Il-Trafiletto
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04/11/14

India | Brucia i genitali con pinze infuocate allo stupratore della figlia

Quando un padre ha saputo che la figlia stuprata era rimasta incinta, ha invitato a casa il suo stupratore e lo ha evirato con delle pinze infuocate. La vittima non ha resistito alle torture ed è deceduta.

 Si dice in genere che “la vendetta è un piatto che si mangia freddo”; questa volta invece sembra sia stato molto, ma molto caldo, per lo meno per la vittima. E’ successo in India, teatro sempre più spesso di stupri ai danni di donne, nella zona di Khajuri Khas facente parte dell'area metropolitana di Nuova Delhi.

Circa tre mesi fa una ragazzina di 14 anni, in un momento in cui era sola in casa, era stata violentata da un suo vicino di nome Omkar Singh, un commesso viaggiatore di 45 anni, rimanendo incinta. La ragazza ha taciuto il fatto fino a quando non si è accorta della gravidanza. A questo punto ha raccontato tutto al genitore il quale, forse mosso dal dolore per quanto avvenuto alla propria figlia, ha messo in atto la sua vendetta verso il suo stupratore.

 Con la scusa di un invito a cena ha fatto entrare in casa la vittima e, dopo averlo immobilizzato legandolo ad una sedia, ha cominciato a seviziarlo bruciandogli i genitali con le pinze ardenti fino a fargli perdere i sensi, per poi strangolarlo. Dopo il fatto si è recato negli uffici della polizia per costituirsi. “ Non avevo intenzione di ucciderlo – avrebbe detto agli agenti - all'inizio ho bruciato i suoi genitali e lui ha urlato dal dolore. Poi l'ho fatto una seconda volta e ha cominciato a tremare. Infine quando ho utilizzato nuovamente le pinze infuocate non si è più mosso.”

 Dopo la confessione gli agenti hanno inviato una pattuglia nell’abitazione dell’uomo e hanno trovato il corpo martoriato della vittima, imbavagliato e con le mani legate, e aveva numerose bruciature sullo stomaco e sulle parti intime. Hanno altresì avvertito i familiari della stessa. Il padre della ragazzina, che è stato prontamente arrestato, ha dichiarato che ha deciso di farsi giustizia da solo perché voleva difendere l’onore della figlia.

07/05/14

Perdona che ti fa bene | Il perdono come terapia

La scienza ha valorizzato un antico precetto: dimenticare i torti subiti non solo aiuta lo spirito ma, allenta l'ansia, fa passare il mal di testa e migliora le difese immunitarie Dimenticare i rancori e i torti subiti. Dimenticare le ferite provocate da un' offesa o da una grave violenza. Perdonare. 

Chi è protagonista di un atto di clemenza verso il suo «carnefice» suscita spesso l'ammirazione dell'opinione pubblica. Senza fare nomi, sappiamo bene di persone che pur avendo subito una strage in famiglia ha perdonato chi gli aveva sterminato la famiglia. Il fatto nuovo che ha richiamato 1'attenzione degli studiosi su questo atteggiamento è che perdonare non è solo un atto nobile, un richiamo a un principo eticocristiano “perdona le nostre offese come noi perdoniamo a chi ci ha offeso”, recita la versione moderna del «Padre nostro»". È anche un modo per fare del bene e stare meglio in salute. Lo sostiene un gruppo di ricercatori americani che ha sperimentato la «terapia del perdono» su genitori di vittime di omicidi nell'Irlanda del nord.
immagine presa dal web

 I risultati, presentati al meeting dell' American psychological association di San Francisco, hanno confermato la tesi iniziale dello psicologo Carl Thoresen della Stanford University: perdonare non comporta necessariamente giustificare o dimenticare le offese subite e riconciliarsi con i responsabili, ma rinunciare al diritto di provare esasperazione e irritazione, e di covare un desiderio di vendetta. La ricerca non è rivolta solo a persone particolarmente buone. Perché il perdono è una tecnica, e si impara. Insieme alla sua equipe il ricercatore americano ha sviluppato quindi un'apposita terapia:" sei sedute di gruppo dedicate alla necessità di abbandonare ogni rigida regola di comportamento in favore di «preferenze » di comportamento e di riconoscere la propria impossibilità di controllare il comportamento di altri.

La terapia di gruppo ha interessato 259 pazienti. Tutti hanno notato un notevole abbassamento del livello di stress, rabbia e sintomi psicosomatici come mal di testa e mal di pancia; i valori di pressione arteriosa erano inferiori, con una minore predisposizione all'infarto rispetto a chi non aveva seguito questa particolare cura. Sembra poi che anche il dolore del ricordo dell'offesa o del delitto si sia attenuato, con una maggiore disposizione degli offesi al perdono. Tutto questo ha avuto altri risvolti pratici, come una più rapida capacità di pensare a nuovi progetti lavorativi. La terapia del perdono non è perciò frutto di movimenti religiosi; in realtà è stata promossa da un gruppo di scienziati, tra cui psicologi e antropologi, che sono così riusciti a dimostrare un assunto apparentemente scontato: perdonare fa bene non solo allo spirito, ma anche alla salute.

La terapia del perdono potrebbe sembrare un'assoluta novità. E questo è vero se rimaniamo nell' ambito della ricerca scientifica. Ma se diamo uno sguardo ad altri popoli, scopriamo curiose analogie. In particolare, nella popolazione hawaiana esiste un termine, ho 'oponopono, che letteralmente significa correggere, e indica una tradizionale terapia di gruppo praticata dagli indigeni e rivolta alla cura di malattie sia di genere patologico che sociale. La terapia si ispira a credenze molto antiche sul concetto del mondo e della divinità, riviste in una versione moderna, dove si intrecciano pratiche religiose tradizionali e moderni approcci psicoterapeutici. È un metodo che risulta particolarmente adatto per risolvere conflitti di vario genere all'interno di famiglie culturalmente hawaiane e prevenire o curare disturbi anche di origine psicosomatica.
ho 'oponopono: Innanzitutto essa viene stabilita soltanto se vi è una ragionevole possibilità di riuscita nella risoluzione del problema in questione, sia che si tratti di malattia sia di conflitto sociale o di entrambe le cose. Nei partecipanti deve esserci la reale volontà di venire a capo del problema e di restaurare la qualità positiva di relazioni sociali che hanno assunto una piega indesiderata, ed eventualmente provocato effetti spiacevoli. Ai partecipanti è richiesta lealtà, sincerità e disponibilità a mettere a nudo e in discussione sentimenti e pensieri, cuore e intelletto; è inoltre necessario che, se una parte ha commesso un torto, questa sia favorevole a una qualche forma di restituzione o di risarcimento ed entrambe le parti siano propense al perdono reciproco. Cruciale è inoltre la figura del «mediatore» a cui le parti in causa si rivolgeranno durante la seduta anche per comunicare con l'altra persona, e stemperare così la tensione emotiva.
Divorzi e Aids I successi della terapia del perdono hanno ispirato nuovi tipi di trattamento anche in altre situazioni. Peresempio, Sandra Thomas, dell'università del Tennessee (Usa), ha lavorato con gruppi di divorziati ancora pieni di rancore nei confronti dell'ex coniuge. La terapia consiste nel fare un'intervista- confessione sui motivi che alimentano questa rabbia e continua con esercizi di scrittura, realizzando finte lettere e finte telefonate all'ex. Alla fine, una volta superato il rancore, come risultato immediato i genitori iniziavano a costruire un rapporto migliore con i figli. Le potenzialità del perdono sono tali che le sue applicazioni arrivano fino alle terapie mediche in senso stretto. Nel caso dell'Aids, si parte da alcune considerazioni: «È ormai dimostrato il legame stretto tra rancore e abbassamento delle difese immunitarie», afferma lo psicologo americano Everett Worthington, «e oggi sappiamo anche che perdonare, non solo razionalmente, ma coinvolgendo il livello emotivo, ha effetti benefici sull'organismo umano». Per curare le persone colpite da Aids, nell'università del Maryland il dottor Robert Redfield sta sperimentando quanto il perdono da parte dei malati verso chi ha causato il contagio sia in grado di rallentare 1'avanzata della malattia.
Il ricorso al perdono potrebbe diventare allora un rimedio rivoluzionario, non solo per la cura della persona. Un esempio? Immaginiamo cosa succederebbe con la rinuncia alla vendetta nelle zone del pianeta a più alta tensione: si otterrebbero risultati sorprendenti a livello internazionale, interrompendo la spirale di violenza tra razze e religioni diverse.

22/01/14

La scuola non invita una ragazza disabile alla festa del ballo scolastico. Lei si vendica.

Una ragazza di sedici anni, affetta dalla sindrome di Down, ha scoperto tramite un gruppo sul social network Facebook che la sua scuola ha invitato tutti, tranne i giovani disabili ad una festa del ballo scolastico. Allora Josie, questo il nome della ragazza dalle esigenze particolari, ha pensato bene di realizzare, insieme a sua mamma, un video di “vendetta” che hanno poi pubblicato in rete riscuotendo notevole popolarità.

Nel video la mamma racconta quello che Josie fa e sa fare: <danza in maniera emozionante >> e continua << Visto che nessuno lo fa, sarò io a continuare a ballare con lei..! >> Josie ha 16 anni ed è affetta dalla sindrome di Down, cosa dalla quale non si puo’ guarire, ma le basta un po’ d’affetto per essere serena e felice, affetto di cui ha bisogno qualsiasi persona umana, sia sana che disabile.Non bisognerebbe fare nessuna discriminazione, ed è per questo che la mamma di Josie ha deciso di pubblicare questo commovente video in internet. Ella racconta e fa vedere sua figlia mentre suona la batteria, rivela che nuota in maniera impeccabile e che ha attraversato il fiume Shotover in Nuova Zelanda a soli nove anni. E’ attratta dalle vacanze avventurose, tanto che sua mamma, all’età di 10 anni l’ha portata a visitare i tunnel sotterranei della guerra del Vietnam e, addirittura, è stata la surf giungla del Daintree nel Queensland. Alla conclusione del video la mamma termina il “discorso” dicendo che la 16enne non è stata invitata al ballo scolastico, una cosa che non ritiene per nulla giusta, ma soprattutto insensibile per una ragazza così piena di vita e con tutto l’amore che riesce a dare. La scuola che si è sentita prendere in causa, si è giustificata dichiarando che si trattava di una festa privata e che quindi era una cosa organizzata per una raccolta fondi. Come se i disabili non possano partecipare alle feste private!!

25/11/13

Perchè si dice "dare il calcio dell'asino"?

Gli animali sono spesso protagonisti di motti e adagi o frasi ad effetto che noi usiamo per indentificare tipologie umane sia a livello fisico  che comportamentale. Del resto la fisiognomica era ed è una disciplina psudoscientifica che pretende di dedurre i caratteri psicologici e morali di una persona dal suo aspetto fisico, soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto.
Asino

Dare il calcio dell'asino, insultare  quando non è più nella condizione di nuocere, un potente che ci si è umiliati ad  adulare. Si dice di ogni vile vendetta del debole contro il potente caduto. Lo racconta una favola di Fedro. Chi perde il suo potere, anche il più vile si prende gioco della sua rovina. Tradito dalle forze e dall'età, il leone covava la sua fine. A vendicarsi da un'antica offesa venne il cinghiale dal fulmineo dente; poi venne il toro, e le sue corna ostili scavarono in quel corpo di nemico; l'asino vide i colpi non puniti e gli sferrò il suo calcio nella fronte. Il leone spirò. Ma prima disse: "Amaro fu l'assalto di quei forti. Ma dopo il tuo, viltà della natura, mi sembra di morire acnhe due volte".

10/11/13

Perchè si dice "rivedersi a Filippi"?

Oggi mi è venuto in mente il periodo, ai tempi del ginnasio, in cui si studiava la storia dell'impero romano. Vi ricordate il secondo Triumvirato? E la battaglia di Filippi? Forse no, a me è venuto in mente per caso, non so nemmeno come. Fatto sta che esiste un adagio che recita proprio così.
Rivedersi a Filippi ovvero rivedersi in un'altra occasione, ben precisa, in cui avverrà un confronto, una gara, una vendetta. La frase, che comunemente si usa al plurale: "Ci vedremo a Filippi" è tratta dalla Storia di Giulio Cesare, di Plutarco, paragrafo 69.
Giulio Cesare
Filippi

Bruto, uno dei congiurati che parteciparono all'uccisione di Cesare, stava trasferendo l'esercito nei pressi di Abido, per prepararsi allo scontro  con le truppe di Ottaviano. Una sera, mentre era immerso nelle sue riflessioni, gli apparve un fantasma. Interrogato da Bruto sulla sua identità, il fantasma rispose: "Sono il tuo cattivo genio, Bruto. Mi vedrai a Filippi!". Bruto con coraggio, rispose: "D'accordo, ti vedrò volentieri!".
A Filippi, poi, dopo un primo scontro vittorioso, Bruto venne definitivamente sconfitto e si tolse la vita buttandosi a corpo morto sulla propria spada.
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