Il-Trafiletto
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23/01/14

I delfini si chiamano per nome

I delfini secondo il modesto parere sono un anello di congiunzione fra l'umano e il divino, e gli studi relativi alla comprensione del loro linguaggio così complesso e altrettanto misterioso, portano gli studiosi a trarre interessanti conclusioni.
Questo linguaggio è composto da dialetti locali o lingue a più vasta diffusione, fino ad arrivare a vere e proprie "lezioni di vita" impartite dai delfini adulti ai più piccoli a colpi di vocalizzazioni, fischi e click. I ricercatori della University of St Andrews hanno recentemente scoperto che alcune specie di delfini, durante le loro vocalizzazioni, utilizzano suoni ben definiti che potrebbero essere associati a nomi propri. Ogni delfino ha un suono che lo contraddistingue, e gli individui del gruppo sono in grado di capire e memorizzare il suo nome per utilizzarlo in qualche conversazione futura. "I delfini vivono in un universo tridimensionale, lontano dalla costa, senza alcun punto di riferimento, e hanno bisogno di rimanere in gruppo" spiega Vincent Janik, ricercatore della Sea Mammal Reserach Unit.
 "Questi animali vivono in un ambiente in cui è necessario possedere un sistema di contatti molto efficiente". Le relazioni sociali nel mondo dei delfini sono particolarmente complesse, e non sempre idilliache come mostrano alcuni documentari: alla spiccata intelligenza spaziale, linguistica e matematica si associano anche casi di violenza deliberata verso individui del sesso opposto o appartenenti ad altri gruppi sociali, fino ad arrivare a stupri e infanticidi. In un mondo in cui il tuo compagno potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte, identificarsi nel mezzo dell'oceano diventa indispensabile. E' da molto tempo che si sospetta che i delfini utilizzino dei suoni distintivi per chiamarsi per nome, in modo molto simile a quanto fa quotidianamente l'essere umano. Questi suoni, insoliti se paragonati ai set vocali più tradizionali, vengono appresi dagli altri delfini e utilizzati, pare, per riferirsi ad altri individui del proprio gruppo. E' la prima volta, tuttavia, che viene dimostrato come i delfini rispondano al richiamo corrispondente al proprio nome. I ricercatori hanno registrato i segnali sonori distintivi di alcuni delfini "naso a bottiglia" (Tursiops truncatus), facendoli ascoltare agli stessi mammiferi marini attraverso alcuni speaker subacquei. "Abbiamo riprodotto i fischi distintivi degli animali di quel gruppo, abbiamo anche riprodotto alcuni suoni del loro repertorio, per finire con fischi provenienti da diverse popolazioni di delfini, animali che non avevano mai visto nella loro vita" spiega Janik. I ricercatori hanno scoperto che i delfini hanno reagito (rispondendo con lo stesso richiamo) soltanto ai loro suoni distintivi, proprio come farebbe un essere umano nel momento in cui sente chiamarsi per nome. "La maggior parte del tempo i delfini non riescono a mantenere il contatto visivo, non possono usare l'olfatto sott'acqua, cosa molto importante nella fase di riconoscimento dei mammiferi, e non tendono a rimanere in un solo posto, per cui non hanno nidi o tane in cui ritornare". Secondo i ricercatori, è la prima volta che si osserva un animale utilizzare suoni particolari per riferirsi ad un individuo utilizzando un vero e proprio sistema di nomi. Anche se, rimanendo nella sfera dei mammiferi marini, un altro animale potrebbe comportarsi in modo molto simile: il capodoglio. Nel 2011, una ricerca pubblicata su Marine Mammal Sciences riportava come un piccolo gruppo di capodogli che vive al largo delle coste caraibiche utilizzi delle particolari vocalizzazioni in grado di distinguere ogni individuo della comunità. Questi capodogli approcciavano gli altri membri del gruppo emettendo una serie di vocalizzazioni uniche, "presentandosi" agli altri e rendendosi riconoscibili a distanza di chilometri.

25/10/13

Nuotare con il delfino? No, grazie

Diversi giornali da alcune settimane parlano di viaggi per promuovere esperienze "nuotare con il delfino" (SWTD), e tutto questo mi lascia alquanto perplesso e sbigottito.
Dopo tutto, in ogni parte del mondo ormai si sa che i delfini vanno lasciati vivere tranquillamente nel loro ambiente senza essere usati come divertimento per bambini ricchi o sposi in luna di miele, in nome della "eco-compatibilità" o di "educazione" in modo che chi li possiede possa guadagnare un sacco di soldi a discapito dei nostri cari animali.
Qui vi do alcune indicazioni contro questa pratica:

lasciamo liberi i delfini
1. I delfini sono unicamente poco adatti al confino. Sono creature sociali a cui piace viaggiare a quaranta e più chilometri al giorno, con 80 per cento lo vivono di squadra e trascorrono il loro tempo quasi sempre sotto la superficie dell'acqua. Strutture SWTD non potranno mai essere all'altezza.
2. Strutture SWTD negli Stati Uniti non sono USDA-regolamentate. Essi operano sotto la supervisione di APHIS (Animal and Plant Health Service Inspection) i cui standard lasciano scappatoie spalancate.
3. Con l'esplosione del settore SWTD negli ultimi anni (una ventina), il commercio mondiale di delfini catturati allo stato selvatico è cresciuto enormemente. Anche se gli impianti scelgono di utilizzare affermazioni del tipo: contiamo solo su soli animali allevati in cattività, ma i loro dollari possono comunque sostenere efficacemente il commercio mondiale di animali selvatici prelevati in modi violento.
Strutture SWTD hanno la reputazione di essere altamente fruttuose. A $ 100 a $ 300 per ogni nuotata di 15 minuti, quindi chi ha le possibilita’ economiche e vuol far passare l’idea che posti del genere proteggono e difendono questi animali.
Con l’idea che queste persone danno come stare con i delfini e’ "eco-friendly" e "educativo", ma tutto questo e’ solo spaventoso perche’ si porta avanti un’errata percezione di questi luoghi che non salvaguardano i nostri cari delfini ma sono solo un modo per fare un sacco di soldi.
Se vi propongono un’esperienza di questo tipo: pensateci!!!

21/10/13

La Pet Therapy: a cosa serve e come si sviluppa



Per chi convive quotidianamente con un pet  le occasioni di riconoscimento dei benefici, sulla salute psicofisica e sul benessere in generale, sono molteplici e differenziati. Relazionarsi con un cane, un gatto, o qualunque altro essere animale con cui si possa stringere un legame affettivo comporta una serie di effetti positivi, che coinvolgono la sfera emotivo-relazionale e quella fisica.
Dal piacere del contatto fisico con l’animale, allo stimolo ad una vita più sana, con momenti di svago e passeggiate all’aria aperta, la compagnia di un animale riduce il senso di solitudine, soprattutto per le persone anziane, prendersi cura di un altro essere vivente incoraggia il senso di responsabilità e aiuta la condivisione, per bambini ed adolescenti, fino ad arrivare all’attenuazione dei sintomi depressivi od ansiogeni ed alla regolazione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca.
Le prime documentazioni a tal proposito risalgono alla fine del 1700, quando in Inghilterra alcuni pazienti con disturbi mentali furono incoraggiati a prendersi cura di animali domestici, seguirono poi sperimentazioni simili in Germania e Francia, fino ad arrivare alla metà del secolo scorso quando lo psichiatra infantile Boris Levinson scoprì che quando nel suo studio era presente il suo cane, i bambini con disturbi psichici da lui seguiti erano fortemente attratti dall’animale, agivano in maniera più spontanea e si relazionavano più facilmente con il terapeuta. Il cane svolgeva una funzione mediatrice agevolando gli scambi comunicativi e creando un setting facilitato in cui i bambini si sentivano maggiormente a proprio agio e potevano manifestare liberamente le proprie emozioni e sensazioni.
Successivamente Levinson descrive la propria esperienza nel libro “The dog as Co-Therapist”, elevando ufficialmente il ruolo dell’animale nelle cure psicologiche a co-terapeuta e conia il termine Pet Therapy per definire le terapie basate sui benefici della relazione uomo-animale.
La “terapia per mezzo dell’animale” è impostata dunque sul rapporto che si instaura, singolarmente o in un lavoro di gruppo, con l’animale impiegato, ed affianca le terapie in atto coadiuvando e rafforzando gli effetti ottenibili, e si differenzia in:
A.A.A: Attività Assistite con Animali, che prevedono interventi educativo-ricreativi e di supporto psico-relazionale con varie tipologie di utenti, non hanno valenza prettamente terapeutica e di conseguenza non necessitano di prescrizione medica e sono meno vincolate, nei tempi e nelle modalità, delle attività a scopo terapeutico.
T.A.A: Terapie Assistite con Animali, sono basate su interventi che affiancano le terapie tradizionali già in uso, vengono progettate da un’équipe multidisciplinare e prevedono obiettivi specifici e monitoraggio dell’efficacia.
In entrambe le aree lo scopo di base è un miglioramento delle condizioni di vita e del benessere psico-fisico della persona, che, nel caso delle T.A.A. si declina nella cura dei disturbi fisico-motori, psichici, cognitivi ed emotivo-relazionali specificamente riguardo l’utente o gli utenti fruitori del progetto.
L’utenza a cui può venire indirizzata la terapia con animali è varia, possono beneficiare di interventi di Pet Therapy soggetti in età evolutiva con problematiche di handicap psico-fisico o disturbi comportamentali, bambini o adolescenti in situazione di disagio socio-familiare, adulti con sindromi depressive o ansiogene, persone che presentano difficoltà comunicative di vario genere, anziani in situazione di solitudine o demotivazione.
La Pet Therapy è sconsigliata nei casi di zoofobie, ipocondria o immunodepressione (per la possibilità, reale o presunta, che l’animale sia veicolo di malattie), allergie specifiche, psicosi maniacali o malattie mentali gravi in cui può essere a rischio l’incolumità dell’animale.
Partendo dunque dal presupposto che ogni intervento debba venire attentamente valutato, sia in considerazione del disturbo o difficoltà presentato, sia dell’utenza a cui ci si rivolge e sia del tipo di animale da scegliere, e che debba essere garantito il rispetto dell’individualità dei soggetti partecipanti (umani ed animali), i pets utilizzabili come co-terapeuti possono essere:
Cani, di cui alcune razze vengono ormai considerate “da Pet Therapy” per eccellenza (Golden e Labrador Retriever soprattutto, in considerazione della loro docilità e socievolezza), amici dell’uomo per definizione, coinvolti in interventi con anziani ospiti di case di riposo, disabili, persone con sindrome autistica, bambini con difficoltà comportamentali, singolarmente o in gruppo; con il cane si instaura un rapporto di profonda complicità ed affetto, in cui imparare le regole di base per una relazione gratificante, la tendenza genetica della specie canina ad assoggettarsi e seguire un capobranco fa sì che, se ben impostato, l’intervento di Pet Therapy con il cane funga da rafforzatore dell’autostima, da catalizzatore nelle cure dei disturbi emotivi e come base affettiva sicura in situazioni di disagio sociale o relazionale, inoltre può aiutare nella cura di disturbi psico-fisici se impiegato in attività di dog-agility assieme all’utente.
Gatti, i principali benefici ottenibili dalla compagnia e dal contatto fisico con un gatto riguardano la sfera dei disturbi strss-correlati, disturbi depressivi, sindrome ansiogena e problematiche comunicativo-relazionali. A differenza del cane, la difficoltà del gatto a fidarsi ed affidarsi all’essere umano stimola la costanza nei rapporti, l’autocontrollo (raramente la specAsini, l’onoterapia sfrutta alcune caratteristiche proprie dell’asino, quali la piacevolezza al tatto, la taglia ridotta, la pazienza, la lentezza dei movimenti, che tendono alla ripetizione monotona, per creare un tipo di relazione rassicurante e progressiva, motivo per cui viene destinata principalmente a persone con disturbi psichiatrici o comportamentali e disabili motori, ma non mancano i risvolti più specificamente educativi (come in genere per qualunque progetto che implichi la presa in cura di un essere vivente) per cui l’asino può essere agevolmente impiegato in attività ricreative (passeggiate) o inserito in progetti educativi, anche di gruppo.
A seconda delle problematiche interessate e delle possibilità (di spazi e tempi, nonché di personale atto a dirigere ed accompagnare nell’intervento) si può dunque scegliere tra una vasta gamma di progetti possibili, nell’ottica di una partecipazione attiva e consapevole, sia degli utenti che dei co-terapeuti! ie felina apprezza contatti invadenti), l’impegno prolungato per ottenere risultati tangibili. Il contatto con il pelo del gatto è piacevole e distensivo, agisce sul battito cardiaco e sulla pressione sanguigna, l’emissione delle fusa dona un immediato riscontro delle attenzioni rivolte all’animale, ma non è l’unico modo di interagire con esso, interventi di Pet Therapy con gatti possono essere sviluppati anche gestendo gruppi felini dei gattili, a cui somministrare cibo e cure e da cui ottenere, con il tempo, fiducia ed avvicinamento graduali.
Cavalli, l’ippoterapia (il movimento del cavallo viene utilizzato come strumento riabilitativo), o rieducazione equestre (intervento più attivo dell’utente, anche nella guida del cavallo) è forse il settore più noto all’interno della Pet Therapy, il cavallo è un animale dall’indubbio fascino, ed anche con esso la relazione che si può creare produce intense gratificazioni da ambo le parti; la rieducazione equestre (di cui l’ippoterapia è una branca) viene utilizzata soprattutto come aiuto nella cura di disturbi muscolari, neurologici, post-trauma e nelle disabilità con forte componente fisica, anche se, in virtù del rapporto instaurabile con il cavallo, si possono prevedere anche interventi per casi di disagio e disturbi emotivo-relazionali. Fare Pet therapy con i cavalli non significa necessariamente (o non solo) montarci sopra, l’intervento generalmente (se il caso lo consente) parte dall’acquisizione delle nozioni di base per la cura dell’animale, e prevede spazzolature, pulizia dei box e vicinanza con il cavallo al fine di raggiungere quella fiduccia di base che permetterà l’eventuale monta in sella.
Uccelli, principalmente pappagallini e canarini, in virtù della potenzialità a stimolare l’allegria e a migliorare l’umore, vengono impiegati in progetti rivolti ad anziani e per la riduzione dell’aggressività (ad esempio nelle carceri), anche in funzione delle cure ridotte di cui necessitano e della possibilità di alloggio anche in ambienti chiusi.
Delfini, anche per essi la funzione principale è quella di destare gioia ed allegria, soprattutto per soggetti in età evolutiva, possono essere inseriti in interventi destinati a persone con disturbi emotivi e relazionali, a persone con sindrome autistica, a persone con problemi nella sfera affettiva (il delfino è un mammifero estremamente evoluto, in gradi di riconoscere e interpretare il linguaggio del corpo e soddisfare i bisogni comunicativi anche quando problematici). Il grado di avvicinamento all’animale può variare dall’osservazione con interazione minima (ad esempio in interventi di gruppo) al contatto fisico (in questo caso è necessario saper nuotare).
Mammiferi di piccola taglia, perlopiù criceti, conigli e porcellini d’india, adatti a persone con problemi psicologici lievi, e in generale come facilitatori relazionali (come per gli uccelli, vengono impiegati negli interventi nelle carceri).
Pesci e tartarughe, impiegati nelle sindromi collegate allo stress, come calmanti in gradi di ridurre ansia e sintomi depressivi, in generale il loro accadimento facilita una presa in carico di responsabilità e riduce il senso di inadeguatezza.
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