Il-Trafiletto
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21/03/14

Iran | Dopo 8 anni di carcere e il rischio della lapidazione, amnistiata e liberata Sakineh Ashtiani.

Ricordate Sakineh Ashtiani, la donna iraniana condannata alla lapidazione nel 2006 con l'accusa di adulterio e di aver ucciso il marito d'accordo con il suo amante? E' di ieri l'annuncio che la donna è stata rimessa in libertà. Ne dà notizia l'avvocato italiano Bruno Malattia di Pordenone, che ha patrocinato il caso di fronte al parlamento europeo. Dopo otto anni di carcere e una forte mobilitazione internazionale per salvare la vita alla donna, le autorità della Repubblica islamica le hanno concesso l'amnistia. La donna è stata rilasciata dopo aver scontato 8 anni di carcere. La buona condotta ha favorito il procedimento di amnistia. Secondo alcuni osservatori è un altro segnale della distensione messa in atto dal presidente Rohani, che in realtà deve gestire una situazione interna, sociale ed economica, difficile, vista l'eredità lasciata dal suo predecessore. Sakineh Mohammadi. Ashtiani, 47 anni, di Tabriz, nel nord-ovest dell’Iran, venne condannata nel 2006, sotto la presidenza di Mahmud Ahmadinejad, alla lapidazione per adulterio, con sentenza poi sospesa nel 2010. Ma rischiò poi l’impiccagione in un processo per l’omicidio del marito. Nel 2010 il Comitato internazionale contro la lapidazione, con sede in Germania e guidato dalla dissidente iraniana Mina Ahadi, aveva dato notizia della prossima impiccagione di Sakineh e poco più di un mese dopo del suo rilascio. Notizia smentita dalle autorità islamiche, che l’attribui’ ad un’azione di propaganda della stampa occidentale. La tv di stato iraniana mostrò la donna che confessava l’adulterio e la complicità nell’omicidio del marito: una confessione che il figlio della donna, Sajad Qaderzadeh, disse esserle stata estorta con la tortura. Ora l'annuncio dell'amnistia, che attende la conferma dei fatti. Forse un gesto distensivo nell’ambito del «nuovo corso» impresso alla politica estera dal presidente moderato Hassan Rohani.

19/02/14

Dimostranti in piazza | Kiev e' in fiamme.

La capitale Ucraina ha vissuto ieri la sua giornata piu' violenta e sanguinosa dal 21 novembre scorso

La scelta del governo di ritirare la nazione dall'integrazione nell'unione europea spinse nelle strade e nelle piazze migliaia di persone. 


Dopo il rilascio di 234 manifestanti grazie a un'amnistia promulgata dal presidente, Viktor Yanukovich, e l'evacuazione pacifica del municipio della capitale occupato dall'1 dicembre scorso, la tensione sembrava diminuita. Ma oggi gli scontri sono di nuovo divampati di fronte al Parlamento e il bilancio provvisorio delle vittime e' altissimo: 9 morti, tra i quali due agenti, e 150 feriti.

 Nel pomeriggio circa 20mila dimostranti si erano messi in marcia da Piazza Indipendenza al Parlamento per chiedere di inserire in agenda una proposta dell'opposizione di ridurre i poteri del presidente, ma la polizia ha cercato di fermare i dimostranti sparando proiettili di gomma e lanciando lacrimogeni dopo che questi avevano iniziato a lanciare sassi contro le forze dell'ordine. Successivamente i manifestanti antigovernativi hanno iniziato a lanciare sassi e bombe molotov contro la sede del partito al potere. Invano l'ex campione del mondo di pugilato Vitali Klitschko aveva lanciato un appello a Yanukovich affinche' ritirasse gli agenti antisommossa dalle strade, che invece hanno lanciato un ultimatum ai manifestanti perche' lasciassero piazza Indipendenza.


Scaduto l'ultimatum, la polizia ha fatto irruzione nonostante da Parigi, Washington, dalla Nato, dall'Ue e dall'Onu fossero giunte pressioni e moniti per mettere fine dell'escalation e Berlino abbia invitato l'Ue a valutare sanzioni individuali contro i responsabili delle violenze. Nulla da fare: il procuratore ucraino ha avvertito che preannunciato "pene durissime" per gli autori dei disordini e gli agenti antisommossa hanno avvisato donne e bambini, intimando loro di lasciare l'area perche' si stava preparando un'operazione "antiterrorismo". Mentre l'irruzione della polizia nella piazza era in corso l'ex pugile Vitali Klitschko, uno dei capi dell'opposizione, arringava la folla: "Non ce ne andiamo, questa e' un'isola di liberta'".                         fonte(AGI)

28/12/13

Sono ancora contro lo "Zar di tutte le russie" le due Pussy Riot

Lo zar fattosi Babbo Natale alla vigilia delle feste e delle Olimpiadi di Sochi ha regalato all’opinione pubblica una settimana di lacrime e polemiche, con il ritorno dall’aldilà della prigione degli eroi che l’hanno sfidato. E mentre un’altra storia, quella dei 30 attivisti di Greenpeace, si conclude con la scarcerazione e la partenza in tempo per riabbracciare le famiglie per Capodanno, è il momento di sognare ed esprimere desideri. Le Pussy Riot – ma dicono che non useranno più il marchio delle punk con il passamontagna colorato - sono tornate a Mosca dopo essere state liberate dall’amnistia di Putin. Due giorni prima hanno avuto uno scambio epistolare commovente con l’altro ex detenuto più famoso della Russia, Mikhail Khodorkovsky, uscito dal Gulag per grazia di Putin 72 ore prima di loro.
Maria e Nadia

Le due Pussy Riot hanno inoltre annunciato i loro progetti, tra cui un'alleanza con l'ex oligarca Mikhail Khodorkovski :  "Per noi Khodorkovsky è importante come personalità, in ogni caso non si tratterebbe di una cooperazione finanziaria, ma piuttosto ideologica e concettuale". Tra i leader che vorrebbero coinvolgere nei loro prossimi progetti politici compare anche Aleksey Navalny, sconfitto alle ultime elezioni per il sindaco di Mosca: Maria e Nadia vorrebbero inserirlo nel consiglio di sorveglianza della loro nuova organizzazione per i diritti umani "Campo del diritto", dedicata soprattutto ai detenuti in Russia. "Se vogliamo che esista una società, e non una massa di persone, dobbiamo ricordarci che è necessario svegliare l'interesse delle persone", ha detto la Tolokonnikova. Nadia si è anche espressa a favore del Magnitsky Act, la legge americana secondo cui i russi che hanno commesso crimini che violano i diritti umani non possono entrare negli Usa. Maria, invece, ha commentato la legge Dima Yakovlev (che ha interrotto le adozioni dagli Stati Uniti di bambini russi) come "una delle parti più tristi della nostra storia".
Masha e Nadia alla loro conferenza stampa parlano solo del carcere, delle umiliazioni, degli abusi, delle donne costrette a lavorare 16 ore al giorno e punite con visite ginecologiche forzate. Le loro voci tremano e il loro futuro, come lo vedono oggi, è lottare per i diritti dei detenuti, insieme a un altro oppositore perennemente sull’orlo della prigione, Alexei Navalny. Come loro modello citano Vladimir Bukovsky, loro predecessore nelle carceri della Mordovia, impenitente dissidente deportato da Brezhnev più o meno con le stesse modalità di Khodorkovsky. La galera torna a essere, come all’epoca del dissenso sovietico, la metafora della società, l’esperienza fondante e fondamentale, che divide gli onesti e i coraggiosi dalla massa degli indifferenti e dei conniventi. Il programma politico è un optional, anche perché non ci sono più luoghi – dal parlamento alla piazza – dove fare politica in Russia. Non resta che sognare un mondo di giusti che decimano i carnefici e i corrotti.

23/12/13

Escono le Pussy Riot | Lo "zar" ha dato la grazia

Siamo alle soglie del 2014 e ci sono ancora ragazze che lottano per i loro diritti, e finiscono in carcere per aver manifestato contro i soprusi. Lo "zar di tutte le russie" ha approvato l'amnistia, con la quale il Cremlino ha rimesso in libertà l'ex oligarca Khodorkovski, reo d'aver criticato lo "zar". Grazie a questa amnistia è stata scarcerata Maria Aliokhina, lo ha annunciato Piotr Verzilov, marito dell'altra Pussy Riot ancora in carcere, Nadia Tolokonnikova,  al momento ricoverata nell'ospedale numero 1 del Servizio Penitenziario regionale di Krasnojarsk, potrebbe essere liberata entro oggi. La notizia, per ora, non trova però conferme ufficiali. Insieme a Nadia, Maria stava scontando una pena di due anni di reclusione per "teppismo motivato da odio religioso".

Maria Alyokhina al centro, tra Yekaterina Samutsevich (sinistra) e
Nadezhda Tolokonnikova (destra) durante il processo a Mosca (ansa)
Con altre tre compagne del gruppo punk femminista Pussy Riot, nel febbraio 2012, misero in scena una performance contro Vladimir Putin nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, con la quale si attirarono le ire del Patriarcato Ortodosso russo e dello stesso Cremlino, dove Putin si preparava a tornare per il suo terzo mandato presidenziale. La scadenza naturale della pena era prevista per il prossimo marzo, ma l'amnistia approvata la settimana scorsa dalla Duma ha offerto loro, inaspettatamente, la possibilità di uscire con qualche mese di anticipo. Ieri sera all'emittente televisiva indipendente russa 'Dozhd' un'amica di Aliokhina, Taisa Poliakova, aveva riferito l'intenzione di Maria di non usufruire dell'amnistia e di rimanere in carcere, temendo per la sorte delle altre detenute. Secondo quanto le ha raccontato la stessa Aliokhina in un recente colloquio, alcune sue compagne sono state minacciate più volte dall'amministrazione del penitenziario solo perchè parlavano con lei. Maria è sicura che ora, dopo il suo rilascio, la situazione di quelle recluse peggiorerà. Per questo l'attivista si è detta pronta a chiedere il sostegno della Commissione di Vigilanza Pubblica affinchè monitori le condizioni delle amiche rimaste in carcere. fonte
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