Il-Trafiletto
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05/06/14

Il Garante per la privacy disciplina i cookie

Che cosa sono i cookie? I cookie sono stringhe di testo di piccola dimensione inviate da un server ad un Web client (di solito un browser) e poi rimandati indietro dal client al server (senza subire modifiche) ogni volta che il client accede alla stessa porzione dello stesso dominio web. I cookie rendono semplici operazioni che altrimenti sarebbero molto complesse, ma al tempo stesso permettono di tracciare una sorta di “identikit” del consumatore-internauta, un po’ come succede con le carte fedeltà dei supermercati.

Cookies
immagine presa dal web
Da ora in poi il Garante per la privacy, ha deciso di vietare l'installazione dei cookie per finalità di marketing senza consenso: chi naviga on line potrà decidere se far usare o no le informazioni raccolte sui siti visitati per ricevere pubblicità mirata. Questo cambierà l’accesso ai siti internet. 

 In che cosa consiste il provvedimento? In pratica stabilisce che nella home page e nelle altre pagine del sito dovrà comparire un banner ben visibile contenente le seguenti indicazioni:
 · utilizzo da parte del sito di cookie di profilazione per l’invio di messaggi pubblicitari mirati
 · eventuale utilizzo di cookie di terzi
 · link con l’informativa attraverso la quale è possibile negare il consenso alla loro installazione
 · avvisi che prevedono il consenso all’uso dei cookie per la prosecuzione della navigazione, ad es. di pagine specifiche del sito.

19/04/14

Social network | Impossibile sfuggire | Adesso ci rintracciano con Nearby Friend!

Social network: impossibilie sfuggire, adesso ci rintracciano con Nearby Friend! Ormai appare sempre più impossibile rimanere nascosti, qualunque cosa facciamo, siamo sempre più rintracciabili: tutta colpa dei social network.

Facebook recentemente ha realizzato una funzione che sarà in grado di rintracciare se uno dei nostri amici si trova nei pressi della zona in cui stiamo. La funzione in questione sarà implementata prossimamente negli States con un update nelle applicazioni mobili per i sistemi operativi di iOS e Android. 'Nearby Friend', questo il nome della funzione, che ad onor del vero sarà «opzionale»: infatti gli utenti potranno decidere se abilitarla o meno.
Nearby Friend di Facebook

La novità, afferma il product manager Andrea Vaccari, fornirà agli utenti di sapere quando i propri amici si trovano nei dintorni in modo da incontrarli. Facebook pare tutto sommato intenzionato ad aiutare i suoi iscritti a rimanere in contatto nel «mondo reale» oltre che in quello <<virtuale>>.

'Nearby Friend', fa sapere la compagnia, è discrezionale e se attivata terrà traccia della posizione semprè, anche quando non si sta navigando sul social. Ogni utente potrà decidere a chi far arrivare le notifiche, anche per un periodo di tempo limitato. L'opzione potrà essere disattivata in qualsiasi momento.

Nonostante queste precauzioni, negli Usa alcune associazioni hanno già sollevato preoccupazioni per le conseguenza che si potrebbero riversare sulla privacy da parte della nuova funzione che amplifica le potenzialità della registrazione in luoghi e località già possibile su Facebook. Jeffrey Chester, direttore esecutivo del Center for Digital Democracy, riporta il Wall Street Journal, ha fatto richiesta alla Federal Trade Commission di rivedere il prodotto. Nel mentre un portavoce di Facebook a difesa del progetto ha spiegato che gli iscritti riceveranno dei promemoria periodici sulle impostazioni di 'Nearby Friends'.

11/03/14

Il risveglio dell'Anonimato Spa! Zuckerberg ed il suo alter ego Durov.

Il risveglio dell'Anonimato Spa!  Zuckerberg ed il suo alter ego Durov.
Pavel Durov a giusta ragione può definirsi l'alter ego di Mark Zuckerberg. Dal momento in cui Facebook ha acquistato Whatsup il suo servizio di instant messagger Telegram è stato assalito totalmente!

Nella rete si era diffuso il timore che l'app, costata la bellezza di 19 miliardi di dollari, avrebbe assunto l'aspetto di una sorta casa di vetro per investitori pubblicitari e inserzionisti sul modello Facebook. Risultato: un black out di qualche ora che avrebbe poi peggiorato la situazione, generando una mini-diaspora di utenti verso l'applicazione del programmatore di 28 anni originario della Russia che non ha perso l'occasione di cavalcare l'onda.

In sole 24 ore sono stati 5 milioni le persone che hanno scaricato Telegram! Per Zuck 5 milioni sono spiccioli ma tuttavia, alla prima uscita pubblica al Gsm di Barcellona ha colto subito l'occasione per ribadire che avrebbe lasciato Whatsup indipendente. Nel mentre Durov su Twitter e sul suo sito ricordava: «Telegram non è pensato per produrre profitti, non venderà mai pubblicità e non accetterà mai investimenti esterni. Non è in vendita. Non stiamo costruendo un database ma un programma di messaggistica per le persone». In realtà di Telegram piace la protezione della privacy. Il servizio consente di effettuare chat segrete tra due persone, usando una crittografia. I messaggi non vengono conservati sul server, ma rimangono sugli smartphone degli utenti. Come chioserebbe Cory Doctorow, finalmente piace l'anonimato.
Anonimato Spa

L'autore di «Little Brother» e militante per i diritti digitali aveva previsto che il Grande Fratello avrebbe generato conseguenze. L'affare Prism, il sistema usato dalla Nsa per raccogliere dati sui cittadini americani e internazionali senza mandato della magistratura, intercettando messaggi di posta elettronica, chat, video, fotografie ha prodotto come prima conseguenza tangibile una nuova generazione di prodotti anti-intercettazioni. Con 49 dollari su internet chiunque può portarsi a casa Safeplug, una scatola che una volta collegata al router, agisce come un proxy e costringe tutto il traffico internet dell'utente a passare sul network Tor.

A Barcellona, uno dei protagonisti è stato Blackphone, battezzato il primo smartphone anti-Nsa. Per 455.00 € circa si ha la possibilità di di navigare online e comunicare in maniera sicura. Per dieci dollari al mese la startup Wireover installa sul tuo computer una app, che permette lo scambio e il trasferimento illimitato di immagini, video, audio, documenti sensibili, e file di grandi dimensioni, da un computer all'altro, senza che nessuno, all'infuori del mittente e destinatario, possano accedere ai contenuti. I venture capital sono certi che a breve l'azienda troverà nuovi investitori.

Un'altra startup fondata da un ex di Google ha un nome che è tutto un programma: Disconnect si inserisce all'interno di un ricco filone di programmi amici della privacy che bloccano le pubblicità, cancellano i cookies e permettono di surfare senza essere rilevati. Ma a differenza degli altri servizi, questo promette di rivelarti in tempo reale chi e come sta prendendo informazione da noi. Non mancano naturalmente gli eccessi. Come ad esempio lo smartphone che si autodistrugge. Un gadget da 007, destinato a un pubblico speciale e specializzato che però ha già un nome: si chiama Boeing Black, ci sta lavorando il colosso aerospaziale Boeing che ha deciso di presentarlo all'Fcc.

Più incline alla paranoia è invece l'Anulador Celular prodotto dalla brasiliana Polar. Tecnicamente è un cooler, cioè un contenitore per tenere in fresco la birra. Al suo interno ha però un dispositivo che blocca le connessioni Gps, Gsm, Wireless 3G e 4G nel raggio di un metro e mezzo. Ufficialmente servirebbe per bloccare la sindrome da distrazione da smartphone quando si è al bar. Ufficiosamente potrebbe essere anche usato per rendersi non tracciabili. Paronia a parte, il proliferare di queste soluzioni dimostra però solo che il business c'è. Quello che sta accadendo più che un sintomo di una maggiore consapevolezza dell'importanza dei propri dati personali è il riflesso dell'ingresso sul mercato di una serie di prodotti che utilizzano la crittografia destinati all'utente medio.

Come aveva previsto Eric Schmidt, presidente di Google: contro la sorveglianza di massa da parte dei Governi, serve che anche la crittografia diventi di massa. Più della Nsa però chi dovrebbe essere preoccupato sono le aziende che su internet e sui nostri dati ci campano. Se in rete smettiamo di essere l'espressione tracciabile delle nostre abitudini di consumo diventiamo meno interessanti per gli sponsor che vogliono vendere prodotti. Se per meglio dire, usciamo dal radar, social network e motori di ricerca saranno meno attraenti per la pubblicità. In realtà questa ondata emotiva post-datagate è ben lungi dall'impensierire i giganti del web. Se è vero che la privacy su internet non può più essere concepita come diritto di stare da soli, è altrettanto certo che il «public by default», il pubblico come nuova norma sociale di Mark Zuckerberg non ha culturalmente vinto.
Come spiega bene Antonio Casilli, professore associato di Digital Humanities presso il Paris Institute of Technology (Paris Tech), nel suo saggio «Against the Hypothesis of the End of Privacy», il diritto alla riservatezza è ormai un bene negoziabile. Una scambio sempre più consapevole tra chi detiene i diritti (gli utenti) e chi possiede le piattaforme online. Cessione di dati contro servizi. Il prezzo lo decide il mercato. Anzi, lo ha deciso una startup.

Datacup con sede a New York City offre 8 dollari al mese (70.00 € annui) per avere pieno accesso ai dati generati dagli utenti sui propri account social e dalle transazioni online. Sono già 1.500 le persone che hanno scelto di renderli trasparenti come concorrenti del Grande Fratello. Il servizio di compra-vendita sarà aperto a tutti. Nessun inserzionista e nessuna azienda però, almeno per il momento, si è fatta avanti. Il prezzo forse non è quello giusto.

03/01/14

Facebook ci spia? | Avanzata una class action per "intercettazione"

Avanzata una class action contro Facebook. Il social network, secondo quanto riporta il 'Financial Times', è accusato di intercettare e monitorare i messaggi privati degli utenti per ottenere dati da condividere con gli inserzionisti pubblicitari.
Ad avanzare la class action sono Matthew Campbell dell'Arkansas e Michael Hurley dell'Oregon da parte di tutti gli utilizzatori di Facebook che negli Stati Uniti hanno inviato link nei propri messaggi privati. Secondo i ricorrenti, il social network intercetta sistematicamente i messaggi privati per avere informazioni da condividere con il marketing, ricevendo così un vantaggio rispetto ai concorrenti. Facebook, che è stato già criticato in passato per le sue politiche sulla privacy, ha commentato: "Le accuse sono prive di fondamento e ci difenderemo con forza".

25/11/13

Contraddizione o specchio fedele di una realtà...la nostra realtà quella elettronica!

In base a quanto viene fuori da una ricerca di Intel, condotta online da Penn Schoen Berland su un campione di 12000 soggetti di maggiore età in otto Nazioni in tutto il mondo fra cui il nostro, un neonato digitale italiano su due è dell'idea che la tecnologia ci renda meno umani e sia troppo fondamentale nelle nostre vite.

Chiaramente tutto ciò appare come una colossale contraddizione o specchio fedele di una realtà che ci vede, questo è certo, fra i maggiori utilizzatori di gadget elettronici e addirittura tra i primi al mondo a far la fila di notte (è abitudine di un italiano su due, soprattutto uomini) per l'ultima novità lanciata nei negozi?

Andiamo dunque per ordine. Le contraddizioni della "generazione Y" Il rapporto di amore e odio esternato dalla fascia più in giovane e tenera dell'utenza è ben chiaro nelle percentuali che seguono: il 76% di chi appartiene alla cosiddetta "generazione Y" (giovani di tra i 18 e i 24 anni) è dell'idea che la società attuale si basi troppo sulla componente tech, per quanto la quasi totalità (il 93% per la precisione) si dichiari convinta che grazie alla tecnologia la vita sia più semplice e migliore.

Realtà elettronica
Quasi il 60% dei più giovani è sicuro inoltre che la tecnologia aiuti i rapporti personali mentre è curioso il fatto che gli italiani abbiano più fiducia dei coetanei di altri Paesi sviluppati circa l'impatto positivo delle innovazioni tecnologiche su istruzione (40%), trasporti (41%) e assistenza sanitaria (41%).

Donne italiane davanti a tutte Meno preoccupate dei possibili effetti nocivi legati all'uso eccessivo della tecnologia sono invece le donne italiane con più di 45 anni, tre volte più propense a sostenere i benefici di Internet, smartphone, tablet e via dicendo rispetto alle donne americane della stessa fascia di età e anche delle pari età che vivono nei Paesi emergenti.

 Le donne italiane sono inoltre maggiormente disposte ad accettare tecnologie che per le coetanee di altre nazioni potrebbero essere considerate troppo personali, come i software che osservano le loro abitudini lavorative (70%) e monitorano le abitudini di studio degli studenti (70%) e persino bagni intelligenti che tengono sotto controllo la loro salute (74%).

Device sempre più smart anche a scapito della privacy In cambio di dispositivi più intelligenti, in grado cioè di apprendere e registrare comportamenti e preferenze, un giovanissimo su due è disposto a rinunciare ulteriormente alla propria privacy e a condividere informazioni personali come la data di nascita (lo dice il 59% del campione intervistato), i dati Gps (46%), le e-mail (59%), lo storico degli acquisti (51%) e i propri dati genetici (44%).

 Anche le persone con un reddito più elevato sono propense a condividere le loro informazioni (in forma anonima) e, inaspettatamente secondo la ricerca, a consentire il monitoraggio delle loro abitudini lavorative. In Italia, in particolare, l'80% delle persone benestanti condividerebbe analisi di laboratorio rispetto al 68% degli individui con reddito più basso, così come le destinazioni dei loro viaggi (74% contro 43%) o le date degli stessi (71% contro 44%). Innovazione questa sconosciuta Italia ultima per tutti gli intervistati (anche gli italiani): il dato, impietoso, ha per oggetto la capacità di innovare.

Eppure il 77% delle persone oggetto di indagine crede che la propensione all'innovazione sia un fattore importante di benessere sociale. Per contro solo il 7% degli italiani riconoscono nel Governo una forza trainante per l'innovazione tecnologica del Paese. Un italiano su tre preferisce confidare nella lungimiranza e nel traino delle grandi aziende e delle tante piccole e medie imprese.

22/11/13

Via libera al redditometro ma è tutto complicato

Il Garante della privacy ha dato il suo assesnso per dare il via libera all'utilizzo del redditometro ma le contraddizioni non mancano! Infatti il suo "si" mette delle limitazioni non indifferenti all'Agenzia delle Entrate riguardo l'utilizzo dei dati dei contribuenti da monitorare. Il provvedimento che ha avuto il via libera dall'Authority, il cui responsabile, Antonello Soro mostra i dettami da seguire nell'utilizzo dei dati e nella profilazione dei contribuenti, vale a dire nella loro classificazione per poi attribuire le spese medie Istat. Ma passiamo a vedere nel dettaglio le criticità sottolineate nel sudetto provvedimento dal Garante, dei quali l'agenzia dovrà adesso tener conto nell'applicazione di questo tanto contestato strumento e quindi prima di far partire i controlli.

 Profilazione
 Il reddito del contribuente potrà essere ricostruito facendo uso unicamente delle spese certe e spese che valorizzano elementi certi (possesso di beni o utilizzo di servizi e relativo mantenimento) senza utilizzare spese presunte basate unicamente sulla media Istat.

Spese medie Istat
I dati delle spese medie Istat non potranno essere utilizzati per determinare l'ammontare di spese frazionate e ricorrenti (abbigliamento, alimentari, alberghi) per le quali il fisco non ha evidenze certe. Tali dati infatti, riferibili allo standard di consumo medio familiare, che non saranno riconducibili correttamente ad alcun individuo, se non con notevoli margini di errore in eccesso o in difetto.

Redditometro
Fitto figurativo
 Il cosiddetto "fitto figurativo" (attribuito al contribuente in assenza di abitazione in proprietà o locazione nel comune di residenza) non verrà utilizzato per selezionare i contribuenti da sottoporre ad accertamento, ma solo ove necessario a seguito del contraddittorio. Il "fitto figurativo" dovrà essere attribuito solo una volta verificata la corretta composizione del nucleo familiare, per evitare le incongruenze riscontrate dal Garante (che comportavano l'attribuzione automatica a 2 milioni di minori della spesa fittizia per l'affitto di una abitazione).

 Esattezza dei dati
L'Agenzia dovrà porre particolare attenzione alla qualità e all'esattezza dei dati al fine di prevenire e correggere le evidenti anomalie riscontrate nella banca dati o i disallineamenti tra famiglia fiscale e anagrafica.
La corretta composizione della famiglia è infatti rilevante per la ricostruzione del reddito familiare, l'individuazione della tipologia di famiglia o l'attribuzione del fitto figurativo.

Informativa ai contribuenti
Il contribuente dovrà essere informato, attraverso l'apposita informativa allegata al modello di dichiarazione dei redditi e disponibile anche sul sito dell'Agenzia delle entrate, del fatto che i suoi dati personali saranno utilizzati anche ai fini del redditometro.

Contraddittorio
 Nell'invito al contraddittorio dovrà essere specificata chiaramente al contribuente la natura obbligatoria o facoltativa degli ulteriori dati richiesti dall'Agenzia (estratto conto) e le conseguenze di un eventuale rifiuto anche parziale a rispondere. Dati presunti di spesa, non ancorati ad alcun elemento certo e quantificabili esclusivamente sulla base delle spese Istat, non potranno costituire oggetto del contraddittorio. E questo perché la richiesta di tali dati - relativi ad ogni aspetto della vita quotidiana, anche risalenti nel tempo - entra in conflitto con i principi generali di riservatezza e protezione dati sanciti in particolare dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo

04/11/13

Ecco come sarà internet nel prossimo futuro tra la qualità dei servizi e la privacy

Ecco come sarà internet nel prossimo futuro, tra la qualità dei servizi e la privacy.
Internet nel prossimo futuro, sarà sempre più radicato sui servizi di qualità garantita, che permetterà di agire in tre modi diversi, ognuno dei quali però con qualche limite.
Internet nel prossimo futuro

Oltretutto, si propone il sempre vegeto rischio della violazione sistematica dei diritti di privacy degli utenti. Tutto ciò è il risultato ultimo di un'inchiesta di Nòva24, riguardo le modalità tecniche con cui potrebbe prendere il via su internet il Regolamento riguardante un mercato unico europeo delle comunicazioni elettroniche che la Commissione europea ha proposto durante il mese di settembre.

Uno dei modi: «gli operatori potrebbero configurare i router di rete con classi di servizio. Assegnando a certi servizi una classe privilegiata, possono accelerarli, fino all'utente finale», enuncia cosi Stefano Pileri, amministratore delegato di Italtel e tra i massimi conoscitori della rete italiana. Tutto ciò tradotto in parole povere vuol dire riservare una certa banda e latenza a certi servizi e fare in modo che il loro percorso fino all'utente sia il più diretto possibile. «Oggi le classi di servizio vengono persi nei punti di interconnessione tra una rete di un operatore e un'altra. Crediamo quindi che il regolamento della Commissione autorizzi la nascita di autostrade universali che conservino le classi in tutti i passaggi, su tutte le reti», prosegue Pileri. Ma come può il router riconoscere i servizi, nell'infinità di internet? Appare probabile che con quelli che, per le proprie caratteristiche tecniche (cioè il loro protocollo), si annunciano sulla rete. Vorrebbe dire un po' a viaggare su internet tenendo una carta d'identità sempre stampata sul petto.

Proprio come le chiamate audio-video. Già adesso gli operatori, in questo modo, possono garantire una certa qualità sui propri servizi VoIP offerti alle aziende. «Per gli altri servizi, è possibile fare così: assegnare una classe di servizio privilegiata a tutti quelli che provengono da una certa origine su internet (uno specifico datacenter)», spiega Pileri. È comunque limitante non poter discriminare tra servizi provenienti dallo stesso datacenter. «Per farlo gli operatori devono usare tecniche di deep packet inspection, con appositi apparati che setacciano il traffico. Guardano all'interno di tutti i pacchetti dati che passano sulle reti e capiscono così a quali servizi e contenuti corrispondono», aggiunge. Equivale a mettere il naso nelle comunicazioni degli utenti. Per questo motivo la Corte di Giustizia europea considera lesive della privacy queste pratiche.

«Il regolamento della Commissione porta con sé lo spettro gravissimo della deep packet inspection», dice Paolo Nuti, di Aiip (Associazione dei principali provider italiani).
Tutto questo al netto del pericolo più generale: «i servizi a qualità garantita comunque sono parte di internet. Vanno nello stesso tubo con tutti gli altri. Se acceleri quelli, riduci la banda disponibile per i normali servizi internet», dice Stefano Quintarelli, storico esperto della rete e ora parlamentare di Scelta Civica. I principali operatori europei credono però che, grazie ai nuovi ricavi proveniente dai servizi a qualità garantita, potranno investire per aumentare la banda complessiva. È una scommessa. Con molti lati oscuri.

19/10/13

Datagate, Google si mette all'opera per proteggere la privacy da Fbi e Nsa

Datagate, Google si mette all'opera per proteggere la privacy da Fbi e Nsa!
Il colosso americano sta mettendo in essere uno strumento da introdurre come sistema di difesa dei dati personali nel web per impedire agli 007 americani di potere accedervi senza un'autorizzazione del tribunale competente.
Infatti dopo le rivelazioni di Edward Snowden, a pagare le conseguenza maggiori in termini d’immagine non è stata tanto l’amministrazione Usa, quanto le aziende coinvolte nello scandalo Datagate. Colossi dell’informatica come Microsoft e Google, già impelagate quotidianamente con un’opinione pubblica sempre pronta ad accusarle per qualsiasi comportamento poco "chiaro", non avevano certo bisogno anche di quest'altra etichetta di "spioni per conto terzi" che gli è stata immediatamente accollata a seguito della vicenda legata al sistema Prism. Google pare infatti voglia correre ai ripari con una azione a sorpresa che potrebbe farle recuperare credibilità nel settore tanto sensibile come quello della privacy.
In base a quanto riportato da Cnet, i vertici di Mountain View starebbero pensando di introdurre un sistema di protezione crittografico con password per proteggere documenti all'interno del server di Google Drive, il servizio di archiviazione online proprio terminato (tra gli altri) al centro delle polemiche nell’affare Prism. La soluzione pensata da Google, se confermata, potrebbe rappresentare un raffinato escamotage, che fa uso delle peculiarità della legislazione Usa in tema di intercettazioni e accesso ai dati. In base a quanto emerso dai documenti pubblicati nelle scorse settimane, infatti, la "collaborazione" tra le aziende hi-tech e il governo 
Google

Statunitense troverebbe il suo punto in comune nel Patriot Act, la legge emanata dall’amministrazione Bush nel 2001 in chiave anti-terrorismo e che permette alle agenzie federali di chiedere informazioni e dati a qualsiasi azienda senza dover passare da un’aula di tribunale. Trattasi delle national security letters, comunicazioni (segrete) che obbligano le società a dare le informazioni richieste senza l’intervento di un giudice.
Se Google dovesse riuscire ad introdurre un sistema di protezione tramite crittografia, i dati archiviati sui server del colosso americano sarebbero oscurati per chiunque, a meno che non si sia in poassesso della password. Un sistema già utilizzato da numerosi servizi online, in cui il sistema di crittografia usa una chiave che è in possesso solo dell’utente e che impedisce a chiunque, compresa l’azienda che gestisce il servizio, di potere accedere ai dati. Se Google dovesse fare suo un sistema simile, l’accesso alle informazioni per Nsa e Fbi diventerebbe per lo meno complicato. I federali dovrebbero scegliere tra usare dei software per abbattere il blocco crittografico, un processo dispendioso sia in termini di tempo che di denaro, altrimenti avere la password. In tal caso, però, sarebbe necessario intercettare l’utente mentre la usa e, per farlo, la legge Americana prevede che sia necessario un provvedimento specifico del giudice.
Tutta la vicenda, al momento, rimane ancora un'ipotesi. Sia perché Google non ha dato conferma al progetto di adottare la crittografia, sia perché non si conosce l’effettiva efficacia di una manovra del genere. Le modalità con cui i federali accedono alle informazioni conservate dalle società coinvolte nel programma Prism, infatti, non sono ancora chiare. Il governo Usa mantiene il massimo riserbo e le notizie che arrivano dalle aziende coinvolte non chiariscono più di tanto le cose. In un post pubblicato sul suo blog, per esempio, il responsabile degli affari legali di Microsoft Brad Smith ha gestito la questione spiegando che la società vorrebbe rendere pubblici i documenti che descrivono i rapporti con Nsa e Fbi, ma il governo per il momento glielo vieta. Nella sua arringa in difesa delle politiche sulla privacy del servizio di posta Outlook.com, però, Smith da assicurazione che Microsoft "non fornisce ad alcun governo la possibilità di violare il sistema crittografico di trasmissione e tantomeno fornisce le password degli utenti". Peccato che, come spiega lui stesso, la protezione di cui sopra è attiva solo per la trasmissione delle email, mentre i dati sui server Microsoft sono conservati in chiaro!
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