Il-Trafiletto
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02/03/14

Un sistema immunitario efficiente per restare giovani

Un sistema immunitario efficiente è anche là miglior premessa per restare giovani a lungo: lo affermano tutti i più noti immunologhi. Proprio dallo studio dei «grandi vecchi»  arrivano informazioni che consentiranno di creare una medicina preventiva efficace, «in grado di individuare, soprattutto tra gli anziani, i soggetti a rischio di malattie degenerative, e intervenire in tempo». Per capire come, dobbiamo tenere conto che il nostro sistema immunitario non è statico, ma si rimodella nel corso della vita di un individuo. 


«Nell'800 non si viveva più di 40-50 anni, e l'organismo non faceva in tempo a invecchiare, mentre oggi i progressi della medicina e il miglioramento delle condizioni di vita hanno cambiato radicalmente le cose». Ma il nostro sistema immunitario è continuamente bombardato da aggressioni esterne, cui reagisce accumulando memoria, «proprio come l'hard disk di un computer che finisce con il saturarsi proprio quando avremmo bisogno di nuovo spazio». Per ritardare il processo di invecchiamento del sistema immunitario dunque sarebbe sufficiente diminuire la carica antigenica, ossia le aggressioni esterne. Ma le cose non sono così semplici: «in mancanza di nemici reali da combattere il sistema immunitario può rivolgersi contro altri avversari. Si spiega così, tra l'altro, la crescente diffusione delle allergie nei paesi occidentali dove il sistema sanitario limita la diffusione delle infezioni». Qualcosa però si può fare. «Gli studi più recenti identificano il pericolo nell'infiammazione con cui l'organismo reagisce alle aggressioni esterne». Uno strumento indispensabile per rimanere in buona salute, che in molti casi finisce per trasformarsi in un cavallo di Troia. Il risultato è un fenomeno che gli immunologi hanno ribattezzato inflamm-aging, termine che può essere tradotto come «infiammazione cronica associata all'età»: «Si è scoperto recentemente che l'infiammazione cronica è strettamente legata alla cosiddetta comorbilità dell'anziano, e si ipotizza che proprio questo sia il denominatore comune di malattie molto diverse tra loro, come aterosclerosi e malattie cardiovascolari o patologie degenerative cerebrali». Oggi sappiamo anche che questi processi hanno una base genetica: esistono individui predisposti a produrre citochine pro-infiammatorie, sostanze che intervengono nell'infiammazione, mentre altri hanno una tendenza a produrre meno citochine «cattive» e più citochine anti-infiammatorie. È proprio tra questi ultimi che si trovano più spesso i centenari, oggetto privilegiato di studio di chi cerca di scoprire il segreto della longevità. «l'obiettivo è quello di identificare cluster, ossia associazioni di diversi marcatori genetici che contraddistinguono gli individui più longevi. Identificare i marcatori che consentono di prevedere, in anziani apparentemente sani, lo sviluppo di patologie invalidanti, ossia di fare una vera medicina preventiva, personalizzata sulle esigenze dei pazienti, sarà l'obbiettivo futuro dei ricercatori». E se gli studi confermeranno il ruolo dell'infiammazione nelle patologie degenerative dell'anziano, «sarà possibile curare i soggetti a rischio senza distribuire indiscriminatamente farmaci costosi e non privi di effetti collaterali.» Si tratta di studi complessi, che richiedono di seguire una persona per tutta la vita. E poi non ci sono - ancora - test adeguati a valutare ultraottantenni. Però si può già affermare che una personalità «negativa» è un fattore di rischio per diverse malattie.



08/01/14

La futura diagnostica arriva "direttamente" da Star Trek

Il futuro arriva da Star Trek? Un 'test lampo' svelerà le malattie
Il metodo di diagnosi usato dal dottor. Leonard  McCoy sulla nave spaziale 'Enteprise' potrebbe diventare realtà: secondo uno studio del Lawrence Livermore Laboratory, in California, tra 5-7 anni basterà un tampone all'interno della guancia e in pochi minuti si potrà svelare il virus e prescrivere il giusto trattamento.
 La diagnostica del dottor McCoy potrebbe presto diventare una realtà: a studiare lo sviluppo di un nuovo dispositivo - come riporta il 'Seattle Times' - che potrebbe rivoluzionare la medicina è uno studio del Lawrence Livermore Laboratory, in California. La squadra di ricercatori guidati dall'ingegnere chimico Elizabeth Wheeler sta sviluppando un metodo per riconoscere rapidamente gli agenti patogeni che causano le malattie più comuni.
Star Trek
 La chiave del test, che potrebbe arrivare sul mercato tra 5-7 anni, è la reazione a catena della polimerasi (Pcr), una tecnica di biologia molecolare che consente l'amplificazione di frammenti di acidi nucleici dei quali si conoscano le sequenze nucleotidiche iniziali e terminali. La Pcr è stata scoperta nel 1983 dal premio Nobel Kary Mullis e oggi è usata per identificare i resti umani, ma anche nel settore della sicurezza alimentare e, appunto, nella rilevazione di batteri. L'amplificazione del Dna mediante Pcr consente di ottenere molto rapidamente in vitro la quantità di materiale genetico necessaria per le successive applicazioni. La ricerca guidata dalla Wheeler sta lavorando proprio in questo versante, usando la Pcr a cui viene aggiunto uno speciale enzima. In seguito, con una macchina speciale, il Dna viene riscaldato a 202 gradi e poi raffreddato. In questo modo - precisano i ricercatori - si raddoppia la quantità di materiale genetico ad ogni ciclo. "Ci vogliono circa tre minuti per eseguire i 30 cicli necessari per amplificare il Dna e renderne possibile l'identificazione dal test, così da scoprire l'origine della malattia", avverte Wheeler. L'obiettivo degli scienziati è quello di arrivare a dispositivi di nuova generazione molto veloci, che "consentiranno ai pazienti in un prossimo futuro di inviare un campione al medico - sottolineano i ricercatori - il quale così potrà esaminarlo in pochi minuti con il test e prendere una decisione sul trattamento più appropriato". I possibili sviluppi del test andrebbero dal rilevamento degli agenti patogeni durante le guerre batteriologiche a quello dei virus responsabili delle epidemie. "Sarà possibile - concludono - testare in poco tempo i passeggeri in aeroporto che arrivano da zone a rischio, invece di lasciarli in quarantena per giorni".                             fonte Adnkronos 

01/01/14

“Passo importante” verso la cura per l’Nbia!

Un “passo importante” viene segnato da due nuove ricerche italiane che potrebbero dare una svolta fondamentale in futuro verso la ricerca di cura per l'Nbia (meglio conosciuta come neurodegenerazione con accumulo cerebrale di ferro)!

L’Nbia è una grave sindrome neurodegenerativa di origine genetica e ad oggi non c’è ancora una terapia efficace per poterla combattere. Nelle due ricerche realizzate grazie ai finanziamenti di Telethon, e pubblicati sulle riviste Brain e The American Journal of Human Genetics, i ricercatori dell'Istituto NeurologicoCarlo Besta” di Milano hanno rivelato come un nuovo gene che potrebbe provocare alcune forme della malattia, evidenziando oltretutto l'efficacia terapeutica della pantetina, un integratore alimentare già approvato ed utilizzato negli Stati Uniti.
L'Nbia in sostanza altro non è che un insieme di diverse patologie accomunate da un innaturale accumulo di ferro nel cervello. Si tratta dunque di malattie genetiche che colpiscono in età precoce, causando disfunzioni neurologiche e muscolari estremamente gravi, che in poco tempo riducono i giovani sfortunati ad essere incapaci di alimentarsi e di camminare normalmente.

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Sindrome Nbia
Sino a oggi sono stati identificati 9 geni responsabili delle malattie Nbia, ma nel 30% dei casi l’alterazione che le causa rimane sconosciuta, impedendo così di avere una diagnosi. È per questo che l’Istituto Neurologico Besta ha deciso di avviare un progetto in collaborazione con l’Istituto di Genetica Umana di Monaco di Baviera, basato sul sequenziamento della parte codificante del Dna (Esoma) di pazienti con Nbia ancora senza una diagnosi genetica.

I risultati, pubblicati sull'American Journal of Human Genetics, hanno permesso di identificare un nuovo gene, denominato Coasy, responsabile della produzione di una proteina chiamata coenzima A, che nei pazienti con Nbia risulta alterata. Si tratta di un passo in avanti importante perché rafforza la convinzione che il coenzima A giochi un ruolo nell’insorgere di queste patologie: anche Pank2 infatti, il gene che causa il tipo più comune di sindromi Nbia, è coinvolto nella produzione di questa proteina. Il prossimo passo, spiegano i ricercatori, sarà indagare il legame tra la sintesi alterata del coenzima A e l'accumulo di ferro in regioni specifiche del cervello.

Nel secondo studio, apparso su Brain, i ricercatori del Besta hanno dimostrato invece la possibilità di un approccio terapeutico sperimentale per le forme di Nbia causate dall'alterazione del gene Pank2. Utilizzando la pantetina, una sostanza coinvolta nella sintesi del coenzima A e gia approvata dall'Fda come integratore alimentare, sono infatti riusciti a contrastare significativamente i sintomi clinici della malattia, ottenendo il recupero della normale attività motoria e una sostanziale riduzione della neurodegenerazione su topi colpiti dalla versione animale dell'Nbia.

Nonostante l'importanza della loro scoperta, i ricercatori ricordano però che è ancora presto per pensare ad una possibile applicazione clinica. “Si tratta di importanti passi in avanti nella conoscenza di queste gravi malattie e nell’elaborazione di una cura”, commenta Valeria Tiranti, ricercatrice dell’Istituto Neurologico Besta che ha coordinato entrambi gli studi. “E’ importante tuttavia precisare che si tratta ancora di esperimenti di laboratorio, e che per arrivare a un’applicazione nella pratica clinica saranno necessari alcuni anni”.
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