Il-Trafiletto
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19/07/17

Voice from the stone: Thriller tratto da un romanzo italiano

Voice from the stone: Thriller tratto da un romanzo italiano, interpretato da Emilia Clarke nei panni di  Verena, un'infermiera che deve aiutare un ragazzo a superare la morte della madre.

Il primo titolo uscito nel 2017 (anche se è stato girato tre anni prima) che la vede protagonista, Voice from the stone, è frutto di una co-produzione internazionale tra il nostro Paese e gli States ed è tratto dal romanzo La voce della pietra, scritto nel 1996 da Silvio Raffo. La vicenda, portata su celluloide dallo stuntman, esordiente in un lungometraggio, Eric D. Howell, è infatti ambientata nella Toscana degli anni '50 dove la giovane infermiera Verena, specializzata nella cura psicologica di giovani pazienti, viene assunta da un rinomato scultore rimasto da poco vedovo; la morte della moglie ha provocato nel piccolo figlio Jakob un perenne mutismo, che Verena cercherà di risolvere scoprendo al contempo inquietanti segreti...http://cinema.everyeye.it/articoli/recensione-voice-from-the-stone-emilia-clarke-in-mystery-ambientato-in-italia-34265.html

31/10/14

Sono uno psicopatico! Ma tranquilli uccido solo i cattivi.

Il serial killer dei serial killer e il suo autore, Jeff Lindsay, che con un poliziesco, thriller, semi-comico inizia la lunga serie di avventure per lo psicopatico può amato dal pubblico: Dexter Morgan. Ecco a voi "Dexter il vendicatore" conosciuto anche come "La mano sinistra di Dio".

Dexter Morgan lavora alla Scientifica di Miami, si occupa dell'analisi delle macchie di sangue presenti sulla scena del crimine, per poter capire la posizione del killer e delle vittime, così da ricostruire la dinamica del delitto. E' un giovane brillante, intelligente, simpatico, con amici, una fidanzata e una sorellastra di nome Deborah. Dexter Morgan però è anche un serial killer, per la precisione un serial killer di serial killer. Perché Dexter, da quando Henry, poliziotto nonché padre adottivo, ha una voce che gli sussurra nella testa. Un Passeggero Oscuro, come lo chiama Dexter, che conosce solo il bisogno di uccidere. Henry lo aveva capito, sapeva che quel bambino così intelligente ma anche così privo di empatia e rimorso, sentiva questo bisogno, e così gli aveva imposto una regola: se proprio non riesci a resistere allora uccidi solo i malvagi. 

Con questa regola Dexter convive da anni fino a che, a Miami, non compare un serial killer particolare che, come lui, predilige scene del crimine pulite e ordinate, prive di sangue e con gusto artistico che solo i mostri come Dexter possono capire. Questo serial killer lo affascina, vorrebbe conoscerlo, occuparsene di persona, ma la faccenda sarebbe troppo personale in più Deborah ha chiesto il suo aiuto, perché la cattura di questo serial killer potrebbe aiutarla a fare quell'avanzamento di carriera a cui tanto ambisce. Dexter si ritrova così combattuto tra l'ammirazione che prova per il lavoro svolto dal serial killer, e l'aiutare la sorellastra.

Questo è il primo romanzo della serie incentrata sulla figura di Dexer Morgan, dalla quale poi è stata tratta la serie tv, un serial killer ma che è anche poliziotto, un uomo privo di emozioni ma che ogni tanto sembra quasi provarne, un uomo senza rimorso ma che continua a seguire la regola che il suo padre adottivo Henry gli ha dato.

Il libro è scritto tutto in prima persona, con Dexter come narratore della sua stessa storia, divisa tra la caccia alle sue “prede”, l'aiuto alla sorella, e la finzione di apparire normale come tutti gli altri. La narrazione si mantiene sempre su un registro scherzo, ma mai eccessivo, anche nei momenti più cruciali e cupi. Una tecnica per stemperare la tensione, ma anche per far comprendere meglio al lettore il carattere di Dexter, sempre così distaccato dai comuni sentimenti umani, ma allo stesso tempo anche simpatico e accattivante.

Un libro avvincente ma non da inchiodare il lettore fino all'ultima pagina, piacevole da leggere ma senza quel pizzico che lo avrebbe fatto risultare un libro migliore, facendolo invece restare uno dei tanti thriller del genere che vengono pubblicati ogni anno. C'è da chiedersi invece perché confondere il lettore proponendo lo stesso romanzo con due titoli differenti, entrambi comunque ben lontani dal titolo originale del libro: Darkly Dreaming Dexter.

(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet)

21/10/14

L'ho uccisa io! O forse no?

Un intrico senza fine per Sophie Hannah e che con il suo "Non è un gioco" ci regala un thriller un intreccio che si svela solo alla fine.

E' il 13 dicembre 2007. Aidan e Ruth sono a Londra, in un'anonima camera d'albergo. Sono lì per portare la loro relazione ad un livello superiore, e per fare ciò hanno deciso di essere assolutamente sinceri l'uno con l'altro. Quel giorno Aidan confessa a Ruth di aver ucciso una donna di nome Mary Trelese. E' il 29 febbraio 2008 e Ruth si reca dalla polizia per raccontare dell'omicidio narratogli da Aidan e per spiegare che Mary Trelese in realtà è ancora in vita.

Leggere questo libro è stato come navigare a vista a causa della nebbia. Di tanto in tanto la coltre si sollevava e si riusciva a guardare lontano, poi però la nebbia tornava ad infittirsi e ci si doveva accontentare di quel poco che si riusciva a cogliere. Non è un gioco si può definire un libro stancante, a tratti quasi snervante, almeno nella prima metà, per il modo della Hannah di non raccontare quello che il lettore vorrebbe davvero sapere, portandolo a porsi domande su domande senza mai ottenere davvero una risposta.

Svolgendo la storia in 6 giorni la Hannah riesce a creare in maniera magistrale un intreccio elaborato e complesso, a tratti talmente machiavellico da domandarsi se sarebbe mai possibile una cosa del genere nella realtà. Tuttavia la costruzione dei personaggi e la spiegazione degli eventi che Hannah ci rivela solo alla fine del libro, sono così ben integrati e razionali da poter fare altro che crederle sulla reale possibilità che una cosa simile possa accadere.

Come già detto, fino a metà del romanzo si naviga a vista, poi con l'arrivo dell'ennesimo enigma la situazione cambia. Vuoi per la troppa carne al fuoco, vuoi perché la tensione è stata trattenuta troppo a lungo, l'intreccio pare sfaldarsi un po', sballottando il lettore in rivelazioni shock sempre più arrovellate.
Scritto in terza persona, salvo le parti in cui è Ruth a raccontare la vicenda, che sono scritte in prima persona, Non è un gioco resta comunque un buon romanzo, ben studiato e organizzato nonostante la tensione snervante sempre alle stelle.

(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet)

14/10/14

Il thriller con inclinazioni sadomaso

La recensione del romanzo d'esordio di M. J. Arlidge che con "Questa volta tocca a te" scrive un poliziesco che unisce le tinte thriller a quelle del sadomaso.

Amy e Sam sono fidanzati e si amano tanto che pensano, un giorno, di sposarsi. Una sera mentre stanno tornando a casa in autostop, vengono rapiti e costretti a partecipare ad un gioco crudele: una pistola con un colpo solo per decidere chi morirà e chi riavrà la libertà. Amy e Sam però non saranno gli unici, dopo di loro molti altri saranno costretti a partecipare a questo gioco e coloro che sopravvivono non saranno mai più gli stessi. A Helen Grace, ispettrice della squadra anticrimine, viene affidato l'incarico di scoprire chi è il folle psicopatico che distrugge l'esistenza delle sue vittime in modo irreparabile.

Un thriller con un'ambientazione insolita: la fredda e nebbiosa Inghilterra. Un'ispettrice dal guscio impenetrabile dietro cui si nasconde una donna con un passato terribile. Un serial killer come non se n'è mai visto prima. Un finale senza vincitori.

Questo è il romanzo che Arlidge ci regala per il suo esordio. Un'entrata in scena d'effetto, che cala il lettore in un abisso oscuro, dove non ci sono né vincitori né vinti.

Una narrazione scorrevole e avvincente nelle sue tinte cupe e rassegnate. Dei personaggi di spessore ben delineati e caratterizzati, con i propri drammi personali ma che, in qualche modo, riescono comunque ad andare avanti.

In alcuni punti, soprattutto per i veterani del thriller, i colpi di scena possono essere previsti, ma questo non toglie davvero nulla ad un ottimo libro che merita davvero di essere letto.

(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet)

29/08/14

Esiste solo ciò che non esiste

Sulla scia sanguinaria lasciata dai coniugi Macbeth parliamo oggi di un libro che al Macbeth di Shakespeare è molto legato: Il sangue che resta di Jennifer Lee Carrell.

Se ben ricordate, avevamo già visto insieme un libro della Carrell (W.) che speculava sui se e sui ma del passato nebuloso di Shakespeare. Ne Il sangue che resta, l'autrice si concentra sulla famosa tragedia scozzese, sulle ipotesi e sugli aneddoti celati dietro al Mecbeth.
Il sangue che resta
Il sangue che resta

Il romanzo comincia nel lontano 1606, nella residenza reale di Hampton Court dove si sta rappresentando la cupa ed inquietante tragedia del Macbeth di Shakespeare. Il debutto però si macchia subito di sangue quando uno degli attori viene ucciso. Da quel momento in poi il Macbeth diventerà la tragedia innominabile perché maledetta. La narrazione si posta ai giorni d'oggi dove, nel castello di Dunsinnan, viene ritrovato il cadavere di una donna uccisa in quello che sembra un macabro sacrificio pagano. Ed è proprio lì, tra le colline scozzesi, che Kate Stanley, brillante studiosa che di Shakespeare conosce ogni riferimento all'occulto, e la sua compagnia di attori si è radunata per le prove di una nuova rappresentazione del Macbeth. Quando l'attrice che dovrebbe interpretare Lady Macbeth sparisce tutti pensano subito che la maledizione del dramma scozzese abbia colpito ancora, solo Kate, tormentata da visioni notturne, capisce che non c'è nessuna maledizione ma solo un efferato assassino che si nasconde tra le ombre dell'opera senza nome di Shakespeare.

“Ai coltelli che sin sono bevuti un bel po' di sangue accade qualcosa di strano. Si risvegliano. Non sono propriamente vivi, ma in qualche modo senzienti. E alcuni finiscono per volerne di più. Di sangue, intendo.”

Jennifer Lee Carrell
Jennifer Lee Carrell
Romanzo dalle tinte gialle, con un pizzico di soprannaturale e oscuro che non guastano mai, Il sangue che resta si trova ad essere più breve del romanzo precedente della Carrell ma anche più intenso e più maturo. In W. l'autrice si era forse un po' persa dietro ai troppi enigmi celati dietro al bardo, ne Il sangue che resta invece, concentrandosi su un unico tema, il Macbeth, l'autrice riesce a dare il meglio di se.

Ma come nasce l'idea di questo libro? Cosa l'ha spinta a scriverlo? Vediamo cosa dice lei stessa alla fine del libro: “Questo romanzo inizia dunque in parte con un «e se?»: E se Max Beerbohm avesse davvero trovato la storia di Hal Berridge in un manoscritto di Aubrey? E se Aubrey avesse detto il vero? E se la maledizione di Macbeth affondasse le sue radici proprio negli inizi? Che cosa ne conseguirebbe? Quale potrebbe essere la fonte dello strano potere che il Macbeth indubbiamente ha di spaventare pubblico e attori? Ciò mi ha indotto a interrogarmi sulla magia nel Macbeth. Pubblicato nel First Folio – la prima edizione delle opere complete di Shakespeare, nel 1623 – il dramma appare disomogeneo nella sua sinistra visione.”

Chi siano Max Beerbohm, Hal Berridge e gli altri personaggi sopra citati, lo lascio scoprire a voi, perché il bello di libri come questi e lo svelarsi, poco per volta, degli elementi effettivamente reali che si celano dietro il Macbeth. E' ovvio che alcune cose la Carrell ha dovuto inventarle o adattarle per il suo libro, ma sempre partendo da eventi concreti, da persone realmente esistite e che, in un modo o nell'altro hanno, possono aver influenzato le opere del famoso bardo.

“E' la tentazione più antica. Non l'oro o il potere che ti può procurare, non l'amore, neanche le fiamme intense, insistenti della concupiscenza: quello che bramavo sopra ogni cosa era la conoscenza. E non una conoscenza qualsiasi ma una proibita, una conoscenza non da comuni mortali, seducente e infida. Un fuoco fatuo che luccichi come un frutto arcano tra i rami scuri.”

Il sangue che resta è lontano dall'essere un normale thriller, perché infilati qua e là ci sono nozioni, e cenni storici, intrecci a volte improbabili e a volte possibili, magia e letteratura classica. Il merito della Carrell, e di questo suo secondo romanzo, è la sua capacità di dare al lettore degli spunti di riflessione, appassionandolo, incuriosendolo, spingendolo a farsi delle domande. Un libro intellettuale senza tuttavia esserlo davvero, perché l'autrice non ci annoia con spiegazioni pesanti e soporifere, anzi, le infila nella narrazione in modo così impalpabile che vengono assorbite tra una rivelazione e l'altra, mentre il giallo si dipana pagina dopo pagina.


(Le immagini presenti in questo post sono state prese da internet, le citazioni invece sono state prese direttamente dal libro)

22/07/14

Passeggia per la strada e si imbatte nell'idea di un thriller

Autore internazionale di bestsellers. Vincitore per tre volte del Ellery Queen Readers Award for Best Short Story of the Year, del British Thumping Good Read Award, del Crime Writers Association's Ian Fleming Steel Dagger Award, ed è stato sei volte nominato all'Edgar Award. Questo solo per citare qualche premio, perché Jeffery Deaver, l'autore di oggi, di premi per i suoi libri ne ha vinti parecchi.
La dodicesima carta
La dodicesima carta

Il libro di oggi si intitola La dodicesima carta e, nel ciclo di Lincoln Rhyme, è il sesto che Deaver ha pubblicato. Siamo ad Harlem, nella biblioteca del Museo afroamericano, dove la sedicenne Geneva Settle sta racimolando informazioni su un suo antenato vissuto a metà dell'Ottocento e che si era battuto per i diritti civili della gente di colore, finendo poi misteriosamente in carcere. Mentre Geneva è concertata nelle sue ricerca un uomo le si avvicina e cerca di violentarla. Nonostante l'accaduto sembri solo un tentativo di stupro, Rhyme e Sachs iniziano ad indagare. L'obiettivo del misterioso stupratore era Geneva, ma per un motivo ben più grande, quando però non è riuscito ad eliminarla non si è fatto scrupoli ad uccidere il bibliotecario che forse aveva visto qualcosa che non doveva vedere. Sulla scena del delitto un unico indizio, la dodicesima carta dei tarocchi: l'Impiccato.

L'idea per questo libro, Deaver l'ha avuta mentre camminava per vie di Manhattan dove ha vissuto per un certo periodo della sua vita: “mentre camminavo, mi sono imbattuto in un punto dove c’era un buco per dei lavori in corso. In breve, gli operai che stavano sistemando la strada si sono accorti, scavando, che c’erano delle rovine e quei lavori si sono trasformati in scavi archeologici: pur con una storia recente, in America c’è qualcosa e in quel caso c’erano i resti di un cimitero afroamericano del 1850.
Mi è parsa un’idea interessante, anche se ci sono voluti dodici anni perché questa idea di partenza, sviluppata con un lavoro preparatorio di otto mesi, diventasse un romanzo.”

Se ben ricordate, questo non è il primo libro di cui vi parlo del famoso Deaver. La mia partecipazione a questa rubrica iniziò proprio, tra gli altri con il libro Lo scheletro che balla, secondo libro pubblicato da Deaver.
Jeffery Deaver
Jeffery Deaver

Se paragoniamo Lo scheletro che balla a La dodicesima carta, ci rendiamo subito conto che quest'ultimo è ad un livello inferiore. Non che il libro sia brutto o illeggibile, questo no, è davvero difficile che un libro di Deaver si possa definire tale, ma manca di quella verve che precedenti libri scritti dall'autore hanno.

“Il volto bagnato di sudore e lacrime, l'uomo corre per salvarsi la vita.
"Eccolo! Eccolo là!"
L'ex schiavo non capisce bene da dove venga la voce. Dalle sue spalle? Da sinistra o da destra? Dal tetto di una delle case decrepite che si allineano lungo queste sordide strade acciottolate? Nell'aria di luglio calda e densa come paraffina, l'uomo smilzo salta un cumulo di sterco di cavallo. I netturbini non arrivano qui, in questa parte della città. Charles Singleton si ferma presso un bancale con un'alta pila di barilotti appoggiata sopra, tentando di riprendere fiato.”

Una caratteristica dei libri di Deaver è che, il filone principale della storia, le indagini e l'investigazione, è sempre attraversato da un filone secondario, che rimane nascosto fino alla fine quasi. Un filo che da principio pare slegato a tutto il resto della storia, tanto da farsi venire il dubbio che questa volta il buon vecchio Deaver abbia toppato, e invece, giungendo finalmente alla fine, ecco che si scopre che è sempre stato il reale collante di tutta la storia.

Ne La dodicesima carta, questo filo nascosto è la storia dell'antenato di Geneva, militante dei diritti civili per la sua razza e poi misteriosamente incarcerato. Non vi dico altro per non rovinarvi la storia.
L'impiccato o l'appeso
L'impiccato o
L'appeso

Il killer di questa storia Thompson Boyd, è un killer su commissione freddo e allo stesso tempo anomalo. Deaver ce lo fa conoscere poco alla volta, inserendolo nella narrazione tra un'indagine e l'altra, così che possiamo farci un'idea di chi sia questo Thompson Boyd e perché agisca in quel modo.

Rhyme è sempre il più bravo quanto scorbutico consulente dell'FBI, così come Amelia è sempre la solita inarrestabile detective. Le indagini non sono prive di colpi di scena o rivelazioni, ma, se confrontato con i libri precedenti di questo ciclo, ci si accorge che in effetti tutto appare un po' annacquato e diluito.

Nonostante questo, il libro sa prenderti e legarti alle sue pagine, con una narrazione tipica del buon caro Deaver, che anche se sotto tono, sa trascinarti nel vivo delle indagini fino alle ultimi rivelazioni. Un libro da ombrellone, proprio perché leggermente inferiore al solito livello dell'autore, ma comunque consigliato agli amanti del genere.


(Le immagini presenti su questo post sono state prese da internet. Le informazioni riguardanti l'autore sono state prese dalla Wikipedia. L'estratto dell'intervista di Deaver è stata presa da guide.supereva.it. La citazione presente in questo post è stata presa dal libro di cui lo stesso tratta)

09/05/14

So che numero stai pensando. Conosco i tuoi segreti

“Pensa a un numero da uno a mille. Il primo che ti viene in mente. Ora apri la busta. Vedrai come conosco a fondo i tuoi segreti.”

Come reagireste se riceveste un biglietto dove sono scritte queste parole? E cosa fareste se il numero che avete pensato è proprio quello scritto nella busta? Strizza eh! Beh, queste sono le premesse del libro di oggi: L'enigmista di John Verdon.

L'enigmista
L'enigmista
Mark Mellery riceve un biglietto con quelle parole, sorpreso dal biglietto anonimo pensa ad un numero e lo stupore aumenta quando leggere sul biglietto proprio il numero che stava pensando. Il mittente sconosciuto non si ferma e continua ad inviare a Mark lettere con enigmi e versi minacciosi, finché il gioco si fa troppo inquietante e Mark, chiede aiuto a un vecchio compagno di studi: Dave Gurney, pluridecorato agente della polizia di New York ora in pensione. Gurney non sa resistere alla tentazione e si tritrova così ad indagare su un serial killer che firma le scene dei suoi crimini con la stessa cura con cui scrive i suoi messaggi: un unico colpo di pistola alla carotide, una sedia a sdraio da cui osservare l’agonia della vittima, una bottiglia di whisky rotta – sempre la stessa marca – con cui accanirsi infine sulla gola del cadavere.

Come potete aver capito dalla trama L'enigmista di Verdon non c'entra nulla con la serie di film Saw, anzi, il titolo originale del libro sarebbe stato Think of a number, poi tradotto per chissà quale motivo in L'enigmista.

Al di là della creatività dell'editoria italiana per i titoli dei libri stranieri, L'enigmista ha avuto un enorme successo, divenendo un vero bestseller in Spagna. Un misto tra il classico del romanzo poliziesco, l'hard boiled della scuola americana e un thriller psicologico L'enigmista si lascia leggere con straordinaria rapidità.

John Verdon
John Verdon
Un pizzico di introspezione psicologica e una manciata di enigmi ed indovinelli, il tutto lasciato a rosolare nella tensione palpabile che non lascia mai il lettore, dall'inizio alla fine del romanzo. Questa la ricetta del romanzo di Verdon, una ricetta vincente però... eh già, c'è un piccolo però: l'autore si è dimenticato di servire caldo il suo libro. Il finale, che dovrebbe essere la chiave di volta, la ciliegina sulla torta di un ottimo romanzo, lascia un po' interdetti e un po' delusi. Il lettore più attento e abituato a questo genere di romanzi riuscirà anzi ad intuire, ben prima di Dave, chi sia questo misterioso assassino-enigmista.

Un vero peccato a ben pensarci, perché il libro è davvero un'ottima prova per Verdon. L'idea di partenza, la diabolica genialità del killer nello sviare Dave e la polizia, quella tensione strisciante erano tutti elementi eccellenti. L'enigmista, nonostante questa leggera caduta di stile finale, rimane davvero un buon libro, da leggere e apprezzare.

Attenti la prossima volta che pensate un numero, potreste finire nel mirino di un folle assassino fissato con gli enigmi.

(Le immagini presenti in questo articolo sono state prese da internet, le citazioni invece sono tratte dal libro di cui si parla nell'articolo.)

28/02/14

Tutti a Philadelphia per un grande thriller, anzi tre

Pronti per l'ultimo, per il momento, appuntamento con il mondo cartaceo dei serial killer? Martedì vi ho lasciati con una domanda: chi fosse l'ultimo, per ora, autore da gettare nel grande calderone. Vi siete fatti qualche idea? Dato che sono buona vi do qualche indizio prima di svelarvi il nome di questo autore. Prima di tutto vi dico che è una donna, e questo restringe notevolmente la cerchia dei possibili autori. Vive a Washington e prima di dedicarsi alla scrittura faceva l'ingegnere. Rinunciate? OK, l'autore di cui vi parlerò oggi è Karen Rose con il libro Muori per me.
Muori per me

Un cadavere viene ritrovato in un campo ai margini di Philadelphia. Sul posto viene chiamato il detective Vito Ciccotelli. La situazione non è così semplice come sembra perché ben presto vengono ritrovati altri corpi, ciascuno dei quali riporta gravi lesioni da tortura, riconducibili alle tecniche utilizzate durante l'inquisizione. Ad aiutare il detective viene così chiamata l'archeologa specializzata in storia medioevale Sophie Johannsen.

Le premesse sono quelle classiche di un buon thriller. Cosa lo rende allora così speciale tanto da mettere l'autrice insieme ai grandi autori da leggere assolutamente? Un thriller è buono se la storia è scritta bene, se i personaggi sono credibili e se l'intreccio regge dall'inizio alla fine. Renderlo ottimo però spetta solo ed esclusivamente all'autore, e Karen Rose c'è riuscita.

I personaggi sono psicologicamente analizzati e tratteggiati con una concretezza che, bisogna ammetterlo, solo le autrici sanno fare (non me ne vogliano gli uomini scrittori, ma non sono l'unica a dirlo). Ognuno con le proprie caratteristiche il proprio bagaglio di esperienze, dolori e speranze, compreso il serial killer di cui l'autrice parla ma che conoscerete davvero solo alla fine.
Karen Rose

Molti altri autori di thriller, sia uomini che donne, tendono a concentrarsi sulle dinamiche investigative e sull'intreccio tanto da dimenticare che i protagonisti non sono asessuati ma umani, per quanto di cellulosa. Nei romanzi rosa invece gli autori puntano tutto sui sentimenti scordandosi a volte la storia in sé. La Rose invece è riuscita ad unire entrambi, alleggerendo la tensione dell'indagine con il tocco piccante dell'amore ma senza esagerare, usandolo invece come quel pizzico di pepe che rende le pietanze più saporite. Quell'elemento in più senza il quale al libro mancherebbe qualcosa.

L'intreccio è magistralmente costruito tanto da tenere il lettore inchiodato alle pagine di questo romanzo, per apprezzare però appieno questo libro bisogna leggerne il seguito. Si perché Muori per me è il primo libro di una trilogia, e solo il principio di una storia davvero sconvolgente.

Creare un buon intreccio in un libro è una cosa, prolungare questo intreccio in tre libri, rendendoli allo stesso tempo indipendenti è un'altra. Ecco perché, nonostante si discosti da Hannibal Lecter, dal quale siamo partiti in questo viaggio criminale, ho voluto mettere la Rose insieme a questi autori.

Il suo modo di scrivere, di raccontare, di intrecciare i personaggi, di creare suspence e tensione sono magistrali ed incredibili. Un'autrice che, gli amanti del genere, non possono assolutamente perdere!

25/02/14

Il male nascosto tra gli scomparsi

La scorsa settimana vi ho lasciato con l'enigma di chi fosse l'altro concorrente di Hannibal Lecter oltre a Beauty Killer. Vi do un indizio: vi ho già parlato di questo autore riferendomi a lui come una piacevole eccezione alla regola. Ancora niente? Se vi dico che è italiano?

Va bene, sto parlando di Donato Carrisi e del suo L'ipotesi del male. Non è esattamente un concorrente dei due autori di cui vi ho parlato la scorsa settimana, perché nel caso di Carrisi le regole del gioco sono leggermente differenti, però mi sembra giusto metterlo, se non proprio allo stesso livello, almeno nello stesso calderone.

Con Il suggeritore l'autore ci aveva aperto le porte del suo mondo ignoto, in cui il limite tra bene e male è talmente labile da rendere difficile distinguerli. Ne L'ipotesi del male, Carrisi scende ancora più in profondità, parlandoci ancora di Mila, decisa a nascondersi nel Limbo, la sezione della polizia dedicata alle persone scomparse: “Vivi che non sanno di essere vivi. E morti che non possono morire”. L'intento di Mila però si infrange quando viene richiesta nuovamente la sua collaborazione. Delle persone scomparse da anni, hanno deciso di tornare e di uccidere. Perché sono scomparse? E perché sono tornate per uccidere? Queste sono le domande a cui Mila deve rispondere, scavando nelle profondità del male, in oscurità dalla quale Mila sembra essere attratta più di chiunque altro.
L'ipotesi del male

Vi starete chiedendo perché abbia deciso di mettere Carrisi insieme ad Harris e alla Cain, qui non c'è un vero serial killer, personaggio e protagonista della vicenda. Non è del tutto vero, perché un serial killer c'è. Carrisi ce ne aveva parlato nel romanzo precedente, definendolo semplicemente un suggeritore. In questo secondo romanzo questo misterioso personaggio che agisce nell'ombra è ancora presente, tira i fili e manovra i suoi burattini con diabolica abilità.

Con L'ipotesi del male, Carrisi riconferma il suo stile narrativo, fatto di luoghi senza nome e ambientazioni cupe. Una Mila che sembra scivolare sempre più nell'oscurità, affiancata da personaggi anch'essi al limite dell'oscurità del male.

La trama si presenta avvincente e ben strutturata, con Carrisi che pone il lettore di fronte alla questione di quegli individui che decidono di scomparire, senza lasciare nessuna traccia di sé. Raramente gli autori parlano di questi individui, sviscerando la tematica e fermandosi a chiedersi le ragioni della loro scomparsa o dove mai possano essere andati questi individui qualora decidano di tornare. A Carrisi va dato il merito di averci provato e di aver costruito una storia di tutto il rispetto che può, ancora una volta, fare concorrenza ai romanzieri d'oltreoceano.
Donato Carrisi

Mentre vi raccontavo la trama, probabilmente a più di qualcuno sarà venuta in mente la serie tv The Following, con la sua dinamica del suggeritore, dei manipolati che commettono omicidi e dell'ex agente dell'FBI che tenta di fermare i piani del serial killer. Non è un caso che ci siano delle somiglianze, in effetti la serie tv prende proprio ispirazione dal libro di Carrisi. Dico ispirato, perché ovviamente la somiglianza si ferma alla figura del suggeritore, ma è comunque meglio di niente: per una volta siamo noi italiani ad ispirare gli americani.

Se però pensate che la mia digressione sul monto criminale della letteratura sia terminata, vi sbagliate, ho ancora un autore di cui parlarvi, che merita di essere gettato nel calderone. Di chi si tratta? Dovrete attendere il prossimo appuntamento con la mia rubrica per saperlo.

21/01/14

Le eccezioni e le radici del male

Chi è appassionato lo sa: il thriller è un genere in cui gli americani la fanno da padroni. Negli ultimi tempi però anche autori di altri paesi hanno cominciato a minare questo primato indiscusso. E gli italiani? Gli autori italiani non sono mai riusciti del tutto a sfondare in questo genere, preferendo altre correnti letterarie in cui si sentivano più ferrati. Per nostra fortuna però esistono delle eccezioni.

L'eccezione di cui vi parlerò oggi è un libro uscito in Italia nel 2009, rimanendo in classifica per più di 30 settimane. Pubblicato in 26 paesi ha superato il milione di copie vendute. Il libro si intitola Il suggeritore e l'autore è Donato Carrisi.

Il suggeritore
In questo suo romanzo d'esordio Carrisi ci porta in un luogo remoto ed isolato in cui vengono ritrovati i resti (il solo braccio sinistro) di sei bambine. Ad indagare sul caso viene chiamato il dottor Goran Gavila e la sua squadra specializzata nel catturare il serial killer, questo perché nessuno nutre dubbi sul fatto che ad agire sia proprio un serial killer che rapisce delle bambine innocenti, le uccide e poi ne asporta il braccio sinistro. Giunto sul luogo del ritrovamento il dottor Gavila si trova però ad affrontare un problema: secondo le denunce di scomparsa solo cinque bambine sono state rapite, ma il serial killer ha lasciato sei braccia, per di più il sesto braccio è stato asportato quando la vittima era ancora in vita. Per capire chi sia questa bambina di cui non è stata denunciata la scomparsa, alla squadra di Gavila verrà affiancata Mila Vasquez, un’investigatrice specializzata nella caccia alle persone scomparse. Ma è proprio con l'arrivo della donna che il killer alza la posta in gioco, cominciando a seminare indizi e prove per condurre la squadra verso altri colpevoli ed omicidi, svelando come il male possa nascondersi anche nei luoghi più inaspettati, compresa la squadra del dottor Gavila.

Il Male alle volte ci inganna, assumendo la forma più semplice delle cose.”

Il tema con cui Carrisi decide di esordire è quanto mai ostico e delicato, in quanto tratta la scomparsa e l'omicidio di bambine. Carrisi però riesce a destreggiarsi molto bene realizzando una trama ben strutturata in cui le vicende prettamente investigative e i colpi di scena vengono abilmente alternate. L'autore poi decide di inserire, qua e là, anche alcune nozioni di criminologia, ma lo fa con tale naturalezza e integrandole così bene nella storia da non pesare sulla trama di per sé importante.

Donato Carrisi
Peculiarità di questo romanzo è il fatto che l'autore, durante la narrazione, non nomini mai il nome della città in cui si svolgono le vicende. Un luogo qualunque, senza nome, che potrebbe essere accanto al lettore oppure all'altro capo del mondo. Tale mancanza geografica però non penalizza affatto la trama, anzi gli dona qualcosa in più.

In generale la narrazione è scorrevole, in alcuni punti sembra incepparsi su se stessa, ma non ci si fa più caso quando il romanzo entra nel vivo, e comunque considerato il fatto che Carrisi è al suo primo libro, la cosa è abbastanza naturale. I personaggi sono ambivalenti, come a voler far capire che nessuno è realmente buono o cattivo ma è tutta una questione di scelte.

Perché è dal buio che vengo. Ed è al buio che ogni tanto devo ritornare.”

Sul finale, di cui ovviamente non svelerò niente, c'è da dire che lascia piacevolmente sbalorditi e anche increduli. Ci sarà sicuramente qualche lettore a cui non sarà piaciuto (o piacerà se deciderà di leggerlo), perché magari inverosimile o forzato, io personalmente devo dire è il degno finale di un ottimo libro.

Volendo quindi tirare le somme su Il suggeritore, devo dire che Carrisi è un autore che vale la pena leggere e seguire, e se ve lo dice una lettrice che solitamente snobba gli autori italiani...
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