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19/07/17
31/10/14
Sono uno psicopatico! Ma tranquilli uccido solo i cattivi.
Pubblicato da
Unknown
Il serial killer dei serial killer e il suo autore, Jeff Lindsay, che con un poliziesco, thriller, semi-comico inizia la lunga serie di avventure per lo psicopatico può amato dal pubblico: Dexter Morgan. Ecco a voi "Dexter il vendicatore" conosciuto anche come "La mano sinistra di Dio".
Dexter Morgan lavora alla Scientifica di Miami, si occupa dell'analisi delle macchie di sangue presenti sulla scena del crimine, per poter capire la posizione del killer e delle vittime, così da ricostruire la dinamica del delitto. E' un giovane brillante, intelligente, simpatico, con amici, una fidanzata e una sorellastra di nome Deborah. Dexter Morgan però è anche un serial killer, per la precisione un serial killer di serial killer. Perché Dexter, da quando Henry, poliziotto nonché padre adottivo, ha una voce che gli sussurra nella testa. Un Passeggero Oscuro, come lo chiama Dexter, che conosce solo il bisogno di uccidere. Henry lo aveva capito, sapeva che quel bambino così intelligente ma anche così privo di empatia e rimorso, sentiva questo bisogno, e così gli aveva imposto una regola: se proprio non riesci a resistere allora uccidi solo i malvagi.

Questo è il primo romanzo della serie incentrata sulla figura di Dexer Morgan, dalla quale poi è stata tratta la serie tv, un serial killer ma che è anche poliziotto, un uomo privo di emozioni ma che ogni tanto sembra quasi provarne, un uomo senza rimorso ma che continua a seguire la regola che il suo padre adottivo Henry gli ha dato.
Il libro è scritto tutto in prima persona, con Dexter come narratore della sua stessa storia, divisa tra la caccia alle sue “prede”, l'aiuto alla sorella, e la finzione di apparire normale come tutti gli altri. La narrazione si mantiene sempre su un registro scherzo, ma mai eccessivo, anche nei momenti più cruciali e cupi. Una tecnica per stemperare la tensione, ma anche per far comprendere meglio al lettore il carattere di Dexter, sempre così distaccato dai comuni sentimenti umani, ma allo stesso tempo anche simpatico e accattivante.
Un libro avvincente ma non da inchiodare il lettore fino all'ultima pagina, piacevole da leggere ma senza quel pizzico che lo avrebbe fatto risultare un libro migliore, facendolo invece restare uno dei tanti thriller del genere che vengono pubblicati ogni anno. C'è da chiedersi invece perché confondere il lettore proponendo lo stesso romanzo con due titoli differenti, entrambi comunque ben lontani dal titolo originale del libro: Darkly Dreaming Dexter.
(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet)
21/10/14
L'ho uccisa io! O forse no?
Pubblicato da
Unknown
Un intrico senza fine per Sophie Hannah e che con il suo "Non è un gioco" ci regala un thriller un intreccio che si svela solo alla fine.
E' il 13 dicembre 2007. Aidan e Ruth sono a Londra, in un'anonima camera d'albergo. Sono lì per portare la loro relazione ad un livello superiore, e per fare ciò hanno deciso di essere assolutamente sinceri l'uno con l'altro. Quel giorno Aidan confessa a Ruth di aver ucciso una donna di nome Mary Trelese. E' il 29 febbraio 2008 e Ruth si reca dalla polizia per raccontare dell'omicidio narratogli da Aidan e per spiegare che Mary Trelese in realtà è ancora in vita.

Svolgendo la storia in 6 giorni la Hannah riesce a creare in maniera magistrale un intreccio elaborato e complesso, a tratti talmente machiavellico da domandarsi se sarebbe mai possibile una cosa del genere nella realtà. Tuttavia la costruzione dei personaggi e la spiegazione degli eventi che Hannah ci rivela solo alla fine del libro, sono così ben integrati e razionali da poter fare altro che crederle sulla reale possibilità che una cosa simile possa accadere.
Come già detto, fino a metà del romanzo si naviga a vista, poi con l'arrivo dell'ennesimo enigma la situazione cambia. Vuoi per la troppa carne al fuoco, vuoi perché la tensione è stata trattenuta troppo a lungo, l'intreccio pare sfaldarsi un po', sballottando il lettore in rivelazioni shock sempre più arrovellate.
Scritto in terza persona, salvo le parti in cui è Ruth a raccontare la vicenda, che sono scritte in prima persona, Non è un gioco resta comunque un buon romanzo, ben studiato e organizzato nonostante la tensione snervante sempre alle stelle.
(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet)
14/10/14
Il thriller con inclinazioni sadomaso
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Unknown
La recensione del romanzo d'esordio di M. J. Arlidge che con "Questa volta tocca a te" scrive un poliziesco che unisce le tinte thriller a quelle del sadomaso.
Amy e Sam sono fidanzati e si amano tanto che pensano, un giorno, di sposarsi. Una sera mentre stanno tornando a casa in autostop, vengono rapiti e costretti a partecipare ad un gioco crudele: una pistola con un colpo solo per decidere chi morirà e chi riavrà la libertà. Amy e Sam però non saranno gli unici, dopo di loro molti altri saranno costretti a partecipare a questo gioco e coloro che sopravvivono non saranno mai più gli stessi. A Helen Grace, ispettrice della squadra anticrimine, viene affidato l'incarico di scoprire chi è il folle psicopatico che distrugge l'esistenza delle sue vittime in modo irreparabile.

Questo è il romanzo che Arlidge ci regala per il suo esordio. Un'entrata in scena d'effetto, che cala il lettore in un abisso oscuro, dove non ci sono né vincitori né vinti.
Una narrazione scorrevole e avvincente nelle sue tinte cupe e rassegnate. Dei personaggi di spessore ben delineati e caratterizzati, con i propri drammi personali ma che, in qualche modo, riescono comunque ad andare avanti.
In alcuni punti, soprattutto per i veterani del thriller, i colpi di scena possono essere previsti, ma questo non toglie davvero nulla ad un ottimo libro che merita davvero di essere letto.
(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet)
(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet)
29/08/14
Esiste solo ciò che non esiste
Pubblicato da
Unknown
Sulla scia sanguinaria lasciata dai coniugi Macbeth parliamo oggi di un libro che al Macbeth di Shakespeare è molto legato: Il sangue che resta di Jennifer Lee Carrell.
Se ben ricordate, avevamo già visto insieme un libro della Carrell (W.) che speculava sui se e sui ma del passato nebuloso di Shakespeare. Ne Il sangue che resta, l'autrice si concentra sulla famosa tragedia scozzese, sulle ipotesi e sugli aneddoti celati dietro al Mecbeth.
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Il sangue che resta |
Il romanzo comincia nel lontano 1606, nella residenza reale di Hampton Court dove si sta rappresentando la cupa ed inquietante tragedia del Macbeth di Shakespeare. Il debutto però si macchia subito di sangue quando uno degli attori viene ucciso. Da quel momento in poi il Macbeth diventerà la tragedia innominabile perché maledetta. La narrazione si posta ai giorni d'oggi dove, nel castello di Dunsinnan, viene ritrovato il cadavere di una donna uccisa in quello che sembra un macabro sacrificio pagano. Ed è proprio lì, tra le colline scozzesi, che Kate Stanley, brillante studiosa che di Shakespeare conosce ogni riferimento all'occulto, e la sua compagnia di attori si è radunata per le prove di una nuova rappresentazione del Macbeth. Quando l'attrice che dovrebbe interpretare Lady Macbeth sparisce tutti pensano subito che la maledizione del dramma scozzese abbia colpito ancora, solo Kate, tormentata da visioni notturne, capisce che non c'è nessuna maledizione ma solo un efferato assassino che si nasconde tra le ombre dell'opera senza nome di Shakespeare.
“Ai coltelli che sin sono bevuti un bel po' di sangue accade qualcosa di strano. Si risvegliano. Non sono propriamente vivi, ma in qualche modo senzienti. E alcuni finiscono per volerne di più. Di sangue, intendo.”
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Jennifer Lee Carrell |
Romanzo dalle tinte gialle, con un pizzico di soprannaturale e oscuro che non guastano mai, Il sangue che resta si trova ad essere più breve del romanzo precedente della Carrell ma anche più intenso e più maturo. In W. l'autrice si era forse un po' persa dietro ai troppi enigmi celati dietro al bardo, ne Il sangue che resta invece, concentrandosi su un unico tema, il Macbeth, l'autrice riesce a dare il meglio di se.
Ma come nasce l'idea di questo libro? Cosa l'ha spinta a scriverlo? Vediamo cosa dice lei stessa alla fine del libro: “Questo romanzo inizia dunque in parte con un «e se?»: E se Max Beerbohm avesse davvero trovato la storia di Hal Berridge in un manoscritto di Aubrey? E se Aubrey avesse detto il vero? E se la maledizione di Macbeth affondasse le sue radici proprio negli inizi? Che cosa ne conseguirebbe? Quale potrebbe essere la fonte dello strano potere che il Macbeth indubbiamente ha di spaventare pubblico e attori? Ciò mi ha indotto a interrogarmi sulla magia nel Macbeth. Pubblicato nel First Folio – la prima edizione delle opere complete di Shakespeare, nel 1623 – il dramma appare disomogeneo nella sua sinistra visione.”
Chi siano Max Beerbohm, Hal Berridge e gli altri personaggi sopra citati, lo lascio scoprire a voi, perché il bello di libri come questi e lo svelarsi, poco per volta, degli elementi effettivamente reali che si celano dietro il Macbeth. E' ovvio che alcune cose la Carrell ha dovuto inventarle o adattarle per il suo libro, ma sempre partendo da eventi concreti, da persone realmente esistite e che, in un modo o nell'altro hanno, possono aver influenzato le opere del famoso bardo.

Il sangue che resta è lontano dall'essere un normale thriller, perché infilati qua e là ci sono nozioni, e cenni storici, intrecci a volte improbabili e a volte possibili, magia e letteratura classica. Il merito della Carrell, e di questo suo secondo romanzo, è la sua capacità di dare al lettore degli spunti di riflessione, appassionandolo, incuriosendolo, spingendolo a farsi delle domande. Un libro intellettuale senza tuttavia esserlo davvero, perché l'autrice non ci annoia con spiegazioni pesanti e soporifere, anzi, le infila nella narrazione in modo così impalpabile che vengono assorbite tra una rivelazione e l'altra, mentre il giallo si dipana pagina dopo pagina.
(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet, le citazioni invece sono state prese direttamente dal libro)
22/07/14
Passeggia per la strada e si imbatte nell'idea di un thriller
Pubblicato da
Unknown
Autore internazionale di bestsellers. Vincitore per tre volte del Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year, del British Thumping Good Read Award, del Crime Writers Association's Ian Fleming Steel Dagger Award, ed è stato sei volte nominato all'Edgar Award. Questo solo per citare qualche premio, perché Jeffery Deaver, l'autore di oggi, di premi per i suoi libri ne ha vinti parecchi.
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La dodicesima carta |
Il libro di oggi si intitola La dodicesima carta e, nel ciclo di Lincoln Rhyme, è il sesto che Deaver ha pubblicato. Siamo ad Harlem, nella biblioteca del Museo afroamericano, dove la sedicenne Geneva Settle sta racimolando informazioni su un suo antenato vissuto a metà dell'Ottocento e che si era battuto per i diritti civili della gente di colore, finendo poi misteriosamente in carcere. Mentre Geneva è concertata nelle sue ricerca un uomo le si avvicina e cerca di violentarla. Nonostante l'accaduto sembri solo un tentativo di stupro, Rhyme e Sachs iniziano ad indagare. L'obiettivo del misterioso stupratore era Geneva, ma per un motivo ben più grande, quando però non è riuscito ad eliminarla non si è fatto scrupoli ad uccidere il bibliotecario che forse aveva visto qualcosa che non doveva vedere. Sulla scena del delitto un unico indizio, la dodicesima carta dei tarocchi: l'Impiccato.
L'idea per questo libro, Deaver l'ha avuta mentre camminava per vie di Manhattan dove ha vissuto per un certo periodo della sua vita: “mentre camminavo, mi sono imbattuto in un punto dove c’era un buco per dei lavori in corso. In breve, gli operai che stavano sistemando la strada si sono accorti, scavando, che c’erano delle rovine e quei lavori si sono trasformati in scavi archeologici: pur con una storia recente, in America c’è qualcosa e in quel caso c’erano i resti di un cimitero afroamericano del 1850.
Mi è parsa un’idea interessante, anche se ci sono voluti dodici anni perché questa idea di partenza, sviluppata con un lavoro preparatorio di otto mesi, diventasse un romanzo.”
Se ben ricordate, questo non è il primo libro di cui vi parlo del famoso Deaver. La mia partecipazione a questa rubrica iniziò proprio, tra gli altri con il libro Lo scheletro che balla, secondo libro pubblicato da Deaver.
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Jeffery Deaver |
Se paragoniamo Lo scheletro che balla a La dodicesima carta, ci rendiamo subito conto che quest'ultimo è ad un livello inferiore. Non che il libro sia brutto o illeggibile, questo no, è davvero difficile che un libro di Deaver si possa definire tale, ma manca di quella verve che precedenti libri scritti dall'autore hanno.
“Il volto bagnato di sudore e lacrime, l'uomo corre per salvarsi la vita.
"Eccolo! Eccolo là!"
L'ex schiavo non capisce bene da dove venga la voce. Dalle sue spalle? Da sinistra o da destra? Dal tetto di una delle case decrepite che si allineano lungo queste sordide strade acciottolate? Nell'aria di luglio calda e densa come paraffina, l'uomo smilzo salta un cumulo di sterco di cavallo. I netturbini non arrivano qui, in questa parte della città. Charles Singleton si ferma presso un bancale con un'alta pila di barilotti appoggiata sopra, tentando di riprendere fiato.”
Una caratteristica dei libri di Deaver è che, il filone principale della storia, le indagini e l'investigazione, è sempre attraversato da un filone secondario, che rimane nascosto fino alla fine quasi. Un filo che da principio pare slegato a tutto il resto della storia, tanto da farsi venire il dubbio che questa volta il buon vecchio Deaver abbia toppato, e invece, giungendo finalmente alla fine, ecco che si scopre che è sempre stato il reale collante di tutta la storia.
Ne La dodicesima carta, questo filo nascosto è la storia dell'antenato di Geneva, militante dei diritti civili per la sua razza e poi misteriosamente incarcerato. Non vi dico altro per non rovinarvi la storia.
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L'impiccato o L'appeso |
Il killer di questa storia Thompson Boyd, è un killer su commissione freddo e allo stesso tempo anomalo. Deaver ce lo fa conoscere poco alla volta, inserendolo nella narrazione tra un'indagine e l'altra, così che possiamo farci un'idea di chi sia questo Thompson Boyd e perché agisca in quel modo.
Rhyme è sempre il più bravo quanto scorbutico consulente dell'FBI, così come Amelia è sempre la solita inarrestabile detective. Le indagini non sono prive di colpi di scena o rivelazioni, ma, se confrontato con i libri precedenti di questo ciclo, ci si accorge che in effetti tutto appare un po' annacquato e diluito.
Nonostante questo, il libro sa prenderti e legarti alle sue pagine, con una narrazione tipica del buon caro Deaver, che anche se sotto tono, sa trascinarti nel vivo delle indagini fino alle ultimi rivelazioni. Un libro da ombrellone, proprio perché leggermente inferiore al solito livello dell'autore, ma comunque consigliato agli amanti del genere.
(Le immagini presenti su questo post sono state prese da internet. Le informazioni riguardanti l'autore sono state prese dalla Wikipedia. L'estratto dell'intervista di Deaver è stata presa da guide.supereva.it. La citazione presente in questo post è stata presa dal libro di cui lo stesso tratta)
09/05/14
So che numero stai pensando. Conosco i tuoi segreti
Pubblicato da
Unknown
“Pensa a un numero da uno a mille. Il primo che ti viene in mente. Ora apri la busta. Vedrai come conosco a fondo i tuoi segreti.”
Come reagireste se riceveste un biglietto dove sono scritte queste parole? E cosa fareste se il numero che avete pensato è proprio quello scritto nella busta? Strizza eh! Beh, queste sono le premesse del libro di oggi: L'enigmista di John Verdon.
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L'enigmista |
Mark Mellery riceve un biglietto con quelle parole, sorpreso dal biglietto anonimo pensa ad un numero e lo stupore aumenta quando leggere sul biglietto proprio il numero che stava pensando. Il mittente sconosciuto non si ferma e continua ad inviare a Mark lettere con enigmi e versi minacciosi, finché il gioco si fa troppo inquietante e Mark, chiede aiuto a un vecchio compagno di studi: Dave Gurney, pluridecorato agente della polizia di New York ora in pensione. Gurney non sa resistere alla tentazione e si tritrova così ad indagare su un serial killer che firma le scene dei suoi crimini con la stessa cura con cui scrive i suoi messaggi: un unico colpo di pistola alla carotide, una sedia a sdraio da cui osservare l’agonia della vittima, una bottiglia di whisky rotta – sempre la stessa marca – con cui accanirsi infine sulla gola del cadavere.
Come potete aver capito dalla trama L'enigmista di Verdon non c'entra nulla con la serie di film Saw, anzi, il titolo originale del libro sarebbe stato Think of a number, poi tradotto per chissà quale motivo in L'enigmista.
Al di là della creatività dell'editoria italiana per i titoli dei libri stranieri, L'enigmista ha avuto un enorme successo, divenendo un vero bestseller in Spagna. Un misto tra il classico del romanzo poliziesco, l'hard boiled della scuola americana e un thriller psicologico L'enigmista si lascia leggere con straordinaria rapidità.
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John Verdon |
Un pizzico di introspezione psicologica e una manciata di enigmi ed indovinelli, il tutto lasciato a rosolare nella tensione palpabile che non lascia mai il lettore, dall'inizio alla fine del romanzo. Questa la ricetta del romanzo di Verdon, una ricetta vincente però... eh già, c'è un piccolo però: l'autore si è dimenticato di servire caldo il suo libro. Il finale, che dovrebbe essere la chiave di volta, la ciliegina sulla torta di un ottimo romanzo, lascia un po' interdetti e un po' delusi. Il lettore più attento e abituato a questo genere di romanzi riuscirà anzi ad intuire, ben prima di Dave, chi sia questo misterioso assassino-enigmista.
Un vero peccato a ben pensarci, perché il libro è davvero un'ottima prova per Verdon. L'idea di partenza, la diabolica genialità del killer nello sviare Dave e la polizia, quella tensione strisciante erano tutti elementi eccellenti. L'enigmista, nonostante questa leggera caduta di stile finale, rimane davvero un buon libro, da leggere e apprezzare.
Attenti la prossima volta che pensate un numero, potreste finire nel mirino di un folle assassino fissato con gli enigmi.
(Le immagini presenti in questo articolo sono state prese da internet, le citazioni invece sono tratte dal libro di cui si parla nell'articolo.)
28/02/14
Tutti a Philadelphia per un grande thriller, anzi tre
Pubblicato da
Unknown
Pronti per l'ultimo, per
il momento, appuntamento con il mondo cartaceo dei serial killer?
Martedì vi ho lasciati con una domanda: chi fosse l'ultimo, per ora,
autore da gettare nel grande calderone. Vi siete fatti qualche idea?
Dato che sono buona vi do qualche indizio prima di svelarvi il nome di
questo autore. Prima di tutto vi dico che è una donna, e questo
restringe notevolmente la cerchia dei possibili autori. Vive a
Washington e prima di dedicarsi alla scrittura faceva l'ingegnere.
Rinunciate? OK, l'autore di cui vi parlerò oggi è Karen Rose
con il libro Muori per me.
Un
cadavere viene ritrovato in un campo ai margini di Philadelphia. Sul
posto viene chiamato il detective Vito Ciccotelli. La situazione non
è così semplice come sembra perché ben presto vengono ritrovati
altri corpi, ciascuno dei quali riporta gravi lesioni da tortura,
riconducibili alle tecniche utilizzate durante l'inquisizione. Ad
aiutare il detective viene così chiamata l'archeologa specializzata
in storia medioevale Sophie Johannsen.
Le
premesse sono quelle classiche di un buon thriller. Cosa lo rende
allora così speciale tanto da mettere l'autrice insieme ai grandi
autori da leggere assolutamente? Un thriller è buono se la storia è
scritta bene, se i personaggi sono credibili e se l'intreccio regge
dall'inizio alla fine. Renderlo ottimo però spetta solo ed
esclusivamente all'autore, e Karen Rose c'è riuscita.
I
personaggi sono psicologicamente analizzati e tratteggiati con una
concretezza che, bisogna ammetterlo, solo le autrici sanno fare (non
me ne vogliano gli uomini scrittori, ma non sono l'unica a dirlo).
Ognuno con le proprie caratteristiche il proprio bagaglio di
esperienze, dolori e speranze, compreso il serial killer di cui
l'autrice parla ma che conoscerete davvero solo alla fine.
Molti
altri autori di thriller, sia uomini che donne, tendono a
concentrarsi sulle dinamiche investigative e sull'intreccio tanto da
dimenticare che i protagonisti non sono asessuati ma umani, per
quanto di cellulosa. Nei romanzi rosa invece gli autori puntano tutto
sui sentimenti scordandosi a volte la storia in sé. La Rose
invece è riuscita ad unire entrambi, alleggerendo la tensione
dell'indagine con il tocco piccante dell'amore ma senza esagerare,
usandolo invece come quel pizzico di pepe che rende le pietanze più
saporite. Quell'elemento in più senza il quale al libro mancherebbe
qualcosa.
L'intreccio
è magistralmente costruito tanto da tenere il lettore inchiodato
alle pagine di questo romanzo, per apprezzare però appieno questo
libro bisogna leggerne il seguito. Si perché Muori per me è
il primo libro di una trilogia, e solo il principio di una storia
davvero sconvolgente.
Creare
un buon intreccio in un libro è una cosa, prolungare questo
intreccio in tre libri, rendendoli allo stesso tempo indipendenti è
un'altra. Ecco perché, nonostante si discosti da Hannibal Lecter,
dal quale siamo partiti in questo viaggio criminale, ho voluto
mettere la Rose insieme a questi autori.
Il
suo modo di scrivere, di raccontare, di intrecciare i personaggi, di
creare suspence e tensione sono magistrali ed incredibili. Un'autrice
che, gli amanti del genere, non possono assolutamente perdere!
25/02/14
Il male nascosto tra gli scomparsi
Pubblicato da
Unknown
La scorsa settimana vi ho
lasciato con l'enigma di chi fosse l'altro concorrente di Hannibal
Lecter oltre a Beauty Killer. Vi do un indizio:
vi ho già parlato di questo autore riferendomi a lui come una
piacevole eccezione alla regola. Ancora niente? Se vi dico che è
italiano?

Con
Il suggeritore l'autore
ci aveva aperto le porte del suo mondo ignoto, in cui il limite tra
bene e male è talmente labile da rendere difficile distinguerli. Ne
L'ipotesi del male,
Carrisi scende ancora
più in profondità, parlandoci ancora di Mila,
decisa a nascondersi
nel
Limbo,
la sezione della polizia dedicata alle persone scomparse: “Vivi
che non sanno di essere vivi. E morti che non possono morire”.
L'intento di Mila
però si infrange quando viene richiesta nuovamente la sua
collaborazione. Delle persone scomparse da anni, hanno deciso di
tornare e di uccidere. Perché sono scomparse? E perché sono tornate
per uccidere? Queste sono le domande a cui Mila
deve rispondere, scavando nelle profondità del male, in oscurità
dalla quale Mila
sembra essere attratta più di chiunque altro.
![]() |
L'ipotesi del male |
Vi
starete chiedendo perché abbia deciso di mettere Carrisi
insieme ad Harris
e alla Cain,
qui non c'è un vero serial killer, personaggio e protagonista della
vicenda. Non è del tutto vero, perché un serial killer c'è.
Carrisi
ce ne aveva parlato nel romanzo precedente, definendolo semplicemente
un suggeritore.
In questo secondo romanzo questo misterioso personaggio che agisce
nell'ombra è ancora presente, tira i fili e manovra i suoi burattini
con diabolica abilità.
Con
L'ipotesi del male,
Carrisi
riconferma il suo stile narrativo, fatto di luoghi senza nome e
ambientazioni cupe. Una
Mila
che sembra scivolare sempre più nell'oscurità, affiancata da
personaggi anch'essi al limite dell'oscurità del male.
La
trama si presenta avvincente e ben strutturata, con Carrisi
che pone il lettore di fronte alla questione di quegli individui che
decidono di scomparire, senza lasciare nessuna traccia di sé.
Raramente gli autori parlano di questi individui, sviscerando la
tematica e fermandosi a chiedersi le ragioni della loro scomparsa o
dove mai possano essere andati questi individui qualora decidano di
tornare. A Carrisi
va dato il merito di averci provato e di aver costruito una storia di
tutto il rispetto che può, ancora una volta, fare concorrenza ai
romanzieri d'oltreoceano.
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Donato Carrisi |
Mentre
vi raccontavo la trama, probabilmente a più di qualcuno sarà venuta
in mente la serie tv The
Following,
con la sua dinamica del suggeritore,
dei manipolati che commettono omicidi e dell'ex agente dell'FBI che
tenta di fermare i piani del serial killer. Non è un caso che ci
siano delle somiglianze, in effetti la serie tv prende proprio
ispirazione dal libro di Carrisi.
Dico ispirato,
perché ovviamente la somiglianza si ferma alla figura del
suggeritore,
ma è comunque meglio di niente: per una volta siamo noi italiani ad
ispirare gli americani.
Se però pensate che la mia digressione sul monto criminale della
letteratura sia terminata, vi sbagliate, ho ancora un autore di cui
parlarvi, che merita di essere gettato nel calderone. Di chi si
tratta? Dovrete attendere il prossimo appuntamento con la mia rubrica
per saperlo.
21/01/14
Le eccezioni e le radici del male
Pubblicato da
Unknown
Chi è appassionato lo
sa: il thriller è un genere in cui gli americani la fanno da
padroni. Negli ultimi tempi però anche autori di altri paesi hanno
cominciato a minare questo primato indiscusso. E gli italiani? Gli
autori italiani non sono mai riusciti del tutto a sfondare in questo
genere, preferendo altre correnti letterarie in cui si sentivano più
ferrati. Per nostra fortuna però esistono delle eccezioni.
L'eccezione di cui vi
parlerò oggi è un libro uscito in Italia nel 2009, rimanendo
in classifica per più di 30 settimane. Pubblicato in 26 paesi ha
superato il milione di copie vendute. Il libro si intitola Il
suggeritore
e l'autore è Donato
Carrisi.
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Il suggeritore |
In
questo suo romanzo d'esordio Carrisi
ci porta in un luogo remoto ed isolato in cui vengono ritrovati i
resti (il solo braccio sinistro) di sei bambine. Ad indagare sul caso
viene chiamato il dottor Goran Gavila e la sua squadra specializzata
nel catturare il serial killer, questo perché nessuno nutre dubbi sul
fatto che ad agire sia proprio un serial killer che rapisce delle
bambine innocenti, le uccide e poi ne asporta il braccio sinistro.
Giunto sul luogo del ritrovamento il dottor Gavila si trova però ad
affrontare un problema: secondo le denunce di scomparsa solo cinque
bambine sono state rapite, ma il serial killer ha lasciato sei
braccia, per di più il sesto braccio è stato asportato quando la
vittima era ancora in vita. Per capire chi sia questa bambina di cui
non è stata denunciata la scomparsa, alla squadra di Gavila verrà
affiancata Mila Vasquez, un’investigatrice specializzata nella
caccia alle persone scomparse. Ma è proprio con l'arrivo della donna
che il killer alza la posta in gioco, cominciando a seminare indizi e
prove per condurre la squadra verso altri colpevoli ed omicidi,
svelando come il male possa nascondersi anche nei luoghi più
inaspettati, compresa la squadra del dottor Gavila.
“Il Male alle volte ci inganna, assumendo la
forma più semplice delle cose.”
Il
tema con cui Carrisi
decide di esordire è quanto mai ostico e delicato, in quanto tratta
la scomparsa e l'omicidio di bambine. Carrisi
però riesce a destreggiarsi molto bene realizzando una trama ben
strutturata in cui le vicende prettamente investigative e i colpi di
scena vengono abilmente alternate. L'autore poi decide di inserire,
qua e là, anche alcune nozioni di criminologia, ma lo fa con tale
naturalezza e integrandole così bene nella storia da non pesare
sulla trama di per sé importante.
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Donato Carrisi |
Peculiarità
di questo romanzo è il fatto che l'autore, durante la narrazione,
non nomini mai il nome della città in cui si svolgono le vicende. Un
luogo qualunque, senza nome, che potrebbe essere accanto al lettore
oppure all'altro capo del mondo. Tale mancanza geografica però non
penalizza affatto la trama, anzi gli dona qualcosa in più.
In
generale la narrazione è scorrevole, in alcuni punti sembra
incepparsi su se stessa, ma non ci si fa più caso quando il romanzo
entra nel vivo, e comunque considerato il fatto che Carrisi è al suo
primo libro, la cosa è abbastanza naturale. I personaggi sono
ambivalenti, come a voler far capire che nessuno è realmente buono o
cattivo ma è tutta una questione di scelte.
“Perché è dal buio che vengo. Ed è al buio
che ogni tanto devo ritornare.”
Sul
finale, di cui ovviamente non svelerò niente, c'è da dire che
lascia piacevolmente sbalorditi e anche increduli. Ci sarà
sicuramente qualche lettore a cui non sarà piaciuto (o piacerà se
deciderà di leggerlo), perché magari inverosimile o forzato, io
personalmente devo dire è il degno finale di un ottimo libro.
Volendo
quindi tirare le somme su Il
suggeritore,
devo dire che Carrisi
è un autore che vale la pena leggere e seguire, e se ve lo dice una lettrice che solitamente snobba gli autori italiani...
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