’ergastolo. Sono venti le parti civili, tra cui la presidenza del Consiglio, le Regioni Emilia-Romagna eToscana, Anpi e i Comuni interessati.

17/03/14

Bloggers: la Cassazione tutela la libertà di pensiero

Questa notizia solleverà il morale di tutti noi bloggers, fruitori delle più svariate piattaforme che ci danno la possiblità ci creare i nostri diari personali dai contenuti più disparati. In particolare censurare i dati in rete sarà più complicato. Lo dice la Cassazione:  il ricorso a misure cautelari che inibiscono la scrittura dei blog impedisce il diritto a esprimere il proprio pensiero, violando di fatto la libertà di pensiero tutelata sia dalla Costituzione che dalle Convenzioni europee.
La Quinta sezione penale spiega come in casi del genere il vincolo non incide solamente sul diritto di proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione, ma sul diritto di libertà di manifestazione del libero pensiero che ha dignità pari a quello della libertà individuale e che trova la sua copertura non solo nell'art. 21 della Costituzione ma anche - in ambito sovranazionale - nell'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Blogger

Sulla base di questo principio, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza del Tribunale di Udine che, nell'aprile 2013, aveva disposto il sequestro preventivo del sito internet 'ilperbenista.it ' gestito da Marco B. indagato per diffamazione per avere pubblicato sul sito, che conteneva anche un blog "messaggi e commenti che con il pretesto di una critica politica scivolavano sul terreno della gratuita volgarità e dell'attacco personale". Contro il sequestro del sito-blog, Marco B. ha fatto ricorso in Cassazione con successo, lamentando che la misura cautelare del sequestro era di "eccezionale gravità" paragonabile "al sequestro delle rotative di un giornale". Tutt'al più, ha suggerito la tesi difensiva, il provvedimento cautelare poteva essere limitato "ai singoli post che si ritenevano diffamatori". Piazza Cavour - sentenza 11895 - ha accolto la linea difensiva e ha annullato il sequestro preventivo del sito con relativo blog. "In caso di sequestro di un blog - spiega in proposito la Cassazione -, l'inibitoria che deriva a tutti gli utenti della rete all'accesso ai contenuti del sito è in grado di alterare la natura e la funzione del sequestro preventivo, perché impedisce al blogger la possibilità di esprimersi". Piazza Cavour pone l'attenzione sulla ricaduta di una misura cautelare di questo genere su un supporto "destinato a comunicare fatti di cronaca ovvero espressioni di critica o denunce su aspetti civili della vita pubblica". Ebbene, la Cassazione ricorda che, in casi del genere, "il vincolo non incide solamente sul diritto di proprietà del supporto o del mezzo di comunicazione, ma sul diritto di libertà di manifestazione del pensiero" tutelata sia "dalla Costituzione che dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Ue". In conclusione, la Suprema Corte ricorda che "lo sviluppo di un blog sul dominio internet rappresenta una modalità fisiologica e ordinaria dell'utilizzo del bene, per cui non si ravvisa alcun elemento da cui poter inferire che vi sia un tale rischio, né potrebbero essere individuati ulteriori elementi da parte del Tribunale del riesame".

24/01/14

Rifiuta l’amore a tre col Direttore e l’amante. Licenziata.

Il sogno di qualsiasi persona al giorno d’oggi è quello di trovare un lavoro, così da raggiungere la soddisfazione personale e la serenità. Ma non sempre quest’ultima viene ad aggiungersi alla felicità per il lavoro trovato, soprattutto quando il luogo di impiego diventa il teatro di abusi e ingiustizie. E’ quello che è accaduto all'ingegnere Elisabetta Ferrante, informatica presso una multinazionale di Torino. Il suo tormento è cominciato nel 2000 con l'arrivo di un nuovo superiore che l'ha messa subito al centro delle sue "attenzioni": sono subito volate avances esplicite , davanti ai colleghi ma anche in privato, durante le riunioni prolungate appositamente fino a notte inoltrata. Improvvisamente spunta una trasferta di lavoro in Olanda, naturalmente in compagnia del solito Direttore e con la di lui amante, e spunta anche la richiesta sfrontata di un incontro amoroso a tre. In un’intervista rilasciata a Tgcom24 Elisabetta racconta: << Avevo 40 anni, due figli e pensavo di far carriera grazie alle mie capacità, e non per altri motivi. Rifiutai questo incontro a tre e fu la mia rovina.
Di ritorno dal viaggio mi sono trovata senza ufficio, con i documenti in un scatolone, una scrivania contro il muro, senza mansioni, senza collaboratori e via via senza i progetti ai quali stavo lavorando. >> Naturalmente Elisabetta cominciò a lamentarsi garbatamente della nuova sconcertante situazione, fino a che arriva inaspettato un trasferimento in un'altra sede. << In quel momento sono crollata: ho avuto una prima crisi di panico e mi sono smarrita con l'auto. Non dormivo e non mangiavo più. La mia vita era diventata impossibile. I medici del lavoro hanno capito subito che si trattava di mobbing aziendale >>. E non era nemmeno quello il fondo dell'abisso: entra in malattia e a seguito di questo periodo viene licenziata. << Ho deciso di intraprendere una causa legale contro la mia azienda, ma non è stato facile andare contro un colosso così grande, radicato nella città e capace di sconvolgere l’esistenza personale e familiare. Alla fine sono stati i giudici della Cassazione a darmi ragione e a confermare l'ipotesi di mobbing. La sentenza è arrivata nel 2008, sono stata reintegrata sul posto di lavoro. Però non ho ancora ricevuto il risarcimento economico, nonostante per questa causa abbia già speso 100 mila euro tra primo e secondo grado di giudizio e sia stata senza lavoro dal 2005 al 2009. Una cosa però, mi permetto di consigliarla a chi è vittima di soprusi e ha paura: 'ribellatevi', magari rivolgendovi allo 'Sportello dei diritti', ma fate sentire la vostra voce, i vostri diritti, la vostra denuncia . >>
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